Cass. civ., sez. V, ord., 09 maggio 2024 n. 12732


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. PENTA Andrea – Consigliere

Dott. PICARDI Francesca – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31634/2020 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliata in ROMA,  presso lo studio dell’avvocato R.G. (omissis), e rappresentata e difesa dall’avvocato B.A. (omissis);                                                                                                                                                                                     – ricorrente –

contro

COMUNE DI A, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 12, presso lo studio dell’avvocato G.A. (omissis), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato A.L. (omissis);                                                                                                                   – controricorrente –

avverso SENTENZA di COMM. TRIB REG. LOMBARDIA n. 784/2020 depositata il 14/05/2020;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/04/2024 dal Consigliere FRANCESCA PICARDI.

Svolgimento del processo

1.A.A. ha impugnato l’avviso di accertamento per l’I.M.U. (annualità 2012), adottato da Comune di A.

  1. Il ricorso e stato rigettato in primo grado, con sentenza confermata in appello.
  2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la contribuente.
  3. Si è costituito con controricorso il Comune, che ha depositato successiva memoria.
  4. La causa è stata trattata e decisa all’adunanza camerale del 23 aprile 2024.

Motivi della decisione

  1. La ricorrente ha dedotto:

1) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., degli artt. 3 della legge n. 241 del 1990, 7 della legge n. 212 del 2000, 11, commi 2 e 2-bis, del D.Lgs. n. 504 del 1992, atteso che il giudice di appello ha erroneamente ritenuto sufficiente, ai fini della motivazione del provvedimento impugnato, il rinvio alla deliberazione della Giunta comunale n. 24 del 2011, adottata ai sensi dell’art. 59 del D.Lgs. n. 446 del 1997, in assenza di prova della sua conoscenza da parte del contribuente, e che il Comune ha integrato solo in giudizio la motivazione dell’avviso di accertamento con la produzione della relazione tecnica allegata alla delibera della Giunta;

2) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504 del 1992, non avendo tenuto conto la Commissione tributaria regionale della effettiva e prossima utilizzabilità a scopo edificatorio delle aree, ed avendo fatto riferimento solo al valore presuntivo della banca dati delle quotazioni immobiliari dell’Agenzia del Territorio e dell’Osservatorio del mercato immobiliare curato dalla Camera di commercio;

3) e 4) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., dell’art. 132 cod. proc. civ., e la mancata valutazione degli elementi istruttori, stante la mera apparenza della motivazione, fondata sul mancato assolvimento dell’onere della prova contraria da parte del contribuente che ha, invece, prodotto una perizia di parte di cui i giudici di merito hanno omesso ogni valutazione;

5) 6) e 7) la violazione, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, 4 e 5, cod. proc. civ., dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 132 cod. proc. civ. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, essendo stata rigettata in modo apodittico la richiesta consulenza tecnica di ufficio a fini estimativi.

  1. Preliminarmente deve rilevarsi che, contrariamente a quanto ritenuto dal controricorrente, il giudicato formatosi in altri giudizi tra le medesime parti, aventi ad oggetto avvisi di accertamento formalmente distinti, oltre che riferiti ad altre annualità, non assume rilevanza nel presente giudizio, in cui si sono denunciati vizi formali dell’avviso impugnato e della sentenza di appello (più precisamente difetto di motivazione dell’atto impugnato e della sentenza, oltre che omessa ammissione di mezzi di prova), che devono essere valutati con riferimento allo specifico atto e processo.
  2. Il primo motivo, con cui è stata denunciata la violazione dell’obbligo motivazionale dell’atto impositivo, è infondato.

In materia di tributi locali, l’art. 1, comma 162, della L. n. 296 del 2006, conformemente all’art. 7, comma 1, L. n. 212 del 2000, impone l’allegazione all’atto impositivo degli atti, a cui la motivazione faccia riferimento, solo se non facilmente conoscibili dal contribuente e sempre che non ne sia riprodotto il contenuto essenziale (Cass., Sez. 5, 29 novembre 2023, n. 33327).

Si è, dunque, chiarito che l’onere di allegazione posto a carico dell’amministrazione finanziaria non si estende agli atti di carattere normativo o regolamentare che legittimano il potere impositivo e che sono oggetto di conoscenza “legale” da parte del contribuente (Cass., Sez. 5, 24 novembre 2004, n. 22197). Pure si è precisato che, sempre in tema di ICI, l’avviso d’accertamento che fa riferimento alla delibera della giunta comunale contenente la determinazione dei valori minimi delle aree edificabili, comprensiva di quella oggetto di imposizione, deve ritenersi sufficientemente motivato in quanto richiamante un atto di contenuto generale avente valore presuntivo e da ritenersi conosciuto (o conoscibile) dal contribuente, spettando a quest’ultimo l’onere di fornire elementi oggettivi (eventualmente anche a mezzo perizia di parte) sul minor valore dell’area edificabile rispetto a quello accertato dall’ufficio (Cass., Sez. 6 – 5, 5 luglio 2017, n. 16620).

Senza tralasciare che, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’obbligo motivazionale dell’accertamento deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di contestare efficacemente l’an ed il quantum dell’imposta.

In particolare, il requisito motivazionale esige, oltre alla puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta, soltanto l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentano di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa, restando, poi, affidate al giudizio di impugnazione dell’atto le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (Cass., Sez. 5, 8 novembre 2017, n. 26431).

  1. Pure è infondato il secondo motivo, con cui si è denunciata la violazione dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504 del 1992.

I giudici di merito hanno correttamente applicato, in ordine alla determinazione del valore venale dell’area, i principi consolidati di questa Corte, secondo cui:

1) in tema di ICI, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 11-quaterdecies, comma sedicesimo, del d.l. n. 203 del 2005, conv. con modificazioni in L. n. 248 del 2005 e dell’art. 36, comma 2, del d.l. n. 223 del 2006, n. 223, convertito in L. n. 248 del 2006, che hanno fornito l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma primo, lettera b), del D.Lgs. n. 504 del 1992, l’edificabilità di un’area, ai fini dell’applicabilità del criterio di determinazione della base imponibile fondato sul valore venale, dev’essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall’approvazione dello stesso da parte della Regione e dall’adozione di strumenti urbanistici attuativi;

2) in tema di I.C.I., è legittimo l’avviso di accertamento emanato sulla base di un regolamento comunale che, in forza degli artt. 52 e 59 del D.Lgs. n. 446 del 1997, e 48 del D.Lgs. n. 267 del 2000, abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio, trattandosi di atto che ha il fine di delimitare il potere di accertamento del Comune qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato e che, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni idonea a costituire, anche con portata retroattiva, un indice di valutazione per l’Amministrazione ed il giudice, con funzione analoga agli studi di settore (Cass., Sez. 6-5, 12 giugno 2018, n. 15312).

Nella motivazione della sentenza impugnata si è, peraltro, precisato che il Comune ha adeguatamente considerato l’indice di edificabilità.

  1. In ordine al terzo ed al quarto motivo, con cui si è lamentata l’omessa motivazione in ordine alla perizia di parte, deve ricordarsi che, come recentemente affermato da Cass., Sez. 5, 9 febbraio 2021, n. 3104, nel giudizio di impugnazione di avvisi di accertamento, il giudice del merito non è tenuto a dare conto del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, né a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo sufficiente che egli, dopo averli vagliati nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito, implicitamente disattendendo gli argomenti morfologicamente incompatibili con la decisione adottata, come nel caso di mere allegazioni difensive quali sono le osservazioni contenute nella perizia stragiudiziale.

Ciò appunto è avvenuto nel caso di specie, in cui nella sentenza impugnata si è confermata la stima effettuata nella delibera del Comune, in quanto fondata sui borsini immobiliari dell’Agenzia del Territorio e della Camera di commercio, che riportano i prezzi medi rilevati sul mercato dalla vendita di aree aventi analoghe caratteristiche, e sulla relazione tecnica del Comune, che, come precisato nella sentenza impugnata, ha adeguatamente considerato zona, indice di edificabilità e destinazione consentita.

Tali elementi sono stati ritenuti implicitamente più attendibili delle indicazioni della perizia di parte. In tal senso va intesa l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, in ordine al mancato assolvimento – in presenza della delibera del Comune, con cui, in forza degli artt. 52 e 59 del D.Lgs. n. 446 del 1997, e 48 del D.Lgs. n. 267 del 2000, sono stati indicati i valori delle aree – della prova contraria da parte della contribuente; cioè nel senso di mancata allegazione, neppure in via peritale, di fatti idonei a smentire e superare quanto sul punto dimostrato dal Comune.

  1. Neppure possono trovare accoglimento gli ulteriori motivi, che riguardando tutti la mancata nomina di un c.t.u. a fini estimativi; essi possono essere esaminati congiuntamente.

Nel caso di specie, la sentenza contiene una pronuncia esplicita sulla superfluità della c.t.u., alla luce della documentazione in atti e della sufficienza del materiale istruttorio ai fini della valutazione del bene, sicché non si riscontra né un’omessa pronuncia né una motivazione apparente. Solo per completezza va aggiunto che, in caso di pronuncia di merito c.d. ‘doppia conforme’, è inammissibile la censura di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (art. 348-ter c.p.c.) ; tanto più che la richiesta di c.t.u. non attiene neppure ad un ‘fatto’ in ipotesi suscettibile di omesso esame, ma ad un’istanza istruttoria.

  1. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% ed altri accessori di legge;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 23 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2024.


COMMENTO – L’obbligo motivazionale dell’avviso di accertamento I.C.I. deve ritenersi adempiuto tutte le volte in cui il contribuente sia stato posto in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali e, quindi, di poter contestare efficacemente l’an ed il quantum dell’imposta.

Il requisito motivazionale esige quindi unicamente la puntualizzazione degli estremi soggettivi ed oggettivi della posizione creditoria dedotta e l’indicazione dei fatti astrattamente giustificativi di essa, che consentono di delimitare l’ambito delle ragioni adducibili dall’Ente impositore nell’eventuale successiva fase contenziosa. Restano invece affidate a quest’ultima tutte le questioni riguardanti l’effettivo verificarsi dei fatti stessi e la loro idoneità a dare sostegno alla pretesa impositiva (si veda, in senso conforme, Cass. civ., Sez. V, 08 novembre 2017 n. 26431).

All’avviso di accertamento devono essere allegati gli atti richiamati in motivazione, che non siano facilmente conoscibili dal contribuente, e sempre che non ne sia riprodotto il contenuto essenziale (art. 1, comma 162, Legge 27 dicembre 2006 n. 296, conforme all’art. 7, comma 1, Legge 27 luglio 2000 n. 212).

Sono quindi esclusi dall’onere di allegazione gli atti a contenuto normativo o regolamentare, che legittimano il potere impositivo e che sono oggetto di conoscenza “legale” da parte del contribuente, quali la delibera della Giunta comunale contenente la determinazione dei valori minimi delle aree edificabili.

Nel merito, secondo l’interpretazione autentica dell’art. 2, comma 1, lettera b), D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, fornita dall’art. 11-quaterdecies, comma 16, D.L. 30 settembre 2005 n. 203, convertito con modificazioni in Legge 02 dicembre 2005 n. 248, un’area è da considerare comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.

Ancora, secondo l’interpretazione autentica del predetto art. 2, comma 1, lettera b), D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, fornita dall’art. 36, comma 2, D.L. 04 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni in Legge 04 agosto 2006 n. 248, un’area è da considerare fabbricabile se utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale adottato dal comune, indipendentemente dall’approvazione della regione e dall’adozione di strumenti attuativi del medesimo”.

E’ quindi legittimo l’avviso di accertamento I.C.I. emanato sulla base di un regolamento comunale, che abbia indicato periodicamente i valori delle aree edificabili per zone omogenee con riferimento al valore venale in comune commercio.

Si tratta, infatti, di un atto che ha lo scopo di delimitare il potere di accertamento del Comune, qualora l’imposta sia versata sulla base di un valore non inferiore a quello predeterminato, e che svolge pertanto una funzione analoga a quella degli studi di settore, in quanto, pur non avendo natura imperativa, integra una fonte di presunzioni idonea a costituire un indice di valutazione per l’Amministrazione ed il giudice, anche con portata retroattiva (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, 30 giugno 2010 n. 15461; Cass. civ., sez. V, 13 marzo 2015 n. 5068; Cass. civ., sez. V, ord., 08 novembre 2017 n. 26462; Cass. civ., Sez. VI-5, ord., 12 giugno 2018 n. 15312, citata in motivazione; Cass. civ., sez. V, ord., 19 aprile 2019 n. 11073).

In altri termini le delibere, con le quali il Comune predetermina periodicamente per zone omogenee i valori venali in comune commercio delle aree fabbricabili, costituiscono una mera fonte di presunzioni hominis, ossia dei supporti razionali offerti dall’Amministrazione al giudice, paragonabili ai bollettini di quotazioni di mercato o ai notiziari ISTAT, nei quali è possibile reperire dati medi presuntivamente esatti (Cass. civ., sez. V, 28 luglio 2022 n. 23682).

Trattandosi di presunzioni hominis, è tuttavia sempre ammessa la prova contraria da parte del contribuente (Cass. civ., sez. V, 22 marzo 2022 n. 9188).

Le delibere in questione possono essere utilizzate anche con riferimento ad annualità anteriori a quella della loro adozione, in quanto comunque non impediscono la rideterminazione della base imponibile dell’imposta nel caso in cui l’Amministrazione venga in possesso di informazioni diverse rispetto al valore attribuito alle aree in questione rispetto ad aree circostanti aventi analoghe caratteristiche (Cass. civ., sez. V, 02 dicembre 2022 n. 35521).

Sulla base dei predetti principi, viene respinto il ricorso per Cassazione del contribuente, con conferma della legittimità dell’avviso di accertamento I.C.I. impugnato.

 

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma