CTP Treviso, sez. I, 07.03.2018 n. 122
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con l’avviso di rettifica e liquidazione qui in discussione l’Agenzia delle Entrate di Treviso rettifica il valore dichiarato in atti di compravendita riferito alla vendita in blocco di due palazzine rispettivamente composte l’una da tre appartamenti e l’altra da quattro appartamenti elevando l’importo del corrispettivo da Euro 207.000 dichiarati a Euro 597.481, con un maggior valore accertato quindi pari ad Euro 390.481 e proseguendo poi a quantificare una maggiore imposta pari ad Euro 15.143, oltre interessi accessori, comminando altresì una sanzione pecuniaria pari alla maggiore imposta di registro per un totale a pagare quindi pari ad Euro 72.617,95.
Per una adeguata comprensione degli antefatti sembra opportuno riportare quasi per esteso il riepilogo degli stessi formulato da parte resistente, riepilogo che corrisponde alla realtà documentale presente in fascicoli di causa.
Si dà atto pertanto che con atto di vendita repertorio n. (…) del notaio (…), registrato a Treviso in data 28 novembre 2014 al n. 15.176, le tre persone fisiche dei venditori congiuntamente hanno venduto in piena proprietà e trasferito alla società odierna ricorrente un complesso immobiliare suddiviso in due blocchi per complessivi sette appartamenti.
Il corrispettivo dichiarato dalle parti in atto era pari ad Euro 207.000.
L’Agenzia delle Entrate, ai fini della verifica della congruità e correttezza dei valori dichiarati, ha calcolato il valore del compendio immobiliare venduto sulla base dei moltiplicatori catastali vigenti previsti per le categorie catastali in questione determinandolo in Euro 426.326,04.
Successivamente la società acquirente provvedeva a lavori di ristrutturazione e manutenzione migliorativa e quindi entro soli tre mesi dall’acquisto rivendeva separatamente i singoli appartamenti acquistati per un prezzo complessivo dichiarato in atti pari ad Euro 709.038,46.
Data la differenza molto rilevante tra il prezzo complessivo d’acquisto ed il prezzo complessivo delle rivendite, a distanza di soli tre mesi, l’Ufficio ha invitato al contraddittorio le parti, venditrice ed acquirente del primo atto d’acquisto le quali hanno fatto presente che la società acquirente aveva avuto il possesso effettivo degli immobili con un po’ di anticipo e prima della rivendita aveva effettuato una serie di interventi manutentivi e migliorativi che l’Ufficio ha riconosciuto nella misura di Euro 111.557 al netto dell’Iva senza riconoscere le spese notarili d’acquisto e quelle per competenze per intermediazione immobiliare.
L’Agenzia delle Entrate emetteva quindi l’avviso di rettifica e liquidazione qui in discussione a seguito di separata impugnazione promossa da ciascuna delle due parti, rispettivamente venditrice ed acquirente destinatarie entrambe dell’avviso di rettifica in quanto obbligati in solido.
Parte venditrice, nel proprio ricorso, espone in primo luogo che comproprietari pro quota di 1/3 ciascuno erano due fratelli e la loro madre i quali avevano acquisito gli immobili in questione per successione dal rispettivo marito e padre.
Proseguono esponendo che gli immobili erano disabitati ed abbandonati da molti anni e non era interesse dei proprietari conservarne la proprietà in quanto questi immobili non producevano alcun reddito mentre costavano per imposte ed abbisognavano di costosi interventi edilizi per eliminare il degrado e renderli abitabili.
Espongono i due fratelli venditori che la loro madre, proprietaria della quota di 1/3 indivisa, era all’epoca soggetta ad amministrazione di sostegno e pertanto l’autorizzazione alla vendita, come riportato anche dal notaio nell’atto di vendita, era stata autorizzata dal Giudice Tutelare del Tribunale di Venezia sulla base di una perizia di stima che è stata allegata a suo tempo all’atto di vendita e viene nuovamente allegata oggi al ricorso.
Afferma parte venditrice ricorrente che vi è Giurisprudenza secondo la quale non vi sarebbe possibilità da parte di questo Giudice Tributario di mettere in discussione un valore riconosciuto corretto dal Giudice Tutelare in quanto la competenza funzionale inderogabile del primo sarebbe l’unica da considerare in presenza di una vendita effettuata da soggetto non pienamente capace.
Parte ricorrente venditrice invoca pertanto l’autorevolezza del Giudice Tutelare e l’autorevolezza del perito che ha redatto la stima sottoposta al vaglio del Giudice Tutelare ed anche per questo chiede la conferma del valore dichiarato in atto.
La differenza riscontrata tra prezzo d’acquisto e prezzi di rivendita ben si spiega nella considerazione che l’acquisto è stato effettuato in blocco con unico atto, mentre le rivendite sono state effettuate al dettaglio con sette distinti atti di vendita; inoltre prima della rivendite sono stati effettuati onerosi lavori di manutenzione ed inoltre il prezzo di rivendite non può non risentire dei costi per onorari, imposte e competenze di mediazione sostenuti da parte acquirente.
Conclude per l’annullamento dell’atto impugnato con vittoria di spese.
Parte ricorrente acquirente parimenti impugna l’atto di rettifica e liquidazione qui in questione con separato ricorso che si riunisce per evidente connessione.
Anche il ricorso di parte acquirente valorizza considerazioni analoghe a quelle svolte da parte venditrice insistendo in particolare sullo stato di grave degrado degli immobili in questione e sulle spese tutte sostenute dalla società acquirente.
Anche parte acquirente sottolinea la circostanza di un acquisto fatto in blocco a fronte di successive rivendite con atti separati sottolineando le spese tutte sostenute ed evidenziando la circostanza che il valore dichiarato in atto corrispondeva al valore di stima sottoposto al Giudice Tutelare e da questi ritenuto congruo.
Conclude anche parte acquirente per l’annullamento dell’atto impugnato con vittoria di spese.
Si costituisce l’Agenzia delle Entrate con atto che in primo luogo riepiloga gli antefatti, come sopra riferiti e quindi, nei merito, ribadisce che l’aumento di valore in soli tre mesi da Euro 207.000 dichiarati in atto d’acquisto a complessivi Euro 709.038,46 risultanti dagli atti di vendita evidenzia una differenza troppo macroscopica per poter essere considerata credibile.
Come sopra riferito l’Ufficio nell’atto di rettifica qui in questione parte dall’importo complessivo dei prezzi di rivendita dichiarati in atto sottraendo spese riconosciute per Euro 111.557, negando il riconoscimento dell’Iva e negando le spese sostenute da parte acquirente per onorari, imposte e competenze di mediazione.
Espone ancora parte resistente che a suo parere la base imponibile deve coincidere con il valore venale in comune commercio osservando che tale valore venale è ben rappresentato dai prezzi di vendita di tutti gli appartamenti considerati.
Conclude per il rigetto dei ricorsi riuniti con vittoria di spese.
La Commissione osserva: questo Giudice Tributario collegiale è pienamente legittimato a verificare la congruità del prezzo dichiarato in atto di vendita a nulla rilevando che detto prezzo sia già stato valutato, ad altri fini, dal Giudice Tutelare monocratico.
Dato il suo carattere preliminare questa è la prima questione che appare opportuno affrontare e decidere.
È necessario infatti valutare se abbia fondamento o meno l’affermazione di entrambe le parti ricorrenti, ma in particolare di parte venditrice, secondo la quale non potrebbe questo Giudice mettere in discussione una valutazione già effettuata dal Giudice Tutelare che era chiamato a salvaguardare gli interessi di una delle venditrici sottoposta ad amministrazione di sostegno.
Questo Giudice Collegiale dichiara apertamente di non condividere il diverso avviso espresso in altre sentenze da altri giudici tributari.
Infatti la Giurisdizione Tributaria è nettamente distinta e concorrente con la Giurisdizione Ordinaria: ciascuna ha un proprio ambito esclusivo ed è assolutamente pacifico che le valutazioni e le decisioni prese dal Giudice Tributario possono essere anche in aperto contrasto con quelle parallele a diversi fini formulate dalla Magistratura Ordinaria.
È frequentissimo nel caso di accertamenti fiscali che originano contestualmente sia il vaglio del Giudice Penale che il parallelo vaglio del Giudice Tributario.
In questi frequenti casi è del tutto pacifico che il Giudice Tributario possa discostarsi da valutazioni sia numeriche che di fatto formulate dal Giudice Penale con riferimento alla medesima fattispecie di fatto ed altrettanto naturalmente vale per il Giudice Penale nell’ambito della propria giurisdizione.
Lo stesso vale nei confronti dell’Autorità Giudiziaria Ordinaria in sede civile.
Le giurisdizioni sono diverse, distinte ed esclusive perché ciascuna persegue una finalità diversa ed applica una serie di normative diverse. Queste le considerazioni in principio di diritto ma nel caso vanno sottolineate anche differenze probatorie e differenze teleologiche.
Quanto alle prime va detto che questo Giudice Tributario collegiale dispone di una serie di prove documentali delle quali non ha potuto disporre il Giudice monocratico Tutelare: quest’ultimo infatti non disponeva dei prezzi degli atti di rivendita stipulati per l’intero complesso nell’arco di brevissimo tempo e non disponeva, verosimilmente, neppure di dettagliata esemplificazione del valore risultante dai multipli catastali riferiti all’intero compendio venduto.
Sembra disponesse solo della perizia a lui prodotta ed allegata anche all’atto di vendita.
Questa perizia è stata esaminata da questo Giudice Collegiale e ritenuta molto generica, per nulla dettagliata ed esaustiva.
Trattasi di perizia di parte ancorché esibita al Giudice Tutelare.
Sorto il profilo teleologico poi va evidenziato che il Giudice Tutelare deve per l’appunto tutelare gli interessi di persona debole mentre il Giudice Tributario deve valutare la correttezza sotto il profilo fiscale.
È ragionevole pensare che in casi del genere i figli abbiano bisogno di convertire comunque un patrimonio immobiliare fatiscente, improduttivo e costoso in denaro liquido non solo per favorire una divisione tra coeredi ma anche per disporre di denaro necessario al benessere della madre non più pienamente efficiente.
Infatti è frequente che ai giudici tutelari ed ai tribunali venga chiesta l’autorizzazione di vendere, anche a prezzo di realizzo modesto, qualche immobile vetusto o mal conservato che per il soggetto debole sottoposto a tutela costituisce solo un costo o un peso mentre questo soggetto ha bisogno di denaro liquido per pagare assistenza domiciliare oppure la retta di una casa di riposo.
Qui cioè ai evidenzia come il fatto che questo Giudice Tributario formuli un diverso giudizio in relazione al valore venale dei medesimi beni non significa necessariamente che sbaglia il Giudice Tributario nel decidere un valore più elevato o viceversa abbia sbagliato il Giudice Tutelare nell’accettare un valore più ridotto.
Non solo le giurisdizioni sono distinte e le normative di riferimento sono distinte, ma soprattutto sul piano teleologico sono distinte le finalità dei rispettivi giudizi.
Ben può aver ritenuto il Giudice Tutelare che una vendita anche a prezzo particolarmente ridotto fosse da autorizzare perché l’incapace necessitava comunque di limitare gli esborsi gravanti su immobili improduttivi e contemporaneamente necessitava di denaro liquido per far fronte alle sue spese.
Diverse invece sono le valutazioni che deve effettuare questo Giudice Tributario il quale deve considerare se il prezzo dichiarato in atte può ritenersi congruo a fini fiscali oppure no e può fare comunque questa valutazione sulla base di un complesso documentale ed argomentativo del quale a suo tempo non disponeva il Giudice Tutelare.
