Cass. civ., sez. V, ord., 17 marzo 2021 n. 7551


Motivi della decisione

che:

  1. Con il primo motivo il Comune di Cefalù deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1992art. 68, nonché dell’art. 115 c.p.c.. 

In particolare, il ricorrente rileva che la CTR avrebbe erroneamente fondato il proprio decisum sulla parificazione, ai fini TARSU, degli esercizi alberghieri e delle civili abitazioni, stante la loro omogenea potenzialità di produrre rifiuti, D.Lgs. n. 507 del 1993 ex art. 68, comma 2, dovendo una loro eventuale differenziazione essere oggetto di specifica motivazione da parte dell’ente territoriale. Sulla base di tale assunto la CTR ha disapplicato il regolamento TARSU e la delibera di determinazione della relativa tariffa in vigore presso il Comune di Cefalù.

  1. Con il secondo motivo il Comune di Cefalù censura, ex art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3, la sentenza emessa dalla CTR per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 1, nella parte in cui ha condannato l’odierna ricorrente al pagamento delle spese di entrambi i giudizi.
  2. Il primo motivo è fondato.

E’ principio consolidato di questa Corte, peraltro affermato anche in fattispecie analoga a quella oggetto del presente scrutinio avente sempre quale ricorrente il Comune di Cefalù, quello secondo cui “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU), è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle relative tariffe, in cui la categoria degli esercizi alberghieri venga distinta da quella delle civili abitazioni, ed assoggettata ad una tariffa notevolmente superiore a quella applicabile a queste ultime: la maggiore capacità produttiva di un esercizio alberghiero rispetto ad una civile abitazione costituisce infatti un dato di comune esperienza, emergente da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, ed assunto quale criterio di classificazione e valutazione quantitativa della tariffa anche dal D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, senza che assuma alcun rilievo il carattere stagionale dell’attività, il quale può eventualmente dar luogo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’ente impositore; i rapporti tra le tariffe, indicati dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 9, comma 2, tra gli elementi di riscontro della legittimità della delibera, non vanno d’altronde riferiti alla differenza tra le tariffe applicate a ciascuna categoria classificata, ma alla relazione tra le tariffe ed i costi del servizio discriminati in base alla loro classificazione economica” (ex plurimis Cass. n. 4797 del 2014, n. 12859 del 2012, n. 5722 del 2007).

Da tale principio consegue non è viziato da illegittimità, né può essere disapplicato, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 5, il regolamento comunale che, con riferimento alla determinazione della tariffa da applicare ai fini TARSU, differenzia gli esercizi alberghieri dalle civili abitazioni e, in quanto conforme con il principio sopra indicato ed espressione di una scelta discrezionale-tecnica del Comune, effettuata nei limiti della potestà impositiva ad esso attribuita dall’ordinamento e non vietata da alcuna norma statale.

In particolare, la discrezionalità dell’ente territoriale nell’assumere le determinazioni volte alla stima in astratto della capacità media di produzione di rifiuti per tipologie, ha natura eminentemente tecnica e, come tale, si deve basare su una stima realistica in ragione della caratteristiche proprie dell’imposizione; deve insomma concretamente rispettare, nell’esercizio di siffatta discrezionalità tecnica, il fondamentale e immanente principio di proporzionalità, incluse adeguatezza e necessarietà; principi che nel caso di specie risultano pienamente rispettati.

Quanto al vizio di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa, questa Corte (Cass. n. 16165 del 2018) ha affermato che “In tema di TARSU, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 65, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile “ex post”, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili”.

  1. La CTR non si è attenuta a tali principi, con la conseguenza che deve essere accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassata la sentenza impugnata e, con decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, rigettato il ricorso introduttivo del contribuente.
  2. Le spese del giudizio di merito e di quello di legittimità devono essere compensate in considerazione del consolidarsi, successivamente alla proposizione all’originario ricorso, dei principi della giurisprudenza di legittimità sopra riportati.

P.Q.M. 

La Corte:

– Accoglie il ricorso nei limiti indicati in parte motiva, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso del contribuente.

– Spese dell’intero procedimento compensate.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 marzo 2021


COMMENTO– In accoglimento del ricorso per Cassazione proposto dal Comune di Cefalù, l’ordinanza in commento riforma la sentenza di appello e ribadisce il principio secondo cui è legittima la delibera comunale di approvazione del regolamento e delle tariffe TARSU che differenzi gli immobili adibiti ad esercizi alberghieri da quelli utilizzati come civili abitazioni. 

E’ infatti pienamente giustificabile, e quindi legittima, la previsione a carico dei primi di tariffe anche notevolmente superiori rispetto a quelle stabilite per i secondi, in ragione della maggiore capacità produttiva di rifiuti che, secondo la comune esperienza, gli esercizi alberghieri hanno rispetto alle civili abitazioni.

In altri termini, la maggiore capacità produttiva di rifiuti degli esercizi alberghieri rispetto alle civili abitazioni costituisce un dato di comune esperienza, desumibile da un esame comparato dei regolamenti comunali in materia, e non necessita pertanto di una specifica motivazione da parte dell’Ente locale, ex art. 68, comma 2, D.lgs. 15 novembre 1993 n. 507.

Tale conclusione non viene inficiata neppure dal carattere stagionale dell’attività alberghiera, la quale può eventualmente dar luogo solo all’applicazione di speciali riduzioni d’imposta, rimesse alla discrezionalità dell’Ente impositore.

Sul punto, l’ordinanza in commento appare confermativa di un indirizzo già consolidato nella giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui, in merito alla legittimità della delibera comunale di approvazione delle tariffe a fini TARSU, occorre fare riferimento alla relazione tra le medesime ed i costi del servizio, discriminati in base alla loro classificazione economica, applicando il criterio della cd. “capacità produttiva di rifiuti” (si vedano, in tal senso, Cass. civ., sez. V, 12 marzo 2007 n. 5722; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 23 luglio 2012 n. 12859; Cass. civ., sez. VI-5, 28 febbraio 2014 n. 4797; Cass. civ., sez. V, ord., 16 giugno 2017 n. 15050 e Cass. civ., sez. V, 24 aprile 2018 n. 8308).

Tale orientamento ha altresì ritenuto che la determinazione di tariffe diversificate per esercizi alberghieri e civili abitazioni rientri nella competenza della Giunta comunale, trattandosi della mera individuazione di criteri economici applicativi, che non impegnano direttamente l’esercizio della potestà impositiva dell’Ente, e non richiedono pertanto una deliberazione del Consiglio comunale (Cass. civ., sez. V, 24 aprile 2015 n. 8336 e Cass. civ., sez. V, ord., 16 giugno 2017 n. 15050). 

La prima di tali pronunce motiva in particolare che, in tema di TARSU, nella vigenza dell’art. 32, comma 2, lett. g), Legge 8 giugno 1990 n. 142, la concreta determinazione delle aliquote delle tariffe per la fruizione di beni e servizi (nella specie, tariffe di diversificazione tra esercizi alberghieri e locali adibiti a uso abitazione) è di competenza della Giunta, e non del Consiglio, poiché il riferimento letterale alla “disciplina generale delle tariffe“, contenuto nella disposizione, contrapposto alle parole “istituzione e ordinamento” adoperato per i tributi, rimanda alla mera individuazione dei criteri economici sulla base dei quali si dovrà procedere alla loro determinazione; inoltre, i provvedimenti in materia di tariffe non sono espressione della potestà impositiva dell’Ente, ma sono funzionali all’individuazione del corrispettivo del servizio da erogare, muovendosi così in un’ottica di diretta correlazione economica tra soggetto erogante ed utenza, estranea alla materia tributaria.

Nel caso di specie, non sussistono quindi i presupposti di legge per un’eventuale disapplicazione ex art. 7, comma 5, D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 del regolamento comunale che, con riferimento alla determinazione delle tariffe da applicare ai fini TARSU, differenzia gli esercizi alberghieri dalle civili abitazioni.

Viene altresì ribadito il principio secondo cui la delibera comunale di approvazione delle tariffe a fini TARSU, di cui all’art. 65 D.lgs. 507/1993, non è soggetta ad alcuno specifico obbligo di motivazione, costituendo un atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, rivolto ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (si vedano in tal senso, ex multis, Cass. civ., sez. V, 23 ottobre 2006 n. 22804; Cass. civ., sez. V, 26 marzo 2014 n. 7044; Cass. civ., sez. V, ord., 27 settembre 2017 n. 22531 e Cass. civ., sez. VI-5, ord., 19 giugno 2018 n. 16165).

In conseguenza di ciò, il ricorso per Cassazione dell’Ente locale viene accolto e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, il ricorso di primo grado proposto dal contribuente viene respinto nel merito, con immediata conferma della legittimità dell’avviso di accertamento TARSU impugnato.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano- Roma