Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 04-05-2022) 06-06-2022, n. 18171


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17558/2017 proposto da:

T. S.R.L., in persona legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via S. S. n. 7, presso lo studio dell’avvocato M. S., che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato A. E.;                                                      – ricorrente –

contro

Comune di Milano, in persona del sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via P. n. , presso lo studio dell’avvocato L. G., che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati S. D., M. A., M.R., P. S., M. I., T. A. giusta procura in calce al controricorso;                                                                                                                                  – controricorrente –

avverso la sentenza n. 7/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, pubblicata il 02/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/05/2022 dal cons. IOFRIDA GIULIA.

Svolgimento del processo

La Corte d’appello di Milano, con la sentenza n. 7/2017, depositata il 2/1/2017, – in controversia concernente domanda della T. srl di annullamento dell’avviso di pagamento del 6/3/2007, emesso, per Euro 15.032,75, dal Comune di Milano, a titolo di canone per l’occupazione di spazi ed aree comunali per gonfaloni e striscioni relativamente al 2002, rispetto ai quali l’impresa aveva inoltrato richiesta di autorizzazione, – ha confermato la decisione di primo grado, che aveva, stante l’ammissione sul punto del Comune convenuto, accertato il minore credito del Comune a titolo di canone COSAP per Euro 7.516,37.

In particolare, i giudici d’appello hanno sostenuto che il diritto al canone COSAP trova la sua fonte nell’atto concessorio e la mancata determinazione del canone nel provvedimento autorizzatorio non poteva essere intesa come rinuncia al credito, trattandosi di diritto non disponibile; non sussisteva alcun profilo di responsabilità del Comune, stante il riconoscimento del diritto del Comune al canone COSAP. Avverso la suddetta pronuncia, la Target srl propone ricorso per cassazione, notificato il 3/7/2017, affidato a cinque motivi, nei confronti del Comune di Milano (che resiste con controricorso notificato il 12-15/9/2017). Il controricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

  1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 36 n. 3 c.p.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 5, 12, 13, 20, 21 e 22 del Regolamento Cosap, approvato con delibere del consiglio comunale nn. 11/2000 e 21/2002, e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, in relazione al presupposto per il sorgere del credito, rappresentato dall’atto concessorio di occupazione di suolo pubblico, nella specie mai adottato, in relazione agli impianti di Target da parte del Comune, il quale aveva solo i provvedimenti di cui all’art. 6 del Regolamento comunale sull’imposta sulla pubblicità; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 5, 12, 13, 20, 21 e 22 del Regolamento Cosap, approvato con delibere del consiglio comunale nn. 11/2000 e 21/2002, nonchè del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63 e art. 23 Cost., stante la diversità dei provvedimenti adottati dal Comune tesi ad autorizzare i messaggi pubblicitari, rispetto ai provvedimenti concessori degli impianti pubblicitari ai fini del canne OSAP; c) con il terzo motivo, per, violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 10 e 12 delle disposizioni della legge in generale e art. 23 Cost. e art. 97 Cost. e dei principi di parità di trattamento e correttezza, nonchè violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997 e del Regolamento Cosap, approvato con delibere del consiglio comunale nn. 11/2000 e 21/2002 e dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., per difetto assoluto di motivazione, per avere svincolato la nascita dell’obbligo di pagamento del canone, e l’esigibilità del credito, dall’adozione dell’atto concessorio previsto dal Regolamento comunale; d) con il quarto motivo, la violazione e falsa applicazione ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1175, 1337 e 1375 c.c. e dei principi che regolano i rapporti iure privatorum, nonchè degli artt. 113 e 115 c.p.c., del D.Lgs. n. 446 del 1997 e del Regolamento Cosap, approvato con delibere del consiglio comunale nn. 11/2000 e 21/2002, e dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., per difetto assoluto di motivazione in ordine alla circostanza che il Comune, nella fase esecutiva del rapporto, regolata dalle norme di diritto privato, non solo era rimasto inerte ma non aveva proprio adottato alcun atto concessorio rispetto alle richieste di autorizzazione presentate da Target, adottando provvedimenti autorizzatori di contenuto difforme dal regolamento COSAP e contenenti soltanto la richiesta di pagamento dell’imposta sulla pubblicità, comportamenti concludenti mantenuti per quasi un quinquennio integranti rinuncia al diritto; e) con il quinto motivo, la violazione, e art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 97 Cost., artt. 1175, 1337 e 1375 c.c. e art. 1223 c.c. e art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., in relazione al rigetto della pretesa risarcitoria, malgrado il comportamento del Comune contrario ai doveri di correttezza e buona fede.
  2. I primi quattro motivi – in quanto tutti relativi all’operatività nella specie del regolamento Cosap e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63 – vengono trattati unitariamente e sono infondati.

La società Target ha ottenuto, da parte del Comune di Milano, su, domande presentate nel 2002, specifici provvedimenti di autorizzazione per installare gonfaloni, destinati ad essere posizionati su pali o su sostegni in diversi periodi dell’anno. Tali provvedimenti sono stati rilasciati dal Comune a fronte del pagamento della sola imposta comunale di pubblicità, disciplinata da apposito regolamento. Successivamente, nel 2007, il Comune ha richiesto a Target il pagamento dell’importo indicato in narrativa a titolo di COSAP in forza della deliberazione del Consiglio Comunale n. 11 del 21/02/2000 e successive modificazioni e integrazioni.

Questa Corte, di recente, ha ribadito che “il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, come modificato dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici”, cosicchè esso, pertanto, è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare eccezionale che ne trae il singolo (nella specie questa Corte ha cassato la sentenza nella quale il giudice di seconde cure, pur non ritenendo esclusa l’occupazione di suolo pubblico da parte di un condominio, aveva fondato la ritenuta non debenza del canone in questione esclusivamente sulla mancanza di una specifica concessione, laddove, invece, il presupposto applicativo della Cosap è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica, essendo irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico).

Il presupposto applicativo del Cosap è costituito quindi dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del, suolo pubblico (Sez. 1, n. 1435 del 19/01/2018, Rv. 646855 – 01; Sez. 2, 04/05/2018, n. 10733; Sez. 5, n. 18037 del 06/08/2009, Rv. 609326 – 01).

Tale principio è stato espresso anche dalla decisione del 7/1/2016 n. 61 delle Sezioni Unite, in tema di riparto di giurisdizione, che ha ribadito che il Cosap è configurato come corrispettivo di una concessione, reale presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un’area o spazio pubblico.

Giova rammentare il quadro normativo, ricostruito nella suddetta, pronuncia delle Sezioni Unite: 1) il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 42, concernente la “Revisione ed armonizzazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni, della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche dei Comuni e delle Province nonchè della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani a norma al della L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 4, concernente il riordino della finanza territoriale Ecologia”, stabiliva che, per le occupazioni di spazi ed aree pubbliche permanenti – e cioè e quelle “di carattere stabile, effettuate a seguito del rilascio di un atto di concessione, aventi, comunque, durata non inferiore all’anno, comportino o meno l’esistenza di manufatti o impianti” (comma 1, lett. a), era dovuta una tassa, a tariffa – variabile – “graduata a seconda dell’importanza dell’area sulla quale insiste l’occupazione”, “commisurata alla superficie occupata” (commi 3, 4 e 6 del precitato art. 42);

2) emanato il D.Lgs. n. 446 del 1997, in attuazione della delega, conferita al Governo dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, all’art. 63.1, prima parte, di detto D.Lgs., è stato previsto il conferimento alle Province ed ai Comuni del potere di adottare un regolamento per assoggettare il titolare della concessione di occupazione (Cass.13482 del 2012), permanente o temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al demanio o patrimonio indisponibile dell’ente, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, all’obbligo del pagamento di un canone “con riferimento alla durata dell’occupazione” e maggiorabile “di eventuali oneri di manutenzione derivanti” dall’occupazione stessa, commisurato alle esigenze del bilancio dell’ente, al valore economico delle aree, all’entità del sacrificio imposto alla collettività con la rinuncia all’uso pubblico generalizzato degli spazi occupati; 3) inizialmente, l’art. 51.2, lett. a) dello stesso D.Lgs., in attuazione della medesima legge delega, aveva previsto l’abolizione, per effetto, con decorrenza dal primo gennaio 1999, delle tasse per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 50 (TOSAP), ma la L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, comma 14, – entrata in vigore II gennaio 1999, (art. 83) – abrogò tale art. 51, con conseguente ripristino del precedente assetto normativo, anche ai fini della giurisdizione, per effetto del quale l’obbligo del pagamento del canone (COSAP) poteva coesistere con l’obbligo del pagamento della tassa per l’occupazione di aree pubbliche (TOSAP), stante la diversità della natura delle prestazioni dovute dal concessionario, essendo il canone COSAP, per l’appunto, non un tributo ma un corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici; 4) la L. n. 448 del 1998, art. 31, comma 20, nel modificare il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, comma 1, stabilì che “i comuni possono”, adottando appositi regolamenti, “escludere l’applicazione nel proprio territorio della TOSAP”, e, in alternativa all’applicazione di tale tributo, “prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, degli spazi e delle aree”, elencati nella norma sostituita, sia assoggettata ad un canone di concessione (COSAP) determinato in base a tariffa, con relativa giurisdizione in capo al giudice ordinario e non tributario (ed il successivo della L. n. 248 del 2005, art. 3 bis, 2., lett. b), dato atto della diversa natura giuridica del COSAP rispetto alla TOSAP è stato, dalla Corte Costituzionale, con sentenza n. 64 del 2008, dichiarato incostituzionale, sì che è stato ristabilito che spettano alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie relative al canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche).

