Cass. civ., sez. V, ord., 29 ottobre 2021 n. 30966


Svolgimento del processo

Con sentenza n. 6239/16, depositata l’01/07/2016, la CTR della Campania, riformando la pronuncia di primo grado, ha accolto l’originario ricorso del contribuente avverso gli avvisi di accertamento notificati il 30/10/2012 riferiti ad ICI dovuta per gli anni 2003, 2004, 2005 e 2006, ritenendo maturata la decadenza quinquennale prevista dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161.

Avverso la sentenza della CTR, il Comune ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

Si è difeso con controricorso il contribuente, che ha mutato difensore in corso di causa, il quale ha depositato memoria ex art. 380 bis.1. c.p.c..

L’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e la falsa applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, e degli artt. 2964 e 2966 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), ed anche la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. per avere la CTR ritenuto che il Comune fosse decaduto dal diritto di ottenere il pagamento del tributo, qualificando i due avvisi notificati il 30/12/2008 e il 29/10/2009 come delle mere “prese d’atto” degli acconti versati per l’imposta riferita agli anni 2003 e 2004, a seguito della presentazione dell’istanza di sanatoria edilizia, senza considerare che, invece, con tali avvisi il Comune aveva anche anticipato che, poi, avrebbe provveduto al recupero del saldo, sulla base della rendita definitivamente attribuita, e che tale rendita era stata determinata a seguito della dichiarazione DOCFA, presentata dal contribuente nel 2011 e modificata dall’Ufficio nel 2012, sicché solo all’esito della definitiva sua determinazione era stato possibile emettere gli avvisi di accertamento impugnati.

Il secondo motivo di ricorso contiene due distinte censure.

Con la prima censura è dedotta la violazione e la falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 41, della L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 1, e del D.Lgs. n. 504 del 1994, art. 11 (rectius 1992), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR erroneamente ritenuto che fosse intervenuta la decadenza, senza tenere conto che, nella specie, la definitiva attribuzione della rendita era ex lege retroattiva e poteva essere utilizzata per rideterminare l’imposta anche per i precedenti periodi ancora soggetti ad accertamento, senza la necessità della previa notifica dell’atto di classamento, adottato a seguito di dichiarazione DOCFA. Con la seconda censura è dedotta l’omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e comunque la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per avere la CTR affermato la decadenza dal potere impositivo, senza valutare gli elementi di prova offerti e le incontestate deduzioni del Comune a sostegno delle proprie difese, come invece operato dal giudice di primo grado.

  1. Deve essere accolta l’eccezione di inammissibilità per difetto di specificità delle doglianze di parte ricorrente solo con riferimento a quelle riportate nella seconda censura del secondo motivo di ricorso.

Questa Corte ha più volte affermato che, poiché la finalità della norma di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, è quella di assicurare che il ricorso per cassazione presenti l’autonomia necessaria a consentire, senza il sussidio di altre fonti, l’immediata e pronta individuazione delle questioni da risolvere, sono inammissibili quei motivi che, anziché precisare le ragioni delle proposte censure, si esauriscano in una generica postulazione di erroneità della sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. L, n. 17308 del 30/08/2004) o si sostanzino nella mera riproposizione delle tesi difensive svolte nelle fasi di merito, disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, determinandosi in tal modo una mera contrapposizione della valutazione del ricorrente al giudizio espresso dalla sentenza impugnata, che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (Cass., Sez. 1, n. 22478 del 24/09/2018).

Nella specie si è verificata proprio quest’ultima evenienza perché, nella doglianza richiamata, il Comune ha criticato la decisione assunta dalla CTR, per avere accolto l’eccezione preliminare di intervenuta decadenza invece di aderire, come aveva fatto il giudice di primo grado, alla prospettazione da lui offerta e riportata in ricorso. Agli argomenti del giudice del gravame, sono semplicemente contrapposti quelli del ricorrente, senza spiegare le ragioni della ritenuta erroneità dei primi.

  1. I rilievi di inammissibilità riferiti alle altre censure sono, invece, infondati, essendo sufficientemente determinato il thema decidendum in riferimento al capo della decisione censurato ed anche in relazione alle ragioni che fondano le critiche mosse.
  2. Il primo motivo di ricorso e la prima censura del secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in ragione della stretta connessione logico-giuridica tra loro esistente, risultando solo in parte fondati, nei termini di seguito evidenziati.

4.1. Com’è noto, la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161 (legge finanziaria 2007) prevede che “Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”.

La norma ha unificato e aumentato a cinque anni i termini in precedenza regolati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 71, comma 1, (abrogato dal L. n. 296 del 2006, menzionato art. 1, comma 172), il quale stabiliva che “In caso di denuncia infedele o incompleta, l’ufficio comunale provvede ad emettere, relativamente all’anno di presentazione della denuncia ed a quello precedente per la parte di cui all’art. 64, comma 2, avviso di accertamento in rettifica, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del terzo anno successivo a quello di presentazione della denuncia stessa. In caso di omessa denuncia, l’ufficio emette avviso di accertamento d’ufficio, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui la denuncia doveva essere presentata”.

Inoltre, in forza della L. n. 296 del 2006, stesso art. 1, comma 171, quanto disposto dal precedente comma 161 non opera solo per i rapporti d’imposta sorti successivamente alla data di entrata in vigore della L. cit., ma anche per quelli che, a tale data, risultano ancora pendenti.

Ai tributi dovuti per annualità precedenti al 2007, per i quali, alla data del 1 gennaio 2007, non è ancora intervenuta la decadenza in base alla disciplina previgente, si applica, dunque, il nuovo termine decadenziale (v., in argomento, Cass., Sez. 5, n. 24187/2016).

4.2. Non è controverso che, nel caso di specie, operi la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, che prevede il sopra descritto termine di decadenza quinquennale.

In effetti, tale termine, in base alla disciplina previgente, era quadriennale, essendo attinente alla omessa denuncia di fatti (le nuove opere abusive oggetto di regolarizzazione) che influiscono sulla quantificazione dell’imposta, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4, (non operando, per i periodi di imposta in questione, la semplificazione introdotta, a partire dal 2008, dal D.L. n. 223, art. 37, comma 533, conv. con modif. in L. n. 248 del 2006), sicché, alla data di entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, e cioè al 1 gennaio 2007, il Comune non era ancora decaduto dal potere di accertare le imposte dovute dal 2003 in avanti.

4.3. La fattispecie è tuttavia particolare, perché, come sopra già evidenziato, entrambe le parti hanno dedotto che il contribuente ha presentato, nel 2004, istanza di sanatoria di illeciti edilizi (anche se proprio il contribuente ha dedotto che tale istanza ha riguardato uno solo degli immobili a cui si riferisce la richiesta di pagamento dell’ICI con gli avvisi impugnati: v. il motivo di ricorso in primo grado, la statuizione della CTP e il corrispondente motivo di appello, riportati nel ricorso per cassazione; v. anche la sentenza impugnata e il controricorso sul punto).

E’ altresì incontestato che, a seguito della presentazione di tale domanda di sanatoria, il Comune ha notificato al contribuente due avvisi (rispettivamente il 30/12/2008 e il 29/10/2009), ove, oltre a prendere atto degli acconti versati per l’imposta dovuta negli anni 2003 e 2004, ha anche anticipato che avrebbe effettuato il recupero del saldo sulla base della rendita definitivamente attribuita.

Il Comune ha poi dedotto di avere notificato al contribuente il 23/07/2010 il provvedimento prot. n. 17795 del 22/07/2010, con il quale, preso atto della mancata attivazione da parte di quest’ultimo della procedura DOCFA, gli ha intimato di provvedere a tale adempimento.

Entrambe le parti hanno, infine, affermato che il contribuente ha comunque presentato la menzionata dichiarazione DOCFA nel 2011 e che l’Agenzia del territorio ha apportato modifiche alla rendita ivi indicata nel 2012.

4.4. Com’è noto, ai sensi della L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 41, “Per i fabbricati oggetto della regolarizzazione degli illeciti edilizi di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 32, convertito, con modificazioni, dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, l’imposta comunale sugli immobili prevista dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, è dovuta, in ogni caso, con decorrenza dal 1 gennaio 2003 sulla base della rendita catastale attribuita a seguito della procedura di regolarizzazione, sempre che la data di ultimazione dei lavori o quella in cui il fabbricato è comunque utilizzato sia antecedente. Il versamento dell’imposta relativo a dette annualità è effettuato a titolo di acconto, salvo conguaglio, in due rate di uguale importo entro i termini ordinari di pagamento dell’imposta per l’anno 2004, in misura pari a 2 Euro per ogni metro quadrato di opera edilizia regolarizzata per ogni anno di imposta”.

