Cass. civ., sez. V, ord., 05 novembre 2025 n. 29283


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente

Dott. MARCONI Daniela – Consigliere

Dott. BORDON Gianluca – Consigliere

Dott. CHIECA Danilo – Consigliere Relatore

Dott. SERRELLI Sabrina – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18284/2022 R.G. proposto da

A.A., elettivamente domiciliata in Roma alla via Monte Zebio n. 27 presso lo studio dell’avv. C.F., rappresentata e difesa dall’avv. L.P.      – ricorrente- 

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n. 12 presso gli uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato, dalla quale è rappresentata e difesa ope legis                                                                                                    – controricorrente –

avverso la SENTENZA della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DELLA SICILIA, SEZIONE STACCATA DI CATANIA, n. 266/2022 depositata il 14 gennaio 2022;

udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 22 ottobre 2025 dal Consigliere Danilo CHIECA.

Svolgimento del processo

La Direzione Provinciale di Ragusa dell’Agenzia delle Entrate emetteva nei confronti di A.A., esercente attività libero-professionale di medico, un avviso di accertamento con il quale rideterminava in base al pertinente studio di settore il reddito complessivo netto e il valore della produzione netta dalla stessa dichiarati in relazione all’anno 2010, operando le conseguenti riprese fiscali ai fini dell’IRPEF e dell’IRAP e irrogando le sanzioni pecuniarie previste dalla legge.

La contribuente impugnava tale avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale (CTP) di Ragusa, la quale accoglieva il suo ricorso, annullando l’atto impositivo.

L’esito del giudizio veniva, però, successivamente ribaltato dalla Commissione Tributaria Regionale (CTR) della Sicilia, sezione staccata di Catania, che con sentenza n. 266/2022 del 14 gennaio 2022, in accoglimento dell’appello erariale, rigettava l’originario ricorso della parte privata.

Osservava il collegio regionale: – che la motivazione della pronuncia di primo grado risultava del tutto mancante o comunque solo apparente; – che la contribuente avrebbe dovuto proporre appello incidentale per chiedere la riforma della detta pronuncia nella parte in cui aveva escluso la sussistenza del difetto di motivazione dell’avviso di accertamento oggetto di causa; – che l’impugnata decisione doveva essere, pertanto, “annullata” e l’atto impositivo, conseguentemente, confermato.

Contro questa sentenza la A.A. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

La causa è stata avviata alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c.

Motivi della decisione

  1. Entrambi i motivi di ricorso per cassazione proposti dalla A.A. sono stati formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4) c.p.c.

1.1 Con il primo vengono dedotte la violazione e la falsa applicazione dell’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c.

1.2 Si sostiene che l’impugnata sentenza risulterebbe assistita da una motivazione solo apparente, avendo la CTR apoditticamente e “in modo paradossale” dichiarato priva di supporto argomentativo la pronuncia di primo grado, che invece risultava adeguatamente motivata, “non chiarendo né dimostrando l’ubi consistam della assunta decisione di “annullamento””.

  1. Con il secondo motivo sono lamentate la violazione e la falsa applicazione dell’art. 112 e nuovamente dell’art. 132, comma 2, n. 4) c.p.c.

2.1 Viene rimproverato alla Commissione regionale di essersi limitata ad annullare la sentenza di primo grado, per giunta senza alcuna spiegazione, sulla scorta del rilievo officioso di un preteso difetto di motivazione che non aveva formato oggetto di censura da parte dell’appellante Agenzia delle Entrate.

Il collegio d’appello avrebbe, infatti, dovuto esaminare il merito della controversia, adottando una pronuncia sostitutiva di quella, asseritamente viziata, resa dai giudici di prime cure.

  1. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per la loro stretta connessione, sono fondati.

3.1 In ossequio al principio di specificità sancito dall’art. 366, comma 1, n. 6) c.p.c., da osservare anche in caso di denuncia di “errores in procedendo” (cfr. Cass. n. 22706/2025, Cass. n. 21874/2024, Cass. n. 26936/2022, Cass. n. 8553/2017), la A.A. ha provveduto a trascrivere, nel corpo del ricorso per cassazione, il testo della sentenza di primo grado.

3.2 Ciò consente alla Corte di accedere direttamente agli atti contenuti nei fascicoli dei gradi di merito, stante la natura processuale del vizio fatto valere.

3.3 Da tale verifica emerge che effettivamente la motivazione della pronuncia resa dalla CTP ragusana, lungi dal risultare del tutto mancante o solo apparente, era perfettamente idonea a dare conto dell’iter logico-giuridico seguìto dai giudici di prima istanza per pervenire alla decisione assunta.

