Corte di Giustizia di Secondo Grado della Sicilia, sez. XIX, 05 ottobre 2023 n. 8081


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- Il contribuente Sig. A. A., proponeva ricorso, dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Messina, avverso l’avviso di accertamento n. 396, contro il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, con il quale lo stesso pretendeva il pagamento di € 21.278,00 a titolo di Imposta Comunale sugli Immobili per l’anno 2006.

Il ricorrente in particolare eccepiva la non debenza del tributo da parte del ricorrente, in quanto relativo a periodo d’imposta ricadente in ambito di procedimento fallimentare, riguardante il contribuente medesimo.

2.- Il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto non si costituiva in giudizio.

3.- La C.T.P. di Messina, con la sentenza n. 6184/07/14, pubblicata in data 6 novembre 2014, ritenuta fondata la sopra citata doglianza, ha accolto il ricorso, compensando tra le parti le spese del giudizio.

4.- Per la riforma della predetta decisione, ha proposto appello il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, lamentando l’errata interpretazione, operata dai primi Giudici, con riguardo all’art. 10, comma 6, del D.L.vo n. 504/1992, in ordine a contrario consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, concludendo con richiesta di accoglimento del proprio appello e di declaratoria della legittimità dell’impugnato avviso, con vittoria di spese e compensi.

5.- Si è costituito in giudizio, in data 28 gennaio 2023, in relazione all’udienza del successivo 8 febbraio, l’originario ricorrente, replicando alle argomentazioni del Comune appellante e formulando le seguenti conclusioni:

  1. In via preliminare, ritenere e dichiarare – anche con ordinanza – l’inammissibilità per genericità dell’atto di Appello o, comunque, con qualunque altra statuizione si ritenga di diritto.
  2. Sempre in via preliminare, ritenere e dichiarare l’inammissibilità delle domande e dei documenti nuovi prodotti dall’appellante in violazione del “divieto di nova in appello” e, per l’effetto, disporre l’espunzione del doc. n. 3 (missiva del 05/05/2011) dal presente giudizio.
  3. Nel merito, rigettare l’atto di appello avverso la sentenza n. 6184/7/2014 CTP Messina, perché infondato in fatto e in diritto per le ragioni esposte o, comunque, con qualunque altra statuizione si ritenga di diritto e, per l’effetto, confermare in toto la sentenza impugnata.
  4. Ritenere e dichiarare la non tenutezza di alcuna somma a titolo di ICI 2006 da parte dell’appellato nei confronti dell’appellante, anche per effetto dell’intervenuto beneficio dell’esdebitazione e per quant’altro in fatto ed in diritto ritenuto, anche in assenza di specifica domanda.
  5. Con vittoria di spese e compensi di entrambi i gradi di giudizio.

6.- La controversia è stata quindi sottoposta all’esame di questo Collegio nel corso della pubblica udienza dell’8 febbraio 2023, nella quale nessuna delle parti è comparsa; la causa è stata quindi posta in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

7.- Quanto sopra premesso, il Collegio ritiene l’appello del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto meritevole di parziale accoglimento, in parziale riforma della decisione impugnata, restando confermata la decisione impugnata limitatamente agli interessi e sanzioni irrogate, nonché in relazione ad un immobile come si svilupperà nel prosieguo.

8.- In via preliminare, il Collegio respinge le due eccezioni preliminari, formulate dal contribuente appellato, in considerazione delle circostanze che, in primo luogo, l’appello del Comune è da ritenere sufficientemente circostanziato e niente affatto generico e nei confronti del quale il contribuente appellato è stato in grado di formulare adeguate argomentazioni difensive, in replica allo stesso appello; in secondo luogo, con riferimento alla documentazione, prodotta dall’appellante, non si ravvisa alcuna violazione, da parte di quest’ultimo, di quanto disposto dall’art. 58, comma 2, del D.L.vo n. 546/1992. D’altra parte, il Collegio, ai fini della sua decisione, non tiene, in ogni caso, conto della contestata documentazione, non apprendo rilevante ai fini della decisione medesima.

9.- Deve, al contrario, rilevarsi la tardività della produzione della documentazione, effettuata dal contribuente appellato (28 gennaio 2023, rispetto alla data dell’udienza di trattazione, fissata per il successivo 8 febbraio).

