Cass. civ., sez. V, ord., 24 gennaio 2023 n. 2193


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CRIVELLI Alberto – rel. Consigliere –

Dott. ANGARANO Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 14092/2020 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura generale dello Stato, e presso la stessa domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;                                                                 – ricorrente –

contro

A.A., (cf (Omissis)), rappresentata e difesa dall’avv. S. M., elettivamente domiciliata presso la stessa in Roma, via Gregorio VII, 186, il tutto come da procura in calce al controricorso del 12 giugno 2022;                                                         – controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 6270/2019, depositata il 12 novembre 2019.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15 dicembre 2022 dal consigliere Alberto Crivelli.

Svolgimento del processo

  1. L’Agenzia, in data 10 marzo 2016, notificava a A.A. intimazione di pagamento relativa a numerose cartelle. La contribuente impugnava la stessa sollevando questioni inerenti a vizi dell’intimazione e, limitatamente alle cartelle nn. (Omissis) e (Omissis), (dichiarazione dei redditi anni (Omissis)) decadenza. La CTP accoglieva il ricorso rilevando la mancata prova della notifica delle cartelle, oltre a ritenere fondate le altre censure all’atto impugnato. L’Agenzia proponeva gravame eccependo in particolare l’avvenuta notifica delle due cartelle sopra indicate rispettivamente in data (Omissis) e (Omissis). Il giudice d’appello respingeva il gravame, osservando che le notifiche del (Omissis) erano intervenute dopo l’intervenuta decadenza. Anche l’intimazione del (Omissis) era a sua volta tardiva rispetto al termine di decadenza quinquennale.
  2. Ricorre dunque in cassazione l’Agenzia, affidando l’impugnativa a due motivi. Peraltro, la stessa procedeva al rinnovo della notifica via pec in data (Omissis), dopo che la precedente notifica, anch’essa via pec ed effettuata in data (Omissis) era stato “rifiutato dal sistema” in quanto la casella del legale della contribuente risultava “piena”, come risulta dal relativo messaggio. La contribuente, a seguito del suddetto rinnovo, si è costituita a mezzo di controricorso per eccepire la tardività dell’impugnativa e resistere nel merito. La difesa dell’Agenzia ha depositato memoria illustrativa in data (Omissis).

Motivi della decisione

  1. Va anzitutto esaminata la questione inerente al perfezionamento della notifica, essendosi verificato che quella effettuata nel termine di legge per l’impugnazione era stata rifiutata dal sistema in quanto la casella di destinazione era “piena”.

In proposito si rileva che l’art. 16-sexiesD.L. 18 ottobre 2012, n. 179, convertito dalla L. 17 dicembre 2012, n. 221 – articolo rubricato “Domicilio digitale” e introdotto dall’art. 52D.L. n. 90 del 2014, convertito, con modificazioni, nella l. n. 114 del 2014 prevede testualmente: “Salvo quanto previsto dall’art. 366 del codice di procedura civile, quando la legge prevede che le notificazioni degli atti in materia civile al difensore siano eseguite, ad istanza di parte, presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, alla notificazione con le predette modalità può procedersi esclusivamente quando non sia possibile, per causa imputabile al destinatario, la notificazione presso l’indirizzo di posta elettronica certificata, risultante dagli elenchi di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82art. 6-bis, nonché dal registro generale degli indirizzi elettronici, gestito dal ministero della giustizia”.

Tale disposizione normativa, nell’ambito della giurisdizione civile (e fatto salvo quanto disposto dall’art. 366 c.p.c. per il giudizio di cassazione), impone alle parti la notificazione dei propri atti presso l’indirizzo p.e.c. risultante dagli elenchi INI PEC di cui al D.Lgs. 7 marzo 2005, n. 82art. 6-bis (Codice dell’amministrazione digitale), ovvero presso il Re.G.Ind.E, di cui al D.M. n. 21 febbraio 2011, n. 44, gestito dal Ministero della giustizia, escludendo che tale notificazione possa avvenire presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, salvo nei casi di impossibilità a procedersi a mezzo p.e.c., per causa da addebitarsi al destinatario della notificazione.

La prescrizione del D.L. n. 179 del 2012art. 16-sexies prescinde dalla stessa indicazione dell’indirizzo di posta elettronica ad opera del difensore, trovando applicazione direttamente in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l’indirizzo p.e.c. del difensore, stante l’obbligo in capo ad esso di comunicarlo al proprio ordine e dell’ordine di inserirlo sia nel registro INI PEC, che nel Re.G.Ind.E. La norma in esame, dunque, depotenzia la portata dell’elezione di domicilio fisico, la cui eventuale inefficacia non consente, pertanto, la notificazione dell’atto in cancelleria, ma la impone pur sempre e necessariamente alla p.e.c. del difensore domiciliatario, salvo l’impossibilità per causa al medesimo imputabile, e, al contempo, attenua l’efficacia prescrittiva l’art. 82R.D. n. 37 del 1934, che, stante l’obbligo di notificazione tramite p.e.c. presso gli elenchi/registri normativamente indicati, può assumere rilievo unicamente in caso di mancata notificazione via p.e.c. per causa imputabile al destinatario della stessa, quale localizzazione dell’ufficio giudiziario presso il quale operare la notificazione in cancelleria (Cass., sez. 3, 11/07/2017, n. 17048Cass., sez. 3, 08/06/2018, n. 14914Cass., sez. 6-2, 23/05/2019, n. 14140Cass., sez. L, 20/05/2019, n. 13532Cass., sez. 3, 29/01/2020, n. 1982Cass., sez. 6-3, 11/02/2020, n. 3164Cass., sez. 1, 03/02/2021, n. 2460).

Occorre a questo punto rilevare come una recente giurisprudenza di questa Corte equipari tale situazione all’avvenuta consegna della pec. Infatti “La notificazione di un atto eseguita ad un soggetto, obbligato per legge a munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, si ha per perfezionata con la ricevuta con cui l’operatore attesta di avere rinvenuto la cd. casella PEC del destinatario “piena”, da considerarsi equiparata alla ricevuta di avvenuta consegna, in quanto il mancato inserimento nella casella di posta per saturazione della capienza rappresenta un evento imputabile al destinatario, per l’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi” (Cass. 11/02/2020, n. 3164).

Tale decisione basa la propria ratio sull’art. 149-bis, comma 3, c.p.c., in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario, secondo cui “La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.”. La norma andrebbe letta alla luce del D.M. n. 179 del 2012. Va ricordato che il disposto dell’art. 20 comma 5 del D.M. n. 44 del 2011, in base al quale “Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione.”.

Sarebbe dunque onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di pec, finalizzato ad assicurare che gli effetti giuridici connessi alla notifica di atti tramite quel mezzo sia effettivo.

In proposito, dunque, per tale orientamento, rileva l’espressione “rendere disponibile” figurante nel citato disposto codicistico, che “individua un’azione dell’operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività della detta potenzialità dal punto di vista del destinatario (Cass. 3164 DEL 2020). Si giustificherebbe così che “qualora il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante può procedere all’utilizzazione dell’atto come se fosse stato notificato” (ancora Cass. 3164 del 2020).

Nello stesso senso andrebbe letto il riferimento all’art. 138, comma 2, c.p.c., il quale considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente ad una notificazione di tale genere. Il lasciare la casella di PEC satura equivale – nell’ottica della notifica telematica e in generale dell’attività svolta in via telematica, cui si aderisce con l’acquisizione del relativo indirizzo, vieppiù quando richiesto dalla legge – ad un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite la stessa.

1.2. Va però segnalato un diverso indirizzo, di cui è espressione Cass. 20/12/2021, n. 40758, in base al quale se la notificazione telematica non vada a buon fine per una ragione non imputabile al notificante – essendo invece addebitabile al destinatario per inadeguata gestione dello spazio di archiviazione necessario alla ricezione dei messaggi (Cass., 20/05/2019, n. 13532, Cass., 21/03/2018, n. 8029) – il notificante stesso deve ritenersi abbia il “più composito onere”, anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domicilio (fisico) eletto, in un tempo adeguatamente contenuto (arg. ex Cass., Sez. U., 15/07/(Omissis), n. 14594, secondo cui “In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 c.p.c., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa”; Cass., 19/07/2017, n. 17864, Cass., 31/07/2017, n. 19059, Cass., 11/05/2018, n. 11485, Cass., 09/08/2018, n. 20700). Tale orientamento si fonda sul principio per cui dev’esser escluso che il regime normativo concernente l’identificazione del c.d. domicilio digitale abbia soppresso la prerogativa processuale della parte di individuare, in via elettiva, uno specifico luogo fisico come valido riferimento, eventualmente in associazione al domicilio digitale, per la notificazione degli atti del processo alla stessa destinati (Cass., 11/02/2021, n. 3557), e solo così potranno conservarsi gli effetti della originaria notifica. A tale stregua, il mancato perfezionamento della stessa per non avere il destinatario reso possibile la ricezione dei messaggi sulla propria casella p.e.c., pur chiaramente imputabile al destinatario, impone alla parte di provvedere tempestivamente (nei termini dimezzati che si sono indicati nella pronuncia a Sezioni Unite sopra ripotata) al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 e seguenti, c.p.c., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui all’art. 16, comma 6, ultima parte, del (citato) D.L. n. 179 del 2012, prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica o comunicazione effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo p.e.c. dal difensore si perfeziona al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC) (Cass., 18/11/2019, n. 29851).

L’onere, incombente sul notificante pur a fronte del comportamento obiettivamente negligente del destinatario, appare ragionevole a fronte della persistente domiciliazione fisica (ovviamente se presente), con gli effetti (in caso di notifica del ricorso in cassazione e in generale di impugnazione) di cui all’art. 330 c.p.c., e del fatto che lo stesso notificante può subito controllare l’esito della mancata consegna, tramite appunto il messaggio di rifiuto. Tutto ciò sufficientemente accompagnato, grazie alle indicazioni giurisprudenziali sopra indicate, da elementi di certezza anche in caso di un giudizio la cui proposizione sia oggetto di un termine decadenziale, ed a fronte del fatto che in simili evenienze, al destinatario non viene consegnato nulla, ma soltanto, ai sensi del D.M. n. 44 del 2011art. 16, comma 4, , ” viene pubblicato nel portale dei servizi telematici, secondo le specifiche tecniche stabilite 14 ai sensi dell’art. 34, un apposito avviso di avvenuta comunicazione o notificazione dell’atto nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario contenente i soli elementi identificativi del procedimento e delle parti e loro patrocinatori”.

In definitiva “se si può ritenere che l’elezione di domicilio fisico non impedisca l’utilizzo di quello telematico sopra richiamato, ciò non può viceversa imporre al difensore destinatario della notifica, in assenza di norme esplicite, gli stessi oneri che sono a lui richiedibili quando non possa aver fatto affidamento sulla suddetta legittima elezione e, anzi, abbia dato speculare valore al luogo elettronico di ricezione appositamente eletto; e, parimenti, l’onere del notificante si articola diversamente, dovendo tenersi congruo conto della specifica elezione di domicilio fisica; pertanto, la notifica telematica al domicilio digitale sarà valida nell’ipotesi di avvenuta consegna, mentre, qualora vi sia una differente e specifica elezione di diverso domicilio (nell’odierna fattispecie, fisico), nell’eventualità di casella telematica piena” (presso il domicilio digitale più sopra ricordato) per insufficiente gestione dello Spa zio da parte del destinatario della notifica, il notificante dovrà, per tempo, riprendere il procedimento notificatorio presso il domicilio eletto, e ciò a valere solo nel caso specificato, altrimenti non potendo sussistere alcun altro affidamento, da parte del notificatario, se non alla propria costante gestione della casella di posta elettronica, e nessun’altra appendice alla condotta esigibile dal notificante” (ancora Cass. 40758 del 21).

1.3. Quanto agli argomenti spesi dall’altro orientamento (sostanzialmente riproposto da Cass. 12/09/2022, n. 26810), si può osservare che il disposto di cui all’art. 149-bis, comma 3, c.p.c., appare norma neutra ai fini in parola, prevedendosi, infatti, solo che “la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”. L’onere di consentire un’effettiva disponibilità da parte del destinatario deve peraltro tener conto del predicato difetto di esclusività del domicilio digitale e della mancata elisione della prerogativa processuale di eleggere domicilio fisico con effetti alternativi.

Quanto al D.M. n. 44 del 2011art. 20, comma 5, trattasi di norma secondaria (come del resto osservato dalla stessa pronuncia suddetta). Né decisivo pare il disposto di cui all’art. 138, secondo comma, c.p.c., posto che l’atteggiamento negligente consistente nel lasciare piena la casella non può essere equiparato al volontario di rifiuto di ricevere la notifica.

Circa poi l’ultimo precedente citato (Cass. n. 26810 del 22), lo stesso concerneva un caso differente, poiché non vi era stata valida elezione di domicilio fisico da parte dell’appellato, per cui il ricorso in cassazione venne notificato tramite deposito presso la cancelleria del giudice a quo (ex plurimis, Cass. 15/05/1996, n. 4502).

1.4. Calando i suesposti principi alla concreta fattispecie, a fronte della pacifica circostanza per cui la casella di posta elettronica certificata del legale della contribuente era piena, si ha l’elezione di domicilio fisico, come emerge dalla memoria di costituzione depositata in appello, ed in particolare dalla procura in calce alla stessa, in cui si legge che la stessa era elettivamente domiciliata presso il proprio legale in Roma, via di Santa Croce in Gerusalemme, 9; nonché il ricevimento dell’avviso di mancata consegna all’Avvocatura notificante alla stessa data della notifica. In simile fattispecie, in cui in base a quanto precede non si è compiuta la fattispecie notificatoria mancando l’elemento della “consegna”, cui è subordinata l’esistenza della medesima, occorreva – appunto in base ai superiori rilievi – il rinnovo della notificazione stessa. La sua esecuzione solo due anni dopo, ben oltre quindi quello pari alla metà del termine stabilito (nel caso del ricorso in cassazione) dall’art. 325, comma 2, c.p.c., indicato come congruo dalla giurisprudenza delle sezioni unite (principio da ultimo fatto proprio da Cass. 24/10/2022, n. 31346), risulta quindi tardiva.

  1. Alla stregua di quanto precede il ricorso deve intendersi inammissibile, con integrale compensazione delle spese del giudizio di legittimità, tenuto conto del fatto che la questione risultava ancora oggetto di contrastante soluzione al momento dell’introduzione del giudizio stesso.

Nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228 art.7, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass. 29/01/2016, n. 1778).

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Dichiara le spese del giudizio di legittimità interamente compensate fra le parti.

Così deciso in Roma,il 15 dicembre 2022.

Depositato in Cancelleria il 24 gennaio 2023


COMMENTO– L’ordinanza in commento dichiara inammissibile il ricorso per Cassazione di Agenzia delle entrate- Riscossione, in quanto la relativa notifica era stata eseguita tempestivamente a mezzo p.e.c., ma quest’ultima era stata rifiutata dal sistema a causa dell’eccessiva saturazione della casella di posta elettronica certificata del destinatario, incapiente alla ricezione di ulteriori messaggi. La rinnovazione della notifica, avvenuta anch’essa in via telematica, era stata eseguita solo a distanza di tempo, oltre il termine di legge per l’impugnazione.

La Suprema Corte premette come, in materia di notificazioni di atti in materia civile al difensore, l’art. 16-sexies D.L. 18 ottobre 2012 n. 179, convertito con modificazioni in Legge 17 dicembre 2012 n. 221 (rubricata “Domicilio digitale”) abbia reso residuale la facoltà di notifica presso la cancelleria dell’ufficio giudiziario, ammissibile solo allorché la notifica via p.e.c. all’indirizzo elettronico dell’avvocato risultante dall’INI-PEC o dal Re.G.Ind.E. sia risultata impossibile per causa imputabile al destinatario.

La norma di cui all’art. 16-sexies D.L. 179/2012 (inserita dall’art. 52, comma 1, lettera b), D.L. 24 giugno 2014 n. 90, convertito con modificazioni in Legge 11 agosto 2014 n. 114) depotenzia la rilevanza del domicilio fisico, attenuando la portata prescrittiva dell’art. 82 R.D. 22 gennaio 1934 n. 37, e rende la notifica telematica  all’indirizzo di posta elettronica certificata dell’avvocato un vero e proprio onere, a prescindere dall’indicazione di tale indirizzo negli atti di causa. 

La predetta disposizione trova infatti applicazione diretta, in forza dell’indicazione normativa degli elenchi/registri da cui è dato attingere l’indirizzo p.e.c. del difensore, stanti l’obbligo per quest’ultimo di comunicarlo al proprio Ordine, nonché l’obbligo per l’Ordine di inserirlo sia nel registro INI-PEC, che nel Re.G.Ind.E.

Ciò premesso, la Suprema Corte dà atto di un contrasto, formatosi all’interno della giurisprudenza di legittimità, in merito alle conseguenze del rifiuto della p.e.c. da parte del sistema a causa dell’eccessiva saturazione della casella di posta elettronica del destinatario, che risulti in tal modo impossibilitata alla ricezione di ulteriori messaggi.

Secondo un primo indirizzo, tale situazione deve equipararsi a quella di avvenuta consegna del messaggio di posta elettronica certificata, essendo la saturazione della casella di posta elettronica certificata un evento imputabile al destinatario.

Quest’ultimo, non curandosi della situazione di saturazione della propria casella di posta elettronica certificata, terrebbe infatti un comportamento a tutti gli effetti equiparabile ad un rifiuto di ricevere la notificazione da parte del destinatario medesimo, con le conseguenze di cui all’art. 138, comma 2, c.p.c. (in tal senso Cass. civ., sez. VI-3, ord., 11 febbraio 2020 n. 3164).

Il predetto indirizzo trae ulteriori conferme nel disposto di cui all’art. 149-bis, comma 3, c.p.c. (secondo cui, nell’ambito delle notificazioni a mezzo posta elettronica certificata eseguite dall’ufficiale giudiziario, “la notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario”, a prescindere dalla circostanza che tale “disponibilità” sia risultata effettiva oppure meramente virtuale per causa imputabile al destinatario) e in quello di cui all’art. 20, comma 5, D.M. 21 febbraio 2011 n. 44, secondo cui il soggetto obbligato per legge ad avere un indirizzo di posta elettronica certificata è tenuto a dotarsi di un servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare l’effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione.

Il mancato adempimento di tale onere fa sì che la mancata consegna della notificazione telematica a causa della saturazione della casella p.e.c. costituisca un evento imputabile al destinatario, equiparabile ad un vero e proprio rifiuto di ricevere la notificazione da parte del destinatario.

Così come quest’ultimo è a tutti gli effetti equiparato ad una notifica eseguita a mani proprie del destinatario (art. 138, comma 2, c.p.c.), altrettanto il rifiuto del messaggio p.e.c. da parte del sistema in conseguenza dell’eccessiva saturazione della casella di posta elettronica certificata del destinatario è equiparato ad un’avvenuta consegna del messaggio p.e.c. contenente la notificazione telematica.

Non manca tuttavia un orientamento di segno opposto, secondo il quale, in caso di notificazione a mezzo p.e.c. non andata a buon fine, ancorché per causa imputabile al destinatario (quale, appunto, la situazione di una casella p.e.c. “piena”, e quindi impossibilitata alla ricezione di ulteriori messaggi), ove concorra una specifica elezione di domicilio fisico – eventualmente in associazione al domicilio digitale – il notificante ha il più composito onere di riprendere idoneamente il procedimento notificatorio presso il domicilio fisico eletto in un tempo adeguatamente contenuto, non potendosi invece ritenere la notifica perfezionata in ogni caso con il primo invio telematico (Cass. civ., sez. V, 20 luglio 2018 n. 19397; Cass. civ., Sezione Lavoro, 30 dicembre 2019 n. 34736; Cass. civ., sez. VI-3, 26 maggio 2021, n. 14446 e Cass. civ., sez. III, 20 dicembre 2021 n. 40758).

Infatti, la disposizione di cui all’art. 16, comma 6, D.L. 179/2012 (secondo cui “Le notificazioni e comunicazioni ai soggetti diversi dall’imputato per i quali la legge prevede l’obbligo di munirsi di un indirizzo di posta elettronica certificata, che non hanno provveduto ad istituire o comunicare il predetto indirizzo, sono eseguite esclusivamente mediante deposito in cancelleria. Le stesse modalità si adottano nelle ipotesi di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario”) si applica unicamente alle comunicazioni e/o notificazioni di Cancelleria, e non già alle notificazioni eseguite a mezzo p.e.c. dagli Avvocati.

Per queste ultime, il procedimento notificatorio telematico si perfeziona unicamente al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC): pertanto, quando lo stesso non vada a buon fine, ancorché per causa imputabile al destinatario, deve procedersi alla rinnovazione della notificazione con le tradizionali modalità “analogiche” di cui agli artt. 137 e ss. c.p.c.

In contrario, non valgono né l’art. 149-bis, comma 3, c.p.c., norma del tutto “neutra” in materia, perché dettata per le notificazioni telematiche eseguite dall’ufficiale giudiziario, né l’art. 20, comma 5, D.M. 44/2011, norma di rango secondario inidonea a derogare alle disposizioni di legge primaria in materia di notificazioni, né, infine, l’art. 138, comma 2, c.p.c., non potendosi in alcun caso equiparare la condotta del destinatario, che abbia lasciato “saturare” la propria casella di posta elettronica certificata, ad un rifiuto preventivo di ricevere le notificazioni.

A quest’ultimo indirizzo aderisce l’ordinanza in commento, con conseguente declaratoria di inammissibilità del ricorso per Cassazione di Agenzia delle entrate- Riscossione. 

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano- Roma