Il prezzo dichiarato in atto deve essere ampiamente aumentato ma in minor misura rispetto all’accertato per tutte le considerazioni che seguono: bisogna in primo luogo riconoscere che ha sicuramente ragione l’Agenzia delle Entrate quando afferma che sulla base dell’istruttoria condotta prima dell’emanazione dell’avviso di rettifica in questione non può che concludersi per l’assoluta inattendibilità del prezzo dichiarato che sicuramente è molto minore del valore venale in comune commercio riferito agli immobili acquistati anche dopo aver tenuto conto di tutta una serie di considerazioni svolte dai ricorrenti che devono essere condivise ma che non sono tali da giustificare la conferma del prezzo dichiarato perché devono essere condivise altrettante considerazioni di segno opposto giustamente formulate dall’Agenzia delle Entrate, considerazioni che rendono del tutto non credibile il prezzo dichiarato.
Questo Giudice Collegiale espone di seguito in maniera sintetica le principali considerazioni rilevanti delle quali ha tenuto debito conto per determinare il valore che ritiene congruo.
In primo luogo è bene notare, come ha fatto l’Agenzia delle Entrate, che già l’indicazione di valore derivante dai multipli catastali è più che doppia rispetto al prezzo dichiarato.
Dichiarati Euro 207.000; multipli catastali Euro 426.326,04.
È poi corretto e giusto tenere nella debita considerazione la somma di tutti i prezzi dichiarati in atto di vendita delle singole unità immobiliari entro pochi mesi dall’acquisto: nel caso, sempre a fronte di un prezzo di acquisto di Euro 207.000 abbiamo un prezzo complessivo di rivendita documentato di Euro 709.038,46.
E assolutamente condivisibile l’affermazione dell’Agenzia delle Entrate che una rivendita a distanza di pochi mesi per importi più che tripli, importi certi perché dichiarati in atti notarili e sottoposti a tassazione, ceni altresì tenuto conto dei relativi mutui erogati, evidenzi la non congruità del prezzo d’acquisto anche tenendo conto di molteplici fattori riduttivi che verranno di seguito analizzati singolarmente.
Questo Giudice Collegiale ritiene che il prezzo complessivo di rivendita di Euro 709.038,46 identifichi effettivamente i prezzi pagati dai rispettivi acquirenti per l’acquisto separato che ciascuno di loro ha fatto con riferimento ad uno o l’altro dei sette appartamenti.
Va però riconosciuto che raffrontare in maniera semplicistica il compendio immobiliare venduto con il compendio immobiliare acquistato sarebbe del tutto sbagliato perché diverso è la natura degli immobili e diversi sono i mercati di riferimento.
Gli immobili venduti sono diversi da quelli acquistati perché nel frattempo è documentato e non discusso che sono state eseguite opere di manutenzione e miglioramento con riferimento alle quali questo Giudice ritiene corretto non considerare l’Iva relativa alle fatture per i lavori eseguiti in quanto l’Iva per la società venditrice è una partita di giro e non un costo.
Questo Giudice invece trova errato il ragionamento formulato dall’Agenzia delle Entrate che ha escluso la considerazione dei costi per onorari, per competenze di intermediazione e per imposte d’atto.
Parte resistente ha ritenuto non rilevanti tutte queste spese nella considerazione che, a differenza delle spese per migliorie, non avrebbero mutato la sostanza dell’immobile venduto.
Il ragionamento fatto in proposito da parte resistente è sicuramente errato perché fa parte della comune esperienza la constatazione che qualunque bene, pur non mutando nella sua sostanza fisica, muta in aumento nel suo valore di mercato ad ogni successivo passaggio.
È infetti evidente, per comune esperienza senza disturbare la scienza economica, che quanti più intermediari vi sono tra il primo acquisto e l’ultima rivendita tanto più aumenta il valore di mercato dei bene venduto perché logicamente ogni intermediario deve aggiungere al prezzo che lui ha pagato i costi da lui sostenuti ed il suo guadagno cosicché la successiva rivendita deve necessariamente, per logica economica, avvenire a prezzo che tenga conto di tutti i costi e anche del guadagno.
Basti riflettere sul fatto che la frutta o la verdura che la casalinga compra al dettaglio ai supermercato è fisicamente la stessa a suo tempo acquistata dall’agricoltore ma non per questo potrebbe concludersi che il valore di mercato della prima vendita è identico al valore di mercato dell’ultimo acquisto: è chiaro ed evidente che ogni intermediario commerciale ha dovuto caricare sul suo prezzo di acquisto i suoi costi ed i suoi guadagni di tal ché il valore finale dopo ogni intermediazione non può che essere maggiore del valore iniziale di acquisto.
L’Ufficio resistente poi non ha considerato la validità dell’argomentazione dei ricorrenti che sempre un acquisto all’ingrosso viene effettuato a prezzo unitariamente inferiore rispetto alla successiva vendita al dettaglio.
Anche in questo caso, senza consultare manuali universitari di economia, è di tutta evidenza che per qualunque merce il valore di mercato all’ingrosso è diverso e non uguale al valore complessivo che risulta sommando tutte le conseguenti vendite al dettaglio.
L’intermediario infatti svolge un considerevole lavoro di ricerca degli acquirenti finali, di frazionamento e valorizzazione del coacervo acquistato all’ingrosso, sostiene sicuramente dei costi, amministrativi, fiscali e bancari e deve conseguire un utile perché stiamo parlando di un imprenditore e non di un’opera assistenziale.
Quindi il raffronto operato dall’Ufficio va corretto in diminuzione per tener conto della diversità dei beni: coacervo all’ingrosso o singolo bene al dettaglio, dei costi e degli utili che vanno riconosciuti all’intermediario ed infine anche della considerazione che i prezzi di qualunque bene possono essere raffrontati, sempre con difficoltà e discernimento, solo nell’ambito del medesimo mercato e di un mercato tendenzialmente ideale che nella realtà non esiste.
Beni uguali infatti tendono ad avere lo stesso prezzo solo se sono beni numerosi, standardizzati, venduti da soggetti paragonabili e acquistati da soggetti paragonabili solo cioè se le condizioni di acquisto e di rivendita sono in tutto e per tutto omogenee; altrimenti è del tutto normale che beni fisicamente identici abbiano valore di mercato diverso.
Basti riflettere sull’acquisto del medesimo elettrodomestico fatto in un negozio in piazza o viceversa mediante acquisto on-line.
Il televisore o il telefono che acquistiamo sono fisicamente identici ma il prezzo è sostanzialmente diverso perché i rivenditori operano in mercati diversi e sostengono spese ben diverse.
Sarebbe sbagliato pensare che la diversità e segmentazione dei mercati riguardi solo beni mobili di modesto valore perché riguarda sicuramente anche gli immobili.
È un fatto notorio che vi sono imprenditori che operano frequentemente acquistando immobili ad aste fallimentari o aste conseguenti a pignoramento.
Gli appartamenti acquistati possono anche essere analoghi ad altri in comune commercio nella stessa zona ma per vari motivi che non è questa la sede di esaminare in dettaglio è ovvio a tutti gli operatori del settore che i prezzi di beni fisicamente analoghi sono notevolmente diversi a seconda delle modalità di acquisto: direttamente da privato, con l’aiuto di un mediatore, ad asta fallimentare, a trattativa privata dopo due incanti deserti e così via.
Venendo alle circostanze concrete della vendita che qui ci occupa, ritiene questo Giudice Collegiale che corrisponda alla comune esperienza constatare che i prezzi degli immobili caduti in successione in comproprietà di più coeredi sono in genere più bassi rispetto ai prezzi di immobili analoghi di proprietà di venditori che non hanno la necessità di dividersi dai coeredi e di realizzare un capitale liquido.