Sulla base dell’orientamento espresso dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo cui: «Nell’ambito del processo tributario, l’art. 58 del d.lgs. n. 546 del 1992 fa salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti anche al di fuori degli stretti limiti posti dall’art. 345 c.p.c., ma tale attività processuale va esercitata – stante il richiamo operato dall’art. 61 del citato d.lgs. alle norme relative al giudizio di primo grado – entro il termine previsto dall’art. 32, comma 1, dello stesso decreto, ossia fino a venti giorni liberi prima dell’udienza, con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, comma 1, dovendo, peraltro, tale termine ritenersi, anche in assenza di espressa previsione legislativa, di natura perentoria, e quindi previsto a pena di decadenza, rilevabile d’ufficio dal giudice anche nel caso di rinvio meramente interlocutorio dell’udienza o di mancata opposizione della controparte alla produzione tardiva» (Cass. n. 29087 del 2018 – cfr. anche Cass. n. 4433 del 2020), il Collegio, pertanto, ritiene decaduta la parte appellata dal diritto ad effettuare la predetta produzione che, dunque, non viene presa in considerazione da questa Corte, in quanto inutilizzabile e dunque “tamquam non esset”.

10.- Passando al merito della controversia, si rileva che, ai sensi dell’art. 10, comma 6, del D.L.vo n. 504 del 1992, legge regolatrice dell’ICI, nel testo vigente “ratione temporis”, “per gli immobili compresi nel fallimento o nella procedura coatta amministrativa l’imposta è dovuta per ciascun anno di possesso rientrante nel periodo di durata del procedimento, ed è prelevata, nel complessivo ammontare, sul prezzo ricavato dalla vendita. Il versamento della imposta deve essere effettuato entro il termine di tre mesi dalla data in cui il prezzo è stato incassato; entro lo stesso termine deve essere presentata la dichiarazione.”.

Da tale disposizione, si evince che il curatore è tenuto al pagamento della imposta solo dopo la vendita del bene, con la conseguenza che il Comune, prima di tale atto, non è tenuto richiedere il pagamento al curatore né ad insinuarsi nel fallimento.

Poiché nella specie, la vendita non vi è stata (al riguardo, i primi Giudici, nella decisione impugnata, hanno affermato che “Nell’ambito della procedura fallimentare, il Comune di Barcellona P.G., non ha formulato alcuna istanza di insinuazione al passivo per l’ICI, e, quindi, il Tribunale, con la sentenza che ha omologato il concordato, nulla ha prescritto in ordine all’ICI per la mancata liquidazione del patrimonio immobiliare”), ed il fallito è tornato in bonis a seguito del concordato fallimentare, mantenendo la proprietà dell’immobile, l’obbligazione del pagamento della imposta grava sul medesimo anche in relazione al periodo precedente in pendenza della procedura concorsuale.

Tale disposizione di legge regolava in via generale, per il periodo in esame, la disciplina dell’obbligo di denuncia a fini ICI e del pagamento dell’imposta in pendenza di procedura fallimentare.

Dal testo di legge si ricava chiaramente che: l) l’imposta è dovuta per ciascun anno di possesso rientrante nel periodo di durata del procedimento (e quindi non vi è alcun mutamento nell’obbligazione tributaria, nemmeno nell’ammontare, in dipendenza dello stato di fallimento); 2) sul presupposto che il fine della procedura fallimentare è la liquidazione dei beni del fallito per il soddisfacimento dei creditori, e l’ulteriore, che costituisce la “ratio” della disciplina speciale, che il soggetto attivo di imposta debba essere soddisfatto in prededuzione rispetto agli altri creditori sul ricavato della vendita del bene soggetto ad imposizione fiscale, l’obbligo di denuncia e di pagamento della imposta anno per anno è sospeso in attesa della vendita di detto immobile; 3) una volta effettuata la vendita ed incassato il prezzo, la imposta complessiva dovuta per l’intero periodo è prelevata dal curatore sull’ammontare del ricavato; 4) entro tre mesi dall’incasso, lo stesso curatore è tenuto sia a presentare la denuncia che a versare la imposta complessiva dovuta al Comune.

Su tali premesse, è ovvio che, ove il fallimento sia chiuso per un motivo che renda superflua la vendita del bene, il quale torna nel possesso del fallito, l’obbligazione tributaria maturata durante la pendenza della procedura mai venuta meno, è posta a carico del soggetto già fallito e tornato in bonis il quale è tenuto sia alla denuncia che al pagamento dei ratei annuali di imposta relativi a detto periodo (cfr., ex multis, Cass. sentenza n. 15478 del 2010).

11.- Ne deriva, da un lato, che né il curatore, né il fallito sono tenuti alla denuncia in pendenza di procedura prima di detto termine, e che per lo stesso periodo non maturano interessi, in quanto la legge fa esclusivo riferimento per la determinazione del dovuto da prelevarsi dal prezzo, al “complessivo ammontare” dell’imposta, senza menzione di interessi (che d’altro canto non possono decorrere in assenza di esigibilità del credito).

Ne consegue che per il periodo considerato nell’avviso di accertamento (anno 2006), in cui era pendente la procedura, non sono dovute sanzioni né interessi, per carenza dei relativi presupposti.

12.- Le argomentazioni formulate dal contribuente appellato, ad avviso del Collegio, in alcun modo hanno scalfito la predetta ricostruzione (tenuto altresì conto dell’inutilizzabilità della documentazione prodotta, per le ragioni specificate al superiore paragrafo 9 della presente motivazione) , né gli eventuali diversi crediti, maturati successivamente alla dichiarazione di fallimento del contribuente, come quello del caso di specie, sono coinvolti nella procedura di esdebitazione.

13.- Tuttavia, poiché l’appellato ha sollevato un’eccezione relativa alla debenza del tributo in ordine ad un immobile (indicato al n. 23) dell’atto di accertamento), eccezione in ordine alla quale il Comune appellante nulla ha contestato, Il Collegio ritiene fondata tale eccezione e, pertanto, anche il carico tributario riguardante tale immobile dovrà essere eliminato, unitamente al complessivo carico riguardante sanzioni ed interessi, come prima specificato.

14.- Per le considerazioni in fatto e in diritto sopra espresse, pertanto, in parziale riforma della decisione impugnata, l’appello del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto è da accogliere, ad eccezione delle pretese riguardanti gli interessi, le sanzioni irrogate, nonché l’imposizione tributaria relativa all’immobile indicato al n. 23) dell’avviso di accertamento impugnato, per i motivi di cui ai rispettivi paragrafi 11 e 13 della presente motivazione.

15.- Quanto al regolamento delle spese di giudizio – ai sensi dell’art. 15, 1° comma, del D.L.vo 31.12.1992, n. 546 e 92, 2° comma, c.p.c. – lo stesso può essere disciplinato secondo il principio della prevalente soccombenza e quantificato, per il presente grado di giudizio (tenuto conto della mancata costituzione, nel giudizio di primo grado, del Comune appellante), sulla base dei pertinenti minimi parametri di cui al D.M. n. 55/2014, in euro 1.600,00 a carico del contribuente appellato ed in favore del Comune appellante, oltre gli obbligatori accessori di legge se dovuti.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Tributaria di 2° grado della Sicilia – sezione XIX, definitivamente pronunziando sull’appello in epigrafe, in parziale riforma della decisione impugnata, lo accoglie parzialmente, confermando la legittimità dell’atto originariamente impugnato, ad eccezione delle pretese specificate ai paragrafi 11 e 13 della superiore motivazione.

Condanna il contribuente appellato al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 1.600,00 (milleseicento/00), in favore del Comune appellante, oltre accessori di legge se dovuti.

Così deciso in Palermo, addì 8 febbraio 2023


COMMENTO – In accoglimento dell’appello del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto, la sentenza in commento stabilisce che, qualora una procedura fallimentare si concluda senza la vendita del bene immobile sul quale è dovuta l’ICI, spetta al debitore, che sia rientrato in bonis a seguito di concordato fallimentare, corrispondere l’imposta anche per le annualità nelle quali vi è stata la pendenza della procedura fallimentare.

