Comm. Trib. Regionale Lazio Roma sez. XVI, sent. 19 aprile 2022, n. 1785


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

COMM. TRIB. REG. PER IL LAZIO

SEDICESIMA SEZIONE/COLLEGIO

Svolgimento del processo

Con atto depositato alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, V. E. ricorreva avverso avviso di accertamento ai fini IMU del Comune di Roma per l’anno 2013 riferito alle unità immobiliari indicate in atti, lamentandone la infondatezza non essendo titolare di alcun immobile nel Comune di Roma.

L’amministrazione comunale di Roma Capitale si costituiva contestando le avverse deduzioni e chiedendo il rigetto del ricorso.

Con sentenza depositata in data 6.12.2019, la Commissione Tributaria Provinciale di Roma rigettava il ricorso.

Con atto depositato innanzi a questa Commissione tributaria regionale, la parte contribuente proponeva appello avverso la citata sentenza per errore di giudizio dei primi giudici, ribadendo di non essere titolare di alcun immobile nel Comune di Roma. Produceva a tal fine documentazione.

In grado di appello si costituiva l’ente creditore che contestava l’appello come inammissibile perché riproduttive delle tesi e censure già spese in primo grado, e ne chiedeva il rigetto.

Motivi della decisione

L’appello proposto è fondato e va accolto.

La presente vicenda origina dalla notifica alla parte odierna appellante di un avviso di accertamento a titolo di IMU per l’anno 2013 riferito ad una serie di unità immobiliari indicate in atti. A fronte della contestazione di non essere titolare di alcun immobile nel comune di Roma da parte della contribuente, la Commissione tributaria provinciale ha rigettato il ricorso.

Con l’appello proposto la parte contribuente ha lamentato l’asserito errore dì giudizio della decisione di primo grado, ribadendo di non essere titolare di alcun immobile nel Comune di Roma, e pertanto di considerare infondata la pretesa di pagamento impugnata in primo grado.

In particolare, la contribuente ha evidenziato che insieme al coniuge aveva costituito un fondo patrimoniale, nel quale erano stati conferiti taluni beni immobili (indicati nel relativo atto di costituzione e riportati nella documentazione prodotta).

In conseguenza di tale atto, l’amministrazione comunale ha inteso che con la predetta costituzione del fondo patrimoniale sarebbe avvenuto il trasferimento delle unità immobiliare ivi descritte, per il 50%, in capo alla contribuente odierna appellata.

La tesi è smentita documentalmente in maniera inequivoca. Infatti, l’atto di costituzione del fondo patrimoniale in data 25.7.2003 si limita a prevedere, per l’appunto, la destinazione dei beni ivi indicati allo scopo precipuo di cui agli artt. 167 e seguenti del codice civile; ma non contiene anche un atto di trasferimento dei predetti beni – che non appartenevano neanche pro quota alla odierna appellata – in capo ad uno dei due coniugi, nel caso di specie alla v. E. In tal senso milita la mera lettura dell’atto, che non contiene tale manifestazione di volontà delle parti eventualmente interessate, pure necessaria.

Come è noto, il fondo patrimoniale, come vincolo impresso ai beni del patrimonio familiare per il supporto delle esigenze della famiglia, dà luogo alla costituzione di un patrimonio di destinazione. Ne discende la costituzione, con una convenzione matrimoniale, di un limite alla disponibilità dei beni così conferiti, ai sensi dell’art. 167 c.c., proprio in quanto connotati da un vincolo di destinazione per fronteggiare i bisogni familiari (Cass. Civ., Sez. Un. n. 21658 del 2009). Per effetto della costituzione del fondo patrimoniale derivano immediati effetti circa la disponibilità dei beni conferiti e la relativa aggredibilità da parte dei creditori. Infatti, Ai sensi dell’art. 170 c.c., il fondo patrimoniale non può essere sottoposto a esecuzione per crediti estranei ai bisogni della famiglia.

Ma certamente il mero conferimento dei beni nel fondo patrimoniale non comporta l’attribuzione degli stessi, in ragione del 50% o in altra misura, all’altro coniuge, evento quest’ultimo che potrebbe discendere solo da una apposita ed espressa volontà negoziale, in termini di compravendita o di donazione, ovvero ad altro titolo eventualmente consentito, ma pur sempre confortata dalla necessità di forma scritta ad substantiam.

Come coerentemente è stato rilevato in giurisprudenza, anche ai fini della individuazione del regime impositivo della circolazione immobiliare, “L’atto costitutivo del fondo patrimoniale, posto in essere mediante il conferimento di un immobile di proprietà esclusiva di uno dei coniugi, con riserva di titolarità del diritto reale sul bene medesimo, è un atto che, seppur comporta degli effetti economici nei confronti dei terzi creditori, realizza un mutamento del regime giuridico del bene senza implicare alcuna attribuzione patrimoniale. Ne consegue che la fattispecie rientra nel disposto dell’art. 11 della Tariffa del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e quindi l’assoggettamento della stessa all’imposta di Registro nella misura fissa e non proporzionale. L’imposta sulle donazioni non è applicabile, per difetto del presupposto impositivo, all’atto costitutivo di un fondo patrimoniale, atteso che questo determina soltanto un vincolo di destinazione sui beni confluiti nel fondo, affinché i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma non incide sulla titolarità dei beni stessi che non divengono oggetto di trasferimento “inter vivos”, per spirito di liberalità. (Cass. civ., Sez. V, 06/06/2002, n. 8162).

In termini non meno espliciti, si è altresì precisato che “La convenzione tra coniugi con la quale alcuni beni (immobili, mobili registrati o titoli di credito) vengono costituiti in fondo patrimoniale, ai sensi dell’art. 167 c.c. non è un atto traslativo, in quanto non vi è trasferimento di proprietà o altro diritto reale, dal momento che la proprietà esclusiva resta al coniuge conferente, né – contemporaneamente – è un atto avente per oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale, perché tra gli stipulanti non vi è scambio di alcuna prestazione e controprestazione patrimoniale né, infine, è un atto avente mera natura ricognitiva, atteso che fa sorgere un vincolo di destinazione dei beni, efficace erga omnes. In conclusione, atteso che si è a fronte a una convenzione costitutiva di un nuovo regime giuridico, diverso da quello precedente, costitutivo di beni in un patrimonio avente un vincolo di destinazione a carattere reale (in quanto vincola l’utilizzazione dei beni e dei frutti solo per assicurare il soddisfacimento dei bisogni della famiglia) si è a fronte, sotto il profilo fiscale, ad un atto rientrante nella categoria residuale disciplinata dall’art. 11 della tariffa parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 e, quindi, soggetto al regime di tassazione dell’imposta di registro m misura fissa.” (Cass. civ., Sez. V, 07/07/2003, n. 10666).

In definitiva, la convenzione costitutiva del fondo patrimoniale posta in essere dai coniugi a mente dell’art. 167 c.c. ha la finalità essenziale ed imprescindibile di realizzare un vincolo di destinazione su determinati beni affinché i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia; tale convenzione, però, non si configura come necessariamente traslativa della proprietà e degli altri diritti reali sui beni compresi nel fondo, perché l’art. 168, 1 comma, c. c., prevede che essa possa contenere pattuizioni intese a consentire a ciascuno dei coniugi di conservare la titolarità esclusiva dei suoi diritti individuali sui beni vincolati. Ne deriva che, nel caso di inserimento nella convenzione costitutiva di fondo patrimoniale di una clausola di salvaguardia in questo senso, si assiste ad un negozio giuridico che non comporta alcun trasferimento della proprietà o degli altri diritti reali immobiliari (Comm. trib. centr., 11/09/1989, n. 5503).

E tanto è avvenuto nel caso di specie.

Anche le risultanze catastali prodotte dalla parte contribuente confortano tale esito, sia con riferimento alla interrogazione dei sistemi catastali in data 18.1.2020, sia con riferimento alla visura storica, confermando che la contribuente odierna appellata non riveste, né rivestiva all’epoca della pretesa tributaria in esame, il ruolo di soggetto passivo ai fini IMU per il Comune di Roma.

Al riguardo va evidenziato che la produzione documentale avvenuta in grado di appello, è senz’altro ammissibile in questa sede, ai sensi dell’art. 58 del D.Lgs. n. 546 del 1992, senza che possa configurarsi alcuna circostanza ostativa all’esito descritto.

