Cons. Stato sez.VII, sent. 01 luglio 2024, n. 5812


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2503 del 2019, proposto da L.C., rappresentato e difeso dall’avvocato …, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in …;

contro

Comune di Tivoli, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati …, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda) n. 09086/2018, resa tra le parti, concernente l”annullamento:

– della Determinazione Dirigenziale recante il rigetto della domanda di titolo abilitativo edilizio in sanatoria, contrassegnata dal protocollo n. (…) – Pratica n. 45 del 07.12.2004, adottata in data 18/07/2005 dal Dirigente Settore VI Urbanistica del Comune di Tivoli (RM), nella persona dell”Arch. M.L.S., notificata a mezzo del messo comunale in data 26/09/2005, avente ad oggetto: “Determinazione domande relative alla definizione dell”illecito edilizio presentate il 02.12.2004, prot. n. (…) del 7.12.2004 (numero progressivo 2 e 3), ai sensi dell”art. 32 della L. 24 novembre 2003, n. 326, e L.R. 08 novembre 2004, n. 12.” (cfr. Doc. I, all. fasc. I grado)

– della Relazione dell”ufficio del 23.05.2005, dalla quale risulta parere contrario “in quanto le opere rientrano tra quelle disciplinate dall”art. 3, comma 1, lettera a), della L.R. n. 12 del 2004″.

– di ogni altro atto presupposto e consequenziale o comunque connesso con quello impugnato.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Tivoli;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 5 giugno 2024 il Pres. Marco Lipari e udito per la parte appellante l’avvocato Pasquale Tuccillo su delega di Marco Petrone.

Viste, altresì, le conclusioni di parte appellata come in atti;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La sentenza impugnata ha respinto il ricorso proposto dall’attuale appellante per l’annullamento del provvedimento di rigetto dell’istanza di concessione edilizia in sanatoria ex art. 32, L. n. 326 del 2003 e L.R. n. 12 del 2004, prot n.(…) del 7.12.2004; nonché della relazione dell’ufficio del 23.05.2005 recante parere contrario; e di ogni altro atto presupposto, consequenziale o connesso.

Nello specifico, il TAR, disattesa la preliminare eccezione d’inammissibilità per omessa notifica alla Regione Lazio, ha ritenuto il ricorso infondato sull’assunto che le opere abusive non fossero suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 3, L.R. n. 12 del 2004, dell’art. 32, comma 27, lett. c), del D.L. n. 269 del 2003 e dell’art. 32 della L. n. 47 del 1985, come modificato dalla stessa L. n. 269, art.32, comma 43, in quanto realizzate su un’area di proprietà dell’ente locale in assenza della necessaria disponibilità dell’ente proprietario a concederne onerosamente l’uso.

Peraltro, sull’assunto che il diniego impugnato sia atto dovuto, il giudice di prime cure ha affermato come non possano trovare accoglimento le doglianze inerenti a pretese violazioni di garanzie procedimentali, per omessa comunicazione del preavviso di rigetto di cui all’art. 10-bis, L. n. 241 del 1990.

Sotto altro profilo, il TAR ha poi evidenziato come la motivazione del diniego faccia riferimento, oltre che alla localizzazione delle opere abusive su aree pubbliche, anche alla natura e al carattere dell’intervento costruttivo, come ulteriore, autonomo e sufficiente motivo ostativo.

Ciò premesso, la sentenza appellata eccepisce la mancata contestazione da parte dell’interessato di tale ragione ostativa, nonché l’assenza agli atti di un’istanza di accertamento di conformità dell’opera, ovvero la circostanza che non sia neppure desumibile dagli atti del giudizio una conformità alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Pertanto, il giudice di prime cure rileva il mancato avveramento anche di tale condizione di sanabilità dell’abuso.

La parte appellante ripropone e sviluppa le doglianze disattese dal TAR, censurando la decisione di primo grado, attraverso i seguenti motivi in diritto:

“Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 32, comma 43, D.L. n. 269 del 2003. Erroneità ed insufficienza della motivazione (in relazione al secondo motivo del ricorso di primo grado)”;

“Violazione e/o falsa applicazione dei principi e delle norme in tema di partecipazione procedimentale, nonché dell’art. 10 bis della L. 7 agosto 1990, n. 241. Erroneità ed insufficienza della motivazione (in relazione al primo motivo del ricorso di primo grado)”;

“Insufficienza ed erroneità della motivazione”.

