Tribunale di Milano, sez. I, 12.02.2019
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con atto di citazione notificato l’11.11.2016 la G.R. S.r.l., ha impugnato, dinanzi al Tribunale di Milano, l’ingiunzione n. (…) – di pagamento di Euro 11.426,00 a titolo di COSAP (canone di occupazione di suolo pubblico) relativa all’anno 2015 per l’occupazione di spazio pubblico antistante il bar G.R. sito in G. S. B. 4/b con tavolini, sedie e dehor.
Preliminarmente ha chiesto la riunione della causa con quelle pendenti avanti il Tribunale aventi ad oggetto il cosap per le annualità 2012/2015; in via cautelare la sospensione dell’efficacia esecutiva dell’ingiunzione e nel merito la revoca/annullamento dell’ingiunzione e la condanna del Comune alla restituzione delle somme eventualmente nel frattempo versate a tale titolo. A fondamento delle domande spiegate, ha dedotto: che la G.R. (subentrata nell’attività commerciale nel corso del 2001) era titolare di un’azienda di bar pasticceria, esercitata sotto l’insegna “Bar G.R.”, nei locali siti in M., G. S. B. n. 4/b; che il 31.10.2011 aveva conseguito il rilascio del provvedimento p.g. (…) per l’occupazione dell’area pubblica per l’estensione di 36 mq, con la conseguente collocazione di quindici tavolini, a fronte del versamento del canone di occupazione di suolo pubblico; che, nel 2003, la società attrice era stata convocata, dinanzi al Tribunale di Milano, da alcuni proprietari delle unità immobiliari poste negli stabili siti nella G. S. B. nn. 4/b e 4/c, i quali intendevano conseguire la rimozione dei predetti manufatti; che, con sentenza del Tribunale di Milano n. 7339/08, depositata il 5/06/08 era stato accertato che la Galleria era di proprietà privata e che non sussisteva l’esistenza di una servitù di pubblico passaggio.
Con comparsa di costituzione e risposta depositata il 17.2.2017, il Comune di Milano si è costituito chiedendo il rigetto delle domande di parte attrice.
Con prdinanza 7.03.2017, emessa a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 7.03.2017, il Tribunale, ritenuto che “la G.R. S.r.l. non ha evidenziato alcun grave ed irreparabile pregiudizio derivante dalla riscossione della somma ingiunta (peraltro di importo non rilevante, in considerazione del fatto che l’opponente è una società a responsabilità limitata)” ha respinto l’istanza cautelare e anche la richiesta di riunione.
Acquisiti i documenti prodotti all’udienza del 18.9.2018 (data alla quale la causa era stata rinviata ex art. 309 c.p.c. stante la mancata comparizione all’udienza del 24.1.2018) le parti hanno precisato le conclusioni ed il giudice ha trattenuto la causa in decisione, con la concessione dei termini ex art. 190 c.p.c.
All’udienza di precisazione delle conclusioni, la difesa di parte attrice ha dato atto della pendenza di un procedimento, tra le parti, dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione, contrassegnato dal n. 10.416/2018 R.G., avente ad oggetto l’accertamento negativo della debenza del COSAP, in relazione al periodo intercorso tra il 2001 e il 2008.
Occorre, preliminarmente, esaminare l’istanza di sospensione, ex art. 295 c.p.c., spiegata dalla difesa di parte attrice. La difesa della G.R. ha dedotto che la decisione della Suprema Corte – sebbene su annualità diverse – rappresenta un giudizio di carattere pregiudiziale, rispetto a quello in corso, investendo l’accertamento dei presupposti, di fatto e di diritto, del contributo oggetto di causa.
L’istanza non può trovare accoglimento.
La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, ha affermato il principio di diritto per cui “quando tra due giudizi esista rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, è possibile la sospensione del giudizio pregiudicato soltanto ai sensi dell’art. 337 c.p.c. ” (Cassazione civile, sez. un., 19/06/2012, n. 10027) e non ricorre, dunque, una ipotesi di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c., salvi i casi in cui la sospensione del giudizio sulla causa pregiudicata sia imposta da una disposizione specifica ed in modo che debba attendersi che sulla causa pregiudicante sia pronunciata sentenza passata in giudicato (come, ad esempio, nel caso previsto dall’art. 75 c.p.c., comma 3).
Applicando tali principi al caso di specie, occorre rilevare che non si versa in ipotesi di sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. e che non si ritengono sussistenti i motivi idonei a giustificare la sospensione ex art. 337 c.p.c. (anche in ragione dell’orientamento giurisprudenziale maggioritario – cfr. tutte le sentenze citate dalla stessa difesa attrice che hanno rigettato le domande proposte dalla G.R. – vigente sulla questione).
Tanto premesso, si osserva quanto segue.
Nel caso di specie la G.R. contesta, preliminarmente, la legittimità dell’ingiunzione di pagamento.
La censura è priva di pregio atteso che il procedimento disciplinato dal R.D. n. 639 del 1910 trova il suo fondamento nel potere di auto-accertamento della stessa pubblica amministrazione. Contrariamente rispetto a quanto dedotto nell’atto di citazione, l’art.130 del D.P.R. n. 43 del 1988 non ha abrogato espressamente il R.D. n. 639 del 1910 e, in ogni caso, l’art. 52, comma 6, del D.Lgs. n. 446 del 1997 ha previsto che “La riscossione coattiva dei tributi e delle altre entrate di spettanza delle province e dei comuni viene effettuata con la procedura di cui al D.P.R. n. 602 del 1973, se affidata ai concessionari del servizio di riscossione di cui al D.P.R. n. 43 del 1988, ovvero con quella indicata nel R.D. n. 639 del 1910, se svolta in proprio dall’Ente locale o affidata agli altri soggetti menzionati alla lett. b) del comma 5”. La condizione, in base al quale viene emesso l’ordine di pagare la somma dovuta, è che il credito da recuperare sia certo, liquido ed esigibile, senza alcun potere di determinazione unilaterale dell’amministrazione. La sussistenza del credito, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità devono discendere da fonti, da fatti e da parametri obiettivi e predeterminati, presenti nel caso di specie, alla luce delle considerazioni che seguono.
Va ancora premesso che l’art. 63 del D.Lgs. n. 446 del 1997 prevede la facoltà per i Comuni di “prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile … sia assoggettata al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa. Il pagamento del canone può essere anche previsto per l’occupazione di aree private soggette a servitù di pubblico passaggio costituita nei modi di legge”.
L’art. 2, comma 4, del Regolamento COSAP del Comune di Milano (Deliberazione del Consiglio Comunale n. 11 del 21.02.2000 e s.m.i., doc. 4 del fascicolo del convenuto) prevede l’assoggettamento al predetto canone delle “occupazioni di aree in proprietà privata soggette a servitù di pubblico passaggio”.
Nel caso in esame la G.R. deduce che, trattandosi di area privata, non gravata da servitù di pubblico passo, il Comune di Milano non sarebbe legittimato a richiedere il canone per cui è causa.
Le tesi di parte attrice sono infondate.
Con atto PG 151187.400/00 in data 11/07/2000, la G.R. aveva chiesto ed ottenuto la concessione di suolo pubblico, per la posa, dapprima, con Provv. 27 aprile 2000 (doc.2 di parte convenuta) di tavoli e sedie con paraventi e faretti per mq 19,5, in seguito, con atto 30/11/2001 (doc.3 di parte convenuta) di tavoli sedie e paraventi sormontati da tende, per mq. 36, con la controventatura stagionale dal 1^ Ottobre al 30 Aprile, nello spazio antistante il Condominio S. B. 4/b.
Con verbali di contestazione del 28.05.03, la Polizia Municipale ha contestato alla ricorrente l’occupazione di suolo pubblico con tavoli e sedie “senza osservare le prescrizioni della concessione ” (docc.12,13).
L’occupazione di spazi in difformità rispetto a quanto pattuito è stato altresì lamentato dai condomini della Galleria, i quali hanno promosso il giudizio, poi conclusosi con la sentenza n. 7339/2008, invocata dalla difesa della società attrice (doc. 1).
Nella sentenza in esame, il Tribunale ha accertato che le due porzioni antistanti i condomini di G. S. B., numeri civici n 4/b e 4/c, sono enti condominiali di pertinenza degli stessi ed ha dichiarato illegittima l’occupazione della G.R. per difformità al preventivo assenso da parte della proprietà, che era stato rilasciato per un manufatto di diversa tipologia. In particolare, nella predetta sentenza, si legge: “…il manufatto realizzato dalla G.R…. con copertura in telo e vetri perimetrali trasparenti dotato nel suo interno di impianto elettrico di altezza variabile da un minimo di 2.15 mt ad un massimo di 2,75 mt con due porte – montate su telaio- a copertura rigida munite di cardini e serrature, tre traverse d’acciaio montate in alto ed imbullonate su un profilato fissato lungo le vetrine del bar e con profilo metallico perimetrale fissato alla pavimentazione in marmo della Galleria mediante un potente nastro biadesivo, nulla ha a che vedere con l’oggetto delle autorizzazioni indebitamente rilasciate dai terzi chiamati, né con quanto formante oggetto di concessione comunale, esorbitando dalle caratteristiche strutturali e di mobilità proprie dell’attrezzatura autorizzata circostanza peraltro rappresentata dai Condomini che inviavano alla G.R. immediata diffida dal proseguire i lavori di installazione della struttura verandata”.
