Cass.civ., sez.V, sent. 16 luglio 2024, n.19508


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta da

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente

Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere

Dott. CANDIA Ugo – Consigliere

Dott. BILLI Stefania – Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23416/2017 R.G. proposto da

A.A. e B.B., rappresentati e difesi dall’Avv. …, elettivamente domiciliati presso l’Avv. …, in … pec: …                                    – ricorrente –

contro

Comune di Terni, in persona del sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. …, elettivamente domiciliato presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, pec: …                                                                                                                                                      – controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Umbria, n. 87/3/17 depositata il 1 marzo 2017.

udito il P.M., nella persona del Sostituto Procuratore Generale Mario Fresa

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28 giugno 2024 dal Consigliere Stefania Billi.

Svolgimento del processo

La controversia ha ad oggetto l’impugnazione avverso due avvisi di accertamento (nn. (Omissis), (Omissis)) emessi dal comune di Terni (d’ora in poi odierno controricorrente) rispettivamente nei confronti di A.A. e di B.B., coniugi proprietari nella misura del 50% (d’ora in poi ricorrenti) per infedele dichiarazione ai fini Ici per l’anno 2009 di un terreno edificabile distinto in catasto al foglio (Omissis), particella (Omissis).

La CTP ha rigettato i ricorsi, dopo averli riuniti.

La CTR ha confermato la pronuncia di primo sulla base delle ragioni di seguito esposti, oggi rilevanti ai fini del decidere:

– con riferimento alla eccepita insussistenza del presupposto impositivo, si osserva che il mancato rispetto da parte dei confinanti delle distanze di legge ha natura di illecito esclusivamente civile e la limitazione dell’edificabilità che ne deriva può essere superata con le ordinarie azioni giudiziarie a tutela della proprietà oltre che in via transattiva, come poi avvenuto nella fattispecie; la potenzialità edificatoria rimane, invece, invariata sotto il profilo amministrativo e rimane invariato il valore di mercato del terreno; la precedente pronuncia sulla revoca delle agevolazioni in materia di imposta di registro non può essere invocata, in quanto è intercorsa tra diverse parti e avente ad oggetto un’imposta diversa;

– sulla doglianza circa l’errata individuazione del valore venale in comune commercio del terreno per cui è causa, risulta, invece, congrua e adeguatamente sostenuta la determinazione effettuata dall’ente impositore sulla base degli atti di compravendita di terreni aventi analoghe caratteristiche e ricadenti in aree con destinazione ad espansione con piano attuativo approvato; ai fini di una più ampia indagine, sono stati presi in considerazione anche atti di compravendita relativi ad aree a destinazione residenziale a completamento in cui è ammesso, come nella fattispecie, l’intervento edilizio diretto e si è tenuto conto delle caratteristiche intrinseche dell’area per cui è causa (giacitura, ubicazione, urbanizzazione); gli atti indicati dal contribuente, invece, non sono significativi e utilizzabili, in quanto, uno, riferito a un terreno con volumetria realizzabile superiore a quella del terreno per cui e causa e, l’altro, in quanto relativo a terreno non residenziale;

– con riferimento alla doglianza relativa al difetto di motivazione degli avvisi di accertamento, l’allegazione degli atti di compravendita comparativi non era necessaria, sia perché sono riportati nell’atto tutti i dati identificativi, sia perché, comunque, trattasi di atti pubblici; la motivazione, in ogni caso è esauriente e idonea a far conoscere le ragioni della pretesa impositiva e a consentire un’adeguata difesa;

– deve essere respinta la doglianza circa la violazione del legittimo affidamento, in quanto l’art. 10 della L. n. 212 del 2000 può essere invocato quando il contribuente si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi omissioni o errori dell’amministrazione stessa; la mancata contestazione da parte del comune della dichiarazione Ici per anni precedenti non configura, né un errore, né un’omissione dell’amministrazione, ma è solo conseguenza di diverse valutazioni in riferimento a diversi periodi di imposta;

I ricorrenti propongono ricorso fondato su cinque motivi e depositano memoria, il controricorrente si costituisce con controricorso.

All’odierna udienza il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 1 e 36 del D.Lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 132 cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., nonché degli artt. 24, 104, 111. Deducono la nullità della sentenza che si sarebbe limitata a riprodurre pedissequamente le motivazioni della precedente pronuncia emessa dalla medesima CTR (n. 574/01/16) con riferimento ad analoghi accertamenti riguardanti l’annualità 2008.

1.1. Il ricorso non può trovare accoglimento. Va premesso che l’impugnazione in esame si caratterizza per la lunga e diffusa riedizione di questioni di merito, impropriamente utilizzando il ricorso per cassazione per rinnovare le critiche ad una non condivisa statuizione di rigetto nel merito, soprapponendo all’interno dei motivi censure di natura diversa, sempre dirette a sollecitare la Corte in inammissibili rivalutazioni di natura fattuale. Le doglianze, per altro verso, risultano infondate nel merito.

1.2. Il primo motivo è infondato. Il Collegio a tale proposito intende ribadire che la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost., ipotesi che si verifica quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’effettiva disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. Sez. 6 – 5, n. 9105 del 07/04/2017, Rv. 643793-01, Sez. L, n. 3819 del 14/02/2020, Rv. 656925-02, Sez. 1 -, n. 13248 del 30/06/2020, Rv. 658088-01). Tale ipotesi non ricorre affatto nel caso di specie in cui la sentenza, pur richiamandosi ad un proprio precedente ha compiutamente espresso le ragioni della propria decisione, analiticamente sopra riportate.

  1. Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 5, comma 5, del D.Lgs. n. 504 del 1992 e dell’art. 53 Cost. Contestano l’attribuzione del valore venale effettuata dall’ente impositore e ritenuto congruo dalla sentenza impugnata, la quale non avrebbe tenuto conto che il terreno era di fatto non edificabile per abusi commessi da terzi e, a tal fine, eccepiscono il giudicato formatosi sulla sentenza resa dalla CTP (n. 27/02/10). Censurano la sentenza, in quanto avrebbe ritenuto legittimo il metodo di determinazione del valore del terreno effettuato senza alcun riferimento ai valori medi di mercato, ma utilizzando solo alcuni prezzi praticati in atti di compravendita di terreni ubicati in una diversa zona più centrale e di maggior pregio. 2.1. Il motivo è, in parte, inammissibile e, in parte, fondato.

La doglianza è articolata ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., ma in realtà consiste in una istanza di revisione della ricostruzione probatoria, laddove richiede una maggiore ponderazione degli elementi istruttori, preclusa in sede di legittimità.

È inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U, n. 34476/2019, Rv. 656492-03, Sez. 1, n. 5987/2021, Rv. 660761-02).

Sotto altro profilo, il motivo è infondato. L’art. 5, comma 5, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 504, prevede che, ai fini della determinazione del valore imponibile, la misura del valore venale in comune commercio deve essere tassativamente ricavata dai parametri vincolanti che, per le aree fabbricabili, hanno riguardo alla zona territoriale di ubicazione, all’indice di edificabilità, alla destinazione d’uso consentita, agli oneri per gli eventuali lavori di adattamento del terreno necessari per la costruzione, ai prezzi medi rilevati sul mercato della vendita di aree aventi analoghe caratteristiche.

La sentenza impugnata con un ragionamento coerente e in linea con il dettato legislativo sopra richiamato ha stimato che la valutazione operata dal controricorrente risulta congrua e adeguatamente sostenuta sulla base di atti comparativi di compravendita di terreni aventi analoghe caratteristiche ricadenti in zona con la medesima destinazione urbanistica con destinazione ad espansione con piano attuativo approvato. A conforto di tale soluzione ha affermato che, ai fini di una più ampia indagine, sono stati presi in considerazione anche atti di compravendita relativi ad aree a destinazione residenziale a completamento in cui è ammesso, come nella fattispecie, l’intervento edilizio diretto e si è tenuto conto delle caratteristiche intrinseche dell’area per cui è causa (giacitura, ubicazione, urbanizzazione).

La sentenza ha anche dato conto delle ragioni per cui non ha ritenuto meritevole di accoglimento la prospettazione dei ricorrenti evidenziando che gli atti dagli stessi indicati, invece, non sono significativi e utilizzabili, in quanto, uno, riferito a un terreno con volumetria realizzabile superiore a quella del terreno per cui e causa e, l’altro, in quanto relativo a terreno non residenziale.

Non si ritiene, dunque, che il provvedimento impugnato sia incorso in violazione di legge, avendo il giudice del merito effettuato una scelta, poi, chiaramente motivata, circa gli atti istruttori su cui ha fondato il proprio convincimento.

Giova, in ogni caso, ricordare che in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C. (con la conseguenza che, a seguito della riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., non è denunciabile col ricorso per cassazione come vizio della decisione di merito), restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Cass. Sez. 3, n. 37382 del 21/12/2022 (Rv. 666679 – 05).

La valutazione degli elementi probatori è attività istituzionalmente riservata al giudice di merito, non sindacabile in cassazione se non sotto il profilo della congruità della motivazione del relativo apprezzamento (Cass. 23286 del 2005, Rv. 585444-01, Sez. L, n. 11660/2006, Rv. 589044-01, Sez. L, n. 11670/2006, Rv. 589071-01, Sez. 6 – 5, n. 1414 del 2015, Rv. 634358-01).

Va ricordato, infine, che il giudice del merito non deve dar conto di ogni argomento difensivo sviluppato dalla parte, non è tenuto cioè a discutere ogni singolo elemento o ad argomentare sulla condivisibilità o confutazione di tutte le deduzioni difensive, essendo, invece, necessario e sufficiente che esponga gli elementi in fatto e di diritto posti a fondamento della sua decisione, dovendo in tal modo ritenersi disattesi, per implicito, tutti gli argomenti non espressamente esaminati (cfr., tra le tante, (Cass., Sez. 2 -, n. 12652/2020, Rv. 658279-01; Sez. 1, n. 19011/2017, Rv. 645841-01, Sez. 6 – 5, n. 29404/2017, Rv. 646976-01, Sez. 1, n. 10937/2016, Rv. 639853-01; Sez. 1, n. 16056/2016, Rv. 641328-01; nello stesso senso da ultimo, Cass., Sez. 5, 19 maggio 2024, n. 12732).

La censura relativa all’omessa considerazione della peculiare caratteristica morfologica dell’area edificabile in questione che, ad avviso dei ricorrenti, si presenta sostanzialmente come fondo intercluso è inammissibile.

2.2. Deve essere disattesa, infine, l’eccezione di giudicato che i ricorrenti invocano con riferimento ad una pronuncia intercorsa tra diverse parti ed avente ad oggetto una diversa imposta.

Il motivo è strutturato come censura di violazione di legge, ma nulla spiegano i ricorrenti sulle ragioni per cui la sentenza sul punto sia contra iuris e, per tale ragione, il motivo è inammissibile.

Si ricorda che la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato, nei giudizi relativi ad imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi, ove pendenti tra le stesse parti, solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta, assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto relativi a tributi differenti ed a diverse annualità (Cass., Sez. 5, n. 6953 del 08/04/2015, Rv. 635195-01), Sez. 5, n. 38950/2021, Rv. 663418-01).

Nel caso in esame i ricorrenti hanno invocato un precedente reso riguardante il riconoscimento di agevolazioni in materia di imposta di registro. Si tratta, quindi, di accertamento effettuato con riguardo ad un diverso tributo, peraltro, come evidenziato correttamente dalla sentenza impugnata reso tra diverse parti. L’art. 2909, cod. civ, Cosa giudicata, dispone, infatti, che: “L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

  1. Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 4 e 5, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 112 cod. proc. Si dolgono dell’omessa pronuncia circa un fatto decisivo, riguardante l’effettivo ammontare degli importi versati a titolo di Ici, maggiore rispetto a quanto risultante dagli avvisi di accertamento oggetto del giudizio. In particolare, sulla validità dei versamenti effettuati in ravvedimento operoso del 17/06/2009 per l’area fabbricabile di cui al foglio 45 particella 1099 e sulla legittimità dei versamenti successivi per il medesimo terreno, anche per il 2009. Di tali versamenti, come documentato, sia in primo, sia in secondo grado per l’anno 2008, il A.A. avrebbe corrisposto complessivamente Euro 430,60 e non soli Euro 108,46; la B.B. avrebbe versato complessivamente Euro 236,28 e non soli Euro 128,00. Sostengono i ricorrenti che la sentenza impugnata non si è pronunciata sulla questione se attribuire i maggiori pagamenti all’area oggetto del presente giudizio oppure se considerare perfezionato il ravvedimento operoso del 17/06/2009 per l’ulteriore area edificabile di proprietà di cui al foglio (Omissis) particella (Omissis).

3.1. Il motivo è inammissibile. Con riferimento alle somme versate dai ricorrenti, si osserva che nel ricorso si fa riferimento solamente all’atto impositivo da cui risulta la diversa imputazione, il quale che risulta prodotto, però, solo in secondo grado, e a quella prodotta in questo giudizio. Non hanno, pertanto, dimostrato di avere fornito adeguata allegazione e prova di quanto sostenuto a tale proposto sin dall’introduzione del giudizio.

Si osserva, inoltre, che non è possibile neanche confrontare tale atto con il documento riguardante il versamento in ravvedimento operoso, in quanto non si sa neanche se quest’ultimo sia stato mai depositato in giudizio.

Per altro verso, non avendone trattato specificamente la sentenza impugnata, i ricorrenti avrebbero dovuto indicare in quali atti nel corso del giudizio hanno sollevato tale doglianza, la quale, pertanto, è inammissibile, così come svolta in questa sede.

  1. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 1, comma 162, della L. 27 dicembre 2006, n. 296, dell’art. 16 del D.P.R., n. 472 del 1997, dell’art. 7 della L. 27 luglio 2000, n. 212 e dell’art. 3 della L. 7 agosto 1990, n. 241, per un’errata applicazione delle norme che regolano la motivazione degli atti, l’onere della prova e la valutazione dei mezzi istruttori; nello stesso motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 5, cod. proc. civ., inoltre, l’omessa pronuncia in merito a un fatto decisivo per il giudizio avendo i giudici di appello completamente ignorato la doglianza circa la mancata indicazione negli avvisi della modalità di determinazione del valore venale Euro/mc e le motivazioni sottese al differente valore applicato nel 2007 rispetto a quello del 2008, attesa l’invarianza degli elementi considerati dall’ente nella stima del valore venale.

4.1. Il motivo è infondato. Non può, essere accolta la censura, contenuta nel terzo motivo, di violazione dell’art. 2697 cod. civ., in quanto secondo la condivisa giurisprudenza di legittimità, in quanto la stessa integra motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma, ipotesi che non ricorre nella presente fattispecie. Nel caso in esame la censura, infatti, del ricorrente cade sulla valutazione che i giudici del merito hanno effettuato sulle prove addotte dalle parti e, pertanto, non può trovare accoglimento (Cass., Sez. 3, n. 15107/2013, Rv. 626907-01, Sez. 3, n. 13395/2018, Rv. 649038-01, Sez. 6 – 3, n. 18092/2020, Rv. 658840-01).

La Commissione tributaria regionale non ha sovvertito il criterio di riparto dell’onere probatorio, avendo, piuttosto, ritenuto congruo il valore venale attribuito al bene dal Comune, siccome reputato giustificato, in base al criterio comparativo, dal corrispondente valore di terreni aventi analoghe caratteristiche risultanti dagli atti comparativamente esaminati. Deve, quindi, in tal modo ritenersi assolto da parte del Giudice di secondo grado, nel rispetto della regola imposta dall’art. 2697 cod. civ., il relativo onere dimostrativo, senza necessità di attivare i poteri istruttori di cui all’art. 7 D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546.

Per altro verso, i ricorrenti insistono sulla indimostrata congruità del maggior valore attribuito al terreno per cui è causa e sull’omessa considerazione degli elementi istruttori dagli stessi addotti in giudizio.

Sotto tali profili la censura è inammissibile per le medesime ragioni esposte nel punto 2 della presente motivazione, cui si rinvia, essendo precluso al Giudice di legittimità un riesame della valutazione dei mezzi di prova effettuata dal giudice del merito, ove questa sia effettuata in modo coerente e secondo i principi dell’ordinamento.

Il motivo, per il resto, è infondato, in quanto la sentenza impugnata ha fornito le ragioni per cui ha rigettato le censure svolte in proposito dai ricorrenti, evidenziando che l’allegazione degli atti di compravendita comparativi non era necessaria, sia perché sono riportati nell’atto tutti i dati identificativi, sia perché, comunque, trattasi di atti pubblici. In particolare, ha affermato che “L’individuazione del valore venale in comune commercio effettuata nell’avviso di accertamento risulta congrua e adeguatamente sostenuta dagli atti di compravendita di terreni aventi analoghe caratteristiche e ricadenti in aree con destinazione ad espansione con piano attuativo approvato e quindi nella medesima situazione urbanistica di quella oggetto di accertamento; inoltre ai fini di una più ampia indagine sono stati presi a riferimento anche atti di compravendita relativi ad aree destinazione residenziale a completamento in cui ha messo come nella fattispecie l’intervento edilizio diretto e si è tenuto conto delle caratteristiche trinche dell’area per cui è causa (giacitura , ubicazione, urbanizzazione)”.

  1. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente lamenta, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 10, comma 1, della L. n. 212 del 2000, invocando il principio del legittimo affidamento circa il valore venale del bene, siccome acquistato nell’anno 2001; tale affidamento sarebbe stato ingenerato dal fatto che per ben 13 annualità il controricorrente non ha contestato la veridicità della dichiarazione Ici in relazione al terreno per cui è causa con gli stessi valori oggi contestati.

5.1. Il motivo è infondato. L’art. 10 della L. n. 212 del 2000 prevede: “1. I rapporti tra contribuente e amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede.

Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall’amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa”.

Il presupposto per l’esclusione dell’irrogazione di sanzioni e interessi è la sussistenza, quindi, di indicazioni contenute in atti dell’amministrazione finanziaria ovvero un comportamento del contribuente causalmente e in modo diretto collegato a ritardi, omissioni od errori dell’amministrazione stessa, ipotesi chiaramente non ricorrenti nel caso di specie.

Nel caso di specie la dichiarazione dei ricorrenti sulla base imponibile resa sin dal 2001 non si è fondata su indicazioni contenute in atti di provenienza dell’ente impositore, il quale ha, viceversa, effettuato nel tempo una differente valutazione del bene oggetto del giudizio con riferimento ad un diverso periodo di imposta. Correttamente, pertanto, la sentenza impugnata ha affermato che la mancata contestazione della dichiarazione Ici per precedenti annualità non può essere considerata, né un errore, né un’omissione.

Il principio (anche di matrice comunitaria) dell’affidamento è, infatti, volto a salvaguardare le situazioni soggettive che si sono consolidate per effetto di atti o comportamenti della stessa amministrazione idonei ad ingenerare un ragionevole affidamento nel destinatario dell’atto e l’interpretazione amministrativa della norma tributaria non vincola il contribuente, né la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificarla, correggerla e anche completamente disattenderla, in quanto la materia tributaria è regolata soltanto dalla legge, con esclusione di qualunque potere o facoltà discrezionale dell’amministrazione finanziaria, stante il carattere di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta (Cass. Sez. 5, n. 8514/2019, Rv. 653346-02; Cass. Sez. 5, n. 14619/2000, Rv. 541568-01, Sez. 5, n. 11011/2003, Rv. 565047-01).

  1. Da quanto esposto segue il rigetto del ricorso. Le spese, compensate nei gradi di merito, seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti a pagare in favore del controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida nell’importo di Euro 500,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario e accessori di legge nella misura del 15%.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.

Conclusione

Così deciso il 28 giugno 2024.

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2024.


MASSIMA: La determinazione del valore venale in comune commercio ai fini Ici deve basarsi su parametri quali la zona territoriale di ubicazione, l’indice di edificabilità, la destinazione d’uso consentita, gli oneri di adattamento del terreno e i prezzi medi rilevati per aree con analoghe caratteristiche.