Altrettanto dicasi nel caso di immobili improduttivi di proprietà o comproprietà di anziani che non li abitano e sono bisognosi di pagare costi di assistenza.
Per l’anziano in queste condizioni è comunque vantaggioso vendere anche a prezzo basso un immobile oneroso, non produttivo e non altrimenti monetizzabile.
Qui si sostiene cioè che il valore venale in comune commercio di beni fisicamente anche identici varia a seconda della segmentazione di mercato nell’ambito della quale avviene il contratto di compravendita.
La diversa condizione di parte venditrice è sicuramente un valido motivo per ritenere non direttamente raffrontabili i prezzi di vendita e quindi i valori venali perché diversi sono i mercati di riferimento se cambia la tipologia dei venditori.
In conclusione ritiene questo Giudice Collegiale che il valore accertato debba essere congruamente ridotto per tener conto della circostanza che i beni venduti sono diversi dai beni acquistati e che le condizioni di mercato nelle quali sono avvenute le ultime vendite al dettaglio sono diverse dalle condizioni di mercato nelle quali è avvenuto il primo acquisto all’ingrosso.
Anche tenendo debito conto di tutti questi fattori non considerati dall’Ufficio tuttavia, la disparità tra il prezzo iniziale e il complessivo prezzo finale è troppo ampia per poter confermare il prezzo iniziale dichiarato.
I ricorsi riuniti meritano pertanto accoglimento parziale con determinazione del valore come in dispositivo e con conseguente compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.
La Commissione, in parziale accoglimento dei ricorsi riuniti, accerta un maggior valore venale di Euro 200.000,00. Spese compensate.
Così deciso in Treviso il 28 febbraio 2018.
COMMENTO
La pronuncia in commento, resa a fronte dell’impugnazione di un avviso di rettifica e liquidazione del prezzo di compravendita di alcuni immobili, si pone il problema di determinare se il Giudice tributario possa mettere in discussione una valutazione già effettuata dal Giudice Tutelare circa il valore degli immobili alienati. Al quesito viene fornita risposta affermativa, in quanto le giurisdizioni tributaria ed ordinaria sono distinte, concorrenti e dotate ciascuna di un proprio ambito esclusivo, con la conseguenza che le decisioni prese dal Giudice Tributario possono essere anche in aperto contrasto con quelle, parallele, ma formulate a diversi scopi, del Giudice Tutelare. Risultano infatti diversi non solo i mezzi di prova di cui le due giurisdizioni dispongono, ma anche le finalità che esse sono chiamate a perseguire (per il Giudice tutelare, la protezione del soggetto incapace, per sopperire alle esigenze del quale viene effettuata la vendita “sotto-costo”; per il Giudice tributario, la congruità a fini fiscali del prezzo dichiarato nell’atto di vendita). Ne consegue come le rispettive decisioni, ancorché tra loro difformi, ben possano risultare entrambe legittime.
Il valore accertato degli immobili deve in ogni caso essere congruamente ridotto per tener conto della circostanza che i beni venduti sono diversi dai beni acquistati e che le condizioni di mercato, nelle quali sono avvenute le ultime vendite al dettaglio, sono oggettivamente diverse dalle condizioni di mercato, nelle quali è avvenuto il primo acquisto all’ingrosso. In particolare, la determinazione del valore degli immobili venduti deve tenere conto dei costi per onorari, per competenze di intermediazione e per imposte d’atto. Infatti, fa parte della comune esperienza la constatazione che qualunque bene, pur non mutando nella sua sostanza fisica, muta in aumento nel suo valore di mercato ad ogni successivo passaggio. Quanti più intermediari vi sono tra il primo acquisto e l’ultima rivendita, tanto più aumenta il valore di mercato dei bene venduto. Per tale motivo la pronuncia in commento, pur non recependo integralmente la perizia sugli immobili fatta propria dal Giudice Tutelare, accoglie parzialmente i ricorsi dei contribuenti, accertando un maggior valore degli immobili inferiore a quello indicato dall’Agenzia delle Entrate.