Cass. civ., sez. V, ord., 02.10.2019 n. 24581


Svolgimento del processo

CHE:

  1. la società C. s.r.l., in persona del l.r.p.t., ed i soci C.E., C.F., C.P., C.A., C.G. ricorrono con due motivi contro l’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza n. 311/67/13 della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, depositata in data 16/12/2013 e non notificata, che ha rigettato l’appello dei contribuenti, avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Brescia sfavorevole agli stessi, in controversia relativa all’impugnativa dell’avviso di accertamento, con il quale l’Agenzia delle Entrate accertava; a carico della C. s.n.c. (successivamente C. s.r.l.) e dei soci /l’indebita deduzione di costi, mediante l’utilizzazione di fatture relative ad operazioni oggettivamente inesistenti di prestazioni di servizi, emesse dalla società E.C. s.r.l. per un ammontare complessivo di Euro 371.264,00, rideterminando maggiori Irap ed Iva nei confronti della società e maggiore Irpef nei confronti dei soci;
  2. con la sentenza impugnata, la C.T.R della Lombardia, sezione staccata di Brescia (di seguito C.T.R.) rilevava che l’avviso di accertamento era fondato sulle indagini della G.d.F. nei confronti di R.M. e delle società da lui possedute, tra cui la società E.C., che, secondo quanto riferito da F.C. e D.F.R., rispettivamente impiegato contabile e responsabile tecnico dei lavori di quest’ultima, pur non essendo totalmente priva di struttura operativa, aveva emesso fatture false, relative ad operazioni oggettivamente inesistenti, nei confronti della C. s.n.c.;

secondo il giudice di appello, oltre alle dichiarazioni concordanti dei due dipendenti (l’uno contabile e l’altro tecnico operativo), costituiva ulteriore elemento di riscontro dell’inesistenza delle fatture la violazione dell’obbligo di specificità nella loro compilazione, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 2, lett. b;

nelle fatture in questione, infatti, vi era la mera apposizione di una clausola di stile “lavori eseguiti per vostro ordine o presso vostro cantiere”, senza alcuna ulteriore indicazione in ordine alle effettive prestazioni;

pertanto, la C.T.R. negava che potesse riconoscersi alcun valore probatorio alla fatturazione di prestazioni di beni o servizi dalla C. s.n.c. a propri clienti, non potendo verificarsi la corrispondenza con le fatture emesse dalla E. s.r.l. alla C. s.n.c., attesa la genericità di queste ultime;

  1. a seguito del ricorso, l’Agenzia delle Entrate si è costituita ai soli fini dell’eventuale partecipazione all’udienza;
  2. il ricorso è stato fissato per la Camera di Consiglio del 13 giugno 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. 25 ottobre 2016, n. 197;
  3. i ricorrenti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

CHE:

1.1. con il primo motivo, i ricorrenti censurano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

secondo i ricorrenti, l’Agenzia delle Entrate non avrebbe ottemperato all’obbligo di provare la rettifica operata con gli avvisi di accertamento, basati unicamente sulle dichiarazioni dei dipendenti;

con il secondo motivo, i ricorrenti censurano la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. e del D.P.R. n. 600, art. 39, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;

1.2. i motivi sono infondati e vanno rigettati;

1.3. invero, la C.T.R. ha correttamente fatto applicazione delle norme sulle presunzioni e di quelle sull’onere della prova, ritenendo che l’Amministrazione avesse sufficientemente provato l’inesistenza delle operazioni alle quali si riferivano le fatture;

in via di principio, è opportuno precisare che “nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento e che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice” (Sez. 5 -, Sentenza n. 9080 del 07/04/2017);

inoltre, con riferimento al valore probatorio del processo verbale di constatazione, è stato anche detto che si può distinguere ” un triplice livello di attendibilità: a) il verbale è assistito da fede privilegiata, ai sensi dell’art. 2700 c.c., relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale, nonché quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese; b) quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni a lui rese dalle parti o da terzi – e dunque anche del contenuto di documenti formati dalla stessa parte e/o da terzi – esso fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni; c) in mancanza della indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, esso costituisce comunque elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore”(Sez. 5, Ordinanza n. 24461 del 05/10/2018);

nel caso di specie, la C.T.R. ha evidenziato che, come riportato nella motivazione dell’avviso di accertamento, il sig. F.C., contabile della E. C. s.r.l., aveva riferito che le fatture emesse da quest’ultima società nei confronti della C. s.n.c. erano completamente false;

la dichiarazione trovava riscontro con quanto riferito dal responsabile tecnico dei lavori della E. C. s.r.l., che ha detto di non aver effettuato con il proprio staff alcun lavoro per la C. s.n.c. e di non saper indicare chi possa aver eseguito le prestazioni fatturate, né se vi fosse altro personale adibito all’esecuzione dei lavori;

le dichiarazioni concordanti dei dipendenti della E. C., secondo quanto rilevato dalla C.T.R., trovavano riscontro nell’estrema genericità delle fatture, che non erano riconducibili a prestazioni specifiche e, pertanto, neanche comparabili con le prestazioni fatturate dalla C. s.n.c. ai propri clienti;

né può ritenersi vincolante, nel caso in oggetto, la sentenza della stessa C.T.R., depositata unitamente alla memoria difensiva dei ricorrenti e relativa a sole sei fatture dell’anno 2007, specificamente individuate, per le quali il giudice di appello ha escluso la fittizietà, in quanto vi era un’indicazione specifica del contenuto e delle prestazioni ricevute, nonché la corrispondenza con le fatture emesse dalla società contribuente ai propri clienti;

da quanto fin qui detto, appare evidente che il giudice di appello, operando una corretta ripartizione dell’onere probatorio, ha ritenuto, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che l’Amministrazione avesse sufficientemente dimostrato la fondatezza dell’accertamento fiscale;

laddove, poi, la censura ha ad oggetto un vizio motivazionale, non si ravvisa l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, poiché, anche a voler ritenere ammissibile la censura, il giudice di appello ha specificamente motivato in ordine all’assenza di valore probatorio della documentazione prodotta dai contribuenti (fatturazione di prestazioni di beni o servizi dalla C. s.n.c. a propri clienti), non potendo verificarsi la corrispondenza con le fatture emesse dalla E. s.r.l. alla C. s.n.c., attesa la genericità di queste ultime;

ogni altra doglianza, che investa la valutazione di circostanze di fatto, attiene al giudizio di merito ed è incensurabile in sede di legittimità;

nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimità poiché l’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso;

dichiara che sussistono i requisiti per porre a carico del ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019


 

COMMENTO

La Corte di Cassazione respinge il ricorso della società contribuente e conferma la sentenza di secondo grado, secondo cui l’Amministrazione finanziaria aveva sufficientemente provato l’inesistenza delle operazioni cui si riferivano le fatture, sulla base delle dichiarazioni rese da due dipendenti della società che aveva emesso le fatture medesime, i quali avevano dichiarato di non aver effettuato alcun lavoro in favore della società ricorrente.

Viene quindi ribadito il principio per cui, nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale previsto dall’art. 7 D.lgs. 546/1992 si riferisce unicamente alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica invece l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento. Tali dichiarazioni, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare il convincimento del giudice, unitamente ad altri elementi (Cass. civ., sez. V, 07.04.2017 n. 9080; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 16.03.2018 n. 6616; Cass. civ., sez. V, ord., 13.09.2018 n. 22349 e Cass. civ., sez. V, ord., 16.05.2019 n. 13174).

Viene infine ribadito come, in riferimento al valore probatorio del processo verbale di constatazione, sia possibile distinguere un triplice livello di attendibilità.

Al massimo livello, il verbale è assistito dalla fede privilegiata dell’atto pubblico, ai sensi dell’art. 2700 c.c., quanto alla provenienza del documento dallo stesso pubblico ufficiale ed alle dichiarazioni a lui rese, nonché relativamente ai fatti attestati dal pubblico ufficiale come da lui compiuti o avvenuti in sua presenza o che egli abbia potuto conoscere senza alcun margine di apprezzamento o di percezione sensoriale.

A livello intermedio, quanto alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni rese al pubblico ufficiale dalle parti o da terzi, il processo verbale di constatazione fa fede fino a prova contraria, che può essere fornita qualora la specifica indicazione delle fonti di conoscenza consenta al giudice ed alle parti l’eventuale controllo e valutazione del contenuto delle dichiarazioni.

Infine, in mancanza dell’indicazione specifica dei soggetti le cui dichiarazioni vengono riportate nel verbale, il processo verbale di constatazione  costituisce unicamente un elemento di prova, che il giudice deve in ogni caso valutare, in concorso con gli altri elementi, potendo essere disatteso solo in caso di sua motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che quei documenti sono comunque stati esaminati dall’agente verificatore (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, 24.11.2017 n. 28060; Cass. civ., sez. V, ord., 05.10.2018 n. 24461 e Cass. civ., sez. V, ord., 12.12.2018 n. 32120).

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma