Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 11 giugno 2024, n. 16265
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico -Presidente
Dott. STALLA Giacomo Maria -Consigliere
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere
Dott. PENTA Andrea – Consigliere
Dott. DELL’ORFANO Antonella -Rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso n. 18776-2023 R.G. proposto da:
… Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in …, presso lo studio dell’Avvocato …, che la rappresenta e difende giusta procura allegata al ricorso -ricorrente-
contro
COMUNE DI REGGIO CALABRIA, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocato … giusta procura allegata al ricorso e con domicilio digitale eletto presso il suo indirizzo di posta elettronica certificata -controricorrente-
avverso la sentenza n. 1115/2023 della Corte di giustizia tributaria di
secondo grado della CALABRIA, depositata il 14/4/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 28/5/2024 dal Consigliere Relatore Dott.ssa ANTONELLA DELL’ORFANO;
Svolgimento del processo
… Srl (di seguito la Società) propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Calabria aveva accolto l’appello del Comune di Reggio Calabria avverso la sentenza n. 4559/2021 della Commissione tributaria provinciale di Reggio Calabria, in accoglimento del ricorso proposto dalla Società avverso sollecito di pagamento TARI 2018;
il Comune resiste con controricorso;
Motivi della decisione
1.1. con il primo motivo la ricorrente denuncia, in rubrica, “nullità della sentenza impugnata per insufficiente, inadeguata ed erronea valutazione degli atti processuali – nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 112, 115, 116 e 132 del cod. proc. civ., dell’art. 2967 del cod. civ. e dell’art. 36 del D.Lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4), del c.p.c.” per avere la Corte di giustizia tributaria di secondo grado effettuato “una insufficiente, inadeguata ed erronea valutazione degli atti processuali”, senza valutare, in particolare, la “denuncia di variazione ai fini TARES, correttiva e sostitutiva dell’erronea dichiarazione originaria presentata ai fini TARSU ” e senza tener conto che “l’impugnato sollecito di pagamento, privo di qualsiasi motivazione e di dati catastali, …(era)… sprovvisto di qualsivoglia richiamo o riferimento al “centro commerciale” e/o al “parcheggio””;
1.2. la doglianza è inammissibile;
1.3. in primo luogo, occorre evidenziare che il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (che attribuisce rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio), né in quello del precedente n. 4, disposizione che – per il tramite dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. n. 11892 del 10/06/2016);
1.3. va altresì ribadito che in tema di ricorso per cassazione, possono essere denunciate, ex art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., solo l’errata percezione e la conseguente utilizzazione, da parte del giudice di merito, di prove inesistenti e, cioè, riferite a fonti che non sono mai state dedotte in giudizio dalle parti oppure, se riferite a fatti o fonti appartenenti al processo, costituite dall’elaborazione di contenuti informativi non riconducibili a dette fonti in alcun modo, neppure in via indiretta o mediata, sempre che tali contenuti informativi abbiano, specularmente interpretati, il carattere della decisività (cfr. Cass. n. 37382 del 21/12/2022);
1.4. il lamentato errore percettivo sul contenuto oggettivo delle prove documentali dianzi indicate è quindi censurabile in sede di legittimità solo in caso di avvenuta utilizzazione, da parte del giudice di merito, di prove che non esistono nel processo (ovvero che abbiano un contenuto oggettivamente ed inequivocabilmente diverso da quello loro attribuito) e che, tuttavia, sostengono illegittimamente la decisione assunta (non già in base a una motivazione viziata, bensì) in violazione di un parametro di fonte legislativa, qualora le stesse abbiano costituito oggetto di discussione tra le parti, circostanza che non ricorre nel caso in esame, avendo la ricorrente piuttosto lamentato l’insufficiente, erronea ed inadeguata valutazione dei suddetti documenti;
2.1. con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in rubrica, “nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2967 del cod. civ., dell’art. 115 del cod. proc. civ., dell’art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992, dell’art. 1 (commi 645, 647 e 648) della l. n. 147/2013, degli artt. 7 e 9 del regolamento tari, dell’art. 53 del D.P.R. n. 1142/1949 e dell’art. 111 della Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n.
3) e n. 4), del cod. proc. civ. m” e lamenta che la Corte di giustizia tributaria di secondo grado abbia erroneamente ritenuto che il parcheggio seminterrato dovesse ritenersi oggetto di tassazione in quanto “locale”, trattandosi, al contrario, di “mera area standard o parametro urbanistico di costruzione comunque “non operativa” pertinenziale ed accessoria a locali già tassati (centro commerciale)”, non essendo il parcheggio “chiuso verso l’esterno da ogni lato”;
2.2. le doglianze formulate, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4), cod. proc. civ., sono inammissibili, avendo le censure in esame ad oggetto unicamente la pretesa violazione di norme di diritto nella sentenza impugnata;
2.3. ciò posto, la valutazione del Giudice d’appello risulta conforme al reiterato orientamento giurisprudenziale, che ha ravvisato (in relazione ad area adibita a parcheggio) che le aree frequentate da persone sono presuntivamente produttive di rifiuti (cfr. Cass. 18 luglio 2019, n. 19328, che richiama Cass. 13 marzo 2015, n. 5047 e Cass. 17 luglio 2017, n. 17311);
2.4. ai sensi dell’art. 62, comma 3, D.Lgs. n. 507/1993 (replicabile anche nella TARI ex art. 1 comma 641 legge 27 dicembre 2013 n. 147), la tassa sui rifiuti deve essere applicata nei confronti di chiunque occupi oppure conduca locali o aree scoperte ad uso privato non costituenti accessorio o pertinenza dei locali medesimi, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale;
2.5. per locali si intendono, dunque, le strutture stabilmente infisse al suolo, chiuse da ogni lato verso l’esterno, anche se non conformi alle disposizioni urbanistico-edilizie, mentre per aree scoperte, sia le superfici prive di edifici o di strutture edilizie, sia gli spazi circoscritti che non costituiscono locale, e soggette a tributo sono, ad esempio, anche le aree coperte o scoperte destinate a parcheggi frequentate da persone e, quindi, presuntivamente produttive di rifiuti (Cass. 17 settembre 2019 n. 23058; Cass. 11 aprile 2018 n. 8908; Cass. 26 luglio 2017 n. 18500; Cass. 15 luglio 2016 n. 17623; Cass. 13 marzo 2015 n. 5047; Cass. 1 luglio 2004 n. 12084);
2.6. come si è detto, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, dal quale questo Collegio non ha motivo di discostarsi, “i parcheggi sono aree frequentate da persone e, quindi, presuntivamente produttive di rifiuti” (cfr. Cass del 13.03.2015, n. 5047; Cass. del 26.06.2017, n. 17311; Cass. del 18.07.2019, n. 19328; Cass. del 31.08.2022, n. 25630, in motiv.);
2.7. in questa prospettiva il presupposto impositivo è costituito dal solo fatto oggettivo dell’occupazione o della detenzione del locale o dell’area scoperta, e prescinde, quindi, del tutto dal titolo, giuridico o di fatto, in base al quale l’area o il locale sono occupati o detenuti, spettando quindi al contribuente, in ossequio alla regola generale, dedurre e provare il presupposto dell’esenzione e cioè la concreta inidoneità dell’area alla produzione dei rifiuti (ad esempio la mancata utilizzazione e/o utilizzabilità dell’area; cfr Cass. 14/09/2016, n. 18054) ovvero il rapporto di pertinenzialità con i locali tassati;
2.8. questa Corte, con la sentenza 11 aprile 2018, n. 8908, nel caso di un parcheggio di un centro commerciale, ha peraltro chiarito che il vincolo di destinazione “ad uso pubblico” del parcheggio non giustifica l’esonero dal pagamento del tributo;
2.9. ne consegue che ciò che rileva è la mera idoneità dei locali e delle aree a produrre rifiuti a causa della presenza umana, a prescindere dall’effettiva produzione degli stessi e dalla destinazione funzionale dell’immobile, e ricorre, sul punto specifico, quanto più volte osservato da questa Corte, da cui si evince che l’esenzione non opera per le aree scoperte – non produttive di rifiuti speciali non assimilabili – anche se funzionalmente collegate alle aree del processo industriale, essendo stato stabilito da Cass. 4.12.2009, n. 25573 (così anche in Cass. 5.05.2010, n. 10813 ed altre successive) che “in tema di tassa sullo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sono escluse dalla determinazione della superficie tassabile, ai sensi dell’art. 62, comma 3, del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, le porzioni di aree dove, per specifiche caratteristiche strutturali e per destinazione, si formano, di regola, rifiuti speciali, tossici o nocivi, ivi compresi quelli derivanti da lavorazioni industriali – allo smaltimento dei quali sono tenuti a provvedere a proprie spese i produttori dei rifiuti stessi in base alle norme vigenti -, ma non anche i locali e le aree destinati all’immagazzinamento dei prodotti finiti, i quali rientrano nella previsione di generale tassabilità posta dall’art. 62, comma 1, prima parte… non assume(ndo)… rilievo, infatti, il collegamento funzionale con l’area produttiva, destinata alla lavorazione industriale, delle aree destinate all’immagazzinamento dei prodotti finiti, come di tutte le altre aree di uno stabilimento industriale, tra cui quelle adibite a parcheggio, a mensa e ad uffici, non essendo stato previsto tale collegamento funzionale fra aree come causa di esclusione dalla tassazione neanche dalla legislazione precedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 507 del 1993” (cfr. Cass. n.18500 del 26 luglio 2017);
2.10. ne deriva che la società contribuente è tenuta a pagare la tassa per i parcheggi (che si tratti di aree coperte o scoperte; cfr. Cass. n. 8908 dell’11.4.2018 in motiv.) in quanto essi sono aree frequentate da persone e quindi produttive di rifiuti in via presuntiva, rimanendo a suo carico l’onere di provare con apposita denuncia (circostanza esclusa dai giudici d’appello nel caso di specie) ed idonea documentazione la sussistenza dei presupposti per l’esenzione (cfr. Cass. n. 5047 del 13/03/2015), posto che, come affermato da questa Corte con la pronuncia n. 17434/2017, le aree frequentate da persone (tali essendo ovviamente i parcheggi) sono in genere da considerare produttive di rifiuti, e quindi assoggettate a tassazione, in considerazione del naturale flusso giornaliero di autovetture nei parcheggi medesimi;
2.11. in definitiva, sono pienamente applicabili, per identità di ratio, anche alla TARI i principi affermati da questa Corte con l’ordinanza 16 giugno 2021, n. 17030 con riguardo alla TARSU, secondo cui l’art. 62, comma 1, D.Lgs. n. 507 del 1993 pone una presunzione legale relativa di produzione di rifiuti, sicché, al fine dell’esenzione dalla tassazione, è onere del contribuente indicare nella denuncia originaria o in quella di variazione le obiettive condizioni di inutilizzabilità e provarle in giudizio in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione, elementi che sono stati esclusi in fatto dalla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, con accertamento insindacabile in questa sede, se non nei limiti della censura ex art. 360 n. 5 cod. proc. civ. (non formulata dalla ricorrente);
3.1. con il terzo motivo la Società denuncia, in rubrica, “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1 (commi 646, 648, 660, 684, 685 e 686) della l. n. 147/2013, degli artt. 9, 10, 36, 37 e 38 del regolamento TARI, dell’art. 10 (comma 1) della l. n. 212/2000, degli artt. 19 e 61 del D.Lgs. n. 546/1992 e degli artt. 3, 53 e 97 della Costituzione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3), del c.p.c.” per avere la Corte di giustizia tributaria di secondo grado omesso di tenere conto “della presentazione della denuncia di variazione presentata ai fini TARES, correttiva e sostitutiva dell’erronea dichiarazione originaria presentata ai fini TARSU”;
3.2. la doglianza va parimenti disattesa;
3.3.invero, come si è detto in materia di TARI, costituiscono presupposto impositivo l’occupazione o la conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, non costituenti accessorio o pertinenza degli stessi, ad esclusione delle aree scoperte pertinenziali o accessorie ad abitazioni, e dei locali e delle aree che, per la loro natura o il particolare uso cui sono stabilmente destinate, o perché risultino in obiettive condizioni di non utilizzabilità, non possono produrre rifiuti, ma tali esclusioni non sono, tuttavia, automatiche, perché la detta norma, ponendo una presunzione iuris tantum di produttività, superabile solo dalla prova contraria del detentore dell’area, dispone altresì che le circostanze escludenti la produttività e la tassabilità siano dedotte “nella denuncia originaria” o in quella “di variazione”, e debitamente riscontrate in base ad elementi obiettivi direttamente rilevabili o ad idonea documentazione, il che esclude, quindi, che il Comune fosse tenuto a tener conto della riduzione dell’area soggetta a tassazione sulla scorta della mera denuncia di variazione presentata da quest’ultima (cfr. Cass. 31460 del 03/12/2019 in materia di TARSU, ma applicabile anche all’odierna fattispecie);
- in conclusione, il ricorso va integralmente respinto;
- le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo;
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore del Comune controricorrente, liquidate in misura pari ad Euro 6.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, tenutasi in modalità da remoto, della Corte di Cassazione, Sezione Tributaria, in data 28.5.2024.
Depositato in Cancelleria l’11 giugno 2024
MASSIMA: In materia di TARI, costituiscono presupposto impositivo l’occupazione o la conduzione di locali ed aree scoperte, adibiti a qualsiasi uso privato, non costituenti accessorio o pertinenza degli stessi. I parcheggi coperti o scoperti, anche se gratuiti e gestiti direttamente dai centri commerciali, sono considerati aree frequentate da persone e quindi presuntivamente produttive di rifiuti, e di conseguenza soggette alla tassazione.