Contrariamente rispetto a quanto dedotto dalla difesa della società attrice, non veniva affatto esclusa la destinazione a pubblico passaggio della Galleria.
Tale conclusione trova ulteriore conferma nella sentenza della Corte d’Appello di Milano n. 4801/2017 (allegata alla comparsa conclusionale della difesa del Comune), chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione della predetta sentenza 7339/2008. Nella sentenza dei giudici di secondo grado milanesi si legge: “Dall’esame di detta sentenza n.7339/2008 in atti (doc. 4 del fascicolo di primo grado dell’appellante) la Corte rileva come il petitum di quel giudizio incardinato dai condomini di Via S. B. n.4/B e 4/C non era evidentemente l’accertamento della proprietà (pubblica o privata) dell’area in questione, ma era la declaratoria di illegittimità, e conseguente condanna alla rimozione, dei manufatti installati dall’appellante G.R. srl -in grave difformità a quanto autorizzatole, ed in relazione a tale petitum l’accertamento della proprietà privata afferiva evidentemente in primis alla legittimazione attiva di quei condomini a richiedere ed ottenere detta rimozione in forza e nell’esercizio del diritto dominicale. Tanto perché è pacifico che in quel giudizio non è mai stata contestata da quei condomini attori (né dalle altre parti) l’esistenza di una servitù di pubblico passaggio sulle aree in questione, così come è peraltro pacifico che mai il Comune di Milano ha contestato la proprietà privata dell’area (prova ne sia l’aver sempre richiesto come necessario presupposto -in tutti i provvedimenti concessori rilasciati negli ultimi 50 anni, così come in quello oggetto di causa- l’espresso assenso dei Condomini proprietari). E’ quindi evidente che se in quel giudizio mai è stata in discussione né l’esistenza della servitù di pubblico passaggio né la proprietà privata in capo ai Condomini, ma è stata in discussione solo la legittimità del manufatto installato dall’appellante (peraltro non come autorizzato), non solo il Comune ben poteva ritenersi privo di interesse a costituirsi in giudizio, ma certamente non avrebbe potuto o dovuto incardinare una domanda di accertamento dell’esistenza di una servitù che, non essendo invero contestata da alcun contraddittore, sarebbe certamente stata inammissibile per difetto di interesse. Da tanto discende, a parere della Corte, che la citata sentenza del Tribunale di Milano n.7339/2008, incidentalmente accertando la proprietà privata delle aree in questione in capo ai Condomini, prima di accertare l’illegittimità -ed ordinare la rimozione- del manufatto installato dall’appellante, non confligge e non esclude la sussistenza della servitù di pubblico passaggio che -nel caso in esame- la Corte, condividendo del tutto la valutazione del Giudice di prime cure, ritiene essere innegabile alla luce della sussistenza di tutti i requisiti necessari perché un’area privata possa ritenersi assoggettata a servitù pubblica di passaggio, e cioè: l’uso generalizzato del passaggio da parte di una collettività indeterminata di individui, considerati “uti cives” in quanto portatori di un interesse generale, e la sussistenza di un titolo valido a sostenere l’affermazione di un diritto di uso pubblico, ma anche l’ulteriore requisito dell’oggettiva idoneità del bene a soddisfare il fine di pubblico interesse perseguito tramite l’esercizio della servitù (cfr. Cass. sent. n.354 del 2011).”
Dal contenuto delle dette sentenze, da quanto dedotto negli atti della causa poi conclusasi nella sentenza 7339/2008 dai proprietari e dai documenti prodotti dalla difesa di parte convenuta (cfr., in particolare doc. 19) emerge che la G. S. B. è stata assoggettata sin dalla sua realizzazione a passaggio pubblico.
Il complesso edilizio di cui fa parte la G. S. B. è stato realizzato, a seguito della stipulazione della Convenzione del 1938 tra il Comune e le società edificatrici dell’epoca, in esecuzione del piano regolatore di Milano approvato con L. 19 febbraio 1934, n. 433 che – all’art. 17- prevede espressamente che “I portici delle nuove costruzioni, previsti dal piano regolatore di cui alla presente legge, sono sottoposti senza indennizzo di sorta, a servitu’ pubblica e quindi da considerarsi per ogni conseguente effetto come pubbliche strade e cio’ senza pregiudizio del contributo di cui all’art. 10 della presente legge”. Detta norma è stata espressamente richiamata nella Convenzione del 1938.
Nella transazione stipulata tra la G.R. e i condomini (cfr. doc. 23), le parti hanno specificamente approvato, al punto 20) dell’accordo, una clausola di salvaguardia da eventuali atti impositivi del Comune di Milano. In particolare le part hanno previsto: “eventuali restrizioni all’utilizzo del sedime condominiale …così come eventuali tributi, che possano venire imposti in futuro dal Comune di Milano o da qualsiasi altra autorità competente non incideranno in alcun modo sulla validità ed efficacia della presente scrittura. G.R. pertanto dovrà osservare le eventuali restrizioni, provvedere al pagamento degli eventuali tributi, senza che ciò comporti il venir meno degli obblighi assunti in forza della presente scrittura, ivi compreso il saldo del contributo volontario per i lavori di manutenzione della Galleria”.
Alla luce delle argomentazioni che precedono, non vi è dubbio che la G. S. B. si gravata da una servitù di uso pubblico. Non può pertanto, essere revocato in dubbio il diritto del Comune ad esigere il pagamento del cosap.
Del pari infondata la censura relativa alla disapplicazione (nella sentenza n. 7339/2008) dei provvedimenti di natura concessoria adottati dal Comune di Milano.
L’occupazione di aree in proprietà privata soggette a servitù di pubblico passaggio soggiaceva, nel previgente regime di cui all’art. 38 del D.Lgs. n. 507 del 1993, alla tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap), che individuava il presupposto impositivo sia, da un lato, nell’occupazione di spazi appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile del comune o della provincia sia, dall’altro, nell’occupazione di aree private sulle quali insistesse una servitù di pubblico passaggio. Analogamente ora dispone l’art. 2 c. 4. del regolamento Cosap adottato giusta il disposto dell’art. 63 c. 1 D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, con deliberazione del Consiglio Comunale n. 11 in data 21.2.2000 (doc.16) che recita “Sono soggette al canone le occupazioni di aree in proprietà privata soggette a servitù di pubblico passaggio”. Quanto all’individuazione del soggetto a cui spettino i diritti per l’occupazione (proprietario o Ente detentore del diritto di pubblico passaggio) si ribadisce che, come sancito dalla Corte di Cassazione, in materia di Tassa per l’Occupazione di Spazi ed Aree Pubbliche i diritti spettano al Comune: “In tema di aree private gravate da servitù di pubblico passaggio (equiparate a quelle pubbliche quanto al regime delle occupazioni del suolo stradale e degli spazi ad esso soprastanti o sottostanti), l’occupazione del soprassuolo non interferisce con l’esercizio del diritto di proprietà del suolo (che con la soggezione all’uso della collettività è risultato compresso fino al limite estremo della destinazione esclusiva del suolo stesso alla viabilità pubblica), bensì con il diritto di uso pubblico; ne consegue che, in caso di occupazione del soprassuolo di area privata gravata da servitù di pubblico passaggio, l’occupante è tenuto a pagare il tributo per l’occupazione di suolo pubblico (Cass. civ., sez. I, 03-10-2000, n. 13087).
Si impone, pertanto, una pronuncia di rigetto delle domande formulate da parte attrice.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
Il giudice definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza eccezione e difesa disattesa, definitivamente pronunciando così provvede:
1) Rigetta l’opposizione proposta dalla G.R. S.r.l. avverso l’ingiunzione n. (…), emessa dal Comune di Milano il 30.9.2016;
2) Condanna la G.R. S.r.l. al pagamento, in favore del Comune di Milano, delle spese di lite, che liquida in complessivi Euro 4.650,00, oltre spese generali al 15% ed oneri riflessi.
Così deciso in Milano, il 11 febbraio 2019.
Depositata in Cancelleria il 12 febbraio 2019.
COMMENTO
La pronuncia in commento respinge l’eccezione preliminare della società contribuente, relativa all’asserita illegittimità della riscossione del COSAP mediante ingiunzione fiscale.
La sentenza si uniforma al consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui il procedimento di riscossione mediante ingiunzione fiscale, disciplinato dal R.D. 13.04.1910 n. 639, trova il proprio fondamento nel potere di auto-accertamento della Pubblica Amministrazione, e conseguentemente non è riservato ai soli crediti tributari o, comunque, di natura strettamente pubblicistica, ma al contrario può essere utilizzato anche per le entrate di diritto privato della Pubblica Amministrazione, a condizione che il relativo credito risulti certo, liquido ed esigibile, dovendo la sua sussistenza, la sua determinazione quantitativa e le sue condizioni di esigibilità derivare da fonti, fatti e parametri obiettivi e predeterminati, rispetto ai quali l’Amministrazione dispone di un mero potere di accertamento, senza alcuna facoltà di determinazione unilaterale (Cass. civ., SS.UU., 25.07.2009 n. 11992 e Cass. civ., sez. I, 11.04.2016 n. 7076).
Viene quindi confutata la tesi di parte opponente, secondo cui il procedimento di riscossione coattiva mediante ingiunzione fiscale sarebbe stato abrogato dall’art. 130 D.P.R. 28.01.1988 n. 43; in ogni caso, la sua attuale vigenza viene ricondotta alla norma di cui all’art. 52, comma 6, D.lgs. 15.12.1997 n. 446.
Malgrado quest’ultima norma risulti abrogata (a decorrere dal 1° gennaio 2008, per effetto dell’art. 1, comma 224, lettera b), Legge 24.12.2007 244), il suo contenuto risulta successivamente trasposto nell’art. 4, comma 2-sexies, D.L. 24.09.2002 n. 209, convertito in Legge 22.11.2002 n. 265, e nell’art. 36, comma 2, D.L. 31.12.2007 n. 248, convertito in Legge 28.02.2008 n. 31, non menzionati dalla pronuncia in commento, ma ad oggi tuttora vigenti.
La pronuncia in commento appare quindi anche sotto tale aspetto conforme all’ormai consolidato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui i Comuni possono avvalersi della procedura di riscossione coattiva mediante ingiunzione fiscale ex R.D. 639/1910, anche affidando il relativo servizio a società concessionarie, non solo per le entrate tributarie, ma anche per quelle patrimoniali, quali le sanzioni amministrative per contravvenzioni stradali (si vedano, in tal senso, Cass. civ., sez. II, ord., 28.09.2017 n. 22710; Cass. civ., sez. II, 13.11.2017 n. 26736; Cass. civ., sez. II, 08.10.2018 n. 24722; Cass. civ., sez. II, ord., 06.02.2019 n. 3504, n. 3505, n. 3506 e n. 3507, queste ultime già commentate in questa Rivista). Analogo principio viene applicato dalla sentenza in commento al COSAP, entrata di carattere pacificamente extra-tributario, come tale soggetta alla giurisdizione del Giudice ordinario (Corte Costituzionale, 14.03.2008 n. 64; Cass. civ., SS.UU., ord., 07.01.2016 n. 61; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 14.09.2016 n. 18108; Cass. civ., SS.UU., 23.10.2017 n. 24967).
Viene inoltre respinta l’ulteriore eccezione della società contribuente, relativa all’asserita illegittimità dell’applicazione del COSAP ad un’area di proprietà privata (i.e.: nella specie, condominiale) gravata da servitù di pubblico passaggio.
Malgrado l’intrinseca differenza tra la TOSAP ex art. 38 D.lgs. 15.11.1993 n. 507- avente natura di tassa, come tale soggetta alla giurisdizione tributaria- ed il COSAP ex art. 63, comma 1, D.lgs. 15.12.1997 n. 446- avente natura di corrispettivo, come tale sottoposto alla giurisdizione ordinaria-, anche a quest’ultimo viene ritenuto estensibile il principio, affermato dalla giurisprudenza di legittimità con riferimento alla prima, in base al quale le aree private gravate da servitù di pubblico passaggio sono equiparate a quelle pubbliche per quanto concerne il regime delle occupazioni del suolo stradale e degli spazi ad esso soprastanti o sottostanti.
L’occupazione del soprassuolo non interferisce infatti con l’esercizio del diritto di proprietà del suolo (che, con la soggezione all’uso della collettività, risulta compresso fino al limite estremo della destinazione esclusiva del suolo stesso alla viabilità pubblica), bensì con il diritto di uso pubblico; ne consegue che, in caso di occupazione del soprassuolo di area privata gravata da servitù di pubblico passaggio, l’occupante è tenuto a pagare il tributo per l’occupazione di suolo pubblico (Cass. civ., sez. I, 03-10-2000 n. 13087).
Analogo principio viene ritenuto applicabile anche al canone di cui all’art. 63, comma 1, D.lgs. 446/1997: l’opposizione della società contribuente viene così interamente respinta, con conferma dell’ingiunzione fiscale impugnata.
Dott.ssa Cecilia Domenichini
Unicusano-Roma