Il Comune di Tivoli si costituiva in giudizio per resistere al gravame.

All’udienza del 14 aprile 2023, il Collegio provvedeva con ordinanza istruttoria n. 4534/2023, ordinando al Comune appellato di depositare una dettagliata relazione scritta sugli sviluppi della vicenda procedimentale e su eventuali iniziative per il trasferimento, alla parte appellante, della disponibilità del terreno su cui insiste il manufatto oggetto della richiesta di condono edilizio, comprensiva delle eventuali interlocuzioni con le istituzioni interessate. Contestualmente, il giudice ammetteva la parte appellante ad integrare le proprie deduzioni anche con relativa documentazione utile.

All’esito della successiva udienza del 10 novembre 2023, il Collegio ordinava un supplemento di istruttoria in quanto: parte appellante aveva evidenziato l’esistenza di un giudizio sull’usucapione del terreno sul quale insistono i manufatti oggetto della richiesta di condono, facendo presente che il Tribunale aveva rigettato la domanda relativa all’accertamento della proprietà privata sul presupposto che tali beni, in quanto appartenenti al patrimonio indisponibile del comune, fossero sottratti all’acquisto per usucapione; mentre il Comune riferiva come i terreni in questione potessero ricondursi nel patrimonio disponibile della A. territorialmente competente, in quanto immobili non destinati a servizi igienico sanitari.

Nello specifico, la sezione ha ritenuto di disporre un ulteriore rinvio istruttorio per l’acquisizione di aggiornamenti documentali in merito a sviluppi sia processuali sia procedimentali della vicenda inerente alla disponibilità dei beni su cui insistono i manufatti oggetto del provvedimento sub iudice, sull’assunto di un’eventuale definizione dell’assetto proprietario del bene, sia in funzione di un possibile accertamento dell’acquisto per usucapione, sia in vista dell’accelerazione del procedimento di dismissione dei beni pubblici.

Pertanto la Sezione ordinava al Comune di Tivoli di depositare una nuova relazione scritta, “diretta a chiarire, previa interlocuzione con la A. territorialmente competente, se, in considerazione delle nuove deduzioni svolte dalla parte appellante, sia possibile acquisire la formale disponibilità dell’ente proprietario a concedere l’uso oneroso del suolo”; nonché finalizzata a riferire “in ordine alla sussistenza degli altri presupposti formali e sostanziali necessari per l’adozione del richiesto provvedimento di condono edilizio”.

In adempimento del suddetto incombente istruttorio, in data 10 aprile 2024, il Comune di Tivoli ha depositato in atti una relazione nella quale, ribadendo l’appartenenza del terreno al patrimonio di enti succedutisi nella relativa titolarità almeno fino al 2014 ovvero all’entrata in vigore della L.R. n. 7 del 2014, si precisa che l’interessato non ha mai presentato istanza per uso oneroso o alienazione del terreno (che anzi costui potrebbe non volere vista l’azione di accertamento dell’usucapione) e che si rischierebbe una lottizzazione abusiva a voler riconoscere la sua proprietà sull’area interessata dagli abusi in assenza di un adeguamento dell’attuale pianificazione urbanistica.

In vista dell’udienza di trattazione, le parti hanno depositato documenti e memorie, insistendo nelle rispettive difese e conclusioni.

Nello specifico, con memoria difensiva del 2 maggio 2024, parte appellante, in riscontro anche alla nota depositata dal Comune, ha ribadito le proprie conclusioni deducendo di aver usucapito l’area e i manufatti ivi realizzati nonché rappresentando esigenze di sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio di usucapione, pendente presso la Corte d’Appello di Roma.

Dal canto suo, il Comune di Tivoli ha insistito sull’impossibilità per l’interessato di poter acquisire la proprietà dell’area e, dunque, sulla circostanza che l’odierno appellante non avrebbe mai acquisito la materiale disponibilità del terreno oggetto dell’istanza di sanatoria.

In sede di replica, la parte appellante ha contestato l’asserita mancanza di disponibilità dell’area, come ex adverso dedotta dall’amministrazione appellata, nonché la pretesa impossibilità di acquisire l’area, insistendo per l’accoglimento dell’appello previa sospensione del giudizio.