L’amministrazione comunale di Milano si è avvalsa della facoltà prevista dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63 (di escludere l’applicazione nel proprio territorio della TOSAP di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993 e di assoggettare, con apposito regolamento, l’occupazione di aree pubbliche al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, reale o presunta, COSAP) e, con Delib. n. 11 del 2000 ha adottato il regolamento per l’applicazione del canone OSAP. Ora, a prescindere da alcuni profili di inammissibilità delle censure, la Corte territoriale, nel pronunciare la sentenza impugnata non è incorsa in nessuno dei vizi denunciati, laddove ha sostenuto che: a) – il canone Osap trova la sua fonte nel provvedimento concessorio, ma non può essere considerato oggetto di trattativa privata, essendo il pagamento del canone previsto dal Regolamento, cosicchè il canone Osap non può essere oggetto di rinuncia da parte del Comune; b) anche l’obbligo di pagamento del prezzo del canone Osap da parte del privato trova la sua fonte nel provvedimento autorizzativo e lo stesso art. 63 prevede che il canone deve essere pagato dal titolare del provvedimento di concessione e, negli stessi termini, si esprime (all’art. 3) il regolamento adottato con Delibera del Consiglio comunale di Milano; c) la determinazione del canone deve avvenire nell’atto di concessione (soccorrono al riguardo il citato art. 63, nonchè gli artt. 13, 21 e 22 del regolamento adottato dal Comune), tuttavia l’eventuale determinazione del canone in un momento successivo (come per l’appunto si è verificato nel caso di specie) non comporta la non esigibilità del credito da parte del Comune (e, in particolare, non può essere interpretato come rinuncia), sia perchè il diritto al canone Osap trova la sua fonte nell’atto concessorio e non è un diritto disponibile, sia perchè il canone è previsto come dovuto dal regolamento ed è soggetto alle tariffe approvate con le delibere del consiglio comunale, sia perchè il silenzio sul canone non costituisce rinuncia espressa e neppure rinuncia tacita, in assenza di una condotta incompatibile con la volontà di avvalersi del diritto di credito stesso (cfr. sul punto Cass. 12482/2022; Cass. 13169/2000; Cass. 9240/2020; Cass. 3710/2019; Cass. 29455/2018).

La motivazione che precede non viola le disposizioni di legge invocate ed è conforme alla giurisprudenza di questa Corte che ha avuto modo di affermare che il diritto al canone Osap trova la sua fonte nel provvedimento concessorio, ma non può essere considerato oggetto di trattativa privata: l’obbligazione di corrispondere il canone nasce (non con l’accertamento, ma) con l’occupazione del demanio pubblico, con o senza titolo; ed il diritto al canone Osap e la sua determinazione non possono essere oggetto di rinuncia.

D’altronde, in caso di pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al comune o da questo dati in godimento, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, in quanto la prima ha presupposti diversi dalla seconda, come emerge dal confronto del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 5 e 38 (che individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione dell’area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e quindi all’uso generalizzato: cfr. Cass. n. 13476 del 2012).

  1. Il quinto motivo concernente il rigetto della domanda risarcitoria, proposta in via subordinata da Target, è infondato. La società aveva sostenuto la sua richiesta, invocando la tardività e la abnormità – rispetto alle tariffe applicate per le occupazioni effettuate con altri mezzi pubblicitari, nonchè rispetto alle tariffe deliberate successivamente con riferimento agli stessi striscioni e gonfaloni – della richiesta del canone, nonchè la pretesa violazione da parte del Comune di Milano delle prescrizioni contenute nel regolamento Cosap e dei principi cui dovrebbe essere informata l’attività della P.A. ed i rapporti privatistici.

La Corte territoriale ha rigettato la domanda, poichè il Comune aveva il diritto al pagamento del canone, così come rideterminato in corso di causa, e, conseguentemente, dovevano escludersi profili di responsabilità. Anche sul punto la motivazione della Corte territoriale sussiste e non è censurabile: nessun comportamento, colposo o doloso, è stato ritenuto imputabile al Comune che ha applicato la normativa di settore in materia di pubblicità effettuata con l’uso di beni pubblici ed ha chiesto l’adempimento dell’obbligazione patrimoniale negli ordinari termini di prescrizione del credito non assolto.

Si ribadisce che il regolamento comunale è fonte normativa e prevede, fra l’altro, sia i criteri di determinazione della superficie di occupazione sia le relative tariffe allegate (che la società ricorrente, operatore professionale, avrebbe dovuto e potuto conoscere). Dunque, la richiesta di adempimento di un’obbligazione patrimoniale, conosciuta o conoscibile nell’an e nel quantum, entro gli ordinari termini di prescrizione del credito, costituisce attività tipica della Pubblica Amministrazione.

Come già chiarito da questa Corte (Cass. 9240/2020, concernente analoga controversia tra le stesse parti, relativa all’esposizione di impianti pubblicitari nell’anno 2000) “l’affidamento sull’inerzia del Comune, interpretata come rinunzia al canone, non trova tutela giuridica, considerato che non era affatto imprevedibile, fino al momento del maturare della prescrizione decennale, il sopraggiungere di una richiesta di pagamento per forme pubblicitarie particolari, quali per l’appunto nella specie i gonfaloni”.

  1. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 3.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, ove dovuto, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 6 giugno 2022


COMMENTO: La Corte di Cassazione, ha ribadito che “il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, come modificato dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici”, cosicchè esso, pertanto, è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare eccezionale che ne trae il singolo (nella specie questa Corte ha cassato la sentenza nella quale il giudice di seconde cure, pur non ritenendo esclusa l’occupazione di suolo pubblico da parte di un condominio, aveva fondato la ritenuta non debenza del canone in questione esclusivamente sulla mancanza di una specifica concessione, laddove, invece, il presupposto applicativo della Cosap è costituito dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica, essendo irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del suolo pubblico).

Il presupposto applicativo del Cosap è costituito quindi dall’uso particolare del bene di proprietà pubblica ed è irrilevante la mancanza di una formale concessione quando vi sia un’occupazione di fatto del, suolo pubblico (Sez. 1, n. 1435 del 19/01/2018, Rv. 646855 – 01; Sez. 2, 04/05/2018, n. 10733; Sez. 5, n. 18037 del 06/08/2009, Rv. 609326 – 01).

Tale principio è stato espresso anche dalla decisione del 7/1/2016 n. 61 delle Sezioni Unite, in tema di riparto di giurisdizione, che ha ribadito che il Cosap è configurato come corrispettivo di una concessione, reale presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici, e non già dovuto per la sottrazione al sistema della viabilità di un’area o spazio pubblico.

La motivazione che precede non viola le disposizioni di legge invocate ed è conforme alla giurisprudenza di questa Corte che ha avuto modo di affermare che il diritto al Cosap trova la sua fonte nel provvedimento concessorio, ma non può essere considerato oggetto di trattativa privata: l’obbligazione di corrispondere il canone nasce (non con l’accertamento, ma) con l’occupazione del demanio pubblico, con o senza titolo; ed il diritto al Cosap e la sua determinazione non possono essere oggetto di rinuncia.

D’altronde, in caso di pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al comune o da questo dati in godimento, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, in quanto la prima ha presupposti diversi dalla seconda, come emerge dal confronto del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 5 e 38 (che individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione dell’area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e quindi all’uso generalizzato: cfr. Cass. n. 13476 del 2012).