Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sez. VII, 05 giugno 2025 n. 439
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’Agenzia delle Entrate propone appello avverso la sentenza n. 629/23 della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Pescara che ha accolto il ricorso proposto da B. Z. R. avverso l’avviso di accertamento e liquidazione, notificato in data 10.06.2021.
L’Ufficio aveva proceduto all’accertamento dell’attivo ereditario ed alla liquidazione delle imposte ipotecarie e catastali e alla relativa sanzione per omessa presentazione della dichiarazione di successione a seguito del decesso del coniuge Di N. E., avvenuto in data 9/11/2014.
La sentenza impugnata afferma che “.., la ricorrente ha rinunciato all’eredità del de cuius Di N. E. con dichiarazione del 30/08/2015, ricevuta dal Cancelliere del Tribunale di Pescara rispettando le normalità previste dall’art. 519 del c.c. che stabilisce che la rinunzia all’eredità deve farsi con dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere della pretura del mandamento in cui si è aperta la successione e successivamente inserita nel registro delle successioni. Chi ha rinunciato all’eredità, può certamente revocare la rinuncia, presentandosi in Cancelleria per rendere la dichiarazione contraria a quella effettuata con l’atto di rinuncia. Tuttavia la dottrina e la giurisprudenza si erano divise sul fatto che, se la dopo esservi stata la rinuncia all’eredità, era ipotizzabile una revoca tacita all’eredità avvenuta attraverso un comportamento concludente come avvenuto nel caso ora trattato. La questione è stata recentemente affrontata dalla Corte di Cassazione che, con l’ordinanza del 28 dicembre 2022 n. 37927, ha precisato come la revoca alla rinuncia all’eredità non può essere tacita. Dunque, appare ormai chiaro come la revoca della rinuncia all’eredità debba seguire le stesse formalità prescritte per la rinuncia stessa e non sia così possibile una revoca tacita…”.
L’Ufficio lamenta l’erroneità della sentenza ed in particolare l’omessa valutazione delle risultanze istruttorie e la violazione dell’art. 485 c.c.. In particolare, sostiene che a seguito della morte di Di N. E., deceduto in data 9/11/2014, la moglie B. Z. R. era stata immessa nel possesso dei beni del medesimo atteso che ha continuato ad avere la residenza e ad abitare nel medesimo immobile di proprietà del de cuius, in Pescara, Strada Fosso Cavone n. 55, nonostante la rinuncia all’eredità del 2.07.2015 depositata presso il Tribunale di Pescara. La signora B., inoltre, versa la Tari ed è intestataria dell’utenza dell’energia elettrica e dell’utenza del gas dell’immobile sopra indicato. Ritiene, quindi, la rinuncia formale all’eredità effettuata in data 2/07/2015 (circa 9 mesi dopo l’apertura della successione) non validamente ed efficacemente prestata anche in considerazione del fatto che la stessa, avendo il possesso di beni ereditari e non avendo effettuato alcun tempestivo inventario, doveva essere considerata erede pura e semplice.
L’Ufficio lamenta, inoltre, l’omessa valutazione degli ulteriori elementi di fatto che deponevano in favore dell’accettazione dell’eredità o comunque della revoca alla rinuncia ed in particolare la circostanza che probabilmente B. Z. R. ha continuato a percepire i redditi di locazione, non essendo intervenuta la risoluzione del contratto di locazione stipulato da Di N. E. – contratto di locazione registrato il 18/01/2013 al n. 607 serie 3 con la società C. C. S.R.L. C.F. 02025260684, con data fine locazione il 18/12/2018 ed avendo la stessa pagato le somme portate da due avvisi di liquidazione emessi per mancato versamento dell’imposta di registro per le annualità successive. Ad avviso dell’ufficio, inoltre, la fittizietà della rinuncia o comunque l’accettazione dell’eredità è desumibile anche dal fatto che Stoppini Rosalba, amministratrice della società conduttrice dell’immobile (C. C. SRL), è anche coniuge del signor Di N. L. (figlio del de cuius e dell’appellata, e anche lui rinunciatario all’eredità) e che la C. C. SRL è posseduta da una società fiduciaria. Circostanze che palesano la volontà di schermare l’effettiva titolarità dei beni.
- Z. R. si è costituita in giudizio ed ha chiesto il rigetto dell’appello e la condanna alle spese.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L’appello è infondato e, quindi, deve essere rigettato.
- Z. R., come correttamente affermato nella sentenza impugnata, ha rinuncia all’eredità del coniuge Di N. E. con dichiarazione del 30/08/2015, ricevuta dal Cancelliere del Tribunale di Pescara e non ha mai revocato tale rinuncia all’eredità.
Come evidenziato dalla Suprema Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 2396/2006, la rinuncia all’eredità è un negozio giuridico unilaterale e solenne che produce effetti retroattivi, con la conseguenza che il rinunciante deve essere considerato come se non fosse mai stato chiamato all’eredità e, pertanto, è del tutto estraneo alle obbligazioni e ai debiti contratti dal de cuius, soprattutto allorquando, come nel caso di specie, si discuta di rapporti risalenti nel tempo, e regolati secondo la volontà di quest’ultimo, non del chiamato all’eredità.
Principio ribadito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 11832/2022 nella parte in cui ha affermato che “In tema di imposta di successione, il chiamato alla eredità, che, dopo aver presentato la denuncia di successione, ricevuto l’avviso di accertamento dell’imposta ometta di impugnarlo, determinandone la definitività, non è tenuto al pagamento dell’imposta ove successivamente rinunci all’eredità, in quanto l’efficacia retroattiva della rinuncia, legittimamente esercitata, determina il venir meno con effetto retroattivo anche del presupposto impositivo.”
Quanto sostenuto dall’Ufficio circa il possesso dei beni ereditari da parte di B. Z. R. non può essere condiviso.
L’immobile in questione era stato concesso in locazione dal de cuius Di N. E. alla società C. C. S.R.L. con contratto registrato il 18/01/2013 e valido fino al 18/12/2018.
La B., quindi, non aveva la detenzione dell’immobile e, in assenza di elementi certi, obiettivi e concreti, quali non possono essere semplici adempimenti amministrativi, non è possibile ritenere che sia entrata nella pienezza del possesso.
Non sussiste alcun elemento, neanche indiziario, dal quale desumere che B. Z. R. abbia percepito i canoni di locazione dell’immobile atteso che lo stesso Ufficio, nell’atto di appello, afferma che “presumibilmente la Ricorrente ha continuato a percepire i relativi redditi di locazione, non avendo provveduto prima alla risoluzione della locazione”.
Inoltre, la mera residenza nell’immobile non costituisce di per sé prova del possesso, come affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 1920 del 29/01/2008 nella parte in cui ha affermato “In tema di imposta di registro, non sussistono le condizioni per l’applicazione dell’aliquota proporzionale nei confronti del coniuge del “de cuius” che abbia dichiarato tardivamente di rinunciare all’eredità, in relazione all’abitazione coniugale in possesso del medesimo e di proprietà del “de cuius”. Ed infatti in primo luogo non può ritenersi che il possesso di detto bene comporti “ope legis” l’acquisizione della qualità di erede con conseguente effetto traslativo dell’atto abdicativo sottoponibile ad imposta di registro, posto che il coniuge, con l’apertura della successione, diviene titolare del diritto reale di abitazione della casa adibita a residenza familiare, ai sensi del combinato disposto degli artt. 540 e 1022 cod. civ., e quindi non a titolo successorio-derivativo bensì a diverso titolo costitutivo, fondato sulla qualità di coniuge, che prescinde dai diritti successori. In secondo luogo quand’anche la rinunzia all’eredità fosse da ritenersi tardiva per mancato rispetto del termine di cui all’art. 485 cod. civ., la qualità di erede così assunta sarebbe improduttiva dell’effetto traslativo della proprietà, in quanto il trasferimento del bene potrebbe conseguire unicamente ad un valido atto di rinunzia con effetti traslativi, nella specie insussistente”.
Principio ribadito dalla Suprema Corte anche con l’ordinanza del 16 novembre 2015, n. 23406 che ha chiarito che la permanenza, dopo il decesso del marito, nella abitazione familiare da parte della moglie, costituisce esercizio del diritto di abitazione e di uso dei mobili che la corredano, spettante al coniuge superstite quale legatario ex lege (art.540 cod.civ.). Ciò anche nell’ipotesi di successione legittima, indipendentemente dalla ulteriore qualità di chiamato all’eredità del soggetto. Deve pertanto escludersi che il mero fatto di continuare ad abitare, dopo l’apertura della successione, nella casa familiare e ad utilizzare i mobili che la corredano conferisca al coniuge la qualità di possessore di beni ereditari per gli effetti previsti dall’art.485 cod. civ.
Del pari inidonei a conferire la qualità di possessore dei beni ereditari sono i pagamenti effettuati dalla B. (delle utenze della luce, del gas e della Tari) e la circostanza che nel caso in esame l’amministratore della società conduttrice sia anche nuora della B. e vi sia una “schermatura” della titolarità dell’immobile.
Tale ultima argomentazione, a fronte della rinuncia all’eredità, formalmente perfezionata secondo le prescrizioni dell’art. 519 del c.c., è del tutto irrilevante e non tiene conto della circostanza che i soggetti di cui si discute costituiscono autonomi e distinti centri di imputazione giuridica.
La Corte di Giustizia Tributaria, che può conoscere delle questioni civilistiche solo incidentalmente e ai limitati fini della decisione tributaria, non può pronunciarsi sulla richiesta dell’Ufficio e ritenere invalida la rinuncia all’eredità atteso che l’eventuale accoglimento di tale richiesta avrebbe l’effetto di travalicare l’efficacia della rinuncia, assumendo portata revocatoria e, quindi, incidenza sulla titolarità del bene, in tal modo ponendosi in contrasto con il diritto di proprietà acquisito da altro soggetto a seguito della rinuncia della contribuente B..
L’appello, pertanto, deve essere respinto.
Le spese del grado seguono il principio della soccombenza e vanno liquidate in euro 1.500,00 oltre oneri ed accessori di legge.
P.Q.M.
respinge l’appello, condanna l’appellante alle spese del grado, liquidate come in motivazione
COMMENTO REDAZIONALE- La sentenza in commento ribadisce il principio secondo cui, in materia di imposta di successione, il chiamato all’eredità che, dopo aver presentato la denuncia di successione, riceva l’avviso di accertamento dell’imposta ed ometta di impugnarlo, determinandone la definitività, non è comunque tenuto al pagamento dell’imposta laddove successivamente rinunci all’eredità, in quanto l’efficacia retroattiva della rinuncia, legittimamente esercitata, determina il venir meno con effetto retroattivo anche del presupposto impositivo (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, ord., 30 maggio 2018 n. 13639; Cass. civ., sez. V, ord., 24 luglio 2020 n. 15871 e Cass. civ., sez. V. 12 aprile 2022 n. 11832; in senso contrario ).