Cass. civ., sez. V, ord., 11 aprile 2024 n. 9830


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere – Rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 16241/2017 R.G. proposto da:

A.E.e T. Spa, elettivamente domiciliata in ROMA ………, presso lo studio dell’avvocato D. F. (Omissis) che la rappresenta e difende;                                                                                                                                                                                                – ricorrente –

contro

A.A. Spa, elettivamente domiciliata in ROMA VIA ……………..  presso lo studio dell’avvocato U. G. (Omissis) che la rappresenta e difende                                                                                                                                                                                          – controricorrente –

avverso SENTENZA della COMM.TRIB.REG. del LAZIO n. 8838/2016 depositata il 21/12/2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/02/2024 dal Consigliere FABIO DI PISA

Sentito il P.G. che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

sentiti i difensori delle parti presenti i quali si sono riportati ai rispettivi scritti difensivi.

Svolgimento del processo

  1. La C.T.R. del Lazio, con sentenza n. 8838/15/2016, depositata in data 12/12/2016 e non notificata confermava la sentenza di primo grado in forza della quale era stata accolta l’impugnazione proposta dalla A.A. Spa avverso l’ avviso di accertamento in forza del quale A.E.e T. Spa, nella qualità di concessionario del servizio dei gestione dei RSU per il Comune di C, aveva rettificato le superfici imponibili dell’ immobile sito in C, Via L n. 85, ai fini TIA per le annualità 2005 – 2009.
  2. I giudici di appello, nel confermare quanto riscostruito dai primi giudici, ritenevano che le superfici in questione non erano tassabili in quanto le stesse, destinate ad attività produttive, producevano rifiuti speciali sicché doveva trovare applicazione l’esenzione dell’imposta senza alcuna domanda di detassazione e senza ulteriori oneri a carico della contribuente.
  3. Contro detta sentenza propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, la A.E.e T. Spa
  4. La A.A. Spa resiste con controricorso. La controricorrente ha depositato memoria in data 15 febbraio 2024 insistendo per la declaratoria di inammissibilità ovvero per il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo la società ricorrente denuncia, ex art. 360, primo comma, n.4., cod. proc. civ., violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112cod. proc. civ. per non essersi i giudici di appello pronunziati sul thema decidendum con riguardo alla produzione da parte della contribuente di merci e non di rifiuti, all’intervenuta assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani, alla erronea indicazione della categoria di appartenenza del contribuente ed alla erronea indicazione di mq.40 di superficie indicata in tariffa “alberghi senza ristorante, foresterie”.
  2. Con il secondo motivo lamenta, ex art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., omessa motivazione, violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112cod. proc. civ. nonché omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti in merito alla confusione tra l’attività di “raccolta” della carta derivante dal recupero da parte della A.A. Spa e quella della “lavorazione” della stessa con produzione di un prodotto, poi, immesso sul mercato.

Deduce che i giudici di appello non avevano considerato la circostanza secondo cui nelle superfici in questione non venivano prodotti rifiuti speciali, ma il prodotto “carta”, immesso sul mercato, ribadendo che il Comune di C aveva emesso una delibera di assimilazione dei rifiuti speciali a quelli urbani.

  1. Con il terzo motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n.3., cod. proc. civ., la violazione e disapplicazione della normativa in materia di rifiuti in merito alla erronea qualificazione di rifiuto ed alla facoltà di non consegnare il rifiuto al servizio pubblico che, pur legittima, non inciderebbe minimamente sull’entità del corrispettivo dovuto per l’utilizzazione dei locali.
  2. Con il quarto motivo deduce, ex art. 360, primo comma, n.4, cod. proc. civ., omessa motivazione nonché omesso esame di un fatto decisivo per avere erroneamente affermato, in assenza di alcun elemento di riscontro, che l’ente impositore avrebbe espunto dalle superfici tassabili quella destinata ad attività produttiva nella quale vengono prodotti rifiuti speciali ed, ancora, che la sentenza, senza tenere conto delle deduzioni difensive e delle produzioni documentali, nulla aveva detto in relazione alla entità e qualificazione dei rifiuti in sé né relativamente alla assimilazione.
  3. Con il quinto motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n.3., cod. proc. civ., la violazione e disapplicazione della normativa in materia di rifiuti per avere i giudici di appello ritenuto che le uniche superfici idonee a produrre rifiuti solidi urbani erano quelle destinate ad uffici omettendo di considerare che tutte le superfici dove si svolgono attività che danno origine a rifiuti speciali rientrano nella privativa comunale e vanno, pertanto, assoggettate a tariffazione.
  4. Con il sesto motivo denuncia, ex art. 360, primo comma, n.4., cod. proc. civ., omessa motivazione nonché violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato ex art. 112cod. proc. civ. lamentando che i giudici di appello avevano del tutto erroneamente ed emettendo una statuizione extrapetita avevano richiamato indistintamente i rifiuti speciali/assimilati e quelli tossici o nocivi.
  5. I primi due motivi – da esaminare congiuntamente in quanto fra loro (in parte) connessi – sono da ritenere fondati, con carattere assorbente.

7.1. Invero in tema di processo tributario è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 del D.Lgs. n. 546 del 1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione tributaria regionale completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle e che si sia limitata a motivare “per relationem” alla sentenza impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché, in tal modo, resta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame. (In applicazione del principio, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata che aveva confermato la decisione di primo grado attraverso il mero rimando al contenuto di tale pronuncia ed a quello agli scritti difensivi di una delle parti, in modo del tutto generico e senza esplicitare il percorso logico giuridico seguito per pervenire alle proprie conclusioni). (vedi Sez. 5 -, Sentenza n. 24452 del 05/10/2018, Rv. 650527 – 01).

7.2. Le Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) hanno interpretato la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione della sola “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

7.3. Come successivamente ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 22232 del 2016), “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, quando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”;

7.5. Tale nullità, sotto il profilo della motivazione omessa, si è verificata nella fattispecie in esame in quanto, nonostante parte appellante avesse formulato specifiche censure quanto all’insussistenza di cause di esclusione della tassa ex art. 62, comma 3, D.Lgs. n. 507/1993, la motivazione della sentenza impugnata non consente di comprendere quale sia stata l’effettiva ratio decidendi alla luce ed in relazione alla specifica natura dei rifiuti prodotti dalla A.A., quale risultante dalla documentazione in atti ed in forza delle allegazioni delle parti, pur a fronte delle analitiche contestazioni mosse dalla società A.E.e T. Spa

  1. La sentenza impugnata va, dunque, cassata in accoglimento dei primi due motivi del ricorso, assorbiti gli altri, con rinvio alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio, alla Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado del Lazio in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, in data 28 febbraio 2024.

Depositato in Cancelleria in data 11 aprile 2024


COMMENTO REDAZIONALE- Nell’ambito del processo tributario è nulla, per violazione degli artt. 36 e 61 D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza di appello che risulti completamente priva dell’illustrazione delle censure mosse dall’appellante alla decisione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto il primo giudice a disattenderle.

La sentenza tributaria di secondo grado non può dunque limitarsi a motivare “per relationem” alla pronuncia impugnata mediante la mera adesione ad essa, poiché in tal modo risulta impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento della decisione e non può ritenersi che la condivisione della motivazione impugnata sia stata raggiunta attraverso l’esame e la valutazione dell’infondatezza dei motivi di gravame. 

Nel caso di specie, nonostante parte appellante avesse formulato specifiche censure quanto all’insussistenza di cause di esclusione della TIA ex art. 62, comma 3, D.lgs. 507/1993, la motivazione della sentenza di secondo grado non consentiva di comprendere quale fosse stata l’effettiva ratio decidendi, in relazione alla specifica natura dei rifiuti prodotti dalla società contribuente.

Per tali motivi, la sentenza di appello viene annullata, con rinvio al giudice di secondo grado, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di causa.