Il rimborso di un tributo non dovuto non configura un indebito di diritto comune: ad esso, pertanto, si applicano le regole ordinarie del riparto di giurisdizione
Cass. civ., Sezioni Unite, sent., 07 maggio 2021 n. 12150
Svolgimento del processo
La sequenza dei fatti rilevanti è così ricostruita nella sentenza impugnata:
– nell’anno 2004 la s.r.l. C. richiese, in relazione all’anno d’imposta 2003, il rimborso di una somma a titolo di iva, e l’Agenzia delle entrate rispose con un provvedimento di sospensione del rimborso;
– la contribuente impugnò il provvedimento e ne ottenne l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale di Cosenza, la quale, con sentenza n. 87/10/2005, ritenne che la sospensione fosse illegittima, a fronte delle garanzie prestate per l’ottenimento del rimborso a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis;
– la Commissione tributaria regionale della Calabria rigettò l’appello dell’Agenzia in base alle medesime considerazioni, con sentenza depositata il 5 marzo 2007, che non fu impugnata;
– nel frattempo, ossia nel 2005, l’Agenzia con avviso di accertamento recuperò nei confronti della società e sempre per l’anno 2003 materia imponibile per iva e imposte dirette, che riprese a tassazione per una somma ben maggiore rispetto a quella oggetto della richiesta di rimborso;
– la società impugnò l’avviso, ma la Commissione tributaria provinciale di Cosenza rigettò il ricorso con sentenza n. 244/02/06;
– a seguito del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria regionale della Calabria concernente la sospensione del rimborso, mentre pendeva il giudizio di appello contro la sentenza che aveva respinto il ricorso contro l’avviso di accertamento, la s.r.l. C. chiese e ottenne l’emissione di un decreto ingiuntivo per il pagamento della somma oggetto della richiesta di rimborso;
– l’Agenzia propose quindi opposizione al decreto ingiuntivo, eccependo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario, perché osservò che con l’avviso di accertamento del 2005 aveva escluso la sussistenza del credito d’imposta oggetto della richiesta di rimborso. Il Tribunale di Paola ha respinto l’opposizione, reputando che la pretesa creditoria vantata, ossia quella di erogazione del rimborso, fosse da ritenere consacrata dal giudicato che aveva riguardato l’annullamento del provvedimento di sospensione.
Dal canto suo la Corte di appello di Catanzaro ha rigettato l’appello, col quale l’Agenzia delle entrate aveva ribadito l’eccezione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario e l’inesistenza del credito vantato.
A sostegno della decisione il giudice del gravame ha nuovamente fatto leva sulla sentenza, divenuta cosa giudicata, con la quale era stato annullato il provvedimento di sospensione del rimborso; a tanto ha aggiunto di non poter conoscere delle questioni, pure oggetto dell’appello, concernenti l’inesistenza del credito in oggetto, perché sottoposte al vaglio del giudice tributario, e quindi sottratte alla cognizione del giudice ordinario.
Contro questa sentenza propone ricorso l’Agenzia delle entrate per ottenerne la cassazione, che affida a un unico motivo e illustra con memoria, cui non v’è replica.
Motivi della decisione
1.- Fondato è il motivo di ricorso, col quale l’Agenzia lamenta la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, in relazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 30 e 38-bis, là dove il giudice d’appello ha ritenuto che l’Agenzia, con l’atto di sospensione del rimborso, abbia riconosciuto il credito iva vantato dalla società, di modo che l’annullamento definitivo di quell’atto avrebbe comportato la cristallizzazione del credito.
2.- Queste sezioni unite hanno reiteratamente stabilito (n. 21893/09; n. 25931/11; n. 25977/16) che, in tema di rimborso di tributi, spettano al giudice tributario i procedimenti nei quali il diritto del contribuente sia contestato dall’erario, mentre sono devoluti al giudice ordinario soltanto quelli in cui non residuino questioni circa l’esistenza dell’obbligazione, il quantum della restituzione e le modalità della sua esecuzione, attesa la riserva alle commissioni tributarie, disposta dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, di tutte le cause di cognizione aventi tributi per oggetto.
2.1.- Ciò in quanto il diritto al rimborso di un tributo non dovuto non si può incanalare nel modello dell’indebito di diritto comune: si devono, invece, osservare le regole del riparto di giurisdizione e la speciale disciplina processuale prevista dalle singole leggi d’imposta e dalla legge sul contenzioso tributario. E, in base a quella speciale disciplina, le controversie in materia di rimborso di tributi sono devolute allo stesso giudice cui è conferita giurisdizione sul rapporto tributario controverso (specificamente, Cass., sez. un., n. 19069/16).
- Perché sia ravvisabile un indebito di diritto comune tale da radicare la giurisdizione ordinaria occorre, quindi, un esplicito riconoscimento sia della sussistenza del debito gravante sull’amministrazione, sia del quantum di esso (espressamente in termini, Cass. n. 21893/09, cit.); laddove nel caso di esame nessun riconoscimento si configura.
