Cass. Civ. Sez. 5 -, Sent. 7 aprile 2022, n. 11328


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – rel. Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 3002/2017 proposto da:

Comune di Fiscaglia, rappresentato e difeso dagli avv.ti …, in forza di procura a margine del ricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio sito in …, presso lo studio di questi ultimi;                             – ricorrenti –

contro

…, rappresentato e difeso dall’avv. …, elettivamente dom.to presso lo studio di …, in …;                – controricorrente –

avverso la sentenza n. 1742/2016 emessa dalla CTR Emilia Romagna e depositata il 21 aprile 2016 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 3.03.2022 dal Consigliere Dott.ssa Milena Balsamo;

lette le conclusioni rassegnate dal Procuratore Generale della Repubblica nel senso dell’accoglimento del ricorso.

Svolgimento del processo

Il Comune di Fiscaglia ricorre, con cinque motivi, nei confronti del Consorzio di Bonifica della Pianura di Ferrara per la cassazione della sentenza n. 1742/01/16 con la quale, in controversia concernente l’impugnazione dell’avviso di accertamento contenente la liquidazione dell’ICI, per l’anno di imposta 2006, in relazione ad immobile accatastato in cat. D/7, di cui il consorzio risultava usufruttuario, la CTR dell’Emilia Romagna, nel confermare la sentenza del giudice di primo grado, rigettava l’appello proposto dall’ente comunale sul rilievo che il consorzio, pur essendo concessionario, svolgesse compiti istituzionali assimilabili a quelli degli enti territoriali.

In particolare, i giudici d’appello ritenevano non potersi assimilare alla figura del concessionario di beni demaniali di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, al concessionario ex lege, il quale svolge funzioni e competenze amministrative sostanzialmente diverse da quelle assunte dal concessionario per provvedimento pattizio o per concessione contratto, svolgendo compiti istituzionali degli enti territoriali. Con la conseguente applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, in ragione del quale l’esenzione dall’Ici si doveva ritenere estesa anche ai consorzi di bonifica.

Resiste il consorzio di bonifica con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo si eccepisce la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per l’omessa pronuncia sull’eccezione di giudicato esterno proposta dal Comune con la memoria del 16 marzo 2016, primo atto difensivo successivo al passaggio in giudicato della decisione n. 22910 del 29.10.2014 della CTR dell’Emilia che aveva deciso in controversia relativa all’Ici sul medesimo fabbricato per annualità precedenti.

Con la seconda censura, che prospetta violazione dell’art. 2909 c.c., ex art. 360 c.p.c., n. 3, la ricorrente deduce che detto giudicato esplica i suoi effetti anche alla annualità oggetto della presente controversia, con l’unico limite della sopravvenienza di fatto o di diritto che muti il contesto materiale del rapporto e ne modifichi la regolamentazione; ulteriormente argomentando che la sentenza fa stato quanto agli elementi rilevanti ai fini della determinazione della pretesa tributaria comuni a più periodi di imposta.

Con il terzo motivo, che reca deduzione della nullità della sentenza per extra o ultra petizione ex art. 360 c.p.c., n. 4), si censura la sentenza impugnata per aver applicato l’esenzione di cui al cit. art. 7, anche ai consorzi, sul rilievo che trattandosi di concessionario ex lege, non poteva trovare applicazione Il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, e così respingendo il gravame sulla base di un argomento che non era stato fatto oggetto di eccezione da parte del contribuente, atteso che l’opposizione originaria si fondava sulla circostanza che il Consorzio non dovesse corrispondere l’ICI in quanto mero detentore dei beni affidati dall’ente comunale ovvero in quanto esenti ex art. 7 cit..

Con il quarto mezzo si deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, nonchè degli artt. 122 e 14 disp. gen., ex art. 360 c.p.c., n. 3. Per avere i giudici regionali escluso dalla categoria del concessionario, soggetto passivo dell’ICI ai sensi del cit. art. 3, i concessionari ex lege, che, al contrario rientrano nella predetta categoria generale; mentre quella tra concessione ex lege e concessione attizia, posta a fondamento della reiezione del gravame, è un rapporto di genere a specie, violando la CTR le disposizioni delle preleggi che stabiliscono che “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse e dell’intenzione del legislatore”.

Assume, inoltre, l’amministrazione comunale che: – sotto il profilo letterale, il legislatore ha inteso disporre che qualsiasi tipo di concessione su area demaniale rende il concessionario soggetto ad ICI; – sotto il profilo logico l’art. 2, Al comma 2, individua quali soggetti passivi il concessionario e il locatario finanziario, non proprietari e non titolari di diritti reali, in virtù del rapporto materiale con l’oggetto della concessione o della locazione; – sotto il profilo sistematico, i giudici regionali hanno trascurato di valorizzare la circostanza che quando il legislatore ha voluto esentare dall’ICI, lo ha disposto espressamente ai sensi del cit. art. 7, esonerando limitate categorie di enti pubblici, identificati con specifica elencazione e con precise limitazioni, il che esclude l’assimilazione di chi esercita funzioni assimilabili a quelle della pubblica amministrazione.

Con la quinta censura, l’ente comunale deduce la violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. D), nonchè degli artt. 122 e 14 disp. gen., e dell’art. 3 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ciò in quanto le norme di esenzione tributaria sono di stretta interpretazione, in quanto aventi natura derogatoria di previsioni impositive generali, come tali insuscettibili di estensione al di là delle ipotesi tipiche disciplinate.

In via preliminare, deve essere disattesa l’eccezione di giudicato dedotta con le prime due censure.

Risulta – dalla trascrizione del contenuto delle memorie depositate nel giudizio di appello – che l’ente comunale eccepiva l’esistenza di un giudicato esterno, intervenuto tra le medesime parti e relativo al medesimo fabbricato, ma con riferimento ad annualità precedenti al 2006, eccezione sulla quale la CTR dell’Emilia Romagna non si pronunciava.

L’amministrazione comunale invoca l’estensione del giudicato esterno formatosi nel precedente giudizio (concernente annualità d’imposta precedenti al 2006) intercorso con il medesimo contribuente – definito con decisione n. 22910 del 29.10.2014 della CTR dell’Emilia – che, pronunciandosi in merito all’applicabilità dell’Ici nei confronti del concessionario, aveva riconosciuto la legittimità dell’imposizione -, in quanto, secondo la prospettazione dell’ente locale, si tratterebbe della “medesima questione”, riproposta anche nel presente giudizio, e, dunque, comune ad entrambi i giudizi.

Occorre premettere che, perchè sia ammissibilmente denunciato per cassazione ex art. 360 c.p.c., la violazione di un giudicato esterno perpetrato dalla sentenza impugnata, occorre altresì che il ricorrente indichi quale affermazione contenuta nella decisione da cassare si ponga in contrasto con la portata della pregressa res iudicata, non potendosi devolvere alla Suprema Corte di riesaminare officiosamente ogni statuizione contenuta nella prima in rapporto ad ogni statuizione contenuta nella seconda.(v. Cass. n. 3895/2022, in motiv.).

Questa Corte, con sentenza n. 13916 resa, a Sezioni Unite, il 16 giugno 2006, ha affermato che qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituitolo scopo ed il petitum del primo. Ha aggiunto che tale efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta, assumono carattere tendenzialmente permanente.

In applicazione di tali principi è stato chiarito che, in materia tributaria, l’effetto vincolante del giudicato esterno, in relazione alle imposte periodiche, opera nei (soli) casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata (cfr. Cass. 13 dicembre 2018, n. 32254; Cass. 7 settembre 2018, n. 21824; Cass. 11 marzo 2015, n. 4832).

Si ritiene pertanto che i fatti integranti gli elementi costitutivi della fattispecie invocata dall’Ufficio, estendendosi ad una pluralità di annualità, abbiano carattere stabile e, dunque, sia presente in entrambi i giudizi l’elemento della invarianza nel tempo dei presupposti impositivi, consistente nella qualificazione giuridica del contratto o del rapporto, necessario per l’operatività dell’effetto preclusivo del giudicato.

Preliminarmente, occorre evidenziare in relazione all’eccezione di giudicato esterno sostanziale, che la preclusione del giudicato opera nel caso di giudizi identici – per soggetti, causa petendi e petitum – ma nei soli limiti dell’accertamento delle questioni di fatto e non anche in relazione alle conseguenze giuridiche (v. Cass. n. 20029/11; n. 5727/18; n. 26457/17, n. 14303/17; n. 20257/15; 21395/17).

Nel caso in esame, deve escludersi una preclusione diretta, ed anche una efficacia espansiva esterna nel presente giudizio, del giudicato panprocessuale invocato dalle parti nei precedenti gradi di merito e concernenti differenti annualità di imposta, tenuto conto che quello che viene definito “punto comune alle cause” si risolve in una questione di diritto che involge l’attività interpretativa delle norme di diritto demandata al Giudice e che nell’ordinamento processuale non può incontrare vincoli. Ritiene in conseguenza il Collegio che nella specie non possa, in ogni caso, ravvisarsi alcun vincolo di giudicato determinato dalla sentenza della Commissione tributaria nè dalle altre sentenze dei giudici di merito, nel giudizio attualmente pendente: non in relazione alla “interpretazione giuridica” della norma tributaria, ove intesa come mera argomentazione giuridica.

E’ appena il caso di rilevare, infatti, come l’attività interpretativa delle norme giuridiche compiuta da un Giudice, in quanto consustanziale allo stesso esercizio della funzione giurisdizionale, non possa mai costituire limite alla attività esegetica esercitata da un altro Giudice, dovendosi richiamare al proposito il distinto modo in cui opera il vincolo determinato dalla efficacia oggettiva del giudicato ex art. 2909 c.c., rispetto a quello imposto, in altri ordinamenti giuridici, dal principio dello “stare decisis” (cioè del precedente giurisprudenziale vincolante”) che non trova riconoscimento nell’attuale ordinamento processuale. (Cass., sez. 5, 21/10/2013, n. 23723; Cass., sez. 5, 15/07/2016, n. 14509; n. 15215/2021, in motiv.). Ne consegue che sia la interpretazione che l’individuazione della norma giuridica poste a fondamento della pronuncia sulla domanda/eccezione non limitano il giudice dell’impugnazione nell’esercizio del suo potere di individuare ed interpretare la norma applicabile al caso controverso, e non sono quindi suscettibili di passare in giudicato autonomamente dalla domanda o dal capo di essa cui si riferiscono, assolvendo ad una funzione meramente strumentale rispetto alla decisione (cfr. Cass. I sez. 29.4.1976 n. 1531; id. sez. lav. 23.12.2003 n. 19679; id. III sez. 20.10.2010 11. 216561; Cass., sez. 5, 21/10/2013, n. 23723).

In tale contesto argomentativo, va, quindi, affermato che il giudicato relativo ad un singolo periodo d’imposta non è idoneo a “fare stato” per i successivi periodi in via generalizzata ed aspecifica, bensì soltanto in relazione a quelle statuizioni che siano relative ad accertamenti di fatto rispetto ai quali possa dirsi sussistere un interesse protetto avente il carattere della durevolezza nel tempo; con la conseguenza che la sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l’entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d’imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l’accertamento relativo ai diversi anni si fondi sulla interpretazione delle norme giuridiche applicabili alla fattispecie.

L’eventualità che il giudicato, formatosi in ordine a un periodo, possa avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al medesimo tributo per un altro periodo va limitata al caso in cui si discorra degli elementi fattuali rilevanti necessariamente comuni ai distinti periodi d’imposta, onde potersene desumere che l’accertamento di fatto su tali elementi (e solo l’accertamento di fatto) debba fare stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo d’imposta diverso.

Le altre censure – che possono essere esaminate unitariamente, stante la loro stretta connessione- sono fondate.

Secondo l’assunto del consorzio, la L.R. n. 42 del 1984, all’art. 14, ha qualificato i Consorzi come consegnatari per la gestione e la manutenzione delle opere di bonifica e come concessionari per la progettazione ed esecuzione delle pere di pubbliche previste nei programmi di bonifica, inferendone l’esclusione dell’imposta comunale sui fabbricati di cui doveva ritenersi consegnatario.

In particolare, sostiene il contribuente che ai sensi dell’art. 117 Cost., la materia consortile è attribuita alla legislazione concorrente delle Regioni, le quali, indi, possono disciplinare la materia se non derogata da normativa successiva.

Occorre chiarire che la riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, con la L. Costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), ha modificato radicalmente il riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni. In particolare, non è più prevista la competenza legislativa in materia di “agricoltura e foreste”, che ora ricade nella competenza residuale del legislatore regionale, ma la disciplina della bonifica si colloca in un più complesso e multifunzionale intreccio di competenze (Corte Cost. n. 188/2018).

Nel nuovo testo dell’art. 117 Cost., vengono infatti in rilievo, oltre alla competenza regionale residuale, che comprende molti aspetti della disciplina del settore agricolo (comma 4), anche quella esclusiva dello Stato in materia di “tutela dell’ambiente” e “dell’ecosistema” (comma 2, lett. s), nonchè la competenza concorrente in materia di “governo del territorio” (comma 3). Con riferimento a detta disciplina della bonifica, pur nell’ambito di un ampliamento della competenza regionale in materia di agricoltura – da concorrente a residuale – è previsto d’altra parte il necessario rispetto sia dei “principi fondamentali” della legislazione dello Stato nella materia del “governo del territorio”, sia, più in generale, della competenza esclusiva statale in materia di “ambiente” ed “ecosistema”. Inoltre, la più specifica disciplina dei consorzi di bonifica – che la Corte ha ritenuto non essere riconducibili alla nozione di “enti locali” ai sensi del previgente art. 130 Cost., (sentenza n. 346 del 1994), ma alla categoria degli enti pubblici locali operanti nelle materie di competenza regionale, e dunque degli “enti amministrativi dipendenti dalla regione” (sentenza n. 326 del 1998) – può altresì presentare profili attinenti alla materia dell'”ordinamento civile”, di competenza esclusiva del legislatore statale; viene poi in rilievo, in particolare quanto alla regolamentazione della prestazione obbligatoria dei contributi consortili, avente natura tributaria, anche il coordinamento del sistema tributario, di competenza concorrente (art. 117 Cost., comma 3), nonchè il limite all’autonomia finanziaria delle Regioni (art. 119 Cost., comma 2). Tanto chiarito in merito al riparto di giurisdizione, occorre precisare che il rapporto tra i consorzi di bonifica e i beni del demanio loro affidati è in verità declinabile secondo lo schema della concessione a titolo gratuito; ed è un rapporto basato sulla stessa legge istitutiva dei consorzi (R.D. n. 215 del 1933), in correlazione con la funzione specifica, ivi loro assegnata, di “esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonifica (R.D. cit., art. 54). Derivando il titolo direttamente dalla legge, non è necessaria l’emanazione di un conseguente atto amministrativo propriamente concessorio.

Costituisce, difatti, principio consolidato di legittimità, condiviso da questo collegio, che “in tema di imposta comunale sugli immobili, i beni demaniali nella disponibilità dei consorzi di bonifica per l’espletamento della loro attività istituzionale sono assoggettati all’imposta, ai sensi del D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 3; trattandosi di beni non meramente detenuti dai consorzi, ma da questi posseduti in quanto loro affidati in uso per legge in qualità di soggetti obbligati alla esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere realizzate per finalità di bonifica e di preservazione idraulica” (Cass. n. 19053 del 2014).

La qualificazione attribuita – dunque – dalla citata L.R., ai consorzi quali consegnatari per la manutenzione e concessionari per l’esecuzione delle opere di bonifica, non solo non risulta contraddire la circostanza che i beni demaniali sono affidati per la manutenzione ai consorzi e che la consegna o l’affidamento devono essere declinati secondo lo schema della concessione, come affermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte; ma la stessa qualificazione dei Consorzi quali concessionari per l’esecuzione delle opere di bonifica, conferma la sussistenza del rapporto concessorio.

Del resto, pur volendo aderire alla diversa interpretazione offerta dal contribuente, non può non evidenziarsi che rispetto ai fabbricati sottoposti ad imposizione fiscale, non sussistono elementi concreti per distinguere la posizione del Consorzio (mero consegnatario o concessionario) rispetto ai fabbricati assoggettati ad imposta.

I consorzi, invero, possiedono i beni demaniali in quanto quei beni sono loro affidati in uso per legge, in qualità di soggetti obbligati alla esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere realizzate per finalità di bonifica e di preservazione idraulica. Dacchè la relazione tra il consorzio e i beni, avente titolo nella legge, non può essere relegata nell’alveo della detenzione mera, come d’altronde è indirettamente confermato dall’essere i relativi contributi (alla spesa di esecuzione e manutenzione delle opere pubbliche) considerati esigibili dai consorzi stessi come oneri reali sui fondi dei contribuenti (R.D. n. 215 del 1993, art. 21). Trattasi di possesso qualificato dal titolo. Nello stesso senso si è espressa Cass. n. 22904/14, in base alla quale: “in tema d’imposta comunale sugli immobili, i consorzi di bonifica sono concessionari dei beni demaniali loro affidati per l’espletamento della loro attività istituzionale e, quindi, soggetti all’imposta, ai sensi della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 18, anche qualora non sia applicabile la L. 2 aprile 2001, n. 136, art. 2, comma 7, in quanto non titolari di un diritto d’usufrutto che non può desumersi dalle mere risultanze catastali in assenza di un provvedimento amministrativo costitutivo di tale situazione giuridica” (così anche Cass. n. 16867/14).

Del resto, la L.R. n. 42 del 1984, pur qualificando i consorzi, ai soli fini della manutenzione delle opere di bonifica, come consegnatari e quali concessionari per la progettazione ed esecuzione di opere di bonifica, ha confermato.

Deve trovare nella specie applicazione il principio di legittimità che esattamente in termini – ha già stabilito l’inapplicabilità in materia dell’esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a). Ciò perchè tale esenzione “riguarda gli immobili posseduti dallo Stato e dagli altri enti pubblici ivi elencati, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali di questi (v. tra le tante Cass. n. 24593/10; n. 8450/05). Tra i citati soggetti, dunque, non rientra il consorzio di bonifica. Sicchè la fattispecie non poteva essere utilmente richiamata ai fini della presente controversia, neppure riguardo al concetto di finalità istituzionale, non venendone in rilievo l’ambito soggettivo”. Ciò anche in considerazione della necessità di stretta interpretazione della norma invocata dall’Associazione, “in quanto avente natura derogatoria di previsioni impositive generali, come tale insuscettibile di estensione al di là delle ipotesi tipiche disciplinate” (Cass. cit.).

Anche recentemente, questa Corte ha precisato che non è applicabile ai consorzi di bonifica l’esenzione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 7, comma 1, lett. a), del tenuto conto che la norma riguarda gli immobili posseduti dallo Stato e dagli altri enti pubblici ivi elencati, tra cui non sono compresi i consorzi di bonifica, e considerato che detta disposizione è di stretta interpretazione, avendo natura derogatoria di previsioni impositive generali, ed è quindi insuscettibile di estensione al di là delle ipotesi tipiche disciplinate (Cass., 11 ottobre 2017, n. 23833; Cass. n. 35390 del 2021). Pertanto, ai fini dell’imposizione di cui è causa, rileva il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 3, come modificato dalla L. n. 388 del 2000, art. 18, comma 3, secondo il quale soggetti passivi dell’Ici sono, da un lato, il proprietario degli immobili di cui all’art. 1, comma 2, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, sugli stessi, e dall’altro, “nel caso di concessione su aree demaniali”, il soggetto concessionario”. Secondo l’indirizzo espresso dalla Corte, non può sostenersi, pertanto, che, ai fini ICI, il consorzio di bonifica sia da considerarsi mero detentore degli immobili demaniali. Il rapporto tra i consorzi di bonifica e i beni del demanio loro affidati è declinabile secondo lo schema della concessione a titolo gratuito; ed è un rapporto basato sulla stessa legge istitutiva dei consorzi (il R.D. n. 215 del 1933), in correlazione con la funzione specifica, ivi loro assegnata, di “esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere di bonificà (R.D. cit., art. 54). I consorzi di bonifica sono dunque concessionari dei beni demaniali loro affidati per l’espletamento della loro attività istituzionale e, quindi, soggetti all’imposta, ai sensi della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 18, e non semplici incaricati alla manutenzione delle opere idrauliche, come si desume dal R.D. 13 febbraio 1933, n. 215, artt. 16, 18 e 100, per cui sono assoggettati all’imposta ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 3, comma 2, come modificato dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 8, comma 3 (Cass. n. 4186/2019; n. 23833 del 11/10/2017; Cass. n. 19053 del 2014; 22904/2014).

Da quanto osservato consegue l’accoglimento del ricorso per cassazione, con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, sussistono i presupposti per la decisione nel merito ex art. 384 c.p.c., mediante rigetto del ricorso introduttivo della parte contribuente.

Sussistono i presupposti, tenuto conto delle alterne vicende processuali, per compensare le spese del giudizio di merito.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza.

P.Q.M.

– accoglie il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso, respinti i primi due del ricorso; cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso del contribuente;

compensa le spese del giudizio di merito;

– Condanna il contribuente alla refusione delle spese di lite del presente giudizio sostenute dal Comune di Fiscaglia che liquida in Euro 900,00, oltre 200, 00 Euro per esborsi, rimborso forfettario, iva e c.p.a. come per legge.

Così deciso in Roma, nella V sezione della Corte di Cassazione, il 3 marzo 2022.

Depositato in Cancelleria il 7 aprile 2022


MASSIMA: In tema di imposta comunale sugli immobili, i beni demaniali nella disponibilità dei consorzi di bonifica per l’espletamento della loro attività istituzionale sono assoggettati all’imposta, ai sensi dell’art. 3 del d.lgs. n. 504 del 1992, non trattandosi di mera detenzione, ma di possesso qualificato di beni che gli sono affidati in uso per legge, in qualità di soggetti obbligati alla esecuzione, manutenzione ed esercizio delle opere realizzate per finalità di bonifica e di preservazione idraulica.