Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Puglia, sez. XXVI, 23 gennaio 2023 n.129
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La ricorrente chiedeva la revocazione della sentenza della Corte di Giustizia tributaria regionale perché non aveva considerato la presenza di un giudicato per l’anno 2013 a lei favorevole e fondato sulle stesse circostanze di fatto e diritto su cui era basata la sentenza di accoglimento dell’appello da parte della Corte di Giustizia tributaria.
Si costituiva pare resistente ed eccepiva l’infondatezza nonché l’inammissibilità del ricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La tesi di parte ricorrente non è condivisibile. Infatti il giudicato si riferisce all’anno 2013 mentre la sentenza si è occupata degli anni 2011 e 2012. Ma vi è di più. La Cassazione con una giurisprudenza pacifica e costante risalente alle sezioni unite del 2006 la numero 13916 del 16.6.2006 ha sempre ritenuto che “In tema di opponibilità del giudicato esterno in materia tributaria, se un’unica imposta viene frazionata in più anni, il giudicato relativo ad una annualità coinvolge anche le altre, perché la questione è identica in tutti i suoi aspetti, divergendo solo le modalità temporali d’imputazione; laddove, invece, da un’unica fonte scaturiscano poste attive o passive differenti anno per anno, il giudicato coinvolge soltanto quella specifica annualità che costituisca oggetto del giudizio, e non si riflette sulle altre, articolandosi in maniera diversa gli elementi di fatto, ed essendo identica solo la questione giuridica che consente di risolvere il caso concreto (Cass., sent. 15690 del 23.6.2017) . La Cassazione ha temperato e adattato il principio dell’annualità e dell’indipendenza del periodo d’imposta solo nei casi in cui ci sia per tutti i periodi d’imposta un sorta di concetto preliminare comune di natura giuridica come ad esempio un ente commerciale e non commerciale ovvero un bene artistico o ancora la rendita catastale ecc ma non , come nel caso di specie, quando per ogni anno d’imposta il contribuente socio deve dimostrare di non aver avuto utili dalla società nei cui confronti, come è capitato nel caso in esame, l’accertamento è divenuto definitivo.
Per ogni anno il socio deve provare di non aver avuto utili dalla società accertata e quindi anche il giudicato relativo ad un anno non può far stato per gli altri anni come è avvenuto nel caso in esame.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
A) Rigetta il ricorso;
B) Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in euro 2000,00.
COMMENTO REDAZIONALE – La pronuncia in commento afferma il principio secondo cui, in materia di tassazione degli utili percepiti dal socio, quest’ultimo è tenuto a provare la mancata percezione degli stessi distintamente per ciascun anno di imposta, non potendo avvalersi del giudicato esterno relativo ad un’altra annualità.
Tale conclusione viene motivata in base al principio di diritto, più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il giudicato tributario è dotato di una potenziale capacità espansiva in un altro giudizio tra le stesse parti, secondo regole non dissimili – nei limiti della “specificità tributaria” – da quelle che disciplinano l’efficacia del giudicato esterno nel processo civile, in quanto l’autonomia di ciascun periodo d’imposta non vale ad escludere che possano esistere elementi comuni a più periodi, il cui accertamento giudiziale, in relazione ad un periodo, possa fare stato, con forza di giudicato, nel giudizio relativo ad un periodo d’imposta diverso (Cass. civ., Sezioni Unite, 16 giugno 2006 n. 13916).
Pertanto, se un’unica imposta viene frazionata in più anni, il giudicato relativo ad una annualità coinvolge anche le altre, perché la questione è identica in tutti i suoi aspetti, divergendo solo le modalità temporali d’imputazione; laddove, invece, da un’unica fonte scaturiscano poste attive o passive differenti anno per anno, il giudicato coinvolge soltanto quella specifica annualità che costituisca oggetto del giudizio, e non si riflette sulle altre, articolandosi in maniera diversa gli elementi di fatto, ed essendo identica solo la questione giuridica che consente di risolvere il caso concreto (Cass. civ., sez. V, 23 giugno 2017 n. 15690).
In applicazione di tali principi, la giurisprudenza ha limitato l’efficacia vincolante del giudicato esterno in materia di imposte periodiche solo a quei fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, escludendola invece nelle fattispecie “tendenzialmente permanenti”, in quanto suscettibili di variazione annuale, quali il valore della rendita catastale a fini ICI (Cass. civ., sez. VI-5, ord., 06 luglio 2018 n. 17760).
Parimenti, ha escluso l’efficacia vincolante del giudicato esterno intervenuto su altre annualità nel caso di deduzione di costi relativi a prestazioni di servizi, potendo gli stessi variare per qualità, quantità e modalità di anno in anno (Cass. civ., sez. V, 13 dicembre 2018 n. 32254).
Viceversa, è stata riconosciuta la predetta efficacia vincolante del giudicato esterno in relazione alle qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una determinata disciplina tributaria, che assumono carattere tendenzialmente permanente (Cass. civ., sez. V, ord., 03 gennaio 2019 n. 37 e Cass. civ., sez. V, ord., 08 marzo 2019 n. 6843).
La pronuncia in commento si uniforma a tali principi ed esclude la rilevanza esterna del giudicato tributario formatosi in relazione a distinte annualità di imposta in materia di avvenuta e/o mancata percezione di utili in favore del socio da parte della società sottoposta ad accertamento divenuto definitivo.
Tali elementi infatti, al pari della capacità contributiva, dei costi deducibili o del valore della rendita catastale a fini ICI, possono variare di anno in anno, con la conseguenza che il socio, che voglia andare esente dalla tassazione degli utili, deve provare, distintamente per ciascuna annualità di imposta, la mancata percezione degli stessi da parte della società assoggettata ad accertamento.