Cass. civ., sez. V, ord., 02.10.2019 n. 24543


Svolgimento del processo

1.- LA A. I. s.r.l. impugna l’avviso di accertamento emesso dal Comune di (OMISSIS) per mezzo della concessionaria ICA s.r.l. relativo al pagamento di impianti pubblicitari con spazio libero (c.d. spazi vuoti).

2.- Il ricorso è stato rigettato sia in primo che in secondo grado. La CTR della Lombardia con sentenza depositata in data 8 settembre 2016 ha ritenuto che, una volta ottenuta l’autorizzazione amministrativa per l’esposizione a fini pubblicitari, l’imposta deve essere pagata indipendentemente dal fatto che gli spazi pubblicitari vengano utilizzati o meno.

  1. La società A. ricorre avverso la predetta sentenza affidandosi a due motivi. Non svolge attività difensiva il Comune. Si costituisce l’ICA con controricorso.

Motivi della decisione

4.- Con il primo motivo ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5. La ricorrente deduce che dalla norma in questione si trae la regola che la presenza del mezzo, e cioè l’impianto, non è di per sé oggetto d’imposizione tributaria ed è cosa diversa dalla diffusione pubblicitaria la quale è invece oggetto della imposizione tributaria. Con il secondo motivo del ricorso si lamenta sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione dell’art. 12 preleggi, in quanto alla norma non può attribuirsi altro significato che quello letterale e nella fattispecie il giudice d’appello avrebbe interpretato l’art. 5 citato, in senso diverso dal suo significato letterale.

4.1.- I due motivi possono trattarsi congiuntamente. Sono entrambi infondati.

La parte propone una lettura fuorviante del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, soltanto apparentemente conforme al suo significato letterale. Ogni norma deve peraltro essere letta in armonia con la compagine normativa cui appartiene oltre che in conformità ai principi generali dell’ordinamento e ai principi costituzionali. E’ vero che il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 5, comma 1, afferma che “La diffusione di messaggi pubblicitari… è soggetta all’imposta…” sulla pubblicità, ma si deve tener conto che: in primo luogo l’art. 5, è solo una norma integrativa dell’oggetto del tributo rispetto a quello della pubblicità tramite impianti di affissione; – quando l’art. 7, regola la quantità del contenuto dell’imposta, assume come parametro per la sua determinazione la “superficie minima della figura geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario indipendentemente dal numero dei messaggi in esso contenuti”, e tra i numeri figura anche lo zero, che corrisponde alla mancata utilizzazione dell’impianto; – il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 8, prescrive che nella dichiarazione del contribuente è riservato un ruolo rilevante alla superficie esposta del mezzo pubblicitario che si intende utilizzare (comma 2); il D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 6, comma 1, prevede che “Soggetto passivo dell’imposta sulla pubblicità… è colui che dispone del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso”; – infine, l’art. 12, si limita a disciplinare l’applicazione delle tariffe in relazione alle diverse fattispecie.

Se si tiene conto di tutte queste disposizioni normative, si deve ritenere che, nonostante la formula letteraria adottata dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 5, comma 1, oggetto del tributo è “il mezzo disponibile” e non “il mezzo disponibile effettivamente utilizzato per la diffusione di messaggi pubblicitari”, e, tanto meno, perciò, che oggetto del tributo sia l’attività di diffusione di tali messaggi (cfr. Cass. 109/2005; Cass.23007/2009; Cass. n. 5039/2015; Cass. 6446/2004). In altri termini, presupposto dell’imposta di pubblicità non è la concreta utilizzazione del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso, bensì la disponibilità del mezzo medesimo da parte – anche a mezzo concessione – destinato al potenziale uso pubblicitario (in questi termini, Cass. n. 20873/2007; Cass. 12783/2018; Cass. 5973/2016).

Il giudice d’appello si è attenuto a questi principi, da considerarsi ormai consolidati nella giurisprudenza della Corte. Ne consegue il rigetto del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in favore della società di riscossione, costituita. Nulla sulle spese per il Comune in assenza di attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna la ricorrente alle spese in favore di ICA S.R.L. che liquida in Euro 2.900,00 e accessori di legge, oltre spese forfetarie.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019


 

COMMENTO

La pronuncia in commento respinge il ricorso della società contribuente, volto a far dichiarare la mancata debenza dell’imposta di pubblicità per il fatto che la società medesima, pur avendo richiesto ed ottenuto l’autorizzazione amministrativa per l’esposizione a fini pubblicitari, non aveva poi concretamente utilizzato gli spazi pubblicitari a propria disposizione.

Secondo la tesi di parte ricorrente, la mancata utilizzazione degli spazi pubblicitari avrebbe fatto venire meno il presupposto impositivo, posto che l’art. 5, comma 1, D.lgs. 15.11.1993 n. 507 assoggetta all’imposta sulla pubblicità “la diffusione di messaggi pubblicitari effettuati attraverso forme di comunicazione visive o acustiche … in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile” e, quindi, l’effettivo utilizzo degli spazi pubblicitari.

Tale tesi viene tuttavia respinta dalla Suprema Corte, in quanto altre norme del D.lgs. 507/1993 mostrano di ritenere irrilevante, ai fini del presupposto impositivo, l’effettivo utilizzo degli spazi pubblicitari. In particolare, l’art. 6, comma 1, D.lgs. 507/1993 prevede che “soggetto passivo dell’imposta sulla pubblicità, tenuto al pagamento in via principale, è colui che dispone a qualsiasi titolo del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso“, mentre il successivo art. 7 D.lgs. 507/1993, allorché regola la quantità del contenuto dell’imposta, assume come parametro per la sua determinazione la “superficie minima della figura geometrica in cui è circoscritto il mezzo pubblicitario indipendentemente dal numero dei messaggi in esso contenuti“: poiché tra i numeri figura anche lo zero, la norma applica l’imposizione anche in caso di mancata utilizzazione dell’impianto.  Infine, ulteriori conferme in tal senso vengono riscontrate negli artt. 8 e 12 D.lgs. 507/1993.

Pertanto, nonostante la formula letteraria adottata dall’art. 5, comma 1, D.lgs. 507/1993, oggetto dell’imposta sulla pubblicità è “il mezzo disponibile” e non “il mezzo disponibile effettivamente utilizzato per la diffusione di messaggi pubblicitari“, né tanto meno l’attività di diffusione di tali messaggi (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, 01.04.2004 n. 6446; Cass. civ., sez. V, 30.10.2009 n. 23007; Cass. civ., sez. V, 13.03.2015 n. 5039; Cass. civ., sez. V, 25.03.2016 n. 5973; Cass. civ., sez. V, ord., 23.05.2018 n. 12783).

In altri termini, presupposto dell’imposta di pubblicità non è la concreta utilizzazione del mezzo attraverso il quale il messaggio pubblicitario viene diffuso, bensì la disponibilità del mezzo medesimo, destinato al potenziale uso pubblicitario.