In assenza di un accordo giuridicamente vincolante sui rapporti tra impresa privata e Comune, è illegittima l’attività di raccolta di rifiuti di plastica tramite eco-conferitori svolta da un soggetto privato, ancorché iscritto all’Albo Nazionale dei gestori ambientali, al di fuori del sistema integrato previsto dal D.lgs. 156/2002
TAR Sicilia Catania, sez. I, 12.06.2018 n. 1253
Svolgimento del processo
1.E. s.r.l. ha esposto di essere un’impresa che opera nel mercato del recupero degli imballaggi in plastica, mediante l’installazione di macchinette eco-conferitrici presso aree commerciali private e di avere installato due eco-conferitori presso i supermercati indicati che operano la cernita degli imballaggi in plastica ricevuti dagli utenti.
Ha rappresentato di svolgere attività di cui all’art.212, co. 5, del D.Lgs. n. 152 del 2006, giusta iscrizione all’Albo Nazionale dei gestori ambientali relativamente alla sezione 4F “Raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi” e regolare segnalazione certificata di inizio attività.
Ha impugnato la nota in epigrafe con cui il Comune di Ragusa ha affermato la propria competenza, in regime di privativa, sulla gestione dei rifiuti ed ha evidenziato che l’iniziativa in questione potrebbe esporre il Comune ad un possibile contenzioso con l’attuale gestore del servizio di igiene urbana.
Avverso l’atto impugnato ha dedotto i seguenti motivi:
- I) Abolizione della privativa comunale sulle attività di recupero dei rifiuti urbani. Violazione e falsa applicazione dell’art.21 co.7 del Lgs. n. 22 del 1997 (cd. Decreto Ronchi), come confluito nell’art.198 del D.Lgs. n. 152 del 2006. Violazione del considerando n.19 della Direttiva 2008/98/cc. Violazione e falsa applicazione dell’art.106 del Trattato sull’Unione Europea (ex art.86 del Trattato della Comunità Europea). Illegittimità dell’art.38 del Regolamento comunale TARI per violazione di legge. Eccesso di potere: a) in forza della normativa invocata, per l’attività di “recupero” dei rifiuti esisterebbe il libero mercato; ad analogo regime sarebbero soggette le fasi prodromiche al recupero ossia la raccolta/cernita e quelle successive come la commercializzazione, il trasporto o la trasformazione; b) illegittimo, pertanto, sarebbe il regolamento del Comune di Ragusa nella misura in cui prevede la privativa comunale indistintamente tanto per i rifiuti da avviare a smaltimento che per i materiali recuperabili;
- II) Violazione e falsa applicazione dell’art.212, co.5 e dell’art.208, co. 15 del Lgs. n. 152 del 2006: unico presupposto, necessario e sufficiente, previsto per l’entrata sul mercato per gli operatori privati che operano mediante eco-conferitori nel mercato dei beni recuperabili, sarebbe l’iscrizione all’Albo Nazionale Gestori ambientali, nonché il rispetto delle norme sui registri di carico e scarico; esenti dall’autorizzazione regionale sarebbero inoltre gli impianti “minori”;
III) Violazione e falsa applicazione degli obiettivi individuati dalla Direttiva 2008/98/ce; dall’art.205, co.1 e 219 co.1, 2, 3 del D.Lgs. n. 152 del 2006, dalla L.R. Sicilia 9/2010, art.9 co 4. Violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Regione Sicilia n.587 del 30/09/206. Eccesso di potere: l’iniziativa in questione contribuirebbe al raggiungimento delle soglie previste dalle leggi in materia, senza costi per il sistema pubblico;
- IV) Violazione e falsa applicazione dell’art.1, co.2 dell’P.C.M. n. 3887 del 2010, del Piano di gestione dei Rifiuti della Regione Sicilia, dell’art.9 co.4 della L.R. n. 9 del 2010 e dell’art. 205, co. 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006: il Piano di Gestione Rifiuti Regionale del giugno 2012 prevede, tra l’altro, l’istituzione di eco-punti, da valorizzare quali comportamenti virtuosi dell’utenza; non sussisterebbero i paventati danni per la controinteressata, in quanto, da capitolato, la stessa sarebbe beneficiaria solo dei ricavi derivanti dalla vendita dei rifiuti differenziati raccolti su suolo pubblico attraverso cassonetti ivi collocati dall’impresa; inoltre la mancanza del prospettato danno emergerebbe anche da una nota della stessa, in riscontro ad un richiamo della società E. per un disservizio ricevuto;
- V) Violazione e falsa applicazione degli artt. 179, 180, 181, c. 4-5 e dell’art.11 della L.R. Siciliana n.9 del 2010. Eccesso di potere per travisamento dei fatti: priva di fondamento sarebbe l’affermazione del Comune secondo cui sottrarre flussi recuperabili dal flusso cittadino comporterebbe una diminuzione della percentuale di raccolta differenziata, determinando l’applicazione di maggiori penali al Comune; anzi sarebbe proprio il mancato raggiungimento degli obiettivi minimi fissati dalla legge ad introdurre un’addizionale del 20% al tributo dovuto per il conferimento, con un aggravio di costi per il cittadino e per il Comune (con maggiori costi di conferimento in discarica);
- VI) Violazione e falsa applicazione degli artt. 180, 181 del Lgs. n. 152 del 2006, dell’art.11 della L.R. n. 9 del 2010 e dell’art.28 della Direttiva 2008/98/cc. Eccesso di potere per travisamento dei fatti: l’iniziativa de qua non si porrebbe in contrasto né sarebbe alternativa al servizio di raccolta differenziata gestito dalla ditta aggiudicataria dell’appalto di igiene urbana, essendo semmai innovativa e integrativa; il comportamento del Comune si porrebbe in contrasto con l’art.41 della Cost.
Parte ricorrente ha, quindi, chiesto, previa sospensiva, l’annullamento dell’atto impugnato e il risarcimento del danno subito.
- In data 3 febbraio 2017, si è costituito il Comune di Ragusa per resistere al gravame.
- Con ordinanza n.106 del 9 febbraio 2017, il Collegio ha respinto l’istanza cautelare per ritenuta assenza di danno irreparabile.
- A seguito di appello cautelare, con ordinanza n. 346/2017, è stata riformata la predetta ordinanza di questo T.A.R., con sospensione del provvedimento impugnato in primo grado, ritenendo il C.G.A. che il ricorso “esibisce profili di fondatezza avuto riguardo alla dubbia ricomprensione dell’attività disimpegnata dalla società ricorrente nella privativa comunale nella gestione dei rifiuti nonché alla possibile incidenza negativa del provvedimento impugnato sulla libera iniziativa economica”.
- In vista della pubblica udienza, le parti hanno prodotto documentazione, memorie e memorie di replica.
- Alla pubblica udienza del 10 maggio 2018 il ricorso è stato posto in decisione.
Motivi della decisione
- La controversia in esame mira ad accertare la legittimità del provvedimento impugnato con il quale il Comune nega la possibilità ad un operatore privato, che non sia gestore del servizio pubblico dei rifiuti, di raccogliere presso esercizi commerciali, che hanno messo a disposizione proprie aree private, i rifiuti di plastica provenienti da utenze domestiche (verso corrispettivo premiale) da avviare al recupero attraverso la cessione alle aziende specializzate.
In particolare, tra le parti i punti controversi sostanzialmente afferiscono alla natura di “rifiuto” del materiale plastico raccolto dalla ricorrente (sostenendo l’amministrazione che trattasi di rifiuto e parte ricorrente di risorsa) ed alla sussistenza del regime di privativa o meno con riferimento all’attività de qua (sostenendo parte ricorrente, contrariamente al Comune, che trattasi di attività liberalizzata).
La società ricorrente assume che nella gestione dei rifiuti sussisterebbe una netta distinzione tra i rifiuti da avviare allo smaltimento e quelli da avviare al recupero, essendo i primi soggetti ad un regime di privativa, regime che, invece, sarebbe escluso per i secondi, soggetti al libero mercato aperto anche agli operatori privati dotati delle relative autorizzazioni e iscrizioni previste dalla legge.
Fonda le proprie deduzioni sull’art.21, comma 7, del D.Lgs. n. 22 del 1997, così come confluito negli artt.198, 217 e 218 lett. m) del D.Lgs. n. 152 del 2006.
Assume, altresì, che la fase del “recupero”, oggetto di liberalizzazione, secondo un criterio teleologico, comprenderebbe l’intera catena delle operazioni preliminari e intermedie (e quindi anche raccolta e trasporto), contrariamente a quanto ritenuto dal Comune resistente; tale assunto si fonderebbe sull’art.183, comma 1, lett. t) del D.Lgs. n. 152 del 2006.
- Il ricorso è infondato.
2.1. Occorre, preliminarmente, affrontare la tematica della qualifica del bene in questione per accertare se esso rientri o meno nella nozione di rifiuto, per poi esaminare la conseguente questione della modalità della sua gestione.
Ai sensi dell’art.183 del D.Lgs. n. 152 del 2006, comma 1, lett.a), è “rifiuto”: “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”.
In relazione alla nozione di “rifiuto” la giurisprudenza ritiene che in essa rientri qualsiasi sostanza o oggetto di cui il detentore si disfi, in qualsiasi maniera detta operazione sia compiuta (Corte di Giustizia, sez. V, 15 giugno 2000; T.A.R. Lombardia Milano sez. IV, 27 febbraio 2014, n.534).
In particolare, la nozione di rifiuto non dipende dalla natura del materiale (che abbia o meno valore economico, che sia riutilizzabile o meno), né dall’uso che terzi faranno del materiale stesso una volta che questo sia uscito dalla sfera di controllo del produttore/detentore, ma esclusivamente dalla volontà di quest’ultimo di non voler più utilizzare il materiale stesso, secondo la sua funzione economica di origine (Cass. Pen. Sez. III, 20 gennaio 2015, n.29069).
A supporto di quanto appena detto, l’art. 184-ter del D.Lgs. n. 152 del 2006 stabilisce, al primo comma, che un rifiuto cessa di essere tale, quando è sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo (ma non prima).
Il successivo comma 5 dello stesso art. 184-ter prevede che “la disciplina in materia di gestione dei rifiuti si applica fino alla cessazione della qualifica di rifiuto”.
È stato, altresì, affermato che “Rientrano nella nozione di “rifiuto”, ai sensi dell’art. 6, comma 1, lett. a) del D.Lgs. n. 22 del 1997 (come risultante dalla interpretazione autentica effettuata dall’art. 14 della L. n. 187 del 2002) tutti i materiali e i beni di cui il soggetto produttore “si disfi”, con ciò intendendo qualsiasi comportamento attraverso il quale, in modo diretto o indiretto, una sostanza un materiale o un bene siano avviati e sottoposti ad attività di smaltimento o anche di “recupero”, e che sia da altri recuperato e messo in riserva, con esclusione del solo deposito temporaneo, prima della raccolta, nel luogo in cui i materiali o beni sono prodotti, non rilevando ad escludere la natura di rifiuto del bene l’intenzione di chi effettua il recupero, o anche la reale possibilità di reimpiego dei materiali nel ciclo produttivo (Cassazione civile sez. II 13 settembre 2006 n. 19643): nella fattispecie decisa dalla sentenza citata, la Corte Suprema ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto costituissero rifiuti i materiali ferrosi stoccati presso una ditta di recupero e destinati parzialmente a recupero previa separazione” (T.A.R. Torino sez. II, 4 dicembre 2012, n.1303).
2.2. Alla luce della superiore ricostruzione, ritiene il Collegio che la plastica consegnata dal cittadino agli eco-conferitori non trasformata e non ancora recuperata costituisca rifiuto.
Quelli in questione, in particolare, costituiscono rifiuti di imballaggio ai sensi dell’art.218, comma 1, lettera f), del D.Lgs. n. 152 del 2006. Si tratta, nella specie, di rifiuti che derivano da imballaggi primari ovvero quelli concepiti in modo da costituire, nel punto di vendita, un’unità di vendita per l’utente finale o per il consumatore (art.218 lett.b del D.Lgs. cit).
Essi costituiscono, pertanto, rifiuti domestici ai sensi dell’art.184, comma 2, lettera a), del D.Lgs. n. 152 del 2006, in quanto provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione ed in particolare rifiuti domestici destinati al recupero.
- Occorre a questo punto esaminare la contestazione mossa da parte ricorrente al Comune, secondo il quale, indipendentemente dall’avvio al recupero, la gestione di tutti i rifiuti, ai sensi dell’art.198 del D.Lgs. n. 152 del 2006, sarebbe soggetta a privativa.
Parte ricorrente ritiene, invece, che, ai sensi dell’art.198 e dell’art.217 del testo unico, l’attività in questione, avviata al recupero e non allo smaltimento, sarebbe stata liberalizzata.
3.1. La tesi di parte ricorrente, al riguardo, va accolta.
Infatti, ai sensi dell’art.198, comma 1, del D.Lgs. n. 152 del 2006, i Comuni continuano la gestione dei rifiuti in regime di privativa relativamente a due categorie di rifiuti ossia i rifiuti urbani e i rifiuti assimilati agli urbani avviati allo smaltimento.
In particolare: “1. I comuni concorrono, nell’ambito delle attività svolte a livello degli ambiti territoriali ottimali di cui all’articolo 200 e con le modalità ivi previste, alla gestione dei rifiuti urbani ed assimilati. Sino all’inizio delle attività del soggetto aggiudicatario della gara ad evidenza pubblica indetta dall’Autorità d’ambito ai sensi dell’articolo 202, i comuni continuano la gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento in regime di privativa nelle forme di cui all’articolo 113, comma 5, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267.”.
Inoltre, a mente dell’art.217 comma primo, ultimo periodo, del D.Lgs. n. 152 del 2006 (Testo Unico Ambientale) “I sistemi di gestione (degli imballaggi) devono essere aperti alla partecipazione degli operatori economici interessati”. Tale regola di mercato, continua il secondo comma, riguarda: “la gestione di tutti gli imballaggi immessi sul mercato dell’Unione europea e di tutti i rifiuti di imballaggio derivanti dal loro impiego, utilizzati o prodotto da industrie, esercizi commerciali, uffici, negozi, servizi, nuclei domestici o da qualunque altro soggetto che produce o utilizza imballaggi o rifiuti di imballaggio, qualunque siano i materiali che li compongono”.
Ai sensi della normativa citata, non è, invece, condivisibile la tesi del Comune, secondo cui la dicitura dell’art.198 “avviati allo smaltimento” si riferirebbe non ai “rifiuti urbani” ma solo ai “rifiuti assimilati”, sicché il regime di privativa sarebbe escluso solo per questi ultimi ove non avviati allo smaltimento ma al recupero; ergo tale regime sarebbe riferibile “a due categorie di rifiuti:
- a) i rifiuti urbani (tutti i rifiuti urbani);
- b) rifiuti assimilati (agli urbani) avviati allo smaltimento”.
Invero, oltre alla formulazione letterale dell’art.198 cit,, è anche l’intenzione del legislatore, quale già espressa nell’art.21, del D.Lgs. n. 22 del 1997 e poi nell’art.23 della L. n. 179 del 2002, a indurre a ritenere che la dicitura “avviati allo smaltimento” faccia riferimento sia al rifiuto che agli assimilati (T.A.R. Brescia, sez. II, 30 gennaio 2018, n.138).
L’art.198 in questione, quindi, costituisce conferma di una volontà che il legislatore ha già esplicitato (da ultimo) nell’art.23, comma 1, lett. e) della L. n. 179 del 2002, secondo cui “La privativa comunale non si applica alle attività di recupero dei rifiuti urbani e assimilati a far data dal 1 gennaio 2003”, ponendosi in linea con tale ultima norma.
Conseguentemente, l’attività disimpegnata dalla società ricorrente – volta al recupero e non allo smaltimento – non rientra nella privativa comunale della gestione dei rifiuti.
- Tuttavia, la nota impugnata fonda il diniego, oltre che sull’argomentazione della privativa nella gestione del servizio dei rifiuti urbani, anche sulla tesi per cui l’eventuale venir meno della privativa, comunque, non sottrarrebbe l’attività di recupero all’attività di pianificazione regionale e provinciale, ciò in quanto:
– la gestione dei rifiuti urbani, complessivamente intesa, è da intendersi come servizio pubblico essenziale (art.1 L. n. 146 del 1990), che anche indipendentemente dal diritto di privativa è comunque soggetta a disciplina pubblica specifica nonché a regime tariffario;
– l’eventuale restituzione al mercato dell’attività non influisce sulla disciplina complessiva della gestione dei rifiuti urbani e nello specifico sulle competenze di pianificazione come definite dal D.Lgs. n. 152 del 2006 e LL.RR. successive, che riguarderebbero la gestione dei rifiuti urbani nel suo complesso;
– il principio dell’autosufficienza impiantistica nell’ambito territoriale ottimale permane pienamente;
– solo in assenza di impianti pubblici già in esercizio in territorio provinciale, che possano soddisfare l’intero fabbisogno, è ipotizzabile che la pianificazione possa prevedere la realizzazione di nuovi impianti o soluzioni alternative di gestione.
4.1. Il Collegio ritiene che il provvedimento impugnato, in tale parte motivazionale, resista alle censure sollevate da parte ricorrente nei termini che seguono.
Superato il diritto di privativa, viene introdotto, con riferimento alle attività di recupero, il possibile esercizio di attività di pubblico interesse aperta al mercato e, quindi, agli operatori privati.
L’apertura al mercato per l’attività de qua – qualificabile come attività di pubblico interesse ai sensi dell’art.177, co.1, del D.Lgs. n.152/2006 – non esclude, però, alla luce dell’attuale sistema normativo, le competenze programmatorie e pianificatorie regionali, provinciali e comunali quali previste dal D.Lgs. n. 152 del 2006 (art.199 e segg.), che riguardano la gestione dei rifiuti urbani nel suo complesso.
Per quel che qui interessa, in base alla normativa vigente, riutilizzare, riciclare e recuperare materie prime dai rifiuti costituiscono sì azioni prioritarie, ma in un organico sistema di gestione integrata.
A tal riguardo, il titolo II del codice ambientale (art. 205) – così come l’art. 9 della L.R. 9/2010 – fissa gli obiettivi minimi di recupero e di riciclaggio e indica che la gestione dei rifiuti è effettuata conformemente ai princìpi di responsabilizzazione e cooperazione di tutti i soggetti coinvolti nella produzione, nella distribuzione, nell’utilizzo e nel consumo di beni da cui originano i rifiuti.
In particolare, l’art. 205 cit. prescrive che ogni Comune debba assicurare la raccolta differenziata nelle percentuali indicate e, a tali fini, è indispensabile che il Comune abbia il completo monitoraggio dell’attività di raccolta dei rifiuti svolta sul territorio.
In presenza di attività private autonome, ancorché autorizzate, l’attività di monitoraggio della raccolta potrebbe subire menomazioni, potenzialmente determinando un’alterazione della percentuale di raccolta rilevata rispetto a quella effettiva ed esponendo, di contro, il Comune al rischio di penali qualora la percentuale rilevata sia inferiore all’obiettivo minimo sancito dalla legge.
Per quel che rileva, l’attività di raccolta della plastica svolta da soggetti privati, al di fuori di convenzioni con i Comuni, sfuggirebbe al controllo della P.A., con pregiudizio per l’attività di gestione dei rifiuti.
Né ai detti fini può considerarsi sufficiente il possesso dell’autorizzazione in capo alla società (prevista all’art. 212, c. 5, D.Lgs. n. 152 del 2006) o la mera disponibilità della stessa a fornire al Comune tutti i dati relativi alla raccolta, non potendo la gestione di tali essenziali dati essere lasciata alla mera volontà dell’operatore privato.
Ne consegue che, in assenza di un preciso accordo giuridicamente vincolante che regolamenti i rapporti tra impresa privata e Comune, l’attività di raccolta di rifiuti di plastica tramite eco-conferitori svolta dalla ricorrente deve considerarsi illegittima, in quanto svolta al di fuori del sistema integrato, come previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006 e della programmazione allo stesso relativa.
4.2. Nondimeno, occorre dare atto che, il Piano di Gestione Rifiuti Regionale del giugno 2012, allegato al ricorso, recita che: “E’ importante sottolineare il valore dell’iniziativa privata ad integrazione e supporto dell’azione pubblica. Tale principio deve governare: da un lato, la possibilità di accogliere e sostenere iniziative di istituzione di Ecopunti o altri circuiti di prelievo di materiali suscettibili di valorizzazione (cenciaioli, associazioni di carità) tipicamente fondati sulla iniziativa imprenditoriale ed associativa; dall’altro la collaborazione tra Amministrazioni e operatori del servizio nella definizione di dettaglio dei sistemi a livello locale, e nel feedback di sistema allo scopo di individuare adattamenti e campagne di informazione”.
Alla luce dei superiori principi, espressi nel piano regionale, quindi, l’attività del privato di intercettazione del rifiuto con gli eco-compattatori è possibile ed anzi da incentivare; tuttavia essa deve inserirsi all’interno del circuito complessivo di gestione del RU delle attività in questione, quale iniziativa che si ponga ad integrazione e supporto dell’attività dell’ente pubblico e dell’attività programmatoria dello stesso nei termini di cui si è detto; essa, pertanto, ai fini della sua ammissibilità, va previamente regolamentata e fatta oggetto di convenzionamento con il comune, alla luce della logica del sistema integrato voluto dal D.Lgs. n. 152 del 2006.
Da un punto di vista pratico, del resto, un’iniziativa del genere, al di fuori di una programmazione dell’ente (e quindi “fuori convenzione”), oltre alle dette problematiche in termini di certezza del dato relativo alla percentuale di raccolta differenziata raggiunta, potrebbe comportare conseguenze anche nell’ambito dei rapporti con il gestore del servizio di igiene ambientale, alla luce delle previsioni del capitolato elaborato sulla base di valutazioni pianificatorie che non tengono conto di simili iniziative.
- Da quanto esposto deriva la legittimità del provvedimento impugnato nella parte in cui fonda il diniego sulla necessità di una programmazione dell’ente pubblico per l’esercizio dell’attività in questione, esimendo ciò il Collegio dall’esame delle ulteriori censure sin qui non esaminate, per difetto di interesse (Cons. di St., sez. III, 5 dicembre 2017, n.5739).
Rimane salva l’ulteriore attività del Comune in materia alla luce dei suesposti principi e della normativa vigente, nonché delle indicazioni e delle sollecitazioni fornite dalla relativa programmazione regionale sul tema.
- Dall’infondatezza del ricorso discende il rigetto della domanda risarcitoria.
- Le spese di giudizio, in considerazione della complessità e novità delle questioni affrontate, possono essere, in via d’eccezione, compensate tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia sezione staccata di Catania (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Catania nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2018 con l’intervento dei magistrati:
Pancrazio Maria Savasta, Presidente
Maria Stella Boscarino, Consigliere
Giuseppina Alessandra Sidoti, Primo Referendario, Estensore
COMMENTO
La pronuncia in esame conferma la legittimità del provvedimento comunale che aveva negato la possibilità ad un operatore privato, diverso dal gestore del servizio pubblico dei rifiuti, di raccogliere presso esercizi commerciali i rifiuti di plastica provenienti da utenze domestiche da avviare al recupero attraverso la cessione alle aziende specializzate. Preliminarmente, viene chiarito come il materiale plastico raccolto dalla società ricorrente non possa essere qualificato, secondo la tesi di quest’ultima, come “risorsa”, ma debba a tutti gli effetti essere considerato un “rifiuto”. In tale definizione rientra infatti qualsiasi sostanza o oggetto di cui il produttore o il detentore si disfino, in qualsiasi maniera detta operazione venga compiuta. Pertanto, tale nozione non dipende né dalla natura del materiale, né dal suo valore economico, né dalla possibilità del suo riutilizzo da parte di terzi, una volta che esso sia uscito dalla sfera di controllo del produttore o del detentore, ma esclusivamente dalla volontà di questi ultimi di non voler più utilizzare il materiale stesso, secondo la sua funzione economica di origine (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. II, 13.09.2006 n. 19643; Cass. civ., sez. V, 07.09.2010 n. 19145 e Cass. civ., sez. V, 27.07.2012 n. 13465). Il rifiuto cessa quindi di essere tale, solo quando è sottoposto ad un’operazione di recupero, incluso il riciclaggio e la preparazione per il riutilizzo, ma non prima di tale momento (art. 184-ter D.lgs. 152/2006). Pertanto, la pronuncia in commento conclude che la plastica consegnata dal cittadino agli eco-conferitori, non trasformata e non ancora recuperata, debba essere qualificata come “rifiuto” e, in particolare, rientri nella categoria dei “rifiuti di imballaggio” (art.218, comma 1, lettera f), D.lgs. 152/2006). Si tratta, pertanto