Corte d’Appello Lecce Taranto, sent. 3 maggio 2024, n. 160


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

La Corte d’Appello di Lecce sede distaccata di Taranto, sezione civile, in persona dei Magistrati

1) dott. Pietro Genoviva – Presidente

2) dott.ssa Anna Maria Marra – Consigliere

3) dott. Michele Campanale – Consigliere relatore

ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile iscritta al n.231/2022 R.G. di appello avverso la sentenza n.1124/2022 del Tribunale di Taranto, pendente

tra

…, in persona del legale rappresentante p.t. rappresentato e difeso dall’Avv. …;                                                            – appellante –

e

COMUNE di STATTE, in persona del sindaco p.t, rappresenta e difesa dall’avv. …;                                                          – appellato –

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con atto di citazione notificato il 27.01.2015 … s.p.a. proponeva opposizione al decreto ingiuntivo n.2094/2014 del 17/12/2014 con cui il Tribunale di Taranto le aveva intimato di pagare al Comune di Statte la somma di Euro 501.431,40 oltre interessi di mora. Tale somma veniva richiesta dall’ente civico quale pagamento della royalty prevista per il secondo anno di esercizio (della discarica realizzata in agro di Statte) dalla convenzione sottoscritta dalle parti a titolo di ristoro ambientale. Nello specifico, in data 15.09.2008 le parti in causa stipulavano una convenzione “per il riconoscimento di un contributo socio – ambientale a titolo di ristoro ambientale relativo alla gestione dell’impianto di rifiuti speciali localizzato in agro di Statte loc. Gravinola Vecchia”. Tale accordo prevedeva che la società avrebbe conferito, in favore del Comune, una royalty di Euro 3,50 per ogni tonnellata/anno di rifiuti conferito, per un importo complessivo stimato in Euro 553.980,00 all’anno. Tuttavia, per quel che interessa nel presente procedimento, si stabiliva che per il secondo anno di entrata in esercizio dell’impianto la società avrebbe dovuto versare un acconto pari al 90% dell’importo stimato entro il 31 maggio dello stesso anno. Ciò non avveniva e, pertanto, il Comune di Statte proponeva ricorso per decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di Euro 501.431,40 oltre interessi di mora dal 31.05.2014, così come previsto dall’art.3 della Convenzione. Nel giudizio di primo grado la C. spa oltre a proporre opposizione al d.i. chiedeva la restituzione della somma di Euro 443.184,00, poiché indebitamente versata in precedenza. A sostegno delle sue pretese l’opponente eccepiva la nullità della pattuizione, poiché la royalty annua pretesa dal comune altro non era che un tributo privo di una previsione legislativa. Sottolineava, altresì, che era nulla la pattuizione poiché frutto di un accordo transattivo su posizione indisponibili per l’ente civico, poiché legate ad interessi pubblici. Chiedeva, inoltre, la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta e la restituzione di quanto versato a titolo di royalty al Comune di Statte per l’anno 2012 pari ad Euro 443.184. Il Comune di Statte si costituiva chiedendo il rigetto dell’opposizione, valorizzando la legittimità della pretesa pecuniaria, contestando la ricostruzione giuridico – fattuale effettuata dalla controparte. In subordine, in caso di accoglimento delle richieste attoree, chiedeva la riduzione ad equità della prestazione dovuta dalla C.

Il giudice di primo grado con la sentenza n.1124 del 03.05.2022 rigettava l’opposizione al decreto ingiuntivo n.2094 del 17.12.2014 e la domanda riconvenzionale della parte attrice.

La C. s.p.a. ha impugnato la sentenza di primo grado chiedendone la riforma per i motivi che si specificheranno più avanti. Si è costituito il Comune chiedendo il rigetto dell’appello.

Con il primo motivo di appello l’appellante lamenta la violazione degli artt. 23 e 97 della Costituzione, nonché la violazione delle regole generali di azione dell’Amministrazione Pubblica e la violazione ed errata applicazione dell’art. 1418 c.c. in cui sarebbe incorso il tribunale. In altre parole, la società ripropone la censura mossa in primo grado secondo cui la clausola della convenzione del 15.09.2008, con cui le parti hanno previsto il pagamento di una royalty in favore dell’Ente Civico, sarebbe nulla, poiché consistente in un prelievo tributario senza che questo abbia una copertura legislativa. Inoltre, lamenta che la royalty ha costituito il corrispettivo per la rinuncia da parte del comune al ricorso giurisdizionale, nonostante questo sia stato promosso per far valere un interesse legittimo e dunque fosse indisponibile, non potendo l’interesse pubblico essere oggetto di negoziazione e di rinuncia.

Il motivo di appello non è condivisibile.

Infatti, la royalty richiesta dal Comune alla Società, come affermato dal primo giudice, non costituisce una pretesa di natura tributaria per la quale l’art.23 Cost. avrebbe richiesto la copertura legislativa, ma rappresenta un compenso a titolo di ristoro ambientale della comunità di Statte, rappresentata dall’ente civico, che trova la sua fonte in un atto di natura negoziale qual è la convenzione stipulata il 15 settembre 2008.

Premesso che, come affermato dalla Suprema Corte (Cass.civ., sez.un. 26 febbraio 2021 n. 5418), nell’ipotesi di “benefit ambientale” in favore dei Comuni che ricevono determinate categorie di rifiuti e ospitano impianti per il loro trattamento, “tale beneficio economico non presenta i caratteri del tributo (che ricorrono allorché la prestazione determini una decurtazione patrimoniale non integrante modifica di un rapporto sinallagmatico e collegato al finanziamento di pubbliche spese), ma assume la natura di indennizzo avente la funzione di ristorare il Comune ospitante dei danni ambientali derivanti dall’attività di smaltimento dei rifiuti”, nel caso in esame il compenso pattuito in favore del Comune di Statte non ha natura tributaria perché legato da un rapporto sinallagmatico al costo ambientale dell’esercizio dell’impianto subito dall’ente civico, ha una funzione indennitaria e non è direttamente collegata al finanziamento di una pubblica funzione e di una pubblica spesa.

Il nostro ordinamento, peraltro, prevede un tributo con funzione compensativa, la cosiddetta “ecotassa” istituita dall’art.3 commi 24 e segg. L. 28 dicembre 1995, n. 549, di cui la quota destinata al Comune che ospita la discarica è destinata a finanziare gli interventi pubblici di bonifica e di istituzione di aree naturali protette. Si tratta di un vero e proprio tributo che in quanto tale trova copertura legislativa ed è finalizzato specificamente al finanziamento di determinate pubbliche funzioni.

Né è condivisibile la tesi dell’appellante di nullità della convenzione in quanto frutto di un compromesso che avrebbe leso l’interesse pubblico, che, a suo dire, la Pubblica amministrazione ha il dovere di difendere e che anzi non può essere oggetto di negoziazione o di remunerazione.

La tutela degli interessi legittimi può essere anche di natura risarcitoria (v. artt.7 e 30 CPA) e può essere perseguita anche a mezzo di strumenti di diritto privato, potendo l’amministrazione agire anche con tali strumenti, ex art.1 c.1bis L. 7 agosto 1990, n. 241. La tutela di un interesse legittimo non è necessariamente quella diretta all’annullamento dell’atto amministrativo, ma può essere anche quella risarcitoria e negoziale.

Né nel caso in esame l’Ente Civico ha “barattato” l’interesse pubblico con un compenso di natura economica, condizionando al pagamento della royalty il rilascio di un provvedimento autorizzativo o di un parere favorevole. La decisione di autorizzare l’apertura e l’esercizio della discarica, decisione finalizzata alla tutela del pubblico interesse, rientrava infatti nelle attribuzioni di altro ente, la Provincia di Taranto, decisione presa con la determina del Dirigente del settore Ecologia ed Ambiente della Provincia di Taranto n 174 del 03.11.2005.

Pertanto, la scelta discrezionale del Comune di Statte di transigere con la C. spa, pattuendo un compenso di natura indennitaria in suo favore, rientrava proprio nella facoltà accordatagli dalla norma su richiamata (art.1 c.1bis L. 7 agosto 1990, n. 241)

Con il secondo motivo di appello, l’appellante ha lamentato la violazione ed errata applicazione dell’art. 1467 c.c.

Anche tale motivo non è condivisibile.

In un rapporto contrattuale, l’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, per potere determinare, ai sensi dell’art. 1467 cod. civ., la risoluzione del contratto richiede la sussistenza di due necessari requisiti: da un lato, un intervenuto squilibrio tra le prestazioni, non previsto al momento della conclusione del contratto, dall’altro, la riconducibilità dell’eccessiva onerosità sopravvenuta ad eventi straordinari ed imprevedibili, che non rientrano nell’ambito della normale alea contrattuale. Il carattere della straordinarietà è di natura oggettiva, qualificando un evento in base all’apprezzamento di elementi, quali la frequenza, le dimensioni, l’intensità, suscettibili di misurazioni (e quindi, tali da consentire, attraverso analisi quantitative, classificazioni quanto meno di carattere statistico), mentre il carattere della imprevedibilità ha fondamento soggettivo, facendo riferimento alla fenomenologia della conoscenza.

Nel caso di specie tali requisiti non ricorrono.

La previsione stessa, infatti, di un meccanismo di conguaglio dal terzo anno in caso di versamento al Comune di Statte negli anni precedenti di somme (minori o) maggiori e la previsione stessa di un meccanismo di conguaglio finale in caso di versamento di somme in eccesso all’ente civico nel quinto e sesto anno della convenzione (v. art.5 della convenzione) dimostrano l’insussistenza di uno squilibrio tra le prestazioni in quanto lo squilibrio destinato ad essere eliminato con i conguagli negli anni successivi.

La pattuizione, inoltre, di conguagli dimostra che le parti hanno previsto la possibilità di squilibri tra le prestazioni, tanto da avervi posto rimedio a mezzo dei conguagli. E ciò implica che lo squilibrio tra le prestazioni, l’eccessiva onerosità delle prestazioni, era prevedibile ed è stata prevista, non era cioè dovuta ad eventi straordinari ed imprevedibili.

Resta assorbita ogni altra questione.

Secondo soccombenza (art. 91 c.p.c.), l’appellante va condannato al rimborso delle spese processuali di questo grado in favore del Comune di Statte., spese da liquidarsi secondo i parametri medi di cui al D.M. 10 marzo 2014, n. 55.

Al rigetto dell’impugnazione consegue anche l’obbligo della parte appellante di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art.13 c.1 quater.

P.Q.M.

La Corte d’Appello di Lecce sede distaccata di Taranto, definitivamente pronunziando sullo appello avverso la sentenza n.1124/2022 del Tribunale di Taranto proposto da C. s.p.a. nei confronti del Comune di Statte con atto di citazione notificato il 24.05.2022, così provvede:

1) rigetta l’appello;

2) condanna l’appellante al pagamento in favore del Comune di Statte delle spese di lite del secondo grado di giudizio, liquidate in Euro 14.239,00 per compenso professionale, oltre rimborso spese forfettarie (15%), CAP ed IVA come per legge sul compenso.

Sussistono i presupposti affinché l’appellante versi un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi dell’art.13 c.1 quater D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

Conclusione

Così deciso in Taranto, il 24 aprile 2024.

Depositata in Cancelleria il 3 maggio 2024.


COMMENTO:  Nell’ipotesi di “benefit ambientale” in favore dei Comuni che ricevono determinate categorie di rifiuti e ospitano impianti per il loro trattamento, “tale beneficio economico non presenta i caratteri del tributo (che ricorrono allorché la prestazione determini una decurtazione patrimoniale non integrante modifica di un rapporto sinallagmatico e collegata al finanziamento di pubbliche spese), ma assume la natura di indennizzo avente la funzione di ristorare il Comune ospitante dei danni ambientali derivanti dall’attività di smaltimento dei rifiuti”. 

Il nostro ordinamento prevede un tributo con funzione compensativa, la cosiddetta “ecotassa” istituita dall’art.3 commi 24 e segg. L 28.12.1995 n.549, di cui la quota destinata al Comune che ospita la discarica è destinata a finanziare gli interventi pubblici di bonifica e di istituzione di aree naturali protette. Si tratta di un vero e proprio tributo che in quanto tale trova copertura legislativa ed è finalizzato specificamente al finanziamento di determinate pubbliche funzioni. Né è condivisibile la tesi di nullità della convenzione in quanto frutto di un compromesso che avrebbe leso l’interesse pubblico che la Pubblica amministrazione ha il dovere di difendere e che, anzi, non può essere oggetto di negoziazione o di remunerazione. 

Invero, la tutela degli interessi legittimi può essere anche di natura risarcitoria e può essere perseguita anche a mezzo di strumenti di diritto privato, potendo l’amministrazione agire anche con tali strumenti, ex art.1 c. l bis L 7.08.1990 n.241. La tutela di un interesse legittimo non è necessariamente quella diretta all’annullamento dell’atto amministrativo, ma può essere anche quella risarcitoria e negoziale.