3.1.- In particolare, il provvedimento di sospensione, lungi dall’implicarne il riconoscimento, si traduce nel sostanziale diniego, sia pure temporaneo, della sussistenza del diritto al rimborso (in termini, fra varie, Cass. n. 19755/13).
4.- Né il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento del provvedimento di sospensione si rivela idoneo a configurare l’indebito di diritto comune e, quindi, a radicare la giurisdizione ordinaria.
Quella sentenza, si evince dalla ricostruzione del giudice d’appello, ha riguardato i vizi propri della sospensione, che è stata annullata poiché l’amministrazione finanziaria aveva già ottenuto la garanzia prevista dalla legge (sulla natura cautelare della sospensione e sull’alternatività di essa rispetto al rilascio della polizza fideiussoria prevista dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, Cass., sez. un., n. 2320/20).
4.1.- Di là dalla sospensione, però, l’Agenzia ha negato la sussistenza del diritto al rimborso, che è vantato in pienezza nel giudizio introdotto dal ricorso monitorio della società: è la stessa Corte d’appello, difatti, a riferire della rettifica, operata dall’Agenzia, della dichiarazione relativa all’anno 2003 dalla quale era scaturito il credito vantato dalla società, dovuta alla ripresa a tassazione di maggiore materia imponibile (la legittimità del relativo avviso di accertamento è stata, peraltro, consacrata dal passaggio in giudicato che nelle more si è prodotto, in virtù di Cass. n. 13892/18).
5.- Ad avviso dell’Agenzia, la notificazione dell’avviso di rettifica avrebbe addirittura imposto alla contribuente di versare le somme che ne costituiscono oggetto a norma del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 6 (nel testo applicabile all’epoca della notificazione), fatta salva la prestazione della garanzia prevista dal medesimo articolo.
In realtà, la norma invocata non si applica, perché richiede che la notificazione dell’avviso di rettifica o di accertamento faccia seguito al rimborso; laddove nel caso in esame nessun rimborso è stato operato, poiché l’avviso ha fatto seguito, si è visto, al provvedimento di sospensione.
5.1.- Indubbio è, però, che la notificazione dell’avviso di rettifica ha costituito la ragione dell’inottemperanza dell’amministrazione al giudicato concernente l’illegittimità della sospensione, proprio perché il recupero della materia imponibile oggetto dell’avviso esclude, secondo l’Agenzia, l’esistenza del credito da rimborso.
Al cospetto di questa condotta spetta, allora, al giudice tributario dell’ottemperanza l’identificazione dell’effettiva portata precettiva del giudicato vantato dalla società, al fine di enuclearne e, se necessario, precisarne il contenuto degli obblighi che ne discendono.
Scopo del giudizio di ottemperanza, a norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 70, difatti, non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, bensì, appunto, quello di realizzare quel comando, e, se occorre, d’integrarlo, concretizzando il principio di effettività della tutela dei diritti (tra varie, Cass. nn. 16569/19 e 10570/20; sulla medesima linea Cass. n. 646/12, la quale ha ritenuto che il giudice adito per l’ottemperanza di una sentenza, con la quale era stato accolto il ricorso avverso il silenzio-rifiuto formatosi su di un’istanza di rimborso, avesse il potere di escludere parzialmente il rimborso medesimo, avendo accertato che la ritenuta che si chiedeva di restituire non era, in realtà, mai stata operata).
6.- In definitiva, a fronte della condotta dell’amministrazione d’inottemperanza al giudicato concernente l’illegittimità del provvedimento di sospensione del rimborso, dovuta alla ritenuta esclusione del credito vantato dalla società, nessun indebito di diritto comune è configurabile.
6.1.- Sussiste quindi la giurisdizione del giudice tributario, dinanzi al quale vanno rimesse le parti, anche per la liquidazione delle spese, previa cassazione della sentenza impugnata.
P.Q.M.
la Corte: accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e dichiara la giurisdizione del giudice tributario, dinanzi al quale rimette le parti, anche per le spese.
Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 7 maggio 2021
COMMENTO – La vicenda trae origine da una richiesta di rimborso IVA, formulata da una società contribuente per l’anno di imposta 2003.
L’Agenzia delle Entrate emetteva un provvedimento di sospensione del rimborso, che veniva impugnato dalla società contribuente con esito favorevole sia nel primo che nel secondo grado di giudizio.
La sentenza di secondo grado non veniva ulteriormente impugnata e, pertanto, passava in giudicato.
Nelle more, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società un avviso di accertamento per IVA ed imposte dirette, relative alla medesima annualità di imposta 2003, di importo notevolmente superiore a quello richiesto con l’istanza di rimborso.
Tale avviso di accertamento veniva impugnato dalla società contribuente, con esito sfavorevole alla stessa in primo grado.
La società contribuente, quindi, appellava la pronuncia di primo grado, che aveva respinto il suo ricorso contro l’avviso di accertamento e, al tempo stesso, adiva il giudice ordinario con un ricorso per decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento della somma pretesa con l’istanza di rimborso.
L’Agenzia delle Entrate proponeva opposizione a decreto ingiuntivo, sostenendo il difetto di giurisdizione del giudice ordinario; tale opposizione, tuttavia, veniva respinta sia in primo che in secondo grado, sull’assunto che la pretesa creditoria all’erogazione del rimborso fosse stata consacrata dalla sentenza della Commissione Tributaria Regionale, che aveva dichiarato illegittimo il provvedimento di sospensione del rimborso.
In altri termini, sia secondo il Tribunale di Paola, sia secondo la Corte di Appello di Catanzaro, la presenza di una sentenza passata in giudicato, che aveva dichiarato illegittimo il provvedimento di sospensione del rimborso, aveva determinato la possibilità di configurare il credito al rimborso stesso come un indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), come tale soggetto alla giurisdizione ordinaria.
Tale ricostruzione viene tuttavia completamente “ribaltata” dalle Sezioni Unite della Suprema Corte che, in accoglimento del ricorso per Cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate, affermano la giurisdizione del giudice tributario, e non già del giudice ordinario, sulla materia de qua.
Le Sezioni Unite della Suprema Corte richiamano il principio per cui, con riferimento alle controversie aventi ad oggetto richieste di rimborso delle imposte, la giurisdizione generale del giudice tributario può essere esclusa a favore del giudice ordinario, configurandosi un’ordinaria azione di indebito oggettivo ex art. 2033 c.c., nel solo caso in cui l’Amministrazione abbia formalmente riconosciuto il diritto al rimborso e la quantificazione della somma dovuta, sicché non residuino questioni circa l’esistenza dell’obbligazione tributaria, il “quantum” del rimborso o le procedure con le quali lo stesso deve essere effettuato (in tal senso, Cass. civ., Sezioni Unite, ord., 15 ottobre 2009 n. 21893; Cass. civ., Sezioni Unite, 05 dicembre 2011 n. 25931 e Cass. civ., Sezioni Unite, 16 dicembre 2016 n. 25977).
Al di fuori di tale eccezionale ipotesi di mancata contestazione su tutti gli aspetti sopra evidenziati da parte dell’Amministrazione finanziaria, il diritto al rimborso di un tributo non dovuto non è riconducibile al modello dell’indebito oggettivo di diritto comune (art. 2033 c.c.).
Al contrario, esso è soggetto alle ordinarie regole sul riparto di giurisdizione e alla disciplina processuale speciale prevista dalle singole leggi d’imposta e dalla legge sul contenzioso tributario, in base alla quale le controversie in materia di rimborso di tributi sono devolute allo stesso giudice cui è conferita giurisdizione sul rapporto tributario controverso (si veda, in senso conforme, Cass. civ., Sezioni Unite, 28 settembre 2016 n. 19069).
Affinché sia ravvisabile un indebito di diritto comune, tale da radicare la giurisdizione ordinaria, occorre un esplicito riconoscimento sia della sussistenza del debito gravante sull’Amministrazione, sia del quantum di esso.
Nel caso di specie, tali requisiti non risultano sussistere.
All’opposto, il provvedimento di sospensione del rimborso si traduce nel sostanziale diniego dello stesso, seppure di carattere temporaneo (in tal senso, tra le altre, Cass. civ. sez. V, 28 agosto 2013 n. 19755).
Anche il passaggio in giudicato della sentenza di annullamento del provvedimento di sospensione si rivela inidoneo a configurare l’indebito di diritto comune e, quindi, a radicare la giurisdizione ordinaria.
Spetta piuttosto al giudice tributario dell’ottemperanza l’identificazione dell’effettiva portata precettiva del giudicato vantato dalla società, al fine di enuclearne e, se necessario, precisarne il contenuto degli obblighi che ne discendono.
Ai sensi dell’art. 70 D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, scopo del giudizio di ottemperanza non infatti è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, bensì quello di realizzare quel comando, e, se occorre, di integrarlo, concretizzando il principio di effettività della tutela dei diritti.
Pertanto, a fronte della condotta dell’Amministrazione di inottemperanza al giudicato concernente l’illegittimità del provvedimento di sospensione del rimborso, dovuta alla ritenuta esclusione del credito vantato dalla società, non è configurabile alcun indebito di diritto comune.
Sussiste quindi la giurisdizione del giudice tributario, dinanzi al quale le Sezioni Unite della Suprema Corte, una volta cassata la sentenza impugnata, rimettono le parti, anche per la liquidazione delle spese processuali.
Dott.ssa Cecilia Domenichini
Unicusano- Roma