Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 01 marzo 2025, n. 5445


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Riunita in camera di consiglio nella seguente composizione:

Dott. DI PISA Fabio – Presidente

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere Relatore

Dott. LIBERATI Alessio – Consigliere

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31594/2021 R.G., proposto

DA

A.A., nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della “…”, con sede in P, rappresentata e difesa dall’Avv. …, con studio in…, ove elettivamente domiciliata (indirizzo p.e.c. per comunicazioni e notifiche: Omissis), giusta procura in allegato alla comparsa di nomina di nuovo difensore nel presente procedimento;                                                                                        – RICORRENTE –

CONTRO

Comune di Palma Campania (NA), in persona del Sindaco pro tempore;                                                            – INTIMATO –

avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Campania il 14 giugno 2021, n. 5041/25/2021;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 29 gennaio 2025 dal Dott. Giuseppe LO SARDO;

Svolgimento del processo

  1. A.A., nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante della “…”, ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione tributaria regionale per la Campania il 14 giugno 2021, n. 5041/25/2021, la quale, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di avviso di accertamento n. (Omissis) del 28 settembre 2018 per omesso parziale versamento dell’IMU relativa all’anno 2013, con riguardo alla proprietà di un opificio industriale e di un’annessa abitazione ubicati in Palma Campania (NA) e censiti in catasto con le particelle (Omissis) sub. (Omissis) e (Omissis) sub. (Omissis) del folio (Omissis), in conseguenza dell’esclusione (per il primo) della tassazione dell’area edificabile a causa dell’inserimento in catasto per l’annata di riferimento e del disconoscimento (per la seconda) dell’esenzione per l’abitazione principale in favore dell’amministratore unico, ha rigettato l’appello proposto dalla “…” nei confronti del Comune di Palma Campania (NA) avverso la sentenza depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli il 2 luglio 2020, n. 5003/06/2020, senza alcuna pronuncia sulle spese giudiziali per la contumacia della parte vittoriosa.
  1. Il giudice di appello ha confermato la decisione di prime cure – che aveva rigettato il ricorso originario della contribuente – sul rilievo, per un verso, che l’opificio industriale risultava essere stato inserito catasto sin dall’anno 2008, per cui l’imposta doveva liquidarsi sul valore del fabbricato edificato e non dell’area edificabile, e, per altro verso, che l’esenzione presupponeva la soggettività passiva per l’imposta, per cui il proprietario dell’abitazione era l’unico a poterne usufruire.
  1. Il Comune di Palma Campania (NA) è rimasto intimato.
  1. Il consigliere delegato allo spoglio ha formulato proposta di definizione accelerata per manifesta infondatezza del ricorso per cassazione, a seguito della quale la ricorrente ha chiesto la decisione della causa.
  1. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 cod. proc. civ.;

Motivi della decisione

  1. Il ricorso è affidato a due motivi;
  1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 1, lett. a), e, 5, comma 6, del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, e 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., per essere stato deciso l’appello dal giudice di secondo grado con motivazione meramente apparente con riguardo alla doglianza dell’omessa allegazione all’avviso di accertamento delle deliberazioni adottate dal Consiglio Comunale il 29 luglio 2012, n. 46, ed il 22 novembre 2013, n. 73, omettendo l’esame di fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, consistente nel certificato di agibilità emesso dal Comune di Palma Campania (NA) il 24 ottobre 2014, dal quale si evinceva che l’opificio industriale era stato ultimato il 4 agosto 2014, era stato denunciato in catasto il 6 agosto 2014 ed aveva acquisito l’agibilità il 24 ottobre 2014.

2.1 Il predetto motivo è inammissibile e, comunque, infondato.

2.2 Anzitutto, ci si trova di fronte ad un motivo c.d. “misto” – deducendosi sia l’omesso esame di fatto decisivo sia la violazione o falsa applicazione di legge – con conseguente applicazione del principio per cui è inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi di impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360, primo comma, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, e ciò in quanto una simile formulazione mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo, inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (tra le tante: Cass., Sez. 1, 23 ottobre 2018, n. 26874; Cass., Sez. 6-5, 20 maggio 2022, n. 16384; Cass., Sez. Trib., 5 luglio 2023, n. 18984; Cass., Sez. Lav., 6 febbraio 2024, n. 3397; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2024, nn. 32364 e 32367)

2.3 Ad ogni modo, al di là della commistione di censure riconducibili a fattispecie eterogenee dell’art. 360, primo comma, nn. 4) e 5), cod. proc. civ. (vale a dire, motivazione apparente e omesso esame di fatto decisivo), va rilevata la preclusione derivante dalla c.d. “doppia conforme” (per la soccombenza in primo grado ed in secondo grado), che non consente di censurare l’omesso esame di fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti ex art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ.;

difatti, in siffatta ipotesi, prevista dall’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012; detta norma è stata mantenuta, anche dopo l’abrogazione disposta dall’art. 3, comma 26, lett. e), del D.Lgs. 1 ottobre 2022, n. 149, per i giudizi introdotti prima dell’1 gennaio 2023, dall’art. 35, comma 5, del D.Lgs. 1 ottobre 2022, n. 149, quale modificato dall’art. 380, lett. a), della legge 29 dicembre 2022, n. 197), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ed applicabile alle sentenze pubblicate dall’11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (tra le tante: Cass., Sez. 1, 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass., Sez. Lav., 6 agosto 2019, n. 20994; Cass., Sez. 5, 12 luglio 2021, n. 19760; Cass., Sez. 5, 1 aprile 2022, n. 10644; Cass., Sez. 5, 11 aprile 2022, n. 11707; Cass., Sez. 6-5, 28 aprile 2022, n. 13260; Cass., Sez. Trib., 13 dicembre 2023, n. 34902; Cass., Sez. Trib., 27 giugno 2024, n. 17782);

nella specie, però, a fronte della soccombenza nel doppio grado di merito, la ricorrente non ha indicato le ragioni di fatto differenti a seconda del giudizio; ne discende che le questioni sono state esaminate e decise in modo uniforme dai giudici del doppio grado di merito, per cui non ne è possibile alcun sindacato da parte del giudice di legittimità in relazione alla violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ.).

2.4 Da ultimo, poi, non si ravvisano gli estremi della motivazione apparente.

Come è noto, l’art. 36, comma 2, n. 4), del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, sulla falsariga dell’art. 132, secondo comma, n. 4), cod. proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 45, comma 17, della legge 18 giugno 2009, n. 69), rispetto alla cui violazione la censura può considerarsi implicitamente formulata in base al tenore espositivo del mezzo, dispone che la sentenza: “(…) deve contenere: (…) 4) la concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione; (…)”.

Per costante giurisprudenza, invero, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza impugnata, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili (tra le tante: Cass., Sez. 5, 30 aprile 2020, n. 8427; Cass., Sez. 6-5, 15 aprile 2021, n. 9975; Cass., Sez. Trib., 20 dicembre 2022, n. 37344; Cass., Sez. Trib., 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 9 aprile 2024, n. 9446).

Peraltro, si è in presenza di una tipica fattispecie di “motivazione apparente”, allorquando la motivazione della sentenza impugnata, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente e, talora, anche contenutisticamente sovrabbondante, risulta, tuttavia, essere stata costruita in modo tale da rendere impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento decisorio, e quindi tale da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. (tra le tante: Cass., Sez. 1, 30 giugno 2020, n. 13248; Cass., Sez. 6-5, 25 marzo 2021, n. 8400; Cass., Sez. 6-5, 7 aprile 2021, n. 9288; Cass., Sez. 5, 13 aprile 2021, n. 9627; Cass., Sez. 6-5, 24 febbraio 2022, n. 6184; Cass., Sez. Trib, 18 aprile 2023, n. 10354; Cass., Sez. Trib., 9 aprile 2024, n. 9446).

In particolare, poi, il vizio di motivazione contraddittoria è rinvenibile soltanto in presenza di un contrasto insanabile ed inconciliabile tra le argomentazioni addotte nella sentenza impugnata, che non consenta la identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (tra le tante: Cass., Sez. Lav., 17 agosto 2020, n. 17196; Cass., Sez. 6-5, 14 aprile 2021, n. 9761; Cass., Sez. 5, 26 novembre 2021, n. 36831; Cass., Sez. 6-5, 14 dicembre 2021, n. 39885; Cass., Sez. 5, 27 aprile 2022, nn. 13214, 13215 e 13220; Cass., Sez. Trib., 23 agosto 2023, n. 25079; Cass., Sez. Trib., 2 settembre 2024, n. 23530).

Nella specie, invece, la motivazione della sentenza impugnata esplicita il percorso logico-giuridico in modo assolutamente adeguato, scrutinando la censura relativa all’omessa allegazione delle delibere consiliari all’atto impositivo e valutando l’irrilevanza del certificato di agibilità dell’opificio industriale a fronte dell’antecedente inserimento in catasto con l’attribuzione di rendita.

  1. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 32 della legge 18 giugno 2009, n. 69, e 1 del D.L. 21 maggio 2013, n. 54, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2013, n. 85, del D.L. (recte: della legge) 29 gennaio 2014, n. 5, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3) e 4), cod. proc. civ., per essere stato erroneamente affermato dal giudice di secondo grado, con motivazione carente o apparente, che l’atto impositivo fosse legittimo anche in relazione al disconoscimento dell’esenzione prevista per l’abitazione principale.

3.1 Il predetto motivo è infondato.

3.2 Con motivazione pienamente rispondente al parametro del minimo costituzionale, il giudice di appello ha esaminato e vagliato i documenti prodotti dalla contribuente, tra cui l’atto pubblico rogato dal segretario comunale il 29 dicembre 2010, rep. n. 33/2010, in cui si dà atto dell’insistenza dei fabbricati sull’area di sedime sin dall’anno 2010, riportandosene l’identificazione catastale (particella 2036 sub. 1 e particella 2036 sub. 3 del folio 9). Del resto, il certificato di agibilità dell’opificio industriale è del tutto irrilevante ai fini dell’esenzione dall’imposta, per la quale è necessario e sufficiente il solo censimento in catasto.

3.3 Quanto, infine, all’esenzione per l’abitazione principale, essa compete soltanto a persone fisiche che siano titolari del diritto di proprietà o di diritti reali di godimento sull’immobile, come si evince dall’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (a cui fa rinvio l’art. 13, comma 1, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), a tenore del quale: “Soggetti passivi dell’imposta municipale propria sono il proprietario di immobili, inclusi i terreni e le aree edificabili, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa, ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie sugli stessi”.

Difatti, soltanto le persone fisiche possono destinare gli immobili posseduti ad abitazione (per sé e per la propria famiglia), fissandovi la dimora abituale e la residenza anagrafica ai sensi degli artt. 8, comma 3, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, e 13, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Laddove, nella specie, essendo proprietaria la società contribuente, l’amministratore unico è soltanto un mero detentore dell’immobile destinato a dimora abituale e residenza anagrafica del proprio nucleo familiare.

In tale direzione, ad avvalorare la conclusione raggiunta, si rammenta che questa Corte si è già pronunciata in riferimento alle società di mero godimento, affermando che la disciplina che ha introdotto l’esenzione dall’ICI per la prima casa di abitazione con decorrenza dall’anno 2008 (vale a dire, il D.L. 27 maggio 2008, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 126), ma con valenza riflessa anche per l’IMU, postula che il soggetto passivo che ne può beneficiare sia una persona fisica e non una persona giuridica.

È da escludere, dunque, la sussistenza dei presupposti perché una società semplice possa beneficiare dell’agevolazione in oggetto, in ragione dell’obbligo di stretta interpretazione delle disposizioni in materia di agevolazione. In tal senso, assume rilievo determinante il fatto che la società semplice è un soggetto giuridico diverso dai soci, creato con specifiche finalità, mentre il regime agevolativo impone che il beneficio sia concesso a persone fisiche, proprietarie di immobili o titolari di diritti reali, che utilizzano il bene con le finalità peculiari indicate dalla norma. Non è controverso, infatti, che la proprietà degli immobili appartiene alla società semplice, mentre i soci risultano titolari solo di una quota ideale di compartecipazione e non sono titolari diritti reali sullo specifico immobile utilizzato come abitazione principale, essendo quindi irrilevante che abbiano trasferito la propria residenza nello stesso e che lo utilizzino come abitazione del proprio nucleo familiare (in termini: Cass., Sez. 5, 24 settembre 2019, n. 23682; Cass., Sez. 5, 8 giugno 2022, n. 18554).

3.4 Ad ogni buon conto, considerando la peculiarità della vicenda in disamina (anche rispetto ai richiamati arresti), si valuta l’opportunità di enunciare il seguente principio di diritto: “In materia di IMU, alla luce del coordinamento sistematico tra l’art. 9, comma 1, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23 (a cui fa rinvio l’art. 13, comma 1, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214), che individua i soggetti passivi dell’imposta, e gli artt. 8, comma 3, del D.Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, e dell’art. 13, comma 2, del D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che esentano da imposta l’abitazione principale (in presenza di determinati requisiti, soggettivi ed oggettivi), si desume che l’esenzione in parola spetta in via esclusiva alle persone fisiche che siano titolari del diritto di proprietà o di diritti reali di godimento sull’immobile destinato ad abitazione e che abbiano ivi fissato la dimora abituale e la residenza anagrafica; ne consegue che tale beneficio non può competere ad una società, anche nell’ipotesi in cui un amministratore o un socio, in qualità di mero detentore a titolo personale, abbia destinato ad abitazione, fissandovi la dimora abituale e la residenza anagrafica, un immobile su cui la società amministrata o partecipata sia titolare del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento, ostandovi la inscindibilità tra la titolarità del diritto presupposto ed il godimento abitativo dell’immobile in capo al medesimo soggetto”.

  1. In conclusione, valutandosi l’infondatezza o l’inammissibilità dei motivi dedotti, alla stregua delle suesposte argomentazioni, il ricorso deve essere rigettato.
  1. Nulla deve essere disposto in ordine alla regolamentazione delle spese giudiziali, essendo rimasta intimata la parte vittoriosa.
  1. Per la stessa ragione, non si può provvedere ai sensi dell’art. 96, terzo comma, cod. proc. civ. (quale introdotto dall’art. 45, comma 12, della legge 18 giugno 2009, n. 69), in virtù del richiamo fattone dall’art. 380-bis, terzo comma, cod. proc. civ. (nel testo novellato dall’art. 3, comma 28, n. 3), lett. g), del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), nonostante la manifesta inammissibilità/infondatezza del ricorso.
  1. In applicazione del combinato disposto degli artt. 380-bis, terzo comma, e 96, quarto comma, cod. proc. civ., si deve, invece, condannare la ricorrente a pagare una sanzione di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle Ammende; peraltro, le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, terzo comma, cod. proc. civ. (come novellato dall’art. 3 del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149) – che, nei casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, contiene una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna ai sensi del terzo e del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ.

– codifica un’ipotesi normativa di abuso del processo, poiché il non attenersi ad una valutazione del proponente, poi confermata nella decisione definitiva, lascia presumere una responsabilità aggravata del ricorrente (Cass., Sez. Un., 27 settembre 2023, n. 27433; Cass., Sez. Un., 13 ottobre 2023, n. 28540), per quanto sia stato precisato che la predetta norma non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, la quale resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2023, n. 36069), avendosi particolare riguardo, nella specie, alla omogeneità delle ragioni decisorie rispetto alla formulazione della proposta;

che, inoltre, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380-bis cod. proc. civ. (come novellato dall’art. 3 del D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 149), la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ. in favore della Cassa delle Ammende – nel caso in cui egli abbia formulato istanza di decisione (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 380-bis cod. proc. civ.) e la Corte abbia definito il giudizio in conformità alla proposta – deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori (Cass., Sez. Un., 22 settembre 2023, n. 27195 – nello stesso senso: Cass., Sez. 3, 4 ottobre 2023, n. 27947).

  1. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento di una sanzione di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, ai sensi dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Conclusione

Così deciso a Roma nella camera di consiglio del 29 gennaio 2025.

Depositato in Cancelleria l’1 marzo 2025.


MASSIMA: Gli immobili intestati a una società non possono fruire dell’esenzione Imu anche se l’amministratore unico lo utilizzi come abitazione principale. L’esenzione va riconosciuta solo alle persone fisiche titolari del diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento sull’immobile.