Cass. civ., Sez. V, Ordinanza, 30 ottobre 2024, n. 27992
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE
Composta dai magistrati
Dott. PERRINO Angelina Maria – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere
Dott. BILLI Stefania – Consigliere Rel.
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere
Dott. PICARDI Francesca – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12490/2023 R.G. proposto da
…, in persona del legale rappresentante p.t. rappresentata e difesa dall’Avv. … – ricorrente –
contro
Istituto autonomo case popolari della provincia di … in liquidazione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. … – controricorrente –
Comune di Castellammare di Stabia – intimato –
avverso la sentenza della Commissione Regionale tributaria della Campania n. 7507/2022 depositata il 22 novembre 2022.
Udita la relazione svolta nella udienza dell’11 ottobre 2024 dal Consigliere Stefania Billi
Svolgimento del processo
L’oggetto della controversia è l’avviso di accertamento n. (Omissis) del 12/11/2020 IMU anno 2018, emesso dalla … (d’ora in poi ricorrente), con cui il comune di Castellammare di Stabia (d’ora in poi ente intimato) ha chiesto all’Istituto autonomo case popolari della provincia di Napoli in liquidazione (d’ora in poi controricorrente) il versamento del complessivo importo di Euro 721.263,00, comprensivo di sanzioni e interessi a titolo di Imu per l’anno 2018.
La questione centrale del giudizio ruota intorno al quesito se sia applicabile agli immobili assegnati dallo Iacp l’esenzione dell’IMU di cui all’art. 13 comma 2, lett. b) del d.l. n. 201/2011 prevista per i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali come definiti dal Decreto del Ministro delle Infrastrutture 22 aprile 2008, pubblicato in G.U. n. 146 del 24 giugno 2008, ovvero se trovi applicazione il comma 10 della richiamata norma che prevede l’applicazione di una detrazione di 200,00 euro, fino a concorrenza dell’imposta dovuta, agli alloggi assegnati dagli IACP.
La CTP ha accolto il ricorso proposto dall’odierno controricorrente, ritenendo fondata “la censura di difetto di motivazione per non avere il Comune di Castellammare adeguatamente chiarito le ragioni dell’imposizione e, in particolare, del disconoscimento della natura “sociale” degli alloggi dell’IACP che lo stesso Comune “assegna” agli aventi diritto”.
La CTR ha rigettato l’appello principale e accolto quello incidentale, sulla base delle seguenti ragioni, per quello che ancora rileva in questa sede:
– è legittima l’esenzione dal pagamento del tributo per i fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali e di proprietà dell’Istituto Autonomo Case Popolari della Provincia di … laddove, però, “ricorra il requisito di destinazione di alloggi sociali come definiti nel D.M. infrastrutture 22 aprile 2008” che deve essere accertato dal giudice di merito;
– in proposito è determinante la valutazione in concreto della destinazione sociale degli immobili e, quindi, individuare le caratteriste peculiari degli alloggi così come indicate dal Ministero delle infrastrutture con il Decreto 22 aprile 2008;
– nel caso in esame si ritiene sufficientemente provata dalla documentazione agli atti la sussistenza dei requisiti richiesti, “alcuni dei quali connessi alla natura dello IACP, alla sua natura di soggetto istituzionale ed ai suoi compiti statutari tra cui rientrano ab origine quelli di interesse generale di riduzione del disagio abitativo e di coesione sociale, altri dei quali alla origine e caratteristiche del patrimonio immobiliare.
In particolare, poi, vale osservare che nella controversia in esame l’appellato IACP, peraltro senza contestazioni di controparte:
– ha regolarmente presentato apposita dichiarazione IMU 2014, utilizzando il modello ministeriale predisposto per la presentazione delle suddette dichiarazioni, con la quale ha attestato il possesso dei requisiti di alloggio sociale ai sensi del DM 22 aprile 2008, indicando gli identificativi catastali degli immobili ai quali applicare il beneficio di esenzione IMU,
– ha dichiarato che le procedure di assegnazione degli immobili avvengono a cura dello stesso Comune di Castellammare, che assegna gli alloggi agli aventi diritto formando l’apposita graduatoria, in maniera conforme ai requisiti richiesti dal DM 22 aprile 2008;
– ha documentato, presentando perizia giurata, la evoluzione storica e le caratteristiche costruttive del patrimonio immobiliare dello IACP, conforme ai requisiti identificativi degli alloggi sociali ai sensi del DM 22 aprile 2008″.
L’odierna ricorrente ha proposto ricorso fondato su due motivi e depositato memoria; il solo Istituto autonomo case popolari della provincia di Napoli in liquidazione ha proposto controricorso, che pure ha illustrato con memoria.
Motivi della decisione
- Occorre la preventiva disamina delle eccezioni sollevate con il controricorso, in quanto attinenti all’improcedibilità e all’inammissibilità del ricorso principale.
1.1 Con la prima eccezione si invoca l’improcedibilita del ricorso per mancata allegazione di copia autentica della sentenza notificata ex art. 369, secondo comma, c.p.c.
Si osserva che trova in proposito applicazione il principio di legittimità ispirato ad esigenze di effettività della tutela che attribuisce rilievo al comportamento delle parti. E’ stato, così, affermato che il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata predisposta in originale telematico e notificata a mezzo PEC priva di attestazione di conformità del difensore ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, della l. n. 53 del 1994, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca ex art. 23, comma 2, D.Lgs. n. 82 del 2005, la conformità della copia informale all’originale notificatogli; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata, ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in camera di consiglio (Cass., Sez. U, n. 8312/2019, Rv. 653597 – 01). Nel caso in esame il controricorrente costituendosi, ha depositato la copia della sentenza impugnata senza disconoscere il contenuto della copia depositata dalla controparte. Ne consegue che l’irritualità è stata sanata per effetto del bilanciamento dei molteplici principi e valori in gioco che sono immanenti al giusto processo (art. 6 CEDU, ma anche art. 47 della Carta UE e art. 111 Cost.).
1.2. Con la seconda eccezione si contesta l’ammissibilità del ricorso per carenza di procura speciale. L’eccezione è priva di pregio, in quanto la procura rilasciata su foglio separato fa riferimento al giudizio in questione e, sul punto, si intende ribadire il principio per cui, in tema di ricorso per cassazione, il requisito della specialità della procura, di cui agli artt. 365 e 83, comma 3, c.p.c., non richiede la contestualità del relativo conferimento rispetto alla redazione dell’atto a cui accede, essendo a tal fine necessario soltanto che essa sia congiunta, materialmente o mediante strumenti informatici, al ricorso e che il conferimento non sia antecedente alla pubblicazione del provvedimento da impugnare e non sia successivo alla notificazione del ricorso stesso.
Nel caso di specie, la procura rilasciata con documento separato contiene nell’intestazione l’esplicito riferimento al procedimento per cui è causa ed è stata rilasciata in data anteriore (12 maggio 2023) alla notifica del ricorso (22 maggio 2023).
1.3. Con la terza eccezione si deduce l’inammissibilità per violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c. per mancata indicazione dei documenti sui quali i motivi di impugnazione sono fondati. L’eccezione è infondata, in quanto per il primo motivo, fondato essenzialmente su una questione di diritto, l’interpretazione dell’art. 13, commi 2, lett. b) e 10 del d.l. n. 201 del 2011, non si poneva alcuna esigenza di riferimento documentale, se non la sentenza impugnata, che risulta trascritta quasi integralmente.
1.4. Con la quarta eccezione si contesta l’ammissibilità del ricorso per violazione del principio di autosufficienza per eccesso. L’eccezione non può essere accolta.
Deve essere qui ribadito che, in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza di cui all’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c. in caso di deduzione di errores in procedendo, impone la trascrizione essenziale degli atti e dei documenti per la parte d’interesse, in modo da contemperare il fine legittimo di semplificare l’attività del giudice di legittimità e garantire la certezza del diritto e la corretta amministrazione della giustizia, salvaguardando la funzione nomofilattica della Corte ed il diritto di accesso della parte ad un organo giudiziario, in misura tale da non inciderne la stessa sostanza (Cass., Sez. 3, n. 21346/2024, Rv. 671835 – 01).
Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6), c.p.c., si ricorda è stato adeguatamente ridefinito, quale corollario del requisito di specificità dei motivi, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021. Si è in proposito chiarito che esso non deve essere interpretato in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa e non può, pertanto, tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, insussistente laddove nel ricorso sia puntualmente indicato il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure, e sia specificamente segnalata la loro presenza negli atti del giudizio di merito (Cass., Sez. U, n. 8950/2022, Rv. 664409 – 01).
Il ricorso in esame si colloca perfettamente nel perimetro dei precedenti ora richiamati, contenendo la trascrizione quasi integrale della sentenza impugnata, in ragione dei motivi di impugnazione proposti.
1.5. Con la quinta eccepisce l’inammissibilità per violazione dell’art. 366 c.p.c., lamentando la mancata chiara esposizione dei fatti di causa essenziali alla illustrazione dei motivi. L’eccezione è infondata, in quanto nella parte in fatto la ricorrente ha ampiamente dedotto, per circa 20 pagine i fatti di causa, posti a base dei motivi di impugnazione, illustrando analiticamente le ragioni spiegate da entrambe le parti nei precedenti gradi di giudizio, legate all’interpretazione del più volte richiamato art. 13 del d.l. n. 201 del 2011.
1.6. Con la sesta si eccepisce l’inammissibilità del primo motivo di ricorso, perché sotto l’apparente denuncia di violazione di legge si chiede una nuova valutazione del merito; in subordine, si contesta la fondatezza del motivo. L’eccezione non ha pregio, in quanto, come già sopra affermato, con il primo motivo la ricorrente sviluppa essenzialmente la propria interpretazione del citato art. 13. Né, peraltro, il motivo contiene denunce circa il cattivo governo dei mezzi istruttori. Sull’aspetto della fondatezza si rinvia al punto 2.
1.7. La settima eccezione è infondata. Con essa si contesta l’ammissibilità del primo motivo di ricorso per carenza di specifica impugnazione della ratio decidendi; in subordine, la fondatezza del motivo.
Il controricorrente sostiene che la sentenza impugnata abbia deciso per “la spettanza dell’esenzione invocata ai sensi dell’art. 13 DL n.201/2011 perché Iacp prova che gli immobili posseduti sono destinati in locazione permanente ad uso abitativo a favore di soggetti bisognosi e, in quanto tali, qualificabili alloggi sociali e perciò assimilati alle prime abitazioni”. Deduce che il motivo di impugnazione sia, invece, costruito sulla diversa esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lett. i) del D.Lgs. n. 504 del 1992. Si osserva che la ricorrente ha invocato, tra le disposizioni violate, l’art. 13 del d.l. n. 201 del 2011, sostenendo l’inapplicabilità nel caso di specie dell’interpretazione analogica in materia di esenzione. L’interpretazione di tale disposizione è il punto centrale della sentenza impugnata e, per tale motivo, la ragione del decidere è stata attinta e supera il vaglio dell’ammissibilità del ricorso. Ne consegue che non è inficiata l’ammissibilità del ricorso per effetto dell’erroneo richiamo nel ricorso a presupposti diversi da quelli richiesti dalla normativa applicabile al caso in esame (dall’art.7, comma 1, lett. i) del D.Lgs. n. 504 del 1992, che si riferisce ad una diversa ipotesi di esenzione).
Sull’aspetto della fondatezza si rinvia al punto 2.
- Con il primo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., in relazione al ” del D.L. n. 201 – 2011, art. 13, commi 2, lettera b) e 10, e del D.Lgs. n. 504 – 1992, art. 7, comma 1, lett. i), in quanto la CGT Campania ha ritenuto di dover applicare l’esenzione dell’IMU in ordine agli immobili assegnati dall’IACP, assimilandoli agli alloggi sociali, quanto, invece, le suddette norme escludono tale assimilazione, e quindi l’esenzione, sia perché per gli stessi è specificamente prevista la detrazione di Euro 200,00, sia perché dovrebbero ricorrere due requisiti, uno soggettivo, ossia l’utilizzazione diretta degli immobili de quibus da parte dell’Ente che ne ha il possesso, ed uno oggettivo, ossia la destinazione degli stessi a specifiche attività, svolte con modalità non commerciali, mentre il predetto IACP concede in locazione unità abitative a loro disposizione, sia perché le norme fiscali non sono applicabili estensivamente ed analogicamente”. Si duole che la sentenza impugnata abbia ritenuto non contestata la documentazione prodotta dall’attuale controricorrente e ribadisce che questa è irrilevante “essendo inerente esclusivamente al d.m. 22 aprile 2008, ma non dimostra assolutamente il diritto dell’IACP ad ottenere l’esenzione dal tributo..”.
2.1 Il motivo è infondato e per una parte anche inammissibile.
Il Collegio ritiene, infatti, di ribadire il principio di recente riaffermato in sede di legittimità, secondo cui l’esenzione stabilita dall’art. 13, comma 2, lett. b, del d.l. n. 201 del 2011 (conv. con modif. dalla l. n. 214 del 2011), come modificato dall’art. 1, comma 707, della l. n. 147 del 2013, non si applica a tutti gli alloggi assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP), ma solo a quelli che hanno le caratteristiche di “alloggio sociale”, secondo i parametri stabiliti dal d.m. 22 aprile 2008, in quanto destinati a soddisfare la finalità pubblica di ridurre il disagio abitativo di soggetti e nuclei familiari svantaggiati, ovvero non in grado di avere accesso alla locazione di alloggi nel libero mercato (Cass., Sez. 5, n. 14511/2024, Rv. 671391 – 01, in questo senso già cfr. Cass., Sez. 5, n. 39799/2021 e Sez. 5, n. 37342/2021).
I precedenti ora richiamati hanno chiarito che l’art. 2, comma 2, lett. b) del d.l. 31.8.2013 n. 102, conv. in legge 28.10.2013 n. 124, ha differenziato, per la prima volta, il trattamento delle unità immobiliari richiamate dall’art. 8, comma 4 D.Lgs. n. 504/1992 (unità immobiliari appartenenti alle cooperative edilizie a proprietà indivisa, adibite ad abitazione principale dei soggetti assegnatari, ed alloggi regolarmente assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari), prevedendo solo che le prime sarebbero divenute esenti dall’IMU a decorrere dal 1 luglio 2013, in quanto equiparate all’abitazione principale. La disposizione ha stabilito, al successivo comma 4, che gli alloggi regolarmente assegnati dagli istituti autonomi per le case popolari o dagli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, aventi le stesse finalità degli I.A.C.P., istituiti in attuazione dell’art. 93 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, sarebbero rimasti invece imponibili ai fini IMU, fatta eccezione per gli alloggi sociali, come definiti dal Decreto del Ministro delle infrastrutture del 22 aprile 2008, pubblicato nella G.U. del 24 giugno 2008 n. 146, che erano stati, a loro volta, equiparati all’abitazione principale, ma soltanto a decorrere dal 1 gennaio 2014.
In tale ultima ipotesi, l’esenzione dall’imposta risulta, quindi, prevista dall’art. 4 del d.l. 102/2013 (conv. in l. n. 124/2013) a decorrere dal 1 gennaio 2014 ed è applicabile nel caso di specie, avente ad oggetto l’annualità d’imposta 2018.
Sono, pertanto, esenti dal pagamento non tutti gli alloggi IACP, ma solo quelli, istituiti in attuazione dell’art. 93 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, istituiti in attuazione dell’art. 93 D.P.R. 24 luglio 1977 n. 616, che abbiano le caratteristiche indicate nei parametri stabiliti dal decreto ministeriale del 22 Aprile 2008.
Corretta, pertanto, è la soluzione fornita dalla sentenza impugnata alla questione giuridica. Del tutto in linea, poi, con tale soluzione è la motivazione fornita in ordine all’accertamento in fatto che la stessa ricorrente ha riconosciuto che sia stato espletato sui parametri forniti dal d.m. 22 aprile 2008.
Il motivo, infine, è inammissibile nella parte in cui censura la sentenza in ordine ai mezzi probatori che ha ritenuto idonei per il raggiungimento della prova della sussistenza del diritto all’esenzione.
Giova ricordare che in tema di scrutinio di legittimità del ragionamento sulle prove adottato del giudice di merito, la valutazione del materiale probatorio – in quanto destinata a risolversi nella scelta di uno (o più) tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudicante – costituisce espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito ed è estranea ai compiti istituzionali della S.C., restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale, nei gradi di merito, sono state compiute le predette valutazioni discrezionali (Cass. Sez. 3, n. 37382/2022, Rv. 666679 – 05).
Già da tempo in sede di legittimità è stato affermato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Sez. 5, n. 19547/2017, Rv. 645292 – 01, Sez. 6 – 5, n. 29404/2017, Rv. 646976 – 01).
È, infine, inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U, n. 34476/2019, Rv. 656492 – 03, Sez. 1, n. 5987/2021, Rv. 660761 – 02)
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 36 del D.Lgs. n. 546 del 1992 e all’art. 132, n. 4, c.p.c. e all’art. 118 disp. att. c.p.c. Pur riconoscendo che la motivazione della sentenza impugnata sia corposa, la definisce un “assemblaggio di testi integrali di risposte del Ministero ad un question time (!!) (quarta e quinta pagina) e del testo del D.M. 20 aprile 2008 (quinta e sesta pagina)”.
Sostiene che in essa non sia adeguatamente spiegata la ragione per la quale non possa trovare applicazione l’art. 13, comma 10, del d.l. m. 201 del 2011.
3.1. Il motivo è infondato. Deve, infatti, essere ribadito che la motivazione del provvedimento impugnato con ricorso per cassazione deve ritenersi apparente quando, pur se graficamente esistente, non consenta alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 comma 6 Cost. , ipotesi che si verifica quando il giudice di merito ometta di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento, ovvero li indichi senza un’effettiva disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. Sez. 6 – 5, n. 9105/2017, Rv. 643793 – 01, Sez. L, n. 3819/2020, Rv. 656925 – 02, Sez. 1, n. 13248/2020, Rv. 658088 – 01). Nel caso di specie, invece, come riconosciuto dalla stessa ricorrente, la sentenza ha indicato gli elementi su cui ha fondato il proprio convincimento e la semplice non condivisione di essi da parte della ricorrente non determina la nullità o l’apparenza della motivazione.
- Da quanto esposto consegue il rigetto del ricorso.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a pagare al controricorrente le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo complessivo di Euro 11.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, rimborso forfettario e accessori di legge, nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del controricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Conclusione
Così deciso in Roma l’11 ottobre 2024.
Depositata in Cancelleria il 30 ottobre 2024.
MASSIMA: In tema IMU, non tutti gli alloggi assegnati dagli Istituti autonomi per le case popolari, sono oggetto di esenzione ma solo a quelli che hanno le caratteristiche di “alloggio sociale”, in quanto destinati a soddisfare la finalità pubblica di ridurre il disagio abitativo di soggetti e nuclei familiari svantaggiati.