Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Calabria, sez. II, 10 giugno 2021 n. 2498


Svolgimento del processo- Motivi della decisione

Con ricorso inviato in data 01/01/2020 il sig. B.F. (c.f.: (…)) nato a R. C. l'(…) ivi residente in Via R. S. Sup. II trav. N. 12 impugna il sollecito di pagamento n. (…), notificato a mezzo servizio postale in data 07.10.2019, con il quale l’Agenzia delle Entrate – Riscossione, intima il pagamento di Euro 1.651,98 a seguito del presunto mancato pagamento della cartella n. (…), asseritamente notificata in data 11.06.2015. La parte ricorrente chiede l’annullamento del sopra specificato sollecito eccependo i seguenti rilievi:

  1. Mancanza dei presupposti – mancata notifica della cartella di pagamento sottesa. In via preliminare e dirimente, il ricorrente lamenta di non aver mai ricevuto la notifica della cartella di pagamento sottesa al sollecito di pagamento opposto. Il sig. B., infatti, eccepisce di non aver mai ricevuto la rituale notifica della cartella, egli in data 08.10.2019, ovvero il giorno successivo al ricevimento del sollecito opposto, si recava presso l’ente della riscossione al fine di chiedere delucidazioni sulla cartella asseritamente notificata. Da ciò ne risultava che la notifica veniva effettuata a mani di B.M.C., qualificatasi figlia del B.F., ma il ricorrente sig. B.F. non ha mai avuto una figlia come da stato di famiglia storico di cui al fascicolo telematico.
  2. In via subordinata si solleva la presunta violazione degli artt. 7 e 10, L. n. 212 del 2000, dell’art. 3 L. n. 241 del 1990.
  3. Infine si eccepisce l’omessa indicazione delle modalità di calcolo interessi.

Si costituisce in giudizio Agenzia delle Entrate – Riscossione che preliminarmente eccepisce l’inammissibilità del ricorso considerato che, ai sensi e per gli effetti di cui all’art.19 del D.Lgs. n. 546 del 1992, l’atto contestato non rientra nella elencazione contenuta nel suddetto articolo tra gli atti impugnabili innanzi alla Commissione Tributaria. Con riferimento ai punti di cui sub (…) e (…), parte resistente ribadisce la bontà del proprio operato.

La Commissione all’udienza del 27 maggio udito il Relatore ed esaminati gli atti di causa prende atto che la notifica della cartella sottesa al sollecito di pagamento impugnato sia stata effettuata nelle mani di B.M.C. che si è qualificata come figlia convivente di B.F., in effetti dal certificato di famiglia storico ne risulta che il Sig. B.F. ha un solo figlio B.S.. Trattasi di un evidente caso di omonimia per cui l’atto si palesa infondato.

Si precisa che in effetti il sollecito di pagamento pur non rientrando stricto sensu nel novero degli atti impugnabili ex art. 19 D.Lgs. n. 549 del 1992, è certamente sotteso ad un atto impugnabile (cartella di pagamento) che ne ha legittimato la sua comunicazione al ricorrente. Tale sollecito, sotteso ad una cartella di pagamento, costituisce il presupposto della procedura esecutiva, di conseguenza l’atto oggetto del presente ricorso è segmento di un procedimento, di una fattispecie a formazione successiva, che vedrebbe, nell’ipotesi in cui si disconoscesse l’impugnabilità di detto sollecito, il contribuente sprovvisto di tutela di fronte ad un atto macroscopicamente illegittimo ed infondato. In tal senso giova ricordare che la Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 16428 del 12 giugno 2007, depositata il 26 luglio 2007 (Pres. Vittoria, Rel. C.) ha ribadito un importante principio in tema di atti impugnabili e segnatamente ai fini dell’accesso alla giurisdizione tributaria debbono essere qualificati come avvisi di accertamento o di liquidazione di un tributo tutti quegli atti con cui l’Amministrazione comunica al contribuente una pretesa tributaria ormai definita compiuta e non condizionata e ciò ancorché tale comunicazione si concluda non con una formale intimazione al pagamento sorretta dalla prospettazione in termini brevi dell’attività esecutiva, bensì con un invito “bonario” a versare quanto dovuto. Appare evidente che, qualora l’Agenzia delle Entrate – Riscossione notifichi un atto qualificato come “sollecito di pagamento”, il cui contenuto è identico ad un avviso di mora relativo ad alcune cartelle esattoriali che si assume essere state precedentemente notificate, il contribuente non abbia altra strada per tutelarsi dall’aggressione al proprio patrimonio, che rivolgersi al Giudice tributario e fare valere in quella sede le proprie ragioni contro il sollecito di pagamento. Trattasi in effetti di un atto che, sebbene formalmente non tipico, appare diretta esplicitazione del potere riconosciuto dalla legge al Concessionario di iniziare e portare a termine le azioni esecutive e cautelari sul patrimonio di quei debitori che abbiano prestato acquiescenza alla notifica degli atti impositivi e non abbiano versato quanto dovuto. Alla luce di ciò deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso anche tenuto conto di quanto più volte è stato statuito dalla Suprema Corte (cfr. Cass. n. 2301/2018; Cass. 24932/2017; Cass. SS.UU. n. 19704/2015; Cass. SS.UU. n. 7388/2007; Cass. SS.UU. n. 5776/2005) secondo cui l’elencazione degli atti impugnabili, contenuta nell’art. 19 D.Lgs. n. 546 del 1992, deve essere interpretata alla luce delle norme costituzionali di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.) e di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.), riconoscendo la impugnabilità davanti al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall’ente impositore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento al quale è naturalmente preordinato l’atto, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall’ art. 19 citato. In via preliminare ed assorbente al contribuente non solo non è precluso il diritto di impugnare un atto macroscopicamente illegittimo o infondato, quale è il sollecito di pagamento inserito in una sequenza procedimentale che genera una fattispecie a formazione successiva o progressiva, ma se ne dispone l’autonoma impugnabilità ( v. Cass. 15596/12). Sono, infatti, impugnabili anche gli “atti non autoritativi”, purché “idonei a portare a conoscenza i presupposti di fatto e le ragioni in diritto della pretesa impositiva o del diniego del diritto vantato dal contribuente”.

La Commissione

P.Q.M.

Accoglie il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate – Riscossione al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 200,00 da distrarsi in favore del difensore antistatario.

Reggio Calabria, il 27 maggio 2021.


COMMENTO REDAZIONALE– La sentenza in commento ribadisce il principio secondo cui il sollecito di pagamento, ancorché non incluso nell’elenco degli atti avverso i quali può essere proposto il ricorso tributario (art. 19 D.lgs. 546/1992), è comunque dotato di autonoma impugnabilità dinanzi alla giurisdizione tributaria.

Infatti, qualsiasi atto nel quale venga cristallizzata una pretesa tributaria liquida ed esigibile fa sorgere immediatamente l’interesse all’impugnazione da parte del contribuente, anche qualora tale atto non contenga un’intimazione al pagamento accompagnata dalla prospettazione in tempi brevi dell’espropriazione forzata, ma soltanto un invito “bonario” al pagamento.

In applicazione di tale principio, la sentenza in commento reputa ammissibile il ricorso del contribuente avverso il sollecito di pagamento inviato dall’Agente della Riscossione.

Nel merito, tale ricorso viene accolto per inesistenza della notificazione della cartella prodromica, la quale risultava notificata a mani della “figlia” del contribuente, malgrado quest’ultimo avesse dimostrato mediante lo stato di famiglia storico di avere un solo figlio.

La cartella di pagamento era quindi stata notificata ad un soggetto diverso dal suo corretto destinatario, evidentemente a causa di una omonimia, con conseguente inesistenza della notificazione medesima.