CTP Salerno, sez. X, 26.06.2018 n. 2575
Svolgimento del processo
La ditta “S.S. sas”, con sede in S., elettivamente domiciliata, per la presente procedura, in S. (S.), Via P. n. 23, presso lo studio del dott. Paolo Forino, commercialista, che la rappresenta e difende in giudizio, con ricorso diretto all’Agenzia delle Entrate – Riscossione, sede di Salerno, e all’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Salerno, impugna estratto di molo, rilasciato in data 24.11.2017, riferito a carico tributario contenuto nella cartella esattoriale n. (…), che risulterebbe notificata in data 20.3.2017.
La Società ricorrente, ribadita l’impugnabilità dell’estratto di molo in mancanza di notifica dell’atto esattivo, chiede l’annullamento della cartella e del relativo molo per mancata e/o errata notifica della cartella stessa, con intervenuta decadenza del termine triennale di cui all’art. 1, comma 5 bis, del D.L. n. 106 del 2005. Eccepisce, inoltre, l’illegittima formazione del ruolo in quanto avvenuta nel 2017, ovvero oltre il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi (Unico 2014 per l’anno di imposta 2013). Il tutto con vittoria di spese ed onorario di giudizio, con attribuzione.
Si costituisce l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Salerno ed impugna le eccezioni di parte ricorrente. Dichiara che la cartella è stata regolarmente notificata, a mezzo PEC, in data 20.3.2017. Quanto alla presunta decadenza, trattandosi di controllo automatizzato, richiama l’avvenuto rispetto dei termini di cui all’art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973 come modificato dalla L. n. 156 del 2005. Conclude per il rigetto del ricorso, con condanna della Società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio.
Con memoria di risposta depositata in data 24.5.2017, la ricorrente richiama l’attenzione della Commissione sul mancato rispetto, per la costituzione in giudizio dell’ufficio opposto, dei termini di cui all’art. 32, comma 1, del D.Lgs. n. 546 del 1992.
Contesta, inoltre, la dichiarata ricezione della cartella, in mancanza della prova dell’avvenuta ricezione via PEC, prova che non può prescindere dalle modalità del file di invio. Insiste nelle conclusioni.
All’udienza pubblica di discussione, parte ricorrente deposita sentenze di merito. Le conclusioni vengono confermate dalle parti in causa. Il Collegio, in camera di consiglio, esaminati gli atti, decide come da dispositivo.
Motivi della decisione
È ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata validamente notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza attraverso l’estratto di ruolo rilasciato su sua richiesta dall’Agente della riscossione, senza che a ciò sia di ostacolo il disposto dell’ultima parte del terzo comma dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992. È questo l’innovativo principio sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con sentenza del 2 ottobre 2015, n. 19704, la quale risolve il variegato e contrastante orientamento giurisprudenziale in tema di impugnabilità dell’estratto di ruolo.
Con tale pronuncia, la Suprema Corte, intervenendo sulla nota questione della impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato di cui all’art. 19 D.Lgs. n. 546 del 1992, afferma che il contribuente può impugnare l’estratto di ruolo e la cartella di pagamento non validamente notificata, anche se ne venga a conoscenza per la prima volta mediante l’estratto di ruolo rilasciatogli dall’Agente della riscossione, senza dover necessariamente attendere uno specifico atto di intimazione per potersi difendere. Ciò, sulla base della considerazione per la quale “una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 19 citato impone di ritenere che la ivi prevista impugnabilità dell’atto precedente non notificato unitamente all’atto successivo notificato non costituisca l’unica possibilità di far valere l’invalidità della notifica di un atto del quale il contribuente sia comunque legittimamente venuto a conoscenza e pertanto non escluda la possibilità di far valere tale invalidità anche prima, nel doveroso rispetto del diritto del contribuente a non vedere senza motivo compresso, ritardato, reso più difficile ovvero più gravoso il proprio accesso alla tutela giurisdizionale quando ciò non sia imposto dalla stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo rispetto ai quali si ponga un concreto problema di reciproca limitazione”.
E’ evidente, quindi, la volontà costituzionale di tutela del contribuente che, non avendo ricevuto le cartelle di pagamento, non deve necessariamente attendere altri atti da parte dell’Ufficio per tutelare la propria posizione, ma può valutare la possibilità di agire attraverso visure e rilascio di estratto delle pendenze iscritte.
E’ evidente, comunque, che, con l’impugnazione degli estratti di ruolo, può riconoscersi al contribuente il diritto a ricorrere anche contro le cartelle di pagamento o gli avvisi di accertamento, laddove non venga provato, dagli uffici opposti, l’avvenuta notifica di tali atti, secondo il disposto dell’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992. In caso contrario, infatti, non può non tenersi conto della obbligatorietà della relativa impugnativa entro i termini previsti, a decorrere dalla data di notifica, non potendosi concedere una “successiva rimessione” in termini per la valutazione di vizi o difetti che andavano espressi nei termini di impugnativa previsti dalla legge. I crediti portati dagli atti impositivi che dovessero risultare notificati sarebbero, quindi, divenuti definitivi e non possono più essere invocati vizi o errori, quali decadenza o altre eccezioni non eccepiti nei termini di impugnativa dell’atto regolarmente notificato. Secondo giurisprudenza, una volta divenuta intangibile la pretesa per effetto della mancata proposizione della opposizione all’atto impositivo, ciò che può prescriversi è soltanto l’azione diretta all’esecuzione del titolo così definitivamente formatosi, riguardo ai quali, in difetto di diverse disposizioni, trovano applicazione i termini prescrizionali in ragione della tipologia di tributo.
Nella circostanza, l’Ufficio ha provato la notifica della cartella, avvenuta a mezzo PEC in data 20.3.2017, depositando estratto di ruolo, ricevuta di avvenuta consegna nella casella di destinazione, ricevuta di accettazione, nella quale è espressamente previsto che, a garanzia del contribuente, la stessa è firmata digitalmente, per cui è da conservare come attestato dell’invio del messaggio.
D’altra parte, la eventuale irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale (Cass. SS.UU. n. 7665 del 18.4.2016). Il principio è stato anche di recente confermato (Cass. Sez. 1, n. 20625/2017). Dal quadro normativo, emerge che in nessun caso la legge prescrive che la cartella sia formata in origine come documento analogico o come documento informatico: anzi, la natura e le modalità di gestione telematica dei ruoli fanno ritenere piuttosto che la cartella “nasca” come documento informatico e che la stampa notificata nelle modalità tradizionali sia una mera riproduzione del documento nativamente informatico. Vale ricordare che, sul piano normativo, non esiste una definizione di cartella esattoriale ma questa può essere ricavata dall’art. 25 D.P.R. n. 602 del 1973 secondo cui “Il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede..”: ne consegue che la cartella può essere definita come l’atto che l’Agente della riscossione invia ai contribuenti per la riscossione dei crediti vantati dagli enti creditori in conformità del ruolo di cui all’art. 10 D.P.R. n. 602 del 1973. Essa contiene quindi i riferimenti ai dati del ruolo, vale a dire i dati relativi ad un dato contribuente estratti dall’elenco (ruolo) che ciascun Ente impositore compila e le somme che l’ente stesso, sulla base della propria documentazione, ritiene siano dovute. Oltre a tali dati, la cartella contiene anche, a pena di nullità, l’indicazione del responsabile del procedimento, di iscrizione a ruolo e di quello di emissione e di notificazione della stessa cartella (art. 36, comma 4-ter, D.L. del 31 dicembre 2007, n. 248). Né è prescritta alcuna firma dell’esattore sulla cartella, come ha peraltro affermato la Suprema Corte di Cassazione con sent. n. 4757 del 27/02/2009: “In tema di riscossione delle imposte sul reddito, la mancanza della sottoscrizione della cartella di pagamento da parte del funzionario competente non comporta l’invalidità dell’atto, la cui esistenza non dipende tanto dall’apposizione del sigillo o del timbro o di una sottoscrizione leggibile, quanto dal fatto che, al di là di questi elementi formali, esso sia inequivocabilmente riferibile all’organo amministrativo titolare del potere di emetterlo”. In altri termini, è sufficiente che il “documento” cartella esattoriale sia conforme al modello approvato dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate (da ultimo, con Provv. del 2 aprile 2014) e che l’atto stesso sia inequivocabilmente riferibile al concessionario per la riscossione. Quanto alla possibilità per il concessionario di riscossione di procedere alla notificazione telematica delle cartelle, per l’art. 26, comma 2, D.P.R. n. 602 del 1973, “la notifica della cartella può essere eseguita, con le modalità di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68, a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo risultante dagli elenchi a tal fine previsti dalla legge. Tali elenchi sono consultabili, anche in via telematica, dagli agenti della riscossione. Non si applica l’art. 149 del codice di procedura civile”. Come precisato nelle pronunce indicate, tale modalità facoltativa (“…può essere eseguita…”), a decorrere dal 22.10.2015 è divenuta obbligatoria nel caso di imprese individuali o costituite in forma societaria, nonché di professionisti iscritti in albi o elenchi, ai sensi del decreto 24 settembre 2015, n. 159 che ha disposto, con l’art. 14, comma 1, la modifica dell’art. 26, comma 2. La soluzione tracciata dai Giudici fa pertanto richiamo alla normativa generale dettata in materia dal Codice dell’amministrazione Digitale, e segnatamente all’articolo 23, comma 2, a lume del quale “le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto l’obbligo di conservazione dell’originale informatico”: in altri termini, in difetto di contestazione, secondo le forme legali del disconoscimento, della conformità della copia analogica dei documenti informatici da parte del contribuente, deve ritenersi validamente fornita la prova della notifica a mezzo pec della cartella esattoriale attraverso la produzione delle “stampe” delle ricevute pec di accettazione e di avvenuta consegna.
La prova dell’avvenuta ricevuta della cartella, non impugnata nei termini, ha reso, quindi, inammissibile il ricorso. Quanto alle spese, attesa la particolarità della materia, si ritiene giusto disporne la compensazione.
P.Q.M.
La Commissione dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese del giudizio.
Salerno, il 11 giugno 2018.
COMMENTO
La pronuncia in commento ribadisce il principio generale per cui è ammissibile l’impugnazione della cartella (e/o del ruolo) che non sia stata validamente notificata e della quale il contribuente sia venuto a conoscenza solo attraverso l’estratto di ruolo rilasciato dall’Agente della riscossione, su richiesta del contribuente medesimo (Cass. civ., SS.UU., 02.10.2015 n. 19704).
A ciò non è di ostacolo la previsione dell’art. 19, comma 3, ultimi due periodi, D.lgs. 31.12.1992 n. 546, secondo cui “Ognuno degli atti autonomamente impugnabili – mediante ricorso tributario- può essere impugnato solo per vizi propri. La mancata notificazione di atti autonomamente impugnabili, adottati precedentemente all’atto notificato, ne consente l’impugnazione unitamente a quest’ ultimo”.
Infatti, una lettura costituzionalmente orientata di tale norma impone di ritenere che il contribuente, il quale sia legittimamente venuto a conoscenza di un atto emesso nei suoi confronti, ma non validamente notificatogli, non possa essere costretto ad attendere la notifica dell’atto successivo, per poter proporre ricorso contro il primo atto.
Al contrario, egli deve essere messo in condizioni di poter immediatamente azionare il proprio diritto all’annullamento di un atto non validamente notificato, e quindi illegittimo, non appena ne venga a conoscenza attraverso visure e rilascio di estratto delle pendenze iscritte.
Come chiarito dalla pronuncia delle Sezioni Unite richiamata in motivazione, la possibilità, per il contribuente, di conoscere legittimamente, attraverso il c.d. “estratto di ruolo”, le iscrizioni a proprio carico e l’eventuale emissione e notificazione di cartelle di pagamento, può rappresentare un “correttivo”, idoneo a bilanciare il rapporto sperequato tra l’Amministrazione finanziaria e il contribuente, soltanto se a quest’ultimo viene riconosciuta la facoltà di immediata impugnazione dell’atto che solo in tal modo ha potuto conoscere, a causa della sua erronea notificazione.
Al contrario, se si continua a negare tale facoltà, subordinandola alla notifica di un ulteriore atto da parte dell’Amministrazione, il predetto “correttivo” non si realizza e la tutela giurisdizionale del contribuente viene ancora una volta rimessa alle determinazioni unilaterali dell’Amministrazione finanziaria circa i modi e i tempi della notifica dell’eventuale atto successivo che, peraltro, in taluni casi potrebbe anche mancare, con conseguente immediato avvio dell’esecuzione forzata esattoriale.
Peraltro, la possibilità che il contribuente faccia valere immediatamente le proprie ragioni in relazione ad un atto non validamente notificatogli, senza bisogno di attendere la notifica di altro atto successivo, è funzionale anche al buon andamento della Pubblica Amministrazione (art. 97 Costituzione), perché contribuisce ad evitare i costi di una procedura esecutiva male instaurata, la produzione e l’aumento di danni da risarcire al contribuente, nonché i rischi di decadenza dell’Amministrazione in ragione di ripetute notifiche non andate a buon fine.
La predetta facoltà deve tuttavia essere riconosciuta al contribuente esclusivamente in caso di impugnazione di un atto, che egli non abbia potuto impugnare prima a causa di un vizio di notifica.
Al contrario, quando l’Ufficio finanziario dimostri la correttezza del procedimento di notifica, il principio statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione non trova applicazione, in quanto, in caso contrario, si finirebbe per derogare alla perentorietà del termine di proposizione del ricorso tributario (pari a sessanta giorni dalla valida notifica dell’atto, ex art. 21 D.lgs. 546/1992).
Non è quindi possibile concedere una “successiva rimessione” in termini per la valutazione di vizi o difetti che andavano espressi nei termini di impugnativa previsti dalla legge: pertanto, i crediti portati dagli atti impositivi regolarmente notificati divengono definitivi e non contestabili per vizi o errori pregressi, poiché a questo punto ciò che può prescriversi è soltanto l’azione diretta all’esecuzione del titolo definitivamente formato, nei termini prescrizionali di volta in volta previsti in base alla tipologia di tributo azionata.
Nel caso di specie, l’Ufficio aveva provato la notifica della cartella, avvenuta mediante posta elettronica certificata.
La pronuncia in commento conferma altresì il principio per cui l’eventuale irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità, se la consegna telematica ha comunque prodotto il risultato della conoscenza dell’atto e determinato così il raggiungimento dello scopo legale ex art. 156, comma 3, c.p.c. (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., SS.UU., 18.04.2016 n. 7665; Cass. civ., sez. I, 31.08.2017 n. 20625; Cass. civ., sez. VI-1, ord., 28.09.2017 n. 22784 e Cass. civ., sez. VI-5, ord., 16.02.2018 n. 3805).
Evidenzia ancora come la legge non prescriva che la cartella sia formata in origine come documento analogico o come documento informatico. La natura e le modalità di gestione telematica dei ruoli fanno ritenere piuttosto che la cartella “nasca” come documento informatico e che la stampa notificata nelle modalità tradizionali sia una mera riproduzione del documento nativamente informatico.
Neppure è prescritta alcuna sottoscrizione autografa della cartella da parte del funzionario dell’Agente della Riscossione (in senso conforme si vedano, tra le altre, Cass. civ., sez. V, 27.02.2009 n. 4757; Cass. civ., sez. V, 24.11.2016 n. 24018; Cass. civ., sez. V, ord., 06.10.2017 n. 23381; Cass. civ., sez. V, ord., 27.04.2018 n. 10258).
Pertanto, in applicazione dell’art. 23, comma 2, D.lgs. 07.03.2005 n. 82 (cd. “Codice dell’Amministrazione digitale”)- secondo cui “le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell’originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta. Resta fermo, ove previsto l’obbligo di conservazione dell’originale informatico“-, in difetto di contestazione, secondo le forme legali del disconoscimento, della conformità della copia analogica dei documenti informatici da parte del contribuente, deve ritenersi validamente fornita la prova della notifica a mezzo p.e.c. della cartella esattoriale attraverso la produzione delle “stampe” delle ricevute p.e.c. di accettazione e di avvenuta consegna.
La prova dell’avvenuta notifica della cartella, non impugnata nei termini, comporta quindi l’inammissibilità del ricorso proposto dal contribuente.