Attualmente, l’art. 10, comma 6, D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504 stabilisce che Per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa il curatore o il commissario liquidatore, entro novanta giorni dalla data della loro nomina, devono presentare al comune di ubicazione degli immobili una dichiarazione attestante l’avvio della procedura. Detti soggetti sono, altresì, tenuti al versamento dell’imposta dovuta per il periodo di durata dell’intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili”.

Tale formulazione della norma si deve alla modifica apportata dall’art. 1,comma 173, lettera c) Legge 27 dicembre 2006 n. 296, con decorrenza dal 1° gennaio 2007.

Alla fattispecie in esame, relativa ad un’annualità 2006, è invece applicabile il previgente testo normativo, secondo il qualePer gli immobili compresi nel fallimento o nella procedura coatta amministrativa l’imposta è dovuta per ciascun anno di possesso rientrante nel periodo di durata del procedimento, ed è prelevata, nel complessivo ammontare, sul prezzo ricavato dalla vendita. Il versamento della imposta deve essere effettuato entro il termine di tre mesi dalla data in cui il prezzo è stato incassato; entro lo stesso termine deve essere presentata la dichiarazione.”

Da quest’ultimo testo normativo, preso in considerazione dalla sentenza in commento, poiché vigente ratione temporis, si ricava che il curatore è tenuto al pagamento dell’ICI unicamente dopo la vendita del bene: solo in tale momento, infatti, l’imposta è prelevata direttamente dal prezzo della vendita, con soddisfacimento in prededuzione del soggetto attivo, che pertanto non è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare.

Qualora, per qualsiasi ragione, la procedura si concluda invece senza la vendita dell’immobile, il pagamento dell’ICI relativa a quest’ultimo grava sul debitore rientrato in bonis anche per le annualità nelle quali risultava pendente la procedura concorsuale (fallimento o liquidazione coatta amministrativa), avendo tale soggetto mantenuto la proprietà del bene.

La sentenza appare conforme al costante orientamento giurisprudenziale secondo cui, allorché il fallimento si chiuda per un motivo che rende superflua la vendita dell’immobile, che torni in tal modo nel possesso del fallito, l’obbligazione tributaria maturata durante la pendenza della procedura, progressivamente maturata e mai venuta meno, è posta a carico del soggetto già fallito e tornato in bonis, il quale è tenuto sia alla denuncia, sia al pagamento dei ratei annuali di imposta relativi a detto periodo.

Né il curatore, né il fallito sono invece tenuti alla denuncia in pendenza di procedura prima del termine di cui all’art. 10, comma 6, D.lgs. 504/1992 (i.e.: tre mesi dalla data di incasso del prezzo di vendita).

Pertanto, in tale periodo non maturano interessi, che neppure potrebbero decorrere in assenza di esigibilità del credito e che, in ogni caso, non vengono menzionati dalla norma (la quale fa riferimento al “complessivo ammontare” dell’imposta, che deve essere prelevato dal prezzo di vendita, senza alcuna menzione degli interessi).

Per tale motivo, l’avviso di accertamento del Comune appellante viene ritenuto legittimo per ciò che concerne la sorte capitale richiesta, con esclusione di interessi e sanzioni.

In senso conforme alla sentenza in commento si vedano, ex multis, Cass. civ., sez. V, 30 giugno 2010 n. 15478; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 15 febbraio 2013 n. 3845; Cass. civ., sez. V, 27 aprile 2016 n. 8371 e n 8372.

Durante la pendenza della procedura fallimentare o di liquidazione coatta amministrativa, sussiste quindi l’obbligazione tributaria, ma non l’obbligo di denuncia e di pagamento dell’imposta, che restano sospesi in attesa della vendita dell’immobile, poiché il fine di tali procedure è la liquidazione dei beni dell’impresa per il soddisfacimento dei creditori, mentre il soggetto attivo dell’imposta deve essere soddisfatto in prededuzione sul prezzo ricavato dalla vendita degli immobili soggetti ad imposizione. 

In senso conforme si veda anche Cass. civ., sez. VI-5, ord., 08 giugno 2021 n. 15872 che, in applicazione di tale principio, ha escluso la possibilità di qualsiasi accertamento da parte dell’Amministrazione comunale durante la pendenza delle procedure concorsuali (nel caso di specie, liquidazione coatta amministrativa), mancando qualsiasi condotta inadempiente.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma