L’istituto della conciliazione giudiziaria in ambito tributario ha delle ripercussioni sia in relazione alle misure cautelari concesse all’Amministrazione finanziaria nella fase di accertamento, sia con riguardo alle misure ablative adottabili durante la fase conciliativa.

In merito alla prima ipotesi, le misure poste in essere in fase di accertamento decadono a conciliazione avvenuta.

Ciò accade per effetto della natura novativa dell’accordo conciliativo, che estingue e si sostituisce alle precedenti posizioni soggettive, generando una nuova pretesa fiscale.

La concessione di un’ipoteca o di un sequestro conservativo segue infatti la disciplina dettata dall’art. 22 del D.lgs. 18 dicembre 1997 n. 472, ove si stabilisce che l’Ufficio o l’Ente, quando abbia fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, ha facoltà di richiedere, con istanza motivata al Presidente della Commissione tributaria provinciale, l’iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido e/o l’autorizzazione a procedere, a mezzo di Ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l’azienda.

Sempre l’art. 22 del predetto Decreto stabilisce quali siano gli atti che legittimano l’adozione della cautela, ossia un atto di contestazione, un provvedimento di irrogazione di una sanzione o un processo verbale di contestazione.

Affinché l’Amministrazione possa richiedere l’adozione di misure cautelari è dunque necessario un requisito di natura procedimentale, ossia l’esistenza di un provvedimento amministrativo presupposto. Ciò comporta che, se tale titolo cessa di esistere per accoglimento del ricorso proposto avverso il medesimo, perderà efficacia anche la misura cautelare ai sensi dell’art. 22, ultimo comma, lettera c), del D.lgs. n. 472 del 1997.

Allo stesso modo, nemmeno l’ipotesi di una misura cautelare richiesta precedentemente al venir meno del titolo risulta legittima, in quanto i presupposti necessari all’adozione della stessa debbono avere il carattere di attualità al momento della decisione, e non della proposizione dell’istanza (in tal senso, Cass. civ., sez. V, 24 febbraio 2017 n. 4807). 

Tuttavia, l’accordo conciliativo tra le parti non comporta necessariamente l’assenza di elementi idonei alla richiesta di una nuova misura cautelare.

Il Legislatore, estendendo la definizione di “atto impositivo” all’avviso di accertamento, ha reso assimilabile ad esso, per interpretazione estensiva, il verbale di conciliazione, poiché, nonostante il carattere endoprocedimentale, esso è pur sempre un atto impositivo con una definizione precisa del debito d’imposta e delle relative sanzioni (senza necessitare nemmeno di notifica, derivando da un contesto partecipato anche dal soggetto interessato, ossia dal contribuente).

Ciò viene avvalorato comprendendo il verbale di conciliazione tra i provvedimenti con cui vengono accertati maggiori tributi, ai sensi dell’art. 27 comma 7, del D.L. 29 novembre 2008 n. 185, convertito, con modificazioni, dalla Legge 28 gennaio 2009 n. 2, il quale dispone che le misure cautelari sono adottate ai sensi dell’art. 22 del d.lgs. n. 472 del 1997 “in base al provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi” (si veda, in tal senso, S. CAPOLUPO, in “Il Fisco” n. 13/1996, pag. 542, cit. in E. MANONI, Il verbale di conciliazione può fungere da presupposto per l’adozione delle misure cautelari, il Fisco, 2019, 15, pag. 1448). 

Nell’ipotesi, dunque, in cui l’Amministrazione finanziaria ritenga necessaria, in un momento contestuale o successivo alla stipula di un accordo conciliativo, l’adozione di una qualche forma di cautela per contrazione del patrimonio del soggetto debitore, e più in generale per la permanenza delle condizioni del fumus boni iuris e del periculum in mora, dovrà farne richiesta certamente ai sensi dell’art. 22 del D.lgs. n. 472 del 1997, presentando istanza motivata al Presidente della Commissione tributaria provinciale territorialmente competente, non già sulla scorta del titolo originario, quanto piuttosto fondando la propria pretesa sul verbale di conciliazione. 

Dott.ssa Francesca Visonà