Come rilevato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n.199 del 2017, premesso che non esiste un principio costituzionale di necessaria uniformità tra i diversi tipi di processo (ex plurimis sentenze n. 165 e n. 18 del 2000, n. 82 del 1996; ordinanza n. 217 del 2000), e, più specificatamente, un principio di uniformità del processo tributario e di quello civile (tra le altre, ordinanze n. 316 del 2008, n. 303 del 2002, n. 330 e n. 329 del 2000, n. 8 del 1999); e che è riconosciuta un’ampia discrezionalità del legislatore nella loro conformazione (ex plurimis, sentenze n. 94 del 2017, n. 121 e n. 44 del 2016), fermo restando, naturalmente, il limite della manifesta irragionevolezza di una disciplina che comporti un’ingiustificabile compressione del diritto di agire (sentenze n. 121 e n. 44 del 2016, n. 335 del 2004), la Corte Costituzionale ha rilevato che l’art. 24 Cost non impone l’assoluta uniformità dei modi e dei mezzi della tutela giurisdizionale: ciò che conta è che non vengano imposti oneri tali o non vengano prescritte modalità tali da rendere impossibile o estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento dell’attività processuale (ex plurimis, sentenze n. 121 e n. 44 del 2016; ordinanza n. 386 del 2004).

Conseguentemente, si è affermato che “la previsione che un’attività probatoria, rimasta preclusa nel giudizio di primo grado, possa essere esperita in appello non è di per sé irragionevole, poiché “il regime delle preclusioni in tema di attività probatoria (come la produzione di un documento) mira a scongiurare che i tempi della sua effettuazione siano procrastinati per prolungare il giudizio, mentre la previsione della producibilità in secondo grado costituisce un temperamento disposto dal legislatore sulla base di una scelta discrezionale, come tale insindacabile” (ordinanza n. 401 del 2000). Non sussiste (…) violazione dell’art. 24 Cost. per la perdita di un grado di giudizio: è infatti giurisprudenza pacifica di questa Corte che la garanzia del doppio grado non gode, di per sé, di copertura costituzionale (ex multis, sentenza n. 243 del 2014; ordinanze n. 42 del 2014, n. 190 del 2013, n. 410 del 2007 e n. 84 del 2003)”.

Suggestivo, ma del tutto inconferente è l’argomento speso dal Comune di Roma allorché ha eccepito che la tesi della parte appellante sarebbe stata smentita dalla circostanza per la quale il coniuge della odierna appellante aveva ricevuto notifica di avviso di pagamento per una quota pari al 50% delle unità immobiliari in esame, e avrebbe pagato senza eccepire alcunché. A parte il rilievo per il quale tale elemento è stato introdotto per la prima volta solo in sede di note conclusive, e non nell’atto di costituzione in giudizio, è evidente in ogni caso che pare francamente estraneo al sistema pretendere dal contribuente, al quale venga recapitato un atto contenente una pretesa di pagamento tributario da parte dell’ente creditorie, di doversi attivare per evidenziare la eventuale insufficiente pretesa tributaria, così dovendo egli stesso richiedere di incrementare la propria posizione debitoria a fronte di quanto invece formalmente richiesto dall’ente titolare.

Conseguentemente, va accolto l’appello della parte privata.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e, liquidate in dispositivo, gravano sulla parte appellata.

P.Q.M.

La Commissione tributaria regionale dì Roma, sezione 16, accoglie l’appello. Condanna la parte appellata alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio, liquidate in complessivi Euro 700,00, oltre accessori, e delle spese del presente grado di appello, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, oltre accessori.

Roma il 19 aprile 2022.


MASSIMA: La CTR Lazio ha dichiarato infondato l’accertamento IMU nei confronti del coniuge non titolare del diritto reale sull’immobile costituito in fondo patrimoniale, in base al principio per cui la stipula di un fondo patrimoniale tra coniugi ai sensi dell’art. 167 c.c. ha lo scopo essenziale ed imprescindibile di realizzare un vincolo di destinazione su determinati beni, affinché i loro frutti assicurino il soddisfacimento dei bisogni della famiglia. 

Tuttavia tale convenzione non necessariamente ha effetti traslativi della proprietà e degli altri diritti reali sui beni del fondo. 

Ciò in quanto, secondo l’art. 168, 1° comma, c.c., può contenere una clausola di salvaguardia intesa a consentire a ciascuno dei coniugi di conservare la titolarità esclusiva dei suoi diritti individuali sui beni vincolati.