Il nucleo familiare

 La novità della definizione di abitazione principale ai fini Imu, come anche ai fini Ici è data dal legame al nucleo familiare. Il testo originario dell’art. 13, c. 2 non riportava alcun riferimento soggettivo se non al possessore, mentre l’intervento modificativo dell’art.4, D.L. n. 16/2012 introduce il concetto di abitazione principale unica per nucleo familiare.

Va evidenziato che la legge e la circolare non si curano di precisare la definizione di nucleo familiare, e cioè se il riferimento normativo sia riferibile a quella anagrafica, intendendosi come un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale”, ex art.4 D.P.R. n.223/89 (coniugi e figli minori ex artt. 144-147 C.c.), ovvero alla definizione di nucleo familiare per i trattamenti agevolati fiscali, e quindi potranno essere parte del nucleo familiare, oltre il coniuge non legalmente separato e i figli, se conviventi anche il coniuge legalmente ed effettivamente separato, i discendenti dei figli, i genitori, i generi e le nuore, il suocero e la suocera, i fratelli e le sorelle (anche unilaterali), i nonni e le nonne sempre che non hanno posseduto reddito propri di ammontare al minimo prefissato per legge per essere considerati fiscalmente a carico del dichiarante. Certamente se il concetto di nucleo familiare non è quello di mera definizione anagrafica e/o fiscale probabilmente occorrerà far riferimento al nucleo familiare dell’Isee quale strumento radicato e riconosciuto di accesso alle varie forme di welfare. In difetto di precisazione di legge, si propende per la definizione anagrafica di nucleo familiare, come sopra detto, coniugi e figli minori ex artt. 144-147 C.c..

Ma in ogni caso l’abitazione principale deve essere unica non solamente nel medesimo territorio comunale.

L’anagrafe

 Essa ha la funzione di registrare nominativamente, secondo determinati caratteri naturali e sociali, gli abitanti residenti in un Comune, sia come singoli che come componenti di una famiglia o di una convivenza, nonché le successive variazioni. Fotografa la situazione di fatto, senza qualificarla; la eventuale valutazione ‘di chi e del perché’ entra a far parte della decisione finale dei provvedimenti solo in circostanze di spazio e di persone ben circostanziate, come nel caso dello straniero per la cui residenza è prescritto il possesso di un documento di soggiorno.

L’anagrafe si chiede ‘chi c’è (risiede) in un dato luogo’ e non ‘per quale motivo la persona sta in quel dato luogo’; sua funzione caratteristica è di rispecchiare fedelmente le posizioni oggettivamente riscontrabili nel Comune, lo stato di fatto. Tenendo conto che a) ogni persona è libera di risiedere in uno qualsiasi dei Comuni italiani o anche all’estero (art. 16 della Costituzione); b) ma non è libera di scegliere il Comune di iscrizione anagrafica, che invece è unicamente (obbligatoriamente) nel luogo, anche all’estero, in cui essa ha la dimora abituale (art. 2 della legge 1228/1954).

Dimora abituale

Analizziamo ora il significato ed i caratteri distintivi della dimora abituale.

Nel nostro ordinamento non esiste alcuna norma che definisca la “dimora abituale”, il suo significato non è sempre pacifico. La dimora abituale come concetto che fonda il diritto/dovere della residenza in un determinato Comune è di derivazione giurisprudenziale.

Infatti, secondo la giurisprudenza codicistica, la residenza di una persona è determinata dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioè dall’elemento obiettivo della permanenza in tale luogo e dall’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rilevata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali. Questa stabile permanenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altre attività fuori dal comune di residenza, sempre che conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (Cass. 14 marzo 1986, n. 1738; Cass. 791/1985; Cass. 4525/1983; Cass 2936/1980).

Gli elementi che contribuiscono, contestualmente, a definire la dimora abituale come concetto che fonda il diritto/dovere della residenza in un determinato Comune sono due:

  1. oggettivo, ossia la permanenza della persona in un dato posto (Comune). Il che significa esserci fisicamente, al punto che sia possibile per chi è incaricato del prescritto accertamento (art. 19, comma 2, del D.P.R. 223/1989) rilevare questa presenza, e proprio nel luogo – via e numero civico, unità abitativa – dichiarato nella apposita richiesta o comunque segnalato;
  2. soggettivo, con l’intenzione di rimanervi a tempo indeterminato o indeterminabile o non di breve durata. Questo elemento volontaristico emerge dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali; non sempre il suo accertamento è semplice e diretto. Quindi, ad integrare il concetto giuridico di residenza non è sufficiente il semplice fatto materiale della fissazione della dimora in un luogo determinato, ma è necessario anche l’elemento soggettivo, cioè l’intenzione del soggetto di rimanere stabilmente nel luogo prescelto; la residenza della persona è determinata, pertanto, dalla sua abituale e volontaria dimora in un determinato luogo, cioè dall’intenzione di avervi stabile dimora, rilevata dalle sue consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali.

Inoltre, la Cassazione (Cass. 26 ottobre 1968, n. 3586; 23 febbraio 1977, n. 792; 5 maggio 1980, n. 2936) ha chiarito che ‘dimora abituale’ non significa necessariamente dimora ininterrotta e continua, e non viene meno per allontanamenti anche frequenti della persona. Secondo questa giurisprudenza la residenza è data oltre che dall’elemento oggettivo della permanenza nel luogo, anche da quello soggettivo della volontà di rimanervi; e se di regola quest’ultimo elemento è compenetrato nel fatto di dimorare abitualmente in un determinato luogo, ciò non toglie che, proprio in base all’elemento soggettivo, debba distinguersi la residenza dalla dimora che, per le particolari esigenze di studio, di lavoro, di cura o di svago può avere una notevole e reiterata durata. Il requisito della abitualità, che la dimora deve avere per diventare residenza, non può essere valutato solo in base al requisito temporale della durata o all’interesse, eventualmente temporaneo che il soggetto abbia di stare in un determinato luogo, ma deve trovare riscontro nella volontà dell’interessato. E mentre la dimora cessa quando la persona si trasferisce in altro luogo, la residenza non viene meno per una più o meno prolungata assenza; specie quando questa assenza sia occasionata da motivi contingenti (villeggiatura, viaggi, studio, lavoro, altro). In questi casi i frequenti ritorni nel luogo in cui il soggetto prima esclusivamente viveva valgono proprio a caratterizzare la permanenza dell’elemento soggettivo di mantenimento della residenza e rinnovano il rapporto di fatto con il luogo, concorrendo a completare i requisiti richiesti per la sussistenza della residenza. La residenza sussiste anche quando la persona si rechi a lavorare o a svolgere altre attività fuori del Comune in cui è iscritta, sempre che conservi in esso l’abitazione, vi ritorni quando possibile e vi mantenga il centro delle proprie relazioni familiari e sociali (Cass. 14 marzo 1986, n. 1738). D’altra parte va precisato che la mancata presenza nell’alloggio di residenza in occasione dei controlli effettuati dagli organi di polizia non costituisce prova determinante della non veridicità delle dichiarazioni rese dalla persona all’ufficio anagrafe di voler trasferire la propria dimora abituale nel territorio (TAR Marche, 6 agosto 2003, n. 955).

In buona sostanza è possibile indubbiamente affermare che l’abitualità della dimora è presupposto:

  1. irrinunciabile, in quanto nell’anagrafe vanno iscritte le persone effettivamente residenti e non quelle che semplicemente dichiarano di esserlo, e,
  2. unico, in quanto non vi sono altri requisiti che configurino il diritto-dovere di iscrizione all’anagrafe; perciò è illegittimo condizionare la iscrizione anagrafica a requisiti non prescritti, come ad esempio la dimostrazione della idoneità dell’alloggio.

Ancora, alcuni autori di dottrina civilistica precisano che la residenza è il luogo in cui la persona ha fissato la sua abituale dimora. Per abituale dimora si intende quindi il luogo di normale abitazione, e cioè il luogo dove il soggetto vive normalmente l’intimità sua e della sua famiglia (Bianca, 249).

L’atto volto a stabilire la sede della propria normale abitazione è un atto giuridico in senso stretto (Bianca, 250), ove l’elemento soggettivo non rileva come proposito futuro, ma come intenzione che si attua e si manifesta in quel comportamento che, alla stregua della comune valutazione sociale, corrisponde all’effettiva normale abitazione (Carnelutti, 67; Forchielli, 845). La mera dichiarazione di voler risiedere in un determinato luogo non è sufficiente a creare il collegamento residenziale se il soggetto mantiene di fatto in altro luogo l’abituale dimora. Tale dichiarazione vale tuttavia a far sorgere la presunzione che il soggetto abbia la residenza nel luogo dichiarato e i terzi possono quindi farvi affidamento, salvo che abbiano conoscenza della diversa effettiva residenza della persona (Bianca, 250).

Per la nozione di residenza è necessario l’elemento obiettivo della permanenza in un certo luogo e l’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, rivelata dalle consuetudini di vita e dallo svolgimento delle normali relazioni sociali (C. 1738/1986; C. 791/1985; C. 4525/1983; C. 2936/1980). Il concetto di residenza va interpretato anche alla luce dei principi costituzionali in materia di libera circolazione e di soggiorno dei singoli cittadini enunciati dall’art. 16 Cost. (C. St. 17.3.1999, n. 3085).

Unicità e attualità della sede

L’abitudine della dimora in un luogo non presuppone che essa sia a carattere definitivo e continuativo: la residenza non viene meno per assenze periodiche più o meno prolungate, se queste non valgono ad interrompere l’abitudine della dimora in quel dato luogo. La residenza, quale dimora abituale, potrà considerarsi mutata solo quando lo stare della persona in un altro luogo assuma il connotato della abitualità, prevalendo sul precedente luogo di dimora. L’abitudine di stare, misurata in termini comparativi di maggiore frequenza e durata rispetto a più dimore, in senso soggettivo esprime preferenza di una sede rispetto alle altre. La prevalenza dell’abitudine va di volta in volta verificata, durante i successivi spostamenti di un soggetto da un comune ad un altro, senza che sia dato formulare soluzioni aprioristiche sulla base di presunzioni, ad esempio a favore della casa di abitazione, e non rispetto al luogo in cui la persona esercita l’industria o il commercio.

La residenza non viene meno per assenze più o meno prolungate o frequenti dovute a motivi di studio, lavoro, cura o svago (C. 1738/1986; T.A.R. Marche 6.8.2003, n. 955; T.A.R. Valle d’Aosta 20.11.1995, n. 172; T.A.R. Piemonte 24.6.1991, n. 320; T. I g. CE 10.7.1992, n. 63), ovvero per detenzione in carcere (C. pen. 18.4.1985) o allontanamento dal luogo abituale di dimora per sottoposizione al programma di protezione per collaboratori di giustizia (C. 11022/1997).

Un soggetto, solito permanere sia in Italia che in altri Stati, si reputa residente nel territorio nazionale quando vi intrattenga abitudini di vita e di lavoro (anche sommate ed aggregate in un quadro di insieme, ove si svolgano in sedi diverse di detto territorio) prevalenti rispetto ad eventuali ritorni in territorio estero (C. 5292/1985).

Orbene, le dovute precisazioni formulate riguardo al significato di dimora abituale della persona come anche al nucleo familiare, fanno discendere, di conseguenza, le seguenti conclusioni.

I coniugi non fanno parte dello stesso nucleo familiare quando:

  • È stata pronunciata separazione giudiziale o è intervenuta l’omologazione della separazione consensuale ai sensi dell’articolo 711 del codice di procedura civile, ovvero è stata ordinata la separazione ai sensi dell’articolo 126 del codice civile.
  • La diversa residenza è consentita a seguito di provvedimenti temporanei ed urgenti di cui all’articolo 708 del codice di procedura civile.
  • Uno dei coniugi è stato escluso dalla potestà sui figli o è stato adottato, ai sensi dell’articolo 333 del codice civile, il provvedimento di allontanamento dalla residenza familiare.
  • Si è verificato uno dei casi di cui all’articolo 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, ed è stata proposta domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio.
  • Sussiste abbandono del coniuge, accertato in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali.

In proposito, necessitano alcuni approfondimenti in materia civilistica ai sensi degli artt. 143 e 144 c.c. in materia di indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia.

Sul punto è doveroso rivolgere un accenno ai diritti e doveri dei coniugi.

La riforma del diritto di famiglia del 1975 ha profondamente modificato la struttura dei rapporti giuridici di tipo familiare, imprimendo un notevole sviluppo alla disciplina dei rapporti coniugali e di filiazione e ponendo il marito e la moglie su di un piano di parità sostanziale.

I coniugi sono chiamati a collaborare allo sviluppo e alla crescita della famiglia ognuno in relazione alle proprie capacità e aspirazioni, conservando la propria libertà ed autonomia nelle relazioni sociali.

Il matrimonio, come fondamento della famiglia, fa sorgere quindi, in capo ai coniugi, una serie di diritti e doveri reciproci attinenti alla sfera personale, disciplinati dall’art. 143 c.c.: “Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”, ed al 3° comma continua affermando “entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia”.

Se l’elencazione proposta nell’art. 143 c.c. non costituisce elemento da cui è possibile desumere una scala di valori o di importanza, tra i doveri coniugali  vi sono comunque alcune differenze degne di rilievo.

Un certo mutamento nel concetto e nell’importanza dell’obbligo di coabitazione si è infatti imposto con l’evolversi delle esigenze primarie della famiglia moderna: non è inconsueto, infatti, che uno dei coniugi si trovi a dovere effettuare degli spostamenti per motivi di lavoro, se non addirittura trasferirsi temporaneamente in altre località o paesi stranieri.

I coniugi devono, comunque, avere una residenza comune, fissata concordemente “secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia”: occorre però precisare che, mentre la residenza familiare deve essere scelta di comune accordo da marito e moglie, ciascuno può, invece, stabilire o conservare il proprio domicilio, ovvero la sede principale degli affari e interessi di una persona.

Oltre alla residenza, ogni altra decisione relativa alla vita familiare e ai problemi della famiglia deve essere presa dai coniugi di comune accordo, senza che questo possa condizionare la libertà del singolo nelle scelte che reputa più opportune relative a problemi personali, religiosi, politici, etici.

La violazione dell’obbligo di coabitazione, che si sostanzia nel rifiuto di fissare dall’inizio la residenza familiare o nell’abbandono successivo senza che vi sia giusta causa, permette all’altro coniuge di sospendere l’assistenza morale e materiale nei suoi confronti: questo rappresenta l’unica eccezione alla regola generale che impone l’obbligo di assistenza continua ed ininterrotta in favore della famiglia e del coniuge ed il dovere di contribuzione. Quest’ultimo obbligo coniugale risulta proporzionato esclusivamente alle sostanze e alle capacità di lavoro professionale o casalingo di entrambi i coniugi, evidenziando come il termine “sostanze” stia ad indicare qualsiasi bene nella disponibilità del coniuge, oltre ai redditi derivanti dalla propria attività professionale.

Dal rapporto coniugale emergono, inoltre, altri doveri, come l’assistenza morale e materiale e la collaborazione. Definire i contenuti del dovere di assistenza morale in poche righe non è compito facile in quanto le rispettive esigenze ed i bisogni dei coniugi si esprimono in modi diversi: sicuramente l’assistenza morale non può prescindere dal continuare tutti quei comportamenti che hanno contribuito a fondare e costruire il vincolo affettivo e coniugale nonché nel garantirsi reciprocamente tutto il sostegno e l’appoggio necessario per fronteggiare le problematiche  del quotidiano.

Ben più percettibile ed immediato risulta l’obbligo di assistenza materiale, la cui violazione si traduce essenzialmente nel privare il coniuge ed i figli di quanto è necessario per il loro sostentamento e per le esigenze della vita.

Il dovere di collaborazione impone, invece, alla coppia di ricercare sempre e costantemente intese equilibrate a fronte delle diverse possibili scelte che si è spesso chiamati a fare, evitando l’ingiustificata imposizione da parte di uno dei coniugi. Questo obbligo non solo si esplica, quindi, nel normale andamento familiare del quotidiano, ma anche nella partecipazione sul piano finanziario al mantenimento dei figli, nei confronti dei quali i genitori hanno l’obbligo di mantenere, istruire ed educare, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni degli stessi, secondo quanto sancito dall’art. 147 c.c.

Nell’offrire un ausilio agli uffici comunali nell’ambito delle proprie attività di controllo, accertamento e difese in contenzioso tributario attinenti sia ai fini dell’imposta IMU, di seguito si analizzano i vari casi che possono essere oggetto di esame nel corso dell’istruttoria del procedimento di accertamento, in riferimento alle unità immobiliari dichiarate dai contribuenti quali abitazioni principali, nell’ambito delle cosiddette “residenze fittizie”.

Nell’ambito delle attività di accertamento ai fini dell’Imu, relativamente ai casi, sottoposti a controlli e verifiche, delle scissioni fittizie del nucleo familiare, pratica elusiva molto frequente, soprattutto a decorrere dall’anno d’imposta 2008, è opportuno che vengano analizzate le varie fattispecie tributarie in questione, al fine di contrastare le finalità elusive tese ad ottenere benefici sia ai fini IMU, che ai fini di altri tributi, come l’I.V.A. agevolata per l’acquisto della prima casa, la T.A.R.S.U. ridotta per numero di occupanti.

Nel caso in cui i coniugi non legalmente separati hanno residenze in comuni diversi, si ritiene non corretto l’ipotesi di non considerare nessuno dei due immobili abitazione principale.

In base alla definizione del concetto di dimora abituale del nucleo familiare non è possibile ipotizzare doppie dimore e doppie residenza anagrafica. Pertanto, definito ampiamente il concetto di dimora abituale e di residenza anagrafica, non è possibile che due coniugi possano stabilire due residenza in comuni diversi.

Eccessiva è l’interpretazione degli Uffici di considerare nessuna delle due unità immobiliari come abitazione principale, va però assicurata per definizione di legge in quanto una delle due unità debba rappresentare l’abitazione principale.

Attenzione al caso delle due unità ubicate in comuni diversi. L’Ufficio in sede di controllo dovrà per definire la controversia proporre al contribuente che usufruiva l’agevolazione in altro comune di presentare la rettifica della denuncia originaria, esponendosi di conseguenza all’attività di accertamento dell’ufficio impositore, al fine di evitare l’abuso del diritto, e di poter pertanto poter fruire soltanto di una delle unità immobiliari da essere considerata quale abitazione principale.

In proposito, occorre evidenziare ai sensi del nuovo art. 5-decies, a seguito delle modifiche apportate all’art. 1, comma 741, della legge n. 160 del 2019 , come già evidenziato piu’ volte il legislatore, è risolta la querelle relativa all’esenzione Imu per l’abitazione principale nell’ipotesi in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi: l’agevolazione vale per una sola casa, scelta dai componenti del nucleo familiare, sia se le due unità sono situate nello stesso comune sia se, invece, sono presenti nel territorio di due diversi comuni. Viene, pertanto, superata l’interpretazione fornita dal Mef con la circolare n. 3/2012, par. 6, nella quale è stato affermato che la limitazione dell’esenzione a un solo immobile non si applica nel caso in cui le due case siano ubicate in comuni diversi.

In proposito, si esaminano due casi specifici:

1° casoil contribuente ha dichiarato in relazione ad un immobile di proprietà, sito nel territorio comunale, la propria abitazione principale, mentre il coniuge risulta proprietario a sua volta di un fabbricato adibito ad abitazione principale nello stesso comune.

Ci troviamo, ovviamente, di fronte al caso in cui è stata artificiosamente creata la scissione di un contribuente, proprietario di un immobile sito nel territorio comunale, dal proprio nucleo familiare composto dal medesimo e dalla moglie, anch’essa proprietaria di un’unità immobiliare adibita ad abitazione principale situata nello stesso comune.

Ovviamente, la posizione di ciascun contribuente del nucleo familiare considerato sarà quella di ritenere di dover usufruire del trattamento fiscale proprio della “abitazione principale” unicamente per il fatto che risieda anagraficamente nella casa ubicata nel comune, non considerando la necessità, imposta dal legislatore, di tener conto non già della sola dimora del contribuente ma, unicamente, di quella della sua famiglia.

I casi di tali scelte “di opportunità” possono manifestarsi in momenti diversi, ovvero, quasi contestualmente all’acquisto da parte del contribuente dell’abitazione oggetto di controllo.

Nell’ipotesi di acquisto da parte dei coniugi (contribuenti) effettuato in tempi diversi, è presumibile che l’abitazione principale del nucleo familiare sia quella relativa al primo acquisto, intendendosi effettuato da parte dei coniugi per fissarne la propria dimora abituale, e, di conseguenza, l’accertamento tributario va riferito all’unità immobiliare acquistata dall’altro coniuge in un tempo posteriore.

Qualora, invece, l’acquisto avvenga contestualmente, in tal caso è opportuno attivare le azioni tese a verificarne i requisiti per il riconoscimento dell’agevolazione all’unica unità immobiliare, in particolare necessita individuare quale è la residenza (dimora abituale) del nucleo familiare.

Rileva considerare, altresì, anche la composizione del nucleo familiare, specie in presenza di prole, ove in tale circostanza potrà risultare ragionevole presumere quale abitazione principale quella di residenza del coniuge con i propri figli.

In relazione alle casistiche sopraindicate, al fine di accertare l’effettiva e concreta destinazione dell’unità immobiliare ad abitazione principale, occorre dimostrare che la residenza anagrafica non corrisponda alla dimora abituale, chiedendo al contribuente, non ritenendo ammissibili testimonianze di terzi comprovanti la dimora abituale stessa, le necessarie prove documentali.

La dimora abituale, se diversa dalla residenza anagrafica, può essere provata dal contribuente esibendo, i seguenti documenti:

  • ricevute di pagamento delle utenze con indicazione dei relativi consumi e del regime tariffario agevolativo previsto per la residenza;
  • eventuali spese di condominio;
  • lettere di invio di estratti conti bancari;
  • fruizione di servizi sanitari ( medico generico);
  • tessere per eventuale uso di mezzi pubblici, ecc..
  • luogo di lavoro;
  • elementi ricavabili dalle denunce dei redditi e denuncia tarsu;
  • fatture d’utenza dalle quali si evince l’indirizzo del contribuente.

Molto spesso, al fine di semplificare le attività di controllo e verifica da porre in essere nel corso dell’istruttoria, potrebbe essere anche sufficiente, in alternativa alle prove fattuali che attestino la dimora abituale da parte dell’altro coniuge, il ricorso allo strumento dell’autocertificazione. Ciò, consentirà all’Ufficio di poter estendere l’attività accertativa eventualmente in altri ambiti tributari (IRPEF, TARSU), nonché a regolarizzare la posizione ai fini della corretta registrazione anagrafica. Infatti, il documento di autocerficazione potrà essere trasmesso all’Ufficio Anagrafe, oltre a costituire documento per le opportune segnalazioni all’Agenzia delle Entrate ai fini degli accertamenti in materia di imposte dirette.

2° caso: il contribuente ha dichiarato in relazione ad un immobile di proprietà, sito nel territorio comunale, la propria abitazione principale, mentre il coniuge risulta proprietario a sua volta di un fabbricato adibito ad abitazione principale in altro comune.

Sulla base del principio cardine, sopra evidenziato, secondo cui “non è previsto due agevolazioni fiscali per il medesimo nucleo familiare”, l’attività istruttoria da seguire in tale ipotesi può limitarsi ad accertare la posizione del contribuente che ha dichiarato l’abitazione principale sita nel territorio comunale. Infatti, si può presumere che l’abitazione principale per il nucleo familiare di cui trattasi sia quella situata in altro comune.

Osservando il principio di cui innanzi indicato (non è previsto due agevolazioni fiscali per il medesimo nucleo familiare), si procederà ad emettere avviso di accertamento per l’immobile dichiarato quale abitazione principale nel territorio comunale.

Qualora, il contribuente contesti con istanza il provvedimento emesso da questo Ufficio, adducendo a sostegno delle proprie ragioni, la sussistenza del requisito della dimora abituale del suo familiare (coniuge) – possessore dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale in altro comune – nel proprio immobile, è possibile seguire un’analisi approfondita del caso, procedendo ad effettuare un istruttoria tendente ad accertare i requisiti invocati, così come previsti dalla normativa (individuazione della residenza del nucleo familiare).

Preliminarmente, può risultare utile procedere, ai fini istruttori, alle valutazione già formulate in relazione al primo caso esaminato: se si tratta di acquisto da parte dei coniugi – contribuenti -effettuato in tempi diversi, è presumibile che l’abitazione principale del nucleo familiare sia quella relativa al primo acquisto, integrando anche le informazioni relative alla composizione del nucleo familiare, in presenza di figli. Di conseguenza, l’accertamento tributario potrebbe legittimamente far riferimento all’unità immobiliare acquistata dall’altro coniuge in tempo posteriore, confortata possibilmente, come detto, dalla diversa composizione del nucleo familiare.

Tenendo conto delle risultanze istruttorie suaccennate, occorre, in via definitiva, nell’ottica di conclusione del procedimento istruttorio, acquisire le prove documentali, già menzionate, sufficienti a suffragare la posizione fiscale del contribuente in riferimento all’unica unità immobiliare del nucleo familiare quale abitazione principale. A comprovare tale posizione, oltre alle prove documentali atte a dimostrare il requisito richiesto, necessita che il coniuge riformi la dichiarazione dell’abitazione principale effettuata nell’altro comune, eseguendo i versamenti conseguenti alla rettifica operata, da parte del comune medesimo, per l’unità immobiliare non adibita ad abitazione principale, regolarizzando, in tal modo, la propria posizione. Le quietanze di versamento dell’imposta Ici, rinvenienti dall’atto di accertamento dell’altro comune costituiscono prove documentali della posizione rettificata del contribuente – coniuge – possessore dell’immobile in altro comune, confermando, da parte del contribuente residente nel territorio comunale di Pescara, l’unica unità immobiliare  del nucleo familiare come abitazione principale.

Occorre far notare che gli strumenti istruttori a disposizione del funzionario comunale, in conformità a quanto prevista all’art. 11, comma 3, del D.Lgs. n. 504/1992, possono articolarsi seguendo le seguenti fasi:

– nella fase antecedente a quella dell’emissione dell’avviso di accertamento, è possibile inviare al contribuente una comunicazione con l’invito per il medesimo a fornire spiegazioni chiarimenti circa la situazione di disallineamento delle residenze coniugali emersa in fase di controllo preliminare, ed, eventualmente, a collaborare per una fattiva conclusione del procedimento di verifica stesso.

Il contribuente solitamente dichiara di essere separato di fatto e giustifica le temporanee assenze dall’abitazione con motivazioni di carattere familiare e personale, fornendo documentazione a suo dire comprovante la dimora abituale nell’immobile in questione.

In ogni caso, tale collaborazione richiede l’esibizione all’ufficio di atti comprovanti la dimora abituale nell’immobile oggetto di accertamento, come sopra accennato;

– prima ancora di invitare il cittadino a collaborare, oppure in alternativa all’invito, l’Ufficio può anche provvedere ad effettuare, tramite, ad esempio, il Comando di Polizia Municipale o il proprio personale, dei sopralluoghi sul posto tesi a confermare quanto già emerso nella precedente attività di verifica d’ufficio, quindi, evidenziando la inesistenza della dimora abituale del contribuente, come verrà puntualizzato negli avvisi di accertamento.

In conclusione, l’istruttoria relativa all’accertamento impositivo dovrà seguire il richiamo alla normativa di riferimento, regolante la fattispecie di abitazione principale, sottolineando ed evidenziando la ratio ispiratrice della citata sentenza della Suprema Corte di Cassazione n. 14389 del 15.06.2010, quale unica unità immobiliare adibita ad abitazione principale da parte del nucleo familiare e delle successive sentenze sopra citate.

Ne discende che, esemplificando l’indagine istruttoria della posizione del contribuente oggetto di verifica, qualora il nucleo familiare, composto da marito e moglie, non legalmente separato, ed eventuali figli, usufruisca dei benefici richiesti per l’immobile in questione in riferimento all’unica unità immobiliare, possono ritenersi irrilevanti gli approfondimenti istruttori preliminari del caso.

In conclusione, viene riconfermata la linea storica della cassazione sulla dimora abituale già con la sentenza n. 14389/2010, nella quale la Corte formulava un importante principio in materia di Ici (e di conseguenza in materia Imu) secondo il quale l’abitazione posseduta dal contribuente poteva essere ritenuta principale soltanto se nella stessa dimoravano abitualmente sia il contribuente che i suoi familiari.

La questione stavolta trattata nella sentenza di Cassazione n. 26497/2017, ripropone il tema della dimora abituale del nucleo familiare, che in Ici prima e in Imu poi, ha evidenziato netti contorni di elusività della norma, confermate per quest’ultima, nella circolare ministeriale n. 3/DF/2012 che come noto “giustifica” quello che da più parti viene definito una sorta di spacchettamento del nucleo familiare.

Poco convincente in tal senso, la circolare ministeriale n. 3/DF/2012 con la quale si cercava appunto di “giustificare” la portata elusiva della predetta previsione normativa perché «bilanciata da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative».

Riferimenti di Giurisprudenza

Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 06/12/2017) 17-04-2018, n. 9429,Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 06/12/2017) 17-05-2018, n. 12050, Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 08/05/2018) 07-06-2018, n. 14791, Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 24/01/2019) 07-06-2019, n. 15439, Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 06/03/2019) 09-07-2019, n. 18367. Si veda anche la analoga Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 17/04/2019) 24-07-2019, n. 19964, Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 05/06/2019) 07-08-2019, n. 21069, Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 05/06/2019) 07-08-2019, n. 21072, Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 10/09/2019) 14-11-2019, n. 29643, Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 27/11/2019) 18-02-2020, n. 3966, Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 24/09/2020) 09-10-2020, n. 21873, Cass. civ. Sez. VI – 5, Ord., (ud. 08/09/2020) 24-09-2020, n. 20130, Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 20/02/2020) 03-11-2020, n. 24295, Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 20/02/2020) 04-11-2020, n. 2453

 

Dott. Antonio Mastroluca

(responsabile anti corruzione e trasparenza società Adriatica Risorse SPA)