Alla suddetta richiesta di sospensione, si è invece opposto il Comune nei propri scritti difensivi in via di replica, attesa la dedotta impossibilità per l’interessato di acquisire la proprietà delle aree in questione; nonché, in relazione alla pendenza del giudizio di usucapione, la sussistenza di un orientamento giurisprudenziale della Corte d’Appello di Roma contrario alle pretese di controparte.

All’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del 5 giugno 2024, svoltasi da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

La presente vicenda processuale si inserisce in un contenzioso avente ad oggetto interventi edilizi abusivamente realizzati su terreni siti presso il Comune di Tivoli di proprietà dell’ex Pio Istituto Santo Spirito, trasferiti ex lege al Comune e poi alla Regione.

In particolare, l’attuale appellante deduce di aver ricevuto, in qualità di socio della Cooperativa Agricola di C., a titolo di assegnazione un terreno di 5000 mq, censito al catasto al foglio (…), part. (…), Via C. s.n.c., e di aver costruito sullo stesso un’unità immobiliare di 154 mq destinata a civile abitazione, per la quale aveva poi presentato due separate istanze di sanatoria prot. nn. (…) e (…) del 7.12.2004.

L’amministrazione riscontrava l’istanza prot. (…) con il diniego sub iudice, trattandosi di opere non suscettibili di sanatoria ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), della L.R. n. 12 del 2004, in quanto “realizzate su aree appartenenti al demanio dello Stato, della Regione e degli enti locali ovvero realizzate da terzi su aree di proprietà dei suddetti enti”. Avverso il suddetto provvedimento, l’attuale appellante proponeva ricorso giurisdizionale, respinto dal TAR con la sentenza ivi appellata.

Con il primo motivo di appello, l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza per l’inesatta interpretazione del dato normativo e l’erronea percezione della fattispecie in concreto.

In particolare, si contesta l’esclusione dell’applicabilità della clausola di salvezza di cui all’art. 32, comma 43, D.L. n. 269 del 2003, nella parte in cui dispone che “per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione…”; nonché le statuizioni con le quali il TAR, ai fini della legittimità del provvedimento di diniego impugnato, ha affermato come fosse determinante la proprietà del Comune sull’area interessata dagli abusi, evidenziando altresì la valenza politica degli atti “conclamanti la disponibilità” dell’amministrazione all’alienazione dei terreni e alla sanatoria degli immobili realizzati. La parte appellante deduce, quindi, l’error in iudicando del TAR sia nella perimetrazione del campo applicativo della norma sia nella ricostruzione dei fatti di causa.

Sul punto, la difesa dell’appellante desume dal tenore letterale del menzionato comma 43 che la previsione normativa presupponga la titolarità della proprietà in capo all’ente locale. Inoltre, valorizza l’ampia accezione che caratterizza il termine “disponibilità” scelto dal legislatore. Si invoca, dunque, “un ordito, normativo e provvedimentale, in corso di definizione e rispetto al quale pare davvero erroneo qualificare come meramente politica la “disponibilità” richiesta dalla legge all’ente locale, considerate anche le delibere di giunta e commissariali adottate dal Comune di Tivoli, puntualmente richiamate nel ricorso di primo grado e nel presente atto”, del quale sarebbe stato consapevole lo stesso TAR.

A tal proposito, l’appellante argomenta ulteriormente evidenziando come con legge regionale, successiva all’instaurazione del giudizio di primo grado, l’A. sia stata autorizzata ad alienare i “Terreni ex Pio Istituto Santo Spirito” ad essa trasferiti ai sensi dell’art. 1, comma 6, L.R. n. 14 del 2008 (art. 92, comma 2, L.R. Lazio n. 7 del 2014).

L’appellante contesta, pertanto, la decisione del TAR di non dare tutela ad un meritevole affidamento maturato dai cittadini interessati.

Con il secondo motivo, parte appellante censura l’erroneità della sentenza appellata per aver disatteso la doglianza inerente alla violazione dell’art. 10-bis, L. n. 241 del 1990, come autonoma causa di invalidità.

Si eccepisce, in particolare, l’erroneità della sentenza appellata nella parte in cui, motivando in relazione alla clausola di salvezza prevista dal citato art. 32, comma 43, D.L. n. 269 del 2003, avrebbe rilevato una scelta discrezionale di ampia latitudine in capo all’amministrazione ed escluso posizioni di aspettativa qualificata per i costruttori.

Sul punto, infatti, la parte appellante evidenzia come nel caso di specie l’individuazione delle aree oggetto di alienazione, ai sensi dell’art. 32, comma 43, D.L. n. 269 del 2003, “lungi dall’essere rimessa ad una pretesa “… scelta discrezionale di ampia latitudine …” della PA, era già stata esattamente operata con atti di normazione primaria e, precisamente, con legge regionale, sicché ben poteva ed anzi doveva radicarsi un’aspettativa qualificata dei costruttori, tali da legittimarli ad interloquire, a livello procedimentale, imponendosi pertanto la comunicazione del c.d. prediniego”.

Con il terzo motivo di appello, l’odierno appellante lamenta infine l’erroneità della sentenza di prime cure nella parte in cui afferma che il diniego di sanatoria sarebbe fondato anche sulla violazione degli strumenti urbanistici.

Sul punto, la difesa di parte appellante osserva come si tratti in verità di premessa del provvedimento medesimo, il quale fa riferimento sia alla data di ultimazione delle opere sia alla non conformità urbanistica delle opere, quali presupposti dell’istanza di condono. Ad ulteriore argomentazione si evidenzia come tali profili non siano ribaditi nella motivazione del provvedimento impugnato, e si eccepisce che se vi fosse stata conformità urbanistica delle opere realizzate sarebbe venuto in rilievo un accertamento di conformità, piuttosto che un condono.

Preliminarmente, il Collegio ritiene che non sussistano i presupposti per disporre la sospensione del presente giudizio in attesa della definizione del giudizio civile, come richiesto dalla parte appellante.

Nello specifico, può osservarsi come i precedenti rinvii per istruttoria siano stati finalizzati a chiarire profili processuali e procedimentali della vicenda sub iudice, che si focalizza sull’accertamento dell’acquisto o meno da parte dell’interessato della disponibilità del terreno sul quale insiste il manufatto oggetto della richiesta di sanatoria edilizia.

Tuttavia, la documentazione depositata in atti non ha fornito un riscontro risolutivo in merito ad un’eventuale definizione dell’assetto proprietario dei terreni coinvolti in questa complessa vicenda procedimentale e processuale.

Parte appellante, del resto, prospettando la pendenza di un giudizio di appello in sede civile, proposto avverso la sentenza di rigetto della domanda di usucapione, ha rimesso al Collegio ogni valutazione circa la necessità e l’opportunità della sospensione del presente giudizio.

Alla luce di esigenze di certezza del diritto e in ragione dell’attenta istruttoria disposta da codesto Giudice, la causa può essere trattenuta in decisione.

I motivi di appello, suscettibili di trattazione congiunta, sono infondati.

In particolare, appare dirimente che, trattandosi di beni al tempo di proprietà dell’amministrazione locale, sia condivisibile l’assunto del TAR nella parte in cui valorizza l’assenza di una concreta disponibilità dell’ente a concedere onerosamente l’uso del suolo, preventivamente richiesta per la concessione in sanatoria ai sensi dell’art. 32, comma 4, L. n. 47 del 1985.

Il Giudice di prime cure ha, infatti, accertato come: “Al momento è incontroverso solo che l’intervento costruttivo in contestazione è stato abusivamente realizzato dal ricorrente su terreno che, al momento in cui l’Amministrazione comunale era chiamata a pronunciarsi sull’istanza di sanatoria, era ancora giuridicamente qualificabile come area di proprietà dell’Ente Locale, non essendosi, in quel momento, l’intento comune dell’Amministrazione regionale e locale, che concordavano sul piano politico sulla necessità di risolvere la problematica dell’insediamento abusivo sorto su tali terreni, ancora tradotto in atti giuridici volti a modificare gli assetti proprietari.”.

Del resto, all’esito dell’istruttoria richiesta da codesto Giudice, l’amministrazione comunale ha depositato in atti una relazione dell’A.S. (prot. (…) del 21.03.2024), con la quale si è evidenziato che:

la proposizione da parte dell’interessato di un’azione per usucapione “probabilmente” al fine di evitare una regolarizzazione dell’uso oneroso del terreno con conseguenti pagamenti e la corresponsione di un prezzo in caso di alienazione;

l’assenza di un’istanza per l’uso o l’alienazione del bene a favore dell’odierno appellante;

la considerazione che un frazionamento della particella a destinazione agricola, antecedente all’alienazione, possa configurare la fattispecie di cui all’art. 30, D.P.R. n. 380 del 2001 considerato l’assetto del piano urbanistico vigente.

In via conclusiva, la medesima relazione in atti ha osservato, dunque, come potrebbe essere concesso in uso oneroso la porzione di terreno, ma che per l’alienazione sarebbe necessaria una corretta pianificazione territoriale comunale.

Alla luce di tali conclusioni, l’Ufficio del Settore VI- Sezione Urbanistica del Comune di Tivoli, nella nota prot. (…), ha rilevato come “allo stato attuale e fino a quando non verrà trasferita la proprietà del suolo – il titolo edilizio in sanatoria non potrà essere rilasciato”.

Dal canto suo, l’appellante anche nelle memorie difensive depositate in vista dell’udienza ha invece ribadito di aver usucapito l’area di sedime.

Ciò chiarito, considerata la stringente previsione normativa, in relazione poi al secondo motivo di appello, appare altresì corretta la qualificazione del diniego impugnato, come atto vincolato, al fine di evidenziare la circostanza che il mancato preavviso di cui all’art. 10-bis, L. n. 241 del 1990, non avrebbe inciso nel caso di specie sulla legittimità dell’atto, posto che l’amministrazione non avrebbe potuto emanare un provvedimento diverso da quello concretamente adottato (in termini Cons. St., Sez. VI, n.5590/2022).

Sotto altro profilo, in ordine alla definizione dell’assetto proprietario dei terreni sub iudice emerge come la giurisprudenza di merito invocata dal Comune appellato, in fattispecie analoghe, abbia escluso la fondatezza di pretese assimilabili a quelle azionate dall’odierno appellato.

In particolare, con la sentenza n. 5680/2023 (depositata dal Comune nel presente giudizio come allegato alla memoria difensiva del 20.10.2023), la Corte d’Appello di Roma in relazione ad opere abusive realizzate sui terreni dell’Ex Pio Istituto Santo Spirito, ha condiviso le conclusioni del Tribunale di primo grado che aveva ritenuto i beni in esame inalienabili e inusucapibili sino al 2014, escludendo pertanto il requisito temporale per usucapire. La stessa sentenza richiama poi la giurisprudenza della S. Corte che dalla data in vigore del D.L. n. 264 del 1974 ha ritenuto i beni compresi nel patrimonio dei disciolti enti ospedalieri non suscettibili di possesso ai fini dell’usucapione, “a prescindere dalla loro effettiva destinazione al pubblico servizio ospedaliero”. Pur riconoscendo l’ammissibilità della c.d. sdemanializzazione tacita di un bene, la Corte d’Appello nel precedente richiamato ha, peraltro, evidenziato la necessità a tali fini di un riscontro inequivocabile della volontà della p.a., mediante comportamenti univoci e concludenti, i quali devono manifestare con certezza l’incompatibilità con una volontà di conservazione della destinazione del bene all’uso pubblico.

In tal senso, osserva conclusivamente il giudice civile non è sufficiente la mera occupazione del bene da parte di privati, ancorché protratta nel tempo.

Con particolare riguardo infine al terzo motivo di appello, può osservarsi come il riferimento alla mancanza di conformità sia un passaggio argomentativo della sentenza del TAR non decisivo ai fini della verifica di legittimità del diniego di condono, basato sulla riscontrata mancanza di disponibilità del bene, rispetto al quale le doglianze di parte appellante non appaiono idonee a giustificare un diverso esito della presente controversia.

In definitiva, quindi, l’appello deve essere respinto. La novità delle questioni fattuali oggetto della presente controversia, che ha comportato l’espletamento di due istruttorie, giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Settima), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Spese del grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati:

Marco Lipari, Presidente, Estensore

Davide Ponte, Consigliere

Sergio Zeuli, Consigliere

Carmelina Addesso, Consigliere

Ofelia Fratamico, Consigliere


MASSIMA: Ex art. 32, comma 43, D.L. n. 269 del 2003, “per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della concessione o dell’autorizzazione in sanatoria è subordinato anche alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dalle leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione.”