Cass. Civ. Sez. 5 -, Sent. 8 aprile 2022, n. 11424


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7378/2016 R.G. proposto da:

… S.R.L. ((OMISSIS)) in persona del suo procuratore speciale e legale rappresentante, elettivamente domiciliato in Roma presso lo studio dell’avv. …, … rappresentato difeso dall’avv. …;                                                                       – ricorrente –

contro

COMUNE DI FAETO, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. …. e dell’avv. …., presso il cui studio in …., è elettivamente domiciliato;                                                             – controricorrente – ricorrente incidentale –

Nel procedimento n. 7378/2016 avverso la sentenza n. 261/2016 emessa dalla CTR della Puglia depositata in data 02/02/2016;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 16/02/2022 dal Consigliere Rita Russo; sentito il Procuratore generale che conclude per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.

Svolgimento del processo

La ricorrente espone di essere proprietaria di un parco eolico, di cui ha completato i lavori in data 4 dicembre 2008, mentre l’accatastamento è stato effettuato in data 22 dicembre 2009, con decorrenza 1 settembre 2009. Espone altresì di avere calcolato VICI per l’anno 2009 considerando, per il periodo dal 1 gennaio al 31 agosto 20091i1 valore di bilancio del solo terreno, poichè fino a tale data il parco non poteva considerarsi effettivamente ultimato, e per il periodo del 1 settembre al 31 dicembre 2009 effettuando il calcolo sul valore contabile dell’immobile. Di conseguenza, la società ha versato complessivamente per l’ICI dell’anno 2009 la somma di Euro 80.722,00. In data 9 ottobre 2013 il Comune di Faeto ha notificato avviso di accertamento chiedendo VICI per l’anno 2009 nella maggiore misura di Euro 149.393,36 oltre sanzioni e interessi, applicando il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3.

La società ha quindi opposto l’avviso, con ricorso che è stato accolto in primo grado ritenendo che il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, si riferisca solo agli immobili detenuti da un’impresa che non sono stati ultimati alla data di entrata in vigore dello stesso D.Lgs..

Il Comune ha proposto appello, che è stato parzialmente accolto dalla Commissione regionale, dichiarando dovute le somme richieste dal Comune con l’avviso impugnato, con esclusione delle sanzioni. La Commissione ritiene che l’ICI debba essere calcolata dal 1 settembre 2009 al 31 Dicembre 2009 secondo i valori di bilancio dichiarati dalla società e depositati presso la Camera di Commercio, dovendosi applicare il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, e rilevando che la società pur avendo terminato i lavori il 4 dicembre 2008 non ha provveduto all’accatastamento degli immobili nei termini di legge 30 giorni ma solo in data 22 dicembre 2009. Ritiene tuttavia che non siano dovute le sanzioni per la particolare difficoltà interpretativa della vicenda processuale.

Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione la società affidandosi a tre motivi.

Si è costituito resistendo il Comune di Faeto, proponendo ricorso incidentale sul capo della sentenza che ha escluso le sanzioni.

Il Procuratore generale ha concluso per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale.

La ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

La causa è stata trattata alla udienza del 16 febbraio 2022.

Motivi della decisione

– Con il primo motivo del ricorso si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione falsa interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, nonchè della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336.

La società ricorrente deduce che a seguito dell’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 366, a decorrere dal 1 gennaio 2005 se un immobile viene ultimato e non dichiarato in catasto il Comune è obbligato a denunciarne l’esistenza all’Agenzia del territorio che provvede, in caso di inerzia del contribuente, alla iscrizione in catasto dell’immobile. Si tratta -nella prospettazione difensiva della parte- di una abrogazione di fatto del citato art. 5, in quanto qualsiasi immobile deve essere obbligatoriamente accatastato e pertanto tale procedura introdotta a far data dal 1 gennaio 2005 rende non più applicabile la (diversa) previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, essendo le due norme del tutto incompatibili tra di loro.

La società conclude il motivo di ricorso formulando una sintesi in questi termini: “dica la Corte se la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, ha posto una regolamentazione volta in ogni caso alla individuazione di un meccanismo tale per cui ogni fabbricato (di qualsiasi specie da qualsiasi soggetto posseduto) debba risultare sempre iscritto in catasto con attribuzione di rendita e con riferimento alla data di ultimazione dello stesso e se tale regolamentazione renda di fatto (o almeno in una situazione quale la presente) inapplicabile una previsione di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3”.

– Con il secondo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336. La parte deduce che qualora il titolare non abbia provveduto ad accatastare il bene entro 30 giorni dalla data di ultimazione dei lavori, il Comune non può emettere avvisi di accertamento per il recupero dell’ICI sulla base del criteri di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, ma deve preliminarmente avviare la procedura di cui al citato art. 1, comma 336, e cioè diffidare il proprietario a procedere all’accatastamento e, in caso di inerzia, l’Agenzia del territorio trascorsi 90 giorni dalla notifica deve provvedervi d’ufficio. Rileva inoltre che la rendita catastale proposta dalla società per l’accatastamento in data 22 dicembre 2009 è esattamente la stessa che sarebbe stata proposta anche con riferimento alla data del 04 dicembre 2008 e pertanto, applicata all’intero anno 2009, avrebbe determinato il pagamento di un’imposta inferiore a quella effettivamente pagata.

La società conclude il motivo di ricorso formulando una sintesi in questi termini: “dica la Corte se per un immobile ultimato nel 2008 (e non denunciato in catasto con attribuzione di rendita) la base imponibile ICI per il successivo anno 2009 debba essere quella catastale di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 2 (anche a seguito dell’applicazione da parte del Comune dell’obbligatoria procedura di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336) ovvero se tale omissione di denuncia (in perfetta buona fede) possa giustificare anche per il successivo anno 2009 l’applicazione del cosiddetto criterio del valore contabile di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3 (con applicazione di un’imposta superiore rispetto a quello effettivamente dovuta è già pagata)”.

Con la memoria depositata ex art. 378 c.p.c., la parte, insistendo nella tesi esposta con i primi due motivi di ricorso, inserisce un argomento difensivo ulteriore, così esprimendosi: in via gradata sul punto andrà stabilito da questa Corte se nel caso di specie poichè il parco eolico è stato accatastato con decorrenza dal 1 settembre 2009, il criterio di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, varrà per l’intero anno 2009 ovvero fino al 31 agosto 2009 mentre, dal 1 settembre 2009, andrà applicato il criterio della rendita catastale”.

– I motivi possono esaminarsi congiuntamente e sono infondati.

Preliminarmente si osserva che la parte formula, rubricandoli quali “sintesi del motivo”, dei veri e propri quesiti di diritto, adempimento non più necessario nel ricorso per cassazione a seguito della abrogazione dell’art. 366 bis c.p.c., operato con L. n. 69 del 2009. Detti quesiti, tuttavia, sono utili a esprimere una sintesi dei motivi ed anche a delimitare il thema decidendum poichè è non è consentito con la memoria ex art. 378 c.p.c., inserire motivi nuovi, illustrare nuove questioni nè specificare, integrare od ampliare il contenuto dei motivi originari di ricorso (Cass. civ. Sez. Un., 03/11/2020, n. 24379; Cass. civ. Sez. II, 02/09/2016, n. 17510 ass. civ. Sez. H Sent., 12/10/2017, n. 24007).

Nel merito, i motivi sono infondati, poichè il D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, e il D.Lgs. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, sono due norme che rispondono a finalità diverse e sono tra di loro indipendenti sicchè non può ritenersi che l’entrata in vigore della L. n. 311 del 2004, art. 1, abbia abrogato tacitamente il D.Lgs. n. 594 del 1992, art. 5.

– Ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), per fabbricato rilevante ai fini ICI deve intendersi l’unità immobiliare iscritta, o che deve essere iscritta, nel catasto edilizio urbano, ovvero l’immobile suscettibile di accatastamento ai sensi del R.D.L. n. 652 del 1939, artt. 1, 4, 5 e 10 (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 27 marzo 2019, n. 8536; Cass., 23 giugno 2006, n. 14673); pertanto, l’iscrizione di una unità immobiliare al catasto edilizio costituisce presupposto sufficiente per l’assoggettamento del bene all’ICI, ma non anche necessario, essendo l’imposta dovuta fin da quando il bene presenti le condizioni per la sua iscrivibilità, cioè da quando lo stesso possa essere considerato fabbricato, in ragione dell’ultimazione dei lavori relativi alla sua costruzione, ovvero dal momento in cui lo stesso sia stato antecedentemente utilizzato (Cass., 3 maggio 2019, n. 11646; Cass., 21 marzo 2019, n. 7968; Cass., 30 aprile 2015, n. 8781; Cass., 23 giugno 2010, n. 15177; Cass., 10 ottobre 2008, n. 24924). Si è, altresì, precisato, in una siffatta prospettiva, che, ai fini dell’ICI, il “presupposto dell’imposizione è che ogni area sia suscettibile di costituire un’autonoma unità immobiliare, potenzialmente produttiva di reddito”, così considerandosi tassabili tutti gli impianti rispondenti alla nozione di fabbricato (Cass., 17 aprile 2019, n. 10674; Cass., 12 aprile 2019, n. 10287; Cass., 27 marzo 2019, n. 8536; Cass., 13 febbraio 2019, n. 4221; Cass., 22 agosto 2017, n. 20259; Cass., 20 aprile 2017, n. 10031).

Il D.Lgs. n. 540 del 1992, art. 5, stabilisce, poi, che per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D (quale è il parco eolico), non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, il valore è determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare secondo i criteri stabiliti nel D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 7, comma 3, penultimo periodo, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, laddove il valore è costituito dall’ammontare, al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili applicando per ciascun anno di formazione dello stesso i coefficienti ivi indicati.

Sul punto peraltro, il contrasto emerso in seno alla giurisprudenza di legittimità in ordine alla natura dichiarativa o costitutiva della rendita con riferimento ad immobili classificabili in categoria D, ai fini della determinazione della base imponibile dell’ICI, è stato risolto dalle Sezioni Unite di questa Corte, che hanno affermato il seguente principio di diritto: “In tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicchè può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge”. (Cfr. Cass. sez. un. 9 febbraio 2011, n. 3160 e Cass. civ. sez. un. 15 febbraio 2011, n. 3666, Cass. n. 11472 del 11/05/2018; Cass. n. 16793 del 07/07/2017).

– Deve quindi osservarsi che la L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, riconosce ai Comuni, in presenza di immobili privati non accatastati, di richiedere ai titolari di diritti reali su tali immobili la presentazione di atti di aggiornamento, ferma restando la competenza in merito dell’Agenzia del territorio, con la chiara finalità di far emergere gli immobili non accatastati. Tuttavia, detta legge non ha inciso sui poteri riconosciuti ai Comuni dal citato D.Lgs. n. 504 del 1992, (V. sul punto Cass. civ. 15/03/2022 n. 8357), posto che come sopra si è detto l’iscrizione di una unità immobiliare al catasto edilizio costituisce presupposto sufficiente per l’assoggettamento del bene all’ICI, ma non anche necessario, essendo l’imposta dovuta fin da quando il bene presenti le condizioni per la sua iscrivibilità, e ciò a prescindere dalla indagine sulle ragioni di inerzia del contribuente ovvero del Comune nell’attivare la procedura di cui al citato art. 1, comma 336. Peraltro la norma invocata dal contribuente non prevede alcuna sanzione o conseguenza a carico del Comune per il caso in cui l’ente ritardi a segnalare all’Agenzia del territorio l’immobile non catastato, mentre di contro la giurisprudenza dalle sezioni unite, sopra citata, successiva alla emanazione della L. n. 311 del 2004, conferma la legittimità della applicazione del criterio di cui al citato art. 5, comma 3, fino all’anno nel quale gli immobili sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita.

– Con il terzo motivo si lamenta i sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, per omessa integrazione del contraddittorio, nonostante l’esistenza di un litisconsorzio necessario.

La ricorrente deduce che dal momento che il Comune era obbligato a seguire la procedura di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, il processo doveva necessariamente svolgersi anche con la partecipazione nel contraddittorio con l’Agenzia del territorio. Conclude con la seguente sintesi del motivo: “dica la Corte se a seguito dell’introduzione dell’obbligatoria procedura di cui alla L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, nel giudizio per la determinazione della corretta base imponibile si viene a creare una situazione di litisconsorzio necessario tra ente locale e Agenzia del territorio (ora entrate)”.

Il motivo è infondato.

Premesso quanto sopra si è detto in ordine alla diversa natura e finalità della L. n. 311 del 2004, art. 1, comma 336, rispetto al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, si deve osservare che non è qui in contestazione la rendita, quanto il metodo di determinazione della base imponibile e la circostanza che il Comune abbia preteso una maggiore ICI mentre invece avrebbe dovuto – nella prospettazione difensiva della ricorrente-attivare il procedimento per l’attribuzione di rendita.

Peraltro, pur se tra la impugnazione dell’atto di attribuzione della rendita catastale e l’atto impositivo basato sulla rendita vi è un rapporto di pregiudizialità, neppure in quel caso sussiste litisconsorzio necessario fra l’Agenzia del territorio ed il Comune, che è privo di autonoma legittimazione nella causa relativa alla rendita catastale (Cass. n. 3226 del 10/02/2021). A maggior ragione nel caso di specie non sussiste alcun interesse dell’Agenzia del territorio a partecipare al giudizio, meno che mai quale contraddittore necessario, posto che l’imposta pretesa dal Comune non è stata determinata sulla base della rendita ma in applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3.

– Con il motivo di ricorso incidentale sia lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8, e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6. Il Comune deduce che erroneamente la Commissione regionale a escluso le sanzioni pur ritenendo del tutto legittima e fondata la pretesa impositiva.

Il motivo è fondato.

La norma applicabile al caso di specie è chiara e non vi è luogo e incertezza interpretativa di nessun genere, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice d’appello, il quale peraltro non specifica neppure i parametri in relazione ai quali avrebbe individuato i presupposti per escludere le sanzioni, se non in una -genericamente e apoditticamente affermata- complessità normativa della vicenda.

Il costante orientamento di questa Corte è nel senso che in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, il potere delle Commissioni tributarie di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni in caso di obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle norme, cui la violazione si riferisce, sussiste quando la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, il cui coordinamento appaia concettualmente difficoltoso per l’equivocità del loro contenuto, derivante da elementi positivi di confusione; l’onere di allegare la ricorrenza di siffatti elementi, se esistenti, grava sul contribuente, sicchè va escluso che il giudice tributario di merito decida d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, e, di conseguenza, che sia ammissibile una censura avente ad oggetto la mancata pronuncia d’ufficio sul punto. (Cass. 4031/2012, Cass. n. 4394 del 24/02/2014 Cass. n. 13076 del 24/06/2015; Cass. n. 3108 del 01/02/2019).

Ne consegue il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento del ricorso incidentale e non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto può decidersi nel merito rigettando l’originario ricorso della contribuente anche in punto di applicazione delle sanzioni. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, compensando le spese del doppio grado di merito.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale e decidendo nel merito rigetta l’originario ricorso della contribuente anche in ordine all’applicazione delle sanzioni.

Condanna la parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5.600,00 oltre Euro 200,00 per spese non documentabili e accessori di legge. Compensa le spese del doppio grado di merito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, Camera di consiglio, il 16 febbraio 2022.

Depositato in Cancelleria il 8 aprile 2022


MASSIMA:  In tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicché può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge.