CTR Toscana Firenze, sez. VI, 29.06.2018 n. 1251


Svolgimento del processo

Con sentenza in data 5 maggio 2016 la Commissione tributaria provinciale di Grosseto in accoglimento del ricorso proposto dalla F.R. s.r.l., annullava gli avvisi di accertamento relativi agli anni d’imposta 2007 e 2008. La CTP, senza entrare nel merito dei recuperi effettuati dall’ Ufficio, ha ritenuto, in accoglimento del primo motivo del ricorso che, gli avvisi sono stati emessi illegittimamente successivamente alla intervenuta decadenza per decorso dei termini ordinari concessi per l’attività accertatrice, non potendosi applicare i raddoppio dei termini invocato dall’ Ufficio per i casi di violazione che comporti l’obbligo della denuncia di reato, atteso che l’ Agenzia non ha provato la sussistenza dell’ipotesi di reato in grado di legittimare il raddoppio dei termini.

Ha presentato appello Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Grosseto deducendo che:

– In relazione a quanto deciso dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 247 dei 25 luglio 2011 la commissione tributaria non deve prendere cognizione della denuncia penale, ma deve verificare se nella fattispecie descritta esistono i presupposti per la denuncia penale, la cui sussistenza è sufficiente a far scattare l’obbligo di denuncia in capo ai verificatori e la conseguente possibilità di estendere l’ambito della verifica anche alle annualità per le quali si è verificata la decadenza. L’obbligo di invio della denuncia penale ai sensi dell’art. 331 c.p.p. è la sola circostanza che legittima il termine raddoppiato.

– Nel caso di specie sussisteva l’obbligo di denuncia penale da parte dei verificatori, giacché gli importi contestati con il p.v.c. del 22 aprile 2010 è pari a Euro 2.843.58100 per l’anno di imposta 2007 e a Euro 2.788,446,00 per l’anno di imposta 2008, importi ben superiori alle soglie di punibilità penale.

– In conformità alla costante giurisprudenza della Cassazione non rileva la circostanza che il procedimento penale sia stato archiviato, sul presupposto che sono stati considerati solo ed esclusivamente “i ricavi non dichiarati rilevati in sede di verifica ed emergenti dall’accertamento analitico”, trascurando completamente i rilievi di tipo indiretto che avevano portato la Guardia di Finanza a constatare maggiori ricavi per Euro 2.843.581,00 (2007) e per Euro 2.788.446,00 (2008) e a denunciare il fatto alle autorità competenti. La circostanza, dunque, che il Giudice delle indagini preliminari ha archiviato il procedimento penale sulla scorta dei soli rilievi analitici, non esclude l’applicabilità del raddoppio dei termini, giacché i militari verificatori avevano l’obbligo, sanzionato penalmente, di inoltrare senza ritardo la notizia di reato alla competente Procura della Repubblica, avendo constatato maggiori ricavi, tra rilievi analitici ed indiretti, che superavano la soglia di punibilità prevista dai legislatore

– Quanto al merito, non esaminato dalla CTP, il ricorso è palesemente infondato in quanto:

– La ricorrente lamenta solo l’illogicità dell’azione amministrativa ripercorrendo le fasi della verifica ed incentrando le proprie argomentazioni difensive soprattutto sul rilievo di tipo indiretto, contenuto nel p.v.c. del 22 aprile 2010. Lamenta ancora l’illogicità delle indagini bancarie, contenute nei p.v.c. del 26 gennaio 2011, poiché estese sui soci R.P. e C.A. in assenza di qualsiasi prova, anche presuntiva, che le movimentazioni sui conti correnti di detti soci potessero ricondursi alia società.

– A fronte delle contestazioni mosse dall’Ufficio all’esito delle indagini bancarie la ricorrente non ha offerto alcuna giustificazione in ordine ai prelevamenti e versamenti imputati alla società, concentrando le proprie argomentazioni difensive su rilievi abbandonati dall’Ufficio e quindi non contenuti nell’atto impugnato.

– Quanto al motivo del ricorso relativo al mancato esperimento di un corretto contraddittorio, l’attività accertativa della Guardia di finanza e degli uffici finanziari non è retta dal principio del contraddittorio. Gli uffici, in sede di verifica, non sono tenuti a interpellare preventivamente il contribuente, potendo sempre emettere l’avviso di accertamento laddove emergano elementi utili a supporto della pretesa impositiva (cfr. Cassazione, ordinanza 24 giugno 2014, n. 14290). Le risultanze emerse dalia attività di verifica prodromica all’emissione dell’avviso di accertamento o di rettifica possono sempre costituire valido supporto probatorio della pretesa impositiva a tale avviso sottesa, senza che a ciò osti la mancata contestazione al contribuente in sede di verifica (v. Cassazione, sentenze 26293/2005 e 4273/2001).

Si è costituita la F.R. s.r.l. resistendo all’appello ed osservando che la Commissione tributaria provinciale di Grosseto anche con riferimento ad altre annualità ha ritenuto la decadenza dell’azione accertatrice con sentenza confermata dalla Commissione Tributaria Regionale di Firenze con sentenza in data 13 Febbraio 2017. Nel merito si riportava ai motivi del ricorso.

Con memoria in data 8 giugno 2018 l’appellata eccepiva l’inammissibilità dell’appello in quanto proposto in forma telematica mentre il ricorso in primo grado era stato proposto in forma cartacea.

Motivi della decisione

L’eccezione di inammissibilità dell’appello è infondata. Non è condivisibile quanto deciso da questa Commissione con la sentenza n. 1377 del 7.2.2017 secondo cui la notifica degli atti giudiziali tributari a mezzo pec non è ammissibile alla stregua della testuale esclusione prevista dall’art. 16 c. 4 del D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 684. Si legge nella sentenza: “Non appare condivisibile l’inverso, vale a dire la modifica di un iter da cartaceo in primo grado, in telematico in appello, superando così di colpo la normativa specifica in tema di notifica degli atti che rimane senz’altro quella sancita dalla norme del c.p.c. nel caso di mancato adeguamento per intero al PTT e tanto indipendentemente dalle possibilità introdotte da processo tributario telematico che prevede allo stato, nella regione che ci occupa, ancora un sistema di alternatività”. Tale affermazione è priva di qualsiasi collegamento al dato normativo. Si ignora che è stato introdotto con il D.Lgs. n. 156 del 2015 l’art. 16 bis del D.Lgs. n. 546 del 1992 che prevede che le notificazioni tra le parti possono avvenire in via telematica secondo quanto stabilito dal regolamento del processo tributario telematico approvato con D.M. 23 dicembre 2013, n. 163. Nel regolamento non è prevista alcuna preclusione a scegliere la modalità telematica per il grado di appello, tenuto conto che:

– Nelle “Definizioni” di cui all’art. 1 del Regolamento è precisato alla lettera k) che con il termine “ricorso” si intende parimenti il ricorso del grado provinciale ed il ricorso in appello. Pertanto è evidente che anche per tale grado di giudizio trovi piena applicazione la possibilità del ricorrente di scegliere le modalità di notifica, costituzione e deposito, a prescindere da quelle seguite per il grado precedente (ad eccezione ovviamente dell’obbligo di utilizzo del canale telematico discendente dalla applicazione del comma 3 dell’art. 2).

– L’art. 13 del Regolamento stabilisce che la costituzione in giudizio ed il deposito degli atti e documenti riferiti al giudizio di appello avviene mediante il SIGIT seguendo le modalità indicate nei precedenti artt. 10, 11 e 12, senza stabilire alcuna propedeuticità con le modalità utilizzate nel grado provinciale e lasciando al ricorrente la scelta se eseguire o meno la notifica ai sensi dell’art. 9 per la conseguente applicazione delle disposizioni di quelli già menzionati 10, 11 e 12.

Addirittura la CTR per la Lombardia con la sentenza 5082 del 5.12.2017 ha affermato che non è inesistente la notifica dell’appello effettuata a mezzo posta elettronica certificata (P.E.C.), ancorché avvenuta in epoca precedente all’avvio del Processo Tributario Telematico in quanto effettuata in forma legislativamente prevista dall’art. 16 bis del D.Lgs. n. 546 del 1992.

Ma Vi è di più. Secondo un orientamento pacifico in Cassazione la notifica di un atto è inesistente nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità ” (Cass.Civ. Sez. Unite, Sent. 20.7.2016 n. 14917). La Corte di Cassazione ha anche affermato che “il principio, sancito in via generale dall’art. 156 c.p.c., secondo cui la nullità non può essere mai pronunciata se l’atto ha raggiunto lo scopo a cui è destinato, vale anche per le notificazioni, anche in relazione alle quali – pertanto la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario” (Cass., sez. lav., n. 13857 del 2014 e Cass. S.U. 18.4.2016 n. 7665). Nel caso di specie la notifica dell’atto a mezzo PEC ha raggiunto il suo scopo atteso che l’appellata ha controdedotto svolgendo le proprie difese e non indicando alcun pregiudizio conseguito ad una asserita irregolare notifica dell’appello.

L’appellata sentenza deve essere confermata, anche se, in linea teorica, sono corretti alcuni motivi prospettati dall’appellante a censura della sentenza.

E’ errata l’affermazione contenuta in sentenza relativa al fatto che l’Agenzia non ha provato la sussistenza dell’ipotesi di reato in grado di legittimare il raddoppio dei termini. Ha correttamente osservato l’appellante, richiamando anche la sentenza della Corte costituzionale 247/2011, che il solo presupposto per l’applicazione del termine doppio, è che sussista, in relazione agli elementi raccolti in sede di indagine tributaria, l’obbligo di inoltrare la denuncia all’autorità giudiziaria, senza che abbia alcun rilievo la circostanza che il procedimento penale sia archiviato o definito con sentenza di assoluzione o di proscioglimento per prescrizione del reato. Non ha pertanto alcun rilievo il fatto che il procedimento penale iscritto a seguito dell’inoltro del PVC del 22 aprile 2010 sia stato archiviato.

In conformità a quanto deciso dalla Commissione tributaria regionale di Firenze con riferimento ad altre annualità con la sentenza richiamata dall’appellata, Il motivo per il quale deve negarsi l’applicazione del termine doppio è che gli avvisi di accertamento si fondano non sugli elementi accertati nel corso della verifica in relazione alla quale è stato redatto il PVC inoltrato come denuncia di reato, ma sul solo rilievo analitico e sulle indagine finanziare successivamente svolte, in relazione alle quali non erano superate le soglie per la punibilità penale.

Gli avvisi di accertamento impugnati traggono origine da una verifica fiscale effettuata dalla Guardia di Finanza di Grosseto articolatasi in due fasi: la prima, riguardante gli anni di imposta dal 2005 al 2008, che si concludeva con un processo verbale di constatazione notificato in data 22 aprile 2010; la seconda, attuata tramite indagini bancarie, si concludeva con un con un processo verbale di constatazione notificato il 26 gennaio 2011 per gli anni di imposta dal 2006 al 2009. In relazione alla verifica effettuata la Guardia di Finanza trasmetteva la notizia di reato all’Autorità Giudiziaria competente. Successivamente alla notifica dei P.V.C, la società presentava, a mezzo del professionista delegato, una serie di memorie che inducevano l’Ufficio ad abbandonare alcuni rilievi, nello specifico quelli di tipo indiretto, contenuti nel primo p.v.c. ed a valorizzare soltanto quelli di tipo analitico contenuti nello stesso, oltre le risultanze delle indagini bancarie contenute nei secondo p.v.c..

Il superamento delle soglie di punibilità era conseguente ai rilievi di tipo indiretto che la stessa Agenzia ha ritenuto infondati e ha ignorato con gli avvisi di accertamento di cui si discute. Con riferimento a questi, dunque, la circostanza che sia stata inoltrata la denuncia è assolutamente irrilevante in quanto i fatti che sono stati oggetto di denuncia penale non hanno alcun collegamento con gli accertamenti.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Respinge l’appello e condanna l’appellante ai rimborso delle spese di questo grado liquidate in complessivi Euro 2.000 (duemila) oltre IVA ed accessori.

Firenze, il 22 giugno 2018


 

COMMENTO

La Commissione Tributaria Regionale della Toscana respinge l’eccezione di inammissibilità di un appello, fondata sulla circostanza che lo stesso fosse stato notificato mediante posta elettronica certificata, a fronte di un ricorso di primo grado notificato invece con modalità cartacea (i.e.: analogica).

La decisione in commento dà atto di un proprio precedente di segno opposto (CTR Toscana, 07.02.2017 n. 1377) il quale, in una fattispecie analoga, aveva concluso per l’inammissibilità dell’appello sulla base del disposto dell’art. 16, comma 4, “D.P.R. 11.02.2005 n. 684” (i.e.: D.P.R. 11.02.2005 n. 68), secondo cui “Le disposizioni di cui al presente regolamento non si applicano all’uso degli strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo penale, nel processo amministrativo, nel processo tributario e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, per i quali restano ferme le specifiche disposizioni normative”.

La sentenza CTR Toscana, 07.02.2017 n. 1377 aveva ritenuto inammissibile la modifica di un iter da cartaceo (i.e.: analogico) in primo grado a telematico in appello, perché ciò avrebbe comportato un indebito superamento della normativa specifica in tema di notifica degli atti, che invece doveva rimanere quella sancita dalla norme del Codice di procedura civile, nel caso di mancato adeguamento per intero al processo tributario telematico (PTT), indipendentemente dalla circostanza che quest’ultimo prevedesse, allo stato, un sistema di alternatività.

Tale conclusione non viene ritenuta condivisibile dalla pronuncia in commento per una molteplicità di ragioni.

In primo luogo, l’art. 16-bis D.lgs. 31.12.1992 n. 546 (introdotto dall’art. 9, comma 1, lettera h), D.lgs. 24.09.2015 n. 156) ammette espressamente, nell’ambito del processo tributario, le notifiche mediante posta elettronica certificata, eseguite secondo il D.M. 23.12.2013 n. 163.

Quest’ultimo non contiene alcuna preclusione a scegliere la modalità telematica di notifica per il grado di appello, tenuto conto che, con il termine “ricorso” (di cui all’art. 1, lettera k), D.M. 163/2013), si intende parimenti il ricorso del grado provinciale ed il ricorso in appello, e che l’art. 13 del predetto Regolamento stabilisce che la costituzione in giudizio ed il deposito degli atti e documenti riferiti al giudizio di appello avviene mediante il S.I.GI.T., seguendo le modalità indicate nei precedenti artt. 10, 11 e 12, senza stabilire alcuna propedeuticità con le modalità utilizzate nel grado provinciale.

In secondo luogo, viene richiamata la giurisprudenza di merito secondo cui non è inesistente la notifica dell’appello effettuata a mezzo p.e.c., ancorché avvenuta in epoca precedente all’avvio del Processo Tributario Telematico, in quanto effettuata in forma legislativamente prevista dall’art. 16-bis D.Lgs.546/1992 (CTR Lombardia, 05.12.2017 n. 5082).

Infine, viene richiamato l’indirizzo ormai consolidato della giurisprudenza di legittimità secondo cui la notifica di un atto è inesistente nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, mentre ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale ricade nella categoria della nullità (Cass. Civ., SS.UU., 20.07.2016 n. 14917).

Trova quindi applicazione alle notifiche nulle, ma non inesistenti, la sanatoria per raggiungimento dello scopo dell’atto (art. 156, comma 3, c.p.c.), in forza della quale la nullità non può essere dichiarata tutte le volte che l’atto, malgrado l’irritualità della notificazione, sia venuto a conoscenza del destinatario (Cass. civ., Sezione lavoro, 18.06.2014 n. 13857 e Cass. Civ., SS.UU., 18.04.2016 n. 7665).

La pronuncia in esame conclude quindi nel senso che la notifica dell’atto di appello mediante posta elettronica certificata abbia raggiunto il proprio scopo, atteso che la parte appellata ha controdedotto, svolgendo le proprie difese e non indicando alcun pregiudizio concreto, conseguito ad una asserita irregolare notifica dell’appello: per tale motivo, l’eccezione preliminare di inammissibilità di quest’ultimo viene respinta.

 

Dott.ssa Cecilia Domenichini

(Unicusano- Roma)