Imu – doppie residenze del nucleo familiare – rimedi all’elusione fiscale – analisi e commenti ai fini della corretta imposizione da parte dei comuni nell’attività di controllo e accertamento – la posizione della giurisprudenza di cassazione.

Come noto, gli uffici tributari comunali, a decorrere dall’anno d’imposta 2012, sono stati impegnati, nell’ambito delle attività di verifica, controllo e accertamento ai fini dell’Imu, a tutt’oggi ad occuparsi della fattispecie agevolativa riguardanti gli immobili adibiti ad abitazione principale e alla problematica inerente il fenomeno delle doppie residenze in riferimento allo stesso nucleo familiare.

A partire dall’anno d’imposta 2013, con il D.L. del 31/8/2013, n. 102, l’esclusione ex lege di detti immobili al pagamento dell’imposta Imu ha imposto un’attenta riflessione nell’ambito delle attività di controllo delle posizioni contributive relativamente alle conseguenze derivanti dalla nozione di abitazione principale dettata dalla legge ai fini Imu, e dalle tesi interpretative succedute alla norma, fornite sul punto dal Mef. Trattiamo la questione per gradi.

 Analisi del quadro normativo.

L’art. 13, comma 2, del D.L. 201/2011, conv. in legge n. 214/2011, come modificato dal D.L. n. 16/2012, esprime la puntuale definizione, ai fini dell’Imu, di «abitazione principale», intendendosi per tale “l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente. Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

D’altronde, si osserva che anche in materia di ICI la nozione di “abitazione principale” rilevante ai fini dell’applicazione della relativa agevolazione riguardava, ai sensi dell’art. 8, comma 2, D.Lgs. n. 504/1992, «quella nella quale il contribuente (…) e i suoi famigliari dimorano abitualmente», cui corrispondeva «salvo prova contraria, quella di residenza anagrafica»

Si fa notare, in proposito, che la nozione di “abitazione principale” rilevante ai fini della disciplina in materia di Imu, sostanzialmente, non differisce rispetto alla precedente normativa ICI, se non per alcun elementi formali privi di rilievo sostanziale:

–          in primo luogo, la norma unifica il concetto di residenza anagrafica e quello di dimora abituale, richiedendo la contemporanea sussistenza in capo al contribuente di entrambe le suddette condizioni; come si può ben rilevare, in effetti, non risulta alcuna innovazione sostanziale, in quanto la residenza anagrafica è il luogo di dimora abituale. La norma rispetto all’Ici richiede che il soggetto che dimori nell’immobile debba necessariamente regolarizzare la propria posizioni ai fini dei registri anagrafici in caso di divergenza.

–          in secondo luogo, continua a valorizzare il collegamento tra il soggetto possessore dell’immobile ed il suo nucleo famigliare. Infatti, viene precisato che l’agevolazione in esame spetta una sola volta per nucleo famigliare, a prescindere dalla dimora abituale e dalla residenza anagrafica dei rispettivi componenti. In tal caso, come verrà nel prosieguo ben argomentato, la norma in maniera del tutto infondata consente la possibilità che fra due coniugi non separati legalmente possa ammettersi una doppia dimora e residenza anagrafica.

Analisi dell’interpretazione ministeriale

In riferimento alla normativa succitata, il Mef con la Circolare esplicativa n. 3/DF del 18/05/2012, al paragrafo 6, formula, operando le opportune distinzioni, le seguenti precisazioni interpretative:

1° caso: l’eventualità che il contribuente possieda nel medesimo Comune più di una unità utilizzata come abitazione principale, in tal caso egli dovrà scegliere a quale delle due applicare l’agevolazione prevista mentre all’altra si applicheranno le aliquote ordinarie. In sostanza: “il contribuente non può, quindi, applicare le agevolazioni per più di una unità immobiliare, a meno che non abbia preventivamente proceduto al loro accatastamento unitario.”.

2° caso: i contribuenti posseggano autonomamente un alloggio e, pur non essendo separati, dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente ognuno nel proprio alloggio in proprietà. In tal caso, la stessa Circolare stabilisce che: “La disposizione in commento precisa, inoltre, che, nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, l’aliquota e la detrazione per l’abitazione principale e per le relative pertinenze devono essere uniche per nucleo familiare indipendentemente dalla dimora abituale e dalla residenza anagrafica dei rispettivi componenti. Lo scopo di tale norma è quello di evitare comportamenti elusivi in ordine all’applicazione delle agevolazioni per l’abitazione principale, e, quindi, la norma deve essere interpretata in senso restrittivo, soprattutto per impedire che, nel caso in cui i coniugi stabiliscano la residenza in due immobili diversi nello stesso comune, ognuno di loro possa usufruire delle agevolazioni dettate per l’abitazione principale e per le relative pertinenze.”.

3° caso: Il Mef, inoltre, con la propria Circolare, passa, successivamente, ad esaminare il caso in cui le unità destinate ad abitazione principale siano situate in comuni diversi, chiarendo che: “Il legislatore non ha, però, stabilito la medesima limitazione nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tale ipotesi il rischio di elusione della norma è bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio, per esigenze lavorative.”

Le conclusioni cui giunge il MEF nella citata Circolare n° 3/DF del 2012, in ordine all’enunciato normativo suesposto, sono da ritenersi altamente infondate laddove, colmando un vuoto normativo, sostiene l’applicabilità del doppio regime agevolativo di abitazione principale per alloggi situati in comuni diversi, motivando la possibilità del doppio beneficio a motivazioni, quali, ad esempio, alle esigenze lavorative, non coerenti con il concetto di dimora abituale, che successivamente approfondiremo.

Come, anche, altrettanto discutibile la FAQ del 20/1/2014, laddove lo stesso Ministero, in merito alla definizione di abitazione principale, con particolare riguardo allo sdoppiamento della residenza dei coniugi in comuni diversi, ritiene non più utilizzabile il criterio interpretativo tracciato dalla Cassazione (sent. n. 14389/2010), in quanto la norma tributaria dispone chiaramente in materia

Tali conclusioni vanno disattese perché non supportate dalla norma. E’ vero che la norma sul punto evidenzia una lacuna, però non può essere colmata dal Ministero con un interpretazione in maniera del tutto erronea, come verrà di seguito ampiamente argomentato.

Al momento si ritiene precisare che:

–          la disposizione dell’IMU attribuisce comunque rilevanza alla convivenza familiare, elemento che non può essere sottovalutato dal punto di vista interpretativo;

–          dall’altro, ritenere che ai fini IMU i coniugi, non separati legalmente, che hanno residenze in Comuni diversi nessuno dei due coniugi possa considerare la propria abitazione “principale”, non pare sia conforme alla norma di legge.

L’interpretazione del citato art. 13, comma 2, dettata dal Mef va disattesa non solo perché contrarie ai più basilari principi costituzionali in tema di capacità contributiva, ma anche perché essenzialmente fondate su un’errata lettura della normativa Imu, che, come già accennato, non è sostanzialmente diversa dall’imposizione Ici.

1.      In particolare, non convince la tesi ministeriale secondo cui «lo scopo dell’art. 13, comma 2, terzo periodo sarebbe quello di evitare comportamenti elusivi in ordine all’applicazione delle agevolazioni per l’abitazione principale, ovvero impedire che nel caso in cui i coniugi stabiliscono la residenza in due immobili diversi nello stesso comune, ognuno di loro possa usufruire delle agevolazioni dettate per l’abitazione principale». La disposizione de qua attiene non già alla puntualizzazione della nozione di abitazione principale, bensì consente, limitatamente a un solo immobile e alle prescritte condizioni, l’applicazione delle agevolazioni previste per le abitazioni principali, altrimenti non spettanti. Quindi più che di norma stringente e di finalità esclusivamente antielusiva (come considerata dal Mef) trattasi di specifica agevolazione. Tant’è vero che è rimessa ai coniugi contribuenti la scelta dell’immobile che potrà godere del regime di favore (con relativo onere dichiarativo che invece non è previsto per l’abitazione principale).

2.      Inoltre, l’apertura operata dal Mef al riconoscimento del trattamento agevolato per entrambi gli immobili, nel caso di coniugi con residenza e dimora in comuni diversi, non appare altrettanto condivisibile poiché sembra non tenere conto che l’applicazione del regime di favore per le abitazioni principali non può prescindere dalla definizione, appunto, di abitazione principale così come delineata (art. 13, comma 2). In effetti, la tesi ministeriale sull’ammissibilità della “doppia” abitazione principale in comuni diversi, seppur derivante da ragioni di lavoro, non troverebbe adeguato supporto normativo. Infatti, in relazione a tale ipotesi, nel 2013 è stato necessario introdurre una specifica integrazione normativa (art. 5, comma 2, D.L. n. 102/2013) al fine di agevolare i lavoratori del comparto sicurezza che sono obbligati a risiedere, per ovvie ragioni di lavoro, non nell’alloggio di proprietà; norma che si sarebbe potuta, in parte, evitare se fosse stata degna di rilievo la tesi ministeriale che si fonda proprio sulla necessità di trasferire la residenza anagrafica per ragioni di lavoro ancorché in comuni diversi.

Visto da quest’ottica rimane poco condivisibile l’allargamento, più integrativo che interpretativo, della circolare lì dove argomenta che il legislatore non avrebbe previsto la succitata limitazione a un solo immobile nel (medesimo) territorio comunale nel caso in cui gli immobili destinati ad abitazione principale siano ubicati in comuni diversi, poiché in tali ipotesi il rischio di elusione della norma sarebbe bilanciato da effettive necessità di dover trasferire la residenza anagrafica e la dimora abituale in un altro comune, ad esempio per esigenze lavorative.

Si tratta di un’interpretazione estensiva della disciplina di legge posto che la norma sembra richiedere in ogni caso che nell’abitazione principale risiedano anche i familiari del contribuente.

L’eventuale pretesa da parte del contribuente, il quale richiederà l’applicazione dell’agevolazione sulla base delle indicazioni ministeriali, potrà, pertanto, essere disconosciuta sia per il consolidato principio secondo cui le “Circolari” rappresentano mere indicazioni non vincolanti per gli uffici sia per il fatto che, come ampiamente descritto, tali indicazioni appaiono non supportate dalla norma.

In proposito occorre puntualizzare che il diritto vivente insegna che ogni norma agevolativa è di stretta interpretazione, per cui non sono consentite interpretazioni sull’ambito applicativo del favor al di fuori delle testuali disposizioni di riferimento. Quindi, che le norme tributarie agevolatrici, essendo di “natura eccezionale”, sono di stretta interpretazione e quindi non estensibili ai casi non espressamente previsti, perché costituiscono comunque deroga al principio di capacità contributiva, sancito dall’art. 53 Cost..

Principio, questo, confermato dalla giurisprudenza di Cassazione (Cass. 2 ottobre 2009 n. 21144; 16 dicembre 2008 n. 29371; 29 febbraio 2008 n. 5447).

Va precisato, in ogni caso, che la circolare non è in grado di collocarsi all’interno del sistema di gerarchia delle fonti del diritto (come precisato anche dalla Cass. n. 237/2009), rimanendo relegata da vincolo solo per l’amministrazione che l’ha emanata.

Ciò premesso, non pare che il c. 2 dell’art. 13 del D.L. 201/2011 (decreto Salva Italia) preveda che le esigenze lavorative consentano una duplice residenza in relazione al nucleo familiare spacchettato tra il coniuge fuori sede e quello in diverso comune residente e dimorante (a maggior ragione quanto la distanza tra i due comuni non è rilevante, ovvero uno dei due comuni è considerata località turistica).

D’altra parte, va osservato, che il riferimento fatto dalla Circolare alla necessità di trasferire le proprie residenza anagrafica e dimora abituale in altro comune per ragioni di lavoro è solo “un esempio” ovviamente senza carattere di esaustività, quindi il trasferimento di residenza può rinvenirsi anche a seguito di altre esigenze diverse dai motivi lavorativi. Quindi i comuni si troverebbero di fronte ad una proliferazione di casi che impegnano sicuramente gli uffici a controllare le varie posizioni contributive potenzialmente elusive.

D’altronde, non va trascurato che siffatta interpretazione ministeriale possa incoraggiare una pratica molto diffusa da parte dei coniugi, dichiarando di vivere in due diverse residenze alla ricerca di un alleggerimento fiscale pro famiglia. E’ noto, infatti, che sono sempre di più i coniugi che dichiarano di vivere in due diverse residenze, considerate come «abitazioni principali» per «ottimizzare» il carico tributario.

È un fenomeno non nuovo che però, complice anche dell’esclusione dell’Imu sull’abitazione principale, è in decisa crescita.

«È una patologia di sistema», ha sostenuto il direttore dell’Agenzia delle Entrate Attilio Befera nel corso di un’audizione alla commissione bicamerale sull’anagrafe tributaria.

Befera ha sostenuto che “quando c’è una separazione legale il Fisco ha le mani legate. Mentre invece, in assenza di questo atto, il Comune non dovrebbe attribuire una diversa residenza.

È una sorta di patologia fiscale. Le famiglie realizzano così un modello fai da te di tassazione a proprio favore”.

Per il «numero uno» delle Entrate è però incomprensibile il comportamento dei Comuni secondo i quali due coniugi sposati possano avere due diverse abitazioni principali. Questa scelta si trasforma in un boomerang per le casse comunali, con la riduzione di gettito che sarebbe dovuto arrivare dalla «seconda casa».

Analisi della giurisprudenza

Alla luce della precisazione concernente l’unicità dell’abitazione principale rispetto a ciascun nucleo famigliare, circostanza che parrebbe dover ricorrere a prescindere dalla collocazione degli immobili interessati presso il medesimo comune ovvero in comuni diversi, giova ricordare che, sul punto, la Suprema Corte (sentenza del 15 giugno 2010 n. 14389),  ha avuto modo di precisare – in costanza del regime ICI – che, in siffatta ipotesi, l’agevolazione in esame può essere invocata in relazione ad una sola delle abitazioni, non essendo sufficiente che il contribuente dimori abitualmente nell’immobile allorché i suoi famigliari dimorino altrove.

L’“interpretazione rigorosa” della norma in commento, infatti, fa rilevare che, in base alla disposizione di cui al citato art. 8, comma 2 (legislazione ai fini ICI) ai fini della spettanza della detrazione e della applicabilità dell’aliquota ridotta, una “abitazione” (ovverosia una “unità immobiliare” adibita a tale uso) posseduta dal contribuente per uno dei titoli previsti dalla norma può (e deve) essere ritenuta “principale” soltanto se nella stessa “dimorano abitualmente” sia il “contribuente” che i “suoi familiari”: per il sorgere del diritto alla detrazione, quindi, non è sufficiente che il contribuente dimori abitualmente nell’unità immobiliare se (come è pacifico nel caso) i “suoi familiari” dimorino altrove. Il concetto di “abitazione principale” considerato dalla norma – tenuto conto della identità della ratio ispiratrice, tesa comunque a tutelare una specifica situazione fattuale involgente i membri della famiglia, all’evidenza, richiama quello tradizionale di “residenza della famiglia” desumibile dal primo comma dell’art. 144 cod. civ. (testo sostituito dall’art. 26 legge 19 maggio 1975 n. 151: “i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa”) per cui è del tutto legittima l’applicazione dell’elaborazione giurisprudenziale propria della norma codicistica, in particolare del principio per il quale (Cass., 24 aprile 2001 n. 6012, che richiama “Cass. 5 maggio 1999, n. 4492; 26 giugno 1992, n. 8019”) per “residenza della famiglia” – da tenere distinta dai luoghi di “eventuali domicili fissati altrove ai sensi dell’art. 45 cod. civ.” – deve intendersi il “luogo” (“in relazione al quale”, in particolare, “deve realizzarsi, con gli adattamenti resi necessari dalle esigenze lavorative di ciascun coniuge, l’obbligo di convivenza posto dall’art. 143 cod. civ.”) di “ubicazione della casa coniugale” perché questo luogo “individua presuntivamente la residenza di tutti i componenti della famiglia”, “salvo che” tale presunzione sia superata dalla prova dello “spostamento della propria dimora abituale” causata dal verificarsi di una frattura del rapporto di convivenza.

Nell’intento di soffermare ulteriormente l’attenzione sul concetto di dimora abituale ai fini dell’applicazione dell’imposta, merita segnalare anche la Risoluzione n. 12/df del Ministero delle Finanze del 05.06.2008 prot. N. 12677. La Risoluzione in questione, interpretando la disciplina dell’esenzione per abitazione principale ai fini I.C.I., al punto 2, non fa altro che chiarire la definizione di quest’ultima, rimandando a quanto disposto dall’art. 8, comma 2, del D. Lgs. n. 504 del 1992 il quale stabilisce che, per abitazione principale, si intende quella nella quale il contribuente, che la possiede a titolo di proprietà, usufrutto o altro diritto reale, ed i suoi familiari dimorano abitualmente e che, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si identifica, salvo prova contraria, con quella di residenza anagrafica.

Quest’ultima norma ha introdotto, infatti, una presunzione relativa che legittima l’equiparazione tra dimora abituale e residenza anagrafica, a condizione che venga dato spazio alla prova contraria, che deve essere fornita dallo stesso contribuente, il quale deve dimostrare di aver fissato la propria abitazione principale in un immobile diverso da quello di residenza anagrafica. Quanto disposto dall’art. 1, comma 173, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n. 296 non fa altro che rafforzare la centralità del concetto di dimora abituale per la definizione di abitazione principale, lasciando al contribuente l’onere della prova, qualora quest’ultima sia differente dalla residenza anagrafica, dando quindi una minor valenza alla residenza anagrafica ed incentrando la materia sull’effettivo utilizzo dell’abitazione come dimora abituale da parte del titolare del diritto reale sull’immobile e dei suoi familiari.

Partendo dal caposaldo espresso dalla suddetta giurisprudenza (sentenza del 15 giugno 2010 n. 14389), connesse al concetto di famiglia e delle univoche agevolazioni a questa spettanti, non può ritenersi tollerabile né, tanto meno, accoglibile, l’interpretazione di un contribuente che, con il suo nucleo familiare usufruirebbe di ben due agevolazioni per abitazione principale ai fini I.C.I. su due immobili distinti. Questa posizione rileva, infatti, come altamente lesiva del principio di equità fiscale e contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione. Pertanto, essendo l’agevolazione per abitazione principale un privilegio fiscale univoco per ogni nucleo familiare, ne risulta che la contestazione rilevata tramite gli avvisi di accertamento notificati ai contribuenti in relazione allo scenario sopra rappresentato rispetti la normativa vigente.

In ossequio al disposto del più volte richiamato art. 8, comma 2, del D. Lgs. n. 504 del 1992, necessita ribadire che, non sono previste due agevolazioni fiscali per il medesimo nucleo familiare, concetto peraltro fortemente richiamato dalla Corte di Cassazione con la succitata sentenza n.14389 del 15 giugno 2010.

A nulla rileverebbe, quindi, l’ipotesi, decisamente fuorviante da un punto di vista normativo, di un riconoscimento extra legem della frattura familiare, solo per l’instaurarsi di una situazione di fatto rinvenibile nella divisione delle residenze tra i due coniugi. Accogliere tale concetto significherebbe, infatti, affermare la validità della cosiddetta separazione di fatto, astrazione che non trova nessun fondamento nel nostro ordinamento giuridico, che, ancora oggi, impone la separazione legale come unico strumento per il disconoscimento dello status di coniuge e di tutti i vincoli connessi, come previsto dagli articoli 150 c.c. e seguenti.

Alla luce di quanto sopra, sembrerebbe dunque potersi desumere una preclusione pressoché totale – in base alla normativa IMU – rispetto all’invocazione dell’agevolazione in esame da parte dei coniugi in relazione ad immobili diversi e ciò, peraltro, a prescindere dalla relativa ubicazione.

Nondimeno, sembrerebbe potersi scorgere uno spiraglio in relazione alle ipotesi di c.d. separazione di fatto, atteso che – come si legge nella sentenza – resterebbe salva la possibilità, per il contribuente, di dimostrare che «lo spostamento della propria dimora abituale sia stato causato dal verificarsi di una frattura nel rapporto di convivenza».

La successiva giurisprudenza di merito ha mostrato una sostanziale adesione all’interpretazione fornita da tale sentenza, rifacendosi a sua volta al concetto di “residenza della famiglia” di cui all’art. 144, c.c., (CTP Bologna, sentenza n.4/2012) ovvero precisando che «l’abitazione principale (di un singolo nucleo famigliare) non può essere più di una», sicché «la residenza dei due coniugi in due diverse unità immobiliari, in mancanza di indicazione relativa a quale delle due debba essere ritenuta come adibita a dimora anche dei famigliari del denunciante (ai sensi dell’art. 8 D.LGS. 504/1992), preclude ai medesimi la possibilità di usufruire della relativa detrazione» (CTP Bologna, sentenza n. 23/2013).

Con specifico riferimento ad un caso avente dichiaratamente ad oggetto un’ipotesi di separazione di fatto, è stato inoltre espressamente affermato che «nulla vieta, in costanza di rapporto di coniugio, ai ricorrenti, di avere acquistato ciascuno una propria abitazione, ed in quella risiedere stabilmente, avendovi posto la propria residenza», con la precisazione, tuttavia, che – diversamente da quanto desumibile dalla sopra descritta pronuncia della Suprema Corte – incomberebbe sul Comune l’onere di dimostrare la falsità delle dichiarazioni presentate dai contribuenti (CTP Bologna, sentenza n. 24 del 2012).

D’altronde, non può ritenersi sostenibile che, se in ambito Ici il comportamento adottato dai coniugi che risiedono separatamente per motivi di risparmio fiscale, era stato censurato dalla Sentenza della Cassazione n. 14389/2010, nella disciplina dell’IMU sembra tecnicamente possibile separare le residenze dei coniugi, duplicando i benefici di legge (aliquota ridotta e detrazione fino al 2012, successivamente con esenzione ed esclusione).

In tale prospettiva, la precisazione concernente l’esclusione dell’agevolazione de qua allorché invocata dai coniugi in relazione a due diversi immobili situati nel medesimo comune risulterebbe superflua e tautologica, ben potendosi addivenire alla medesima conclusione sulla base della sopra descritta definizione di “abitazione principale”.

Il Legislatore in pratica evidenzia due concetti fondamentali: quello dell’unica unità immobiliare e quello della dimora abituale e residenza anagrafica del possessore e del suo nucleo familiare. In merito a quest’ultimo punto sembra voglia far riferimento al concetto richiamato dall’art. 43, comma 2, del codice civile secondo il quale “La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. Inoltre, sempre ai fini IMU, è stato espressamente ribadito che, in presenza di due immobili nel medesimo territorio comunale, in ogni caso solo ad uno di essi potrà essere applicata l’aliquota agevolata e le detrazioni per l’abitazione principale, ad oggi l’esenzione d’imposta. La ratio della norma è di evitare che i coniugi, separando la loro residenza anagrafica in due diversi immobili, potessero usufruire per entrambi delle agevolazioni “prima casa” nell’ambito dello stesso comune, prassi di fatto molto frequente negli anni passati ai fini ICI, ciò sia che i due immobili siano collocati nel medesimo comune che nei comuni diversi.

Può accadere che i coniugi decidano di interrompere la convivenza senza formalità (senza quindi fare ricorso ad un giudice), ponendo in essere la cosiddetta separazione di fatto (marito e moglie vivono insieme o in dimore diverse, ma ognuno si occupa del proprio destino, disinteressandosi dell’altro). La separazione di fatto non produce alcun effetto sul piano giuridico, né è sufficiente a far decorrere il termine di tre anni per addivenire al divorzio. Inoltre, sebbene la separazione di fatto non sia sanzionata da alcun provvedimento dell’autorità giudiziaria, l’allontanamento di uno dei due coniugi dall’abitazione familiare o l’instaurazione di relazioni extra-coniugali potrebbero essere motivo di addebito della separazione nel caso di separazione giudiziale.

C’è un caso che sta diventando sempre più frequente: due coniugi proprietari entrambi di un appartamento, nel quale hanno residenza. In pratica i due coniugi vivono separati in due immobili diversi, e questo può accadere sia perchè sono legalmente separati (o divorziati), sia per motivi contingenti, ad esempio quelli di lavoro. In tal caso, si dice che i coniugi sono separati “di fatto”. Per inciso, ricordiamo che per coniugi esisterebbe un obbligo di coabitazione per legge, fatti salvi casi particolari e concordati: uno di questi potrebbe essere appunto un motivo di lavoro. Prendiamo il caso di una coppia non separata legalmente ma con due residenze diverse. In tale caso entrambe le abitazioni sono principali e quindi dovrebbero godere dell’esenzione ai fini IMU a partire dal 2012. In realtà, la Cassazione (sentenza del 15 Giugno 2010) ha stabilito che l’esenzione in questo caso spetta solo all’immobile che è residenza del nucleo familiare e che quindi non spetta al componente del nucleo familiare che se ne “distacca”. Se ci sono figli è facile individuare quale sia la residenza del nucleo familiare, ma se non ci sono la situazione è invece più ambigua.

Diverso è il discorso se è in corso una pratica di separazione legale. In tal caso, è ammessa l’esenzione IMU agevolata per entrambe le abitazioni principali. Anche in questo caso, l’Ufficio tributi dovrà verificare in sede di istruttoria se sussistano false pratiche di separazione avviate ad hoc per eludere l’IMU su seconde case di nuclei familiari tutt’altro che sfaldati.

Esistono poi numerosi casi particolari, varianti di quello qui proposto, ad esempio il caso in cui uno o entrambi gli immobili siano cointestati tra i coniugi… qui si deve analizzare caso per caso per capire quali siano le quote tassabili e quali no. Tutte le considerazioni fin qui fatte, valgono sia per la vecchia imposta ICI (che, ricordiamo, prima della manovra Monti, prevedeva una esenzione per l’abitazione principale), che per la nuova tassa IMU, che mantiene comunque sostanziose agevolazioni per l’abitazione principale. Ricordiamo anche che l’abitazione principale NON è la prima casa, come erroneamente indicano i media.

Al fine di dirimere le questioni interpretative intorno al concetto di abitazione principale, e, quindi, agevolare la corretta applicazione della norma, occorre una precisa disamina dei significati di dimora abituale, residenza anagrafica e nucleo familiare.

La dimora “abituale” corrisponde alla “residenza” del soggetto (art. 43 c.c.) ed è un concetto diverso dalla semplice dimora (ad esempio: la seconda casa per il fine settimana o per le vacanze).

La residenza anagrafica è quella che risulta dai registri comunali e non consente al contribuente di provare il contrario, cioè che il luogo in cui dimora abitualmente è diverso dalla residenza anagrafica.
La normativa  Imu non definisce il concetto di nucleo familiare. In assenza di indicazioni normative, si potrebbe utilizzare la nozione di “famiglia anagrafica” prevista dall’art. 4 del Dpr 223/89 (regolamento anagrafico della popolazione residente).

Dott. Antonio Mastroluca

(responsabile anti corruzione e trasparenza società Adriatica Risorse SPA)