3.4 In particolare, essi avevano chiarito che: – “…le circostanze giustificative segnalate dalla ricorrente, sia in occasione del contraddittorio che in questa sede, appa(riva)no meritevoli di considerazione”, in quanto “l’attività libero professionale attenzionata dall’Ufficio rappresenta(va) un impegno lavorativo complementare rispetto a quello prestato in forma abituale quale Guardia medica alle dipendenze dell’ASP con contratto di lavoro subordinato per 24 ore settimanali”; – “non v’e(ra) dubbio che, almeno sotto il profilo del monte ore lavorativo complessivo, l’impegno alle dipendenze dell’ASP costituis(s)e per la ricorrente l’attività esercitata in via prevalente (24 ore su 44 ore dichiarate complessivamente)”; – “altro aspetto meritevole di considerazione e(ra) la tipologia delle prestazioni specialistiche (medicina del lavoro) che ven(iva)no fornite dalla ricorrente a favore di aziende che (aveva)no l’interesse a vedersi fatturati i compensi erogati alla professionista”; – “entrambe queste circostante appa(riva)no meritevoli di considerazione e po(teva)no in certa misura deporre per la veridicità della tesi difensiva”; – “a ciò si (doveva) aggiung(ere) che lo scostamento emerso, piuttosto rilevante, trattandosi di Euro 47.992,00, pari ad un incremento di oltre il 77% del dichiarato, appurato solamente con l’applicazione dello studio di settore, …. doveva indurre l’Agenzia delle Entrate ad operare ulteriori approfondimenti ed adottare gli altri strumenti di controllo e di accertamento che le norme di riferimento mettono a disposizione degli Enti impositori: analisi delle scritture contabili, verifica delle fatturazioni, verifiche bancarie, ecc., attraverso i quali po(teva)no emergere quegli elementi gravi, precisi e concordanti capaci di fotografare in maniera inconfutabile l’effettiva capacità contributiva dei singoli soggetti”; – “per contro, l’Agenzia delle Entrate… (aveva) affida(to) la dimostrazione della validità del suo operato alle seguenti circostanze: alla incongruenza dei compensi reiterata nel tempo, quando in effetti lo scostamento tra le risultanze dello studio di settore e l’ammontare dei compensi dichiarati negli altri anni esaminati e(ra) stato piuttosto disomogeneo: nel 2008 e(ra) stato del 6% circa, nel 2009 del 29% circa e nel 2011 del 57% circa; dati, quindi, fortemente variabili, dai quali non po(teva)no essere tratte conclusioni univoche in direzione della scarsa plausibilità dei compensi dichiarati”; – “altra anomalia che ven(iva) rilevata dall’Ufficio sarebbe (stata) l’incoerenza rispetto alla resa oraria indicata dagli studi di settore elaborati per gli anni 2010 e 2011; ma anche in questo caso tratta(va)si di un indicatore tratto dagli studi di settore e che peraltro risulta(va) calcolato sulla base di un monte ore settimanale dedicato all’attività professionale di 24 h, quando in effetti e(ra) di 15 h, mentre quello di 24 h erroneamente indicato al rigo D70 dello studio (al posto di 15 h) sarebbe quello dedicato all’attività contrattualizzata con l’ASP”; – “i suddetti elementi, contrariamente a quanto sostenuto dall’Ufficio, non po(teva)no ritenersi incongruenti con un reddito imponibile di Euro 94.163,00, complessivamente dichiarato per il 2010 dalla ricorrente; senza considerare l’apporto del coniuge sia nel pagamento del mutuo che dei costi gestionali degli immobili”; – “queste e le altre considerazioni … svolte induc(eva)no a ritenere le ragioni esposte dalla difesa della ricorrente sufficientemente giustificative degli scostamenti rilevati dall’Ufficio con l’applicazione dello studio di settore; per contro, la pretesa dell’Ente impositore rimane(va) sostanzialmente incardinata solamente sulle risultanze dello studio di settore, poiché gli ulteriori elementi indicatori di capacità contributiva attenzionati dall’Ufficio non depon(eva)no per la fondatezza dell’accertamento, che rimane(va) così carente sotto il profilo della prova”.

3.5 A fronte di una sentenza di primo grado sorretta da un solido apparato argomentativo risulta, per contro, meramente apparente la motivazione spesa dai giudici d’appello, i quali, limitandosi a riportare un breve e isolato brano della pronuncia impugnata (“le ragioni esposte dalla difesa della ricorrente sufficientemente giustificative degli scostamenti rilevati dall’Ufficio con l’applicazione dello studio di settore; per contro, la pretesa dell’Ente impositore rimane sostanzialmente incardinata solamente sulle risultanze dello studio di settore, poiché gli ulteriori elementi indicatori di capacità contributiva attenzionati dall’Ufficio non depongono per la fondatezza dell’accertamento, che rimane così carente sotto il profilo della prova”), hanno affermato, in modo lapidario e apodittico, che essa si presentava “priva di motivazione ovvero conten(eva) una “motivazione apparente”, non idonea a supportare, in quanto assente, un percorso logico-giuridico necessario per addivenire ad una pronuncia di accoglimento del ricorso introduttivo”.

3.6 Si è, quindi, in tutta evidenza, al cospetto di una delle gravi anomalie motivazionali suscettibili di determinare la nullità della sentenza per inosservanza del cd. “minimo costituzionale” di cui all’art. 111, comma 6, della Carta fondamentale, come da consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un. nn. 8053-8054/2014 e le numerose successive pronunce conformi).

3.7 Fermo quanto precede, va inoltre osservato che con l’atto di appello, come pure emerge dall’esame del fascicolo processuale, l’Agenzia delle Entrate non aveva denunciato la nullità dell’impugnata decisione per mancanza di motivazione, sicché tale vizio non poteva essere rilevato d’ufficio dalla CTR, alla luce della regola della conversione delle ragioni di nullità della sentenza in motivi di gravame, sancita dall’art. 161, comma 1, c.p.c. e applicabile anche al processo tributario in virtù del rinvio alle norme del codice di rito contenuto nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992 (cfr. Cass. n. 5277/2012, Cass. n. 11975/1997, Cass. n. 6354/1988).

3.8 A ciò va aggiunto che la sentenza d’appello, per la sua natura totalmente sostitutiva di quella di prime cure (cfr. Cass. n. 17179/2024), non può mai risolversi in una pronuncia meramente rescindente, all’infuori delle ipotesi tassative di rimessione della causa al giudice “a quo”, che nel processo tributario sono contemplate dall’art. 59 del D.Lgs. n. 546 del 1992.

3.9 Ne consegue che, non ricorrendo, nella specie, alcuna delle dette ipotesi, i giudici di secondo grado non avrebbero potuto arrestarsi al puro e semplice rilievo di tale vizio processuale, ma avrebbero comunque dovuto decidere la controversia nel merito, provvedendo essi stessi a integrare, all’occorrenza, le carenze argomentative riscontrate nella gravata decisione (cfr. Cass. n. 11537/1996, Cass. n. 6243/1992).

3.10 Sotto questo aspetto, del tutto irrilevante si appalesa la circostanza che la sentenza della CTP non fosse stata impugnata dalla A.A. nella parte in cui aveva escluso la nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione, in quanto la Commissione regionale avrebbe in ogni caso dovuto valutare “ex novo” la fondatezza delle ulteriori difese svolte dalla contribuente allo scopo di contrastare la pretesa tributaria.

  1. Per tutte le ragioni illustrate, si impone, ai sensi degli artt. 383, comma 1, e 384, comma 2, prima parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D.Lgs. n. 546 del 1992, la cassazione dell’impugnata sentenza con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione, la quale esaminerà nel merito la controversia fornendo congrua motivazione.

4.1 Al giudice del rinvio viene demandata anche la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità, a norma degli artt. 385, comma 3, seconda parte, c.p.c. e 62, comma 2, del D.Lgs. cit.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Sicilia, sezione staccata di Catania, in diversa composizione, anche per la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria della Corte Suprema di Cassazione, in data 22 ottobre 2025.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2025.


COMMENTO REDAZIONALE–Nel processo tributario, la nullità della sentenza impugnata per mancanza di motivazione non può essere rilevata d’ufficio dal giudice di secondo grado, alla luce del generale principio di conversione delle ragioni di nullità della sentenza in motivi di gravame (art. 161, comma 1, c.p.c., applicabile anche al rito tributario in virtù del rinvio alle norme del Codice di procedura civile, contenuto nell’art. 1, comma 2, D.lgs. 546/1992).

Peraltro la sentenza d’appello, per la sua natura totalmente sostitutiva di quella di prime cure, non può risolversi in una pronuncia meramente rescindente, all’infuori delle ipotesi tassative di rimessione della causa al giudice “a quo“, che nel processo tributario sono contemplate dall’art. 59 D.lgs. 546/1992.

Dal momento che, nella specie, non ricorreva alcuna di tali ipotesi, viene censurata la sentenza di secondo grado che si era limitata al puro e semplice rilievo di tale vizio processuale, senza decidere la controversia nel merito, eventualmente provvedendo ad integrare le carenze argomentative riscontrate nella pronuncia di primo grado.