Secondo tale disciplina, del tutto derogatoria rispetto a quella generale (regolata dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2), l’ICI è dovuta con decorrenza retroattiva dal 1 gennaio 2003, sulla base della rendita catastale attribuita a seguito della procedura di regolarizzazione, sempre che la data di ultimazione dei lavori o quella in cui il fabbricato è comunque utilizzato sia antecedente.

Tale disposizione opera per tutti i fabbricati che sono stati oggetto della regolarizzazione degli illeciti edilizi di cui al D.L. n. 269 del 2003, art. 32, conv. con modif. in L. n. 326 del 2003, avendo la norma la chiara finalità di non premiare ulteriormente chi ha già usufruito della sanatoria degli abusi edilizi, avvantaggiandosi anche del tempo necessario al completamento della procedura.

Nel caso di specie è incontroverso tra le parti che sia stata presentata tale domanda di regolarizzazione.

4.5. E’ tuttavia evidente che tale disciplina non può influire su quella relativa all’esercizio del potere accertativo (agli stessi risultati è pervenuta Cass., Sez. 5, n. 17036 del 16/06/2021, in una analoga controversia riguardante lo stesso Comune; contra Cass., Sez. 5, n. 8056 del 24/03/2021).

La circostanza che, in base alla L. n. 350 del 2003, art. 2, comma 41, la modifica della rendita catastale abbia effetto retroattivo sino al 1 gennaio 2003 non esonera l’Amministrazione dal dovere di attivarsi nel termine previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, per accertare l’imposta dovuta.

A prescindere dagli effetti, retroattivi o meno, della variazione catastale, operata a seguito della regolarizzazione edilizia, comunque restano i limiti temporali all’esercizio da parte dell’Amministrazione del potere impositivo.

Come precisato da questa Corte, il termine stabilito a pena di decadenza per l’esercizio di tale potere, a differenza di quello prescrizionale, è insuscettibile d’interruzione (cfr. Cass., Sez. 6-5, n. 9749 del 19/04/2018).

Ciò significa che nessun valore può essere attribuito, al fine di posticipare il decorso del termine di decadenza, ai due avvisi notificati rispettivamente il 30/12/2008 e il 29/10/2009, con i quali il Comune ha preso atto degli acconti versati a titolo di ICI dovuta per gli anni 2003 e 2004, anticipando che avrebbe, poi, provveduto a recuperare il saldo sulla base della rendita definitivamente attribuita. Nessun rilievo assume neppure l’intimazione, notificata al contribuente il 23/07/2010, con cui il medesimo Comune ha intimato a quest’ultimo di attivare la procedura DOCFA. Né può ritenersi che tali atti rivestano essi stessi la natura di atti impositivi, tenuto conto che in essi non è compiuto l’accertamento del credito d’imposta definitivamente dovuto negli anni di riferimento.

Si consideri che la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, (legge finanziaria 2005) stabilisce che “I comuni, constatata la presenza di immobili di proprietà privata non dichiarati in catasto ovvero la sussistenza di situazioni di fatto non più coerenti con i classamenti catastali per intervenute variazioni edilizie, richiedono ai titolari di diritti reali sulle unità immobiliari interessate la presentazione di atti di aggiornamento redatti ai sensi del regolamento di cui al D.M. Finanze 19 aprile 1994, n. 701. La richiesta, contenente gli elementi constatati, tra i quali, qualora accertata, la data cui riferire la mancata presentazione della denuncia catastale, è notificata ai soggetti interessati e comunicata, con gli estremi di notificazione, agli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio. Se i soggetti interessati non ottemperano alla richiesta entro novanta giorni dalla notificazione, gli uffici provinciali dell’Agenzia del territorio provvedono, con oneri a carico dell’interessato, alla iscrizione in catasto dell’immobile non accatastato ovvero alla verifica del classamento delle unità immobiliari segnalate, notificando le risultanze del classamento e la relativa rendita…”.

Nel caso di specie, il Comune ha dedotto di avere notificato solo nel 2010 il provvedimento con il quale, preso atto della mancata attivazione della procedura DOCFA da parte del contribuente, lo ha intimato a provvedere in tal senso.

A prescindere da tale intimazione, notificata nel 2010, e dagli avvisi sopra menzionati, notificati nel 2008 e nel 2009 (che, come sopra evidenziato, non costituiscono atti impositivi e, quindi, non possono produrre alcun effetto interruttivo del termine di decadenza), gli unici atti di accertamento notificati dal Comune, riferiti alle imposte oggetto di giudizio, risultano essere quelli in questa sede impugnati, notificati nel 2012.

4.6. Non assumono rilievo neppure gli argomenti derivati dall’interpretazione offerta da questa Corte alla L. n. 342 del 2000, art. 74, comma 1 ove, in tema di ICI, si precisa che, a seguito di rettifica del classamento operato dal contribuente con procedura DOCFA, la successiva attribuzione, da parte dell’ente impositore, della rendita catastale costituisce la base imponibile anche per le annualità “sospese” suscettibili di accertamento ovvero di liquidazione e rimborso, a cui il Comune ha aggiunto la precisazione secondo la quale, in questi casi, non è necessaria la preventiva notificazione dell’atto attributivo della nuova rendita al contribuente.

La possibilità di applicazione retroattiva della rendita, come sopra menzionata, non influisce, infatti, sulla disciplina legale riguardante il termine per l’esercizio del potere impositivo, posto che tale possibilità attiene, appunto, alle annualità per le quali non si è ancora verificata la decadenza.

4.7. Si deve però evidenziare, nel verificare l’intervenuta decadenza, in applicazione della disciplina introdotta dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, il termine iniziale decorre dall’anno successivo al periodo d’imposta di riferimento. Come sopra precisato, infatti, si tratta di accertamenti derivanti da omessa denuncia di una variazione (l’emersione di una maggiore rendita catastale a seguito della presentazione della domanda di regolarizzazione edilizia), che influisce sulla determinazione del tributo, da denunciarsi entro l’anno successivo, nei termini indicati dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4, (non opera, per i periodi di imposta in questione, la semplificazione introdotta, a partire dal 2008, dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, conv. con modif. in L. n. 248 del 2006). A titolo esemplificativo, dunque, in caso di omessa dichiarazione di sopravvenienze rilevanti ai fini dell’imposta, verificatesi nell’anno 2000, il termine per notificare l’avviso di accertamento scade il 31/12/2006, perché la relativa dichiarazione deve essere effettuata entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2000, che scade nel 2001 (in questo senso, v. Cass., Sez. 5, n. 16833 del 15/06/2021; Cass., Sez. 5, n. 352 del 13/01/2021).

Peraltro, l’obbligo di dichiarazione dell’iniziale possesso dell’immobile ai fini ICI, fino a quando è rimasto in vigore, come pure l’obbligo di dichiarazione delle variazioni non cessa allo scadere del termine stabilito dal legislatore con riferimento all’inizio del possesso, ma permane finché la dichiarazione (o la denuncia di variazione) sia presentata, configurandosi, in caso di inosservanza, un’autonoma violazione per ogni anno d’imposta, punibile ai sensi del D.Lg. n. 504, art. 14, comma 1, D.Lgs. n. 504 del 1992.

Poiché, infatti, la presentazione della dichiarazione produce effetto (in mancanza di variazioni) anche per gli anni successivi e tale effetto può ovviamente verificarsi solo in presenza, e non in assenza, di una dichiarazione, la violazione del relativo obbligo non ha natura istantanea e non si esaurisce con la mera violazione del primo termine fissato dal legislatore, sicché, ove la dichiarazione sia stata omessa in relazione ad un’annualità d’imposta, l’obbligo non viene meno in relazione all’annualità successiva (Cass., Sez. 5, n. 16833 del 15/06/2021).

La CTR, nella sentenza impugnata, non ha effettuato la valutazione in tali termini, così dando una non corretta applicazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161.

Si consideri che questa Corte ha più volte affermato che, in virtù della funzione del giudizio di legittimità di garantire l’osservanza e l’uniforme interpretazione della legge, nonché in ragione di quanto prevede la norma di cui all’art. 384 c.p.c., comma 2, deve ritenersi che, nell’esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l’esperimento di ulteriori indagini di fatto. Ovviamente, l’esercizio del potere di qualificazione non deve confliggere con il principio del monopolio della parte nell’esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l’efficacia giuridica di un fatto, se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l’integrazione di una eccezione in senso stretto (v. da ultimo Cass., Sez. 1, n. 27704 del 03/12/2020 e Cass., Sez. 3, n. 18775 del 28/07/2017; allo stesso risultato è pervenuta Cass., Sez. 5, n. 17036 del 16/06/2021).

Nel caso di specie il Comune ha censurato la decisione della CTR, nella parte in cui ha ritenuto essere intervenuta la decadenza dal potere impositivo del Comune con riferimento a tutti i periodi di imposta, invocando la violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, che, tuttavia, come appena evidenziato, in caso di omessa dichiarazione, richiede il computo nei termini sopra indicati, che portano a risultati diversi da quelli a cui è pervenuta la sentenza impugnata.

Nell’esaminare le censure come sopra formulata, questa Corte non può pertanto esimersi dal verificare la corretta interpretazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, peraltro indicato tra le norme violate, sia pure sotto profili diversi (v. Cass., Sez. 5, n. 17036 del 16/06/2021).

4.8. La sentenza deve sul punto essere cassata, in applicazione del seguente principio: “in materia di ICI, la verifica della decadenza del potere impositivo, in caso di mancata denuncia di sopravvenienze rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta, deve essere effettuata considerando che il termine quinquennale, previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, comincia a decorrere, per ciascun periodo d’imposta, dall’anno successivo a quello di riferimento, perché è entro quell’anno che tali sopravvenienze devono essere denunciate, come stabilito dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4, (disciplina previgente alle disposizioni introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, conv. con modif. in L. n. 248 del 2006).”.

  1. Non è possibile decidere nel merito, poiché vi sono censure formulate in appello che la CTR ha implicitamente ritenuto assorbite dalle statuizioni sulla decadenza, che devono essere ancora esaminate dal giudice di merito (v. p. 2 della sentenza impugnata e argomenti illustrati nel controricorso).
  2. In conclusione, in accoglimento del primo motivo di ricorso e della prima censura del secondo motivo nei limiti di cui in motivazione, dichiarata inammissibile la seconda censura del secondo motivo, la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti indicati con rinvio della causa alla CTR della Campania, in diversa composizione.
  3. La CTR provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M. 

La Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso e la prima censura del secondo motivo, nei limiti di cui in motivazione e, dichiarata inammissibile la seconda censura del secondo motivo, cassa la sentenza impugnata nei limiti indicati, con rinvio della causa, anche per la statuizione sulle spese del presente giudizio, alla CTR della Campania, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione mediante collegamento “da remoto”, il 21 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 ottobre 2021


COMMENTO– La vicenda in esame trae origine dall’impugnazione di alcuni avvisi di accertamento riferiti ad ICI dovuta per le annualità di imposta 2003, 2004, 2005 e 2006 e notificati al contribuente il 30 ottobre 2012.

In primo grado il ricorso veniva respinto, ma tale decisione era interamente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania che, ritenendo maturato il termine di decadenza quinquennale per l’esercizio del potere impositivo, ex art. 1, comma 161, Legge 27 dicembre 2006 n. 296, con riferimento a tutte le annualità di imposta controverse, accoglieva integralmente l’originario ricorso del contribuente.

Avverso tale decisione l’Ente locale propone ricorso per Cassazione, che con l’ordinanza in commento trova almeno parziale accoglimento.

A fondamento della propria decisione, la Suprema Corte premette come la disciplina dei termini di decadenza, entro i quali l’Amministrazione locale deve esercitare il proprio potere di accertamento (art. 1, comma 161, Legge 296/2006), resti del tutto insensibile alla previsione dell’art. 2, comma 41, Legge 24 dicembre 2003 n. 350.

Quest’ultimo stabilisce che, per tutti i fabbricati che siano stati oggetto della regolarizzazione degli illeciti edilizi di cui all’art. 32 D.L. 30 settembre 2003 n. 269, convertito con modificazioni in Legge 24 novembre 2003 n. 326, l’ICI è dovuta con decorrenza retroattiva dal 1° gennaio 2003, sulla base della rendita catastale attribuita a seguito della procedura di regolarizzazione, sempre che la data di ultimazione dei lavori o quella in cui il fabbricato è comunque utilizzato sia antecedente.

Tale disciplina, del tutto derogatoria rispetto a quella generale di cui all’art. 5, comma 2, D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504, ha la finalità di non premiare ulteriormente chi abbia già usufruito della sanatoria degli abusi edilizi, impedendogli di avvantaggiarsi anche del tempo necessario per il completamento della procedura.

Essa, tuttavia, non può influire in alcun modo sulla disciplina relativa all’esercizio del potere accertativo da parte degli Enti locali (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, ord., 23 marzo 2021 n. 8056 e Cass. civ., sez. V, ord., 16 giugno 2021 n. 17036).

Pertanto, la circostanza che la modifica della rendita catastale abbia effetto retroattivo sino al 1° gennaio 2003 non esonera l’Amministrazione dal dovere (i.e.: onere) di esercitare il proprio potere di accertamento nel termine perentorio di decadenza di cui all’art. 1, comma 161, Legge 27 dicembre 2006 n. 296 (cd. “legge finanziaria 2007”).

Tale norma – secondo la quale “Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati” – ha unificato ed aumentato a cinque anni i termini in precedenza regolati dall’art. 71, comma 1, D.lgs. 15 novembre 1993 n. 507 (norma, quest’ultima, abrogata dall’art. 1, comma 172, Legge 296/2006).

Il nuovo termine di decadenza stabilito dall’art. 1, comma 161, Legge 296/2006 (“31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati”) opera anche per i rapporti già pendenti, purché non ancora esauriti, alla data di entrata in vigore della Legge 296/2006 (i.e.: 1° gennaio 2007), stante quanto disposto dall’art. 1, comma 171, della stessa (“Le norme di cui ai commi da 161 a 170 si applicano anche ai rapporti di imposta pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge.”).

Pertanto, ai tributi dovuti per annualità precedenti al 2007, per i quali, alla data del 1° gennaio 2007, non è ancora intervenuta la decadenza in base alla disciplina previgente, si applica il nuovo termine di decadenza di cui all’art. 1, comma 161, Legge 296/2006 (si veda, in tal senso, Cass. civ., sez. V, 29 novembre 2016 n. 24187).

Tale è appunto la fattispecie ricorrente nel caso in esame, in cui le annualità di imposta contestate, soggette ad un termine di decadenza quadriennale in base all’abrogato art. 71, comma 1, D.lgs. 507/1993 (in quanto riferite ad una “omessa denuncia”), risultavano tutte ancora pendenti alla data del 1° gennaio 2007, e come tali assoggettate al nuovo termine di decadenza quinquennale previsto dall’art. 1, comma 161, Legge 296/2006.

In altri termini, quindi, a prescindere dagli effetti (retroattivi o non retroattivi) della variazione catastale, che venga operata a seguito della regolarizzazione edilizia, restano in ogni caso fermi i limiti temporali per l’esercizio del potere impositivo da parte dell’Amministrazione.

Del resto, infatti, il termine stabilito a pena di decadenza dall’esercizio del potere impositivo, a differenza di quello di prescrizione, non è suscettibile di interruzione, a garanzia del corretto instaurarsi del rapporto giuridico tributario (Cass. civ. Sez. VI-5, ord., 19 aprile 2018 n. 9749).

Non può quindi essere attribuito alcun valore, al fine di posticipare il decorso del termine di decadenza, agli avvisi con i quali il Comune aveva preso atto degli acconti versati a titolo di ICI dovuta per gli anni 2003 e 2004, riservandosi la facoltà di recuperare il saldo sulla base della rendita definitivamente attribuita. Parimenti, non riveste alcun valore interruttivo del termine di decadenza l’intimazione con la quale il Comune aveva ingiunto al contribuente di attivare la procedura DOCFA. Entrambi tali atti, seppure regolarmente notificati al contribuente, non rivestono infatti la natura di atti impositivi, poiché in essi non è compiuto l’accertamento del credito di imposta definitivamente dovuto per gli anni di riferimento.

Pertanto, gli unici atti di accertamento notificati dal Comune, riferiti alle annualità di imposta oggetto di giudizio, risultavano essere quelli impugnati, notificati nel 2012.

Chiarita l’applicabilità del termine di decadenza di cui all’art. 1, comma 161, Legge 296/2006, la Suprema Corte rileva però come il termine iniziale dello stesso decorra unicamente dall’anno successivo al periodo di imposta di riferimento. 

Infatti, trattandosi di accertamenti derivanti da omessa denuncia di una variazione influente sulla determinazione del tributo, il termine iniziale coincide con l’anno successivo a quello oggetto di accertamento, nel corso del quale avrebbe dovuto essere presentata la denuncia, in base all’art. 10, comma 4, D.lgs. 504/1992 (“I soggetti passivi devono dichiarare gli immobili posseduti nel territorio dello Stato … entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui il possesso ha avuto inizio …. La dichiarazione ha effetto anche per gli anni successivi sempreché non si verifichino modificazioni dei dati ed elementi dichiarati cui consegua un diverso ammontare dell’imposta dovuta; in tal caso il soggetto interessato è tenuto a denunciare nelle forme sopra indicate le modificazioni intervenute, entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui le modificazioni si sono verificate …”). Non opera infatti, per i periodi di imposta oggetto di controversia, la semplificazione introdotta dall’art. 37, comma 53, D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni in Legge 4 agosto 2006 n. 248, applicabile ratione temporis solo a partire dal 2008.

Pertanto, a titolo esemplificativo, in caso di omessa dichiarazione di sopravvenienze rilevanti ai fini dell’imposta, che si siano verificate nell’anno 2000, il termine per notificare l’avviso di accertamento scade il 31 dicembre 2006, perché la relativa dichiarazione doveva essere effettuata entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2000, che scade nel 2001 (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, ord., 13 gennaio 2021 n. 352; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 18 maggio 2021 n. 13421, già commentata su questa Rivista; Cass. civ., sez. V, ord., 15 giugno 2021 n. 16833).

Peraltro, sia l’obbligo di dichiarazione dell’iniziale possesso dell’immobile ai fini ICI, sia l’obbligo di dichiarazione delle variazioni non cessano allo scadere del termine stabilito dal Legislatore con riferimento all’inizio del possesso, ma permangono finché la dichiarazione o la denuncia di variazione siano presentate; in caso di inosservanza, si configura quindi un’autonoma violazione per ogni anno d’imposta, punibile ai sensi dell’art. 14, comma 1, D.lgs. 504/1992.

Infatti, poiché la presentazione della dichiarazione produce effetto (in mancanza di variazioni) anche per gli anni successivi e tale effetto può verificarsi solo in presenza, e non in assenza, di una dichiarazione, la violazione del relativo obbligo non ha natura istantanea e non si esaurisce con la mera violazione del primo termine fissato dal Legislatore, sicché, ove la dichiarazione sia stata omessa in relazione ad un’annualità d’imposta, l’obbligo non viene meno in relazione all’annualità successiva (si veda, in tal senso, la già richiamata Cass. civ., sez. V, ord., 15 giugno 2021 n. 16833).

Non assume rilievo, in senso contrario, neppure l’ormai consolidata interpretazione giurisprudenziale dell’art. 74, comma 1, Legge 21 novembre 2000 n. 342 secondo cui, in tema di ICI, a seguito di rettifica del classamento operato dal contribuente con procedura DOCFA, la successiva attribuzione, da parte dell’Ente impositore, della rendita catastale costituisce la base imponibile anche per le annualità “sospese” suscettibili di accertamento ovvero di liquidazione e rimborso.

La possibilità di tale applicazione retroattiva della rendita non influisce, infatti, sulla disciplina legale riguardante il termine per l’esercizio del potere impositivo, posto che tale possibilità attiene solo alle annualità per le quali non si è ancora verificata la decadenza.

La sentenza di secondo grado non si è uniformata ai predetti principi e, per tale motivo, viene annullata, in accoglimento del primo motivo di ricorso e della prima censura del secondo motivo.

Stante la presenza di censure formulate in appello, che la Commissione Tributaria Regionale aveva implicitamente ritenuto assorbite dalle statuizioni sulla decadenza, si rende necessario un esame delle stesse implicante una valutazione sui fatti, come tale preclusa al Giudice di legittimità e riservata al Giudice del merito. Per tale motivo, la Suprema Corte dispone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese relative al grado di legittimità.

Il Giudice del rinvio, al quale spetterà la decisione sul merito della controversia, dovrà attenersi al principio di diritto secondo cui “in materia di ICI, la verifica della decadenza del potere impositivo, in caso di mancata denuncia di sopravvenienze rilevanti ai fini della determinazione dell’imposta, deve essere effettuata considerando che il termine quinquennale, previsto dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 161, comincia a decorrere, per ciascun periodo d’imposta, dall’anno successivo a quello di riferimento, perché è entro quell’anno che tali sopravvenienze devono essere denunciate, come stabilito dal D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 10, comma 4, (disciplina previgente alle disposizioni introdotte dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 53, conv. con modif. in L. n. 248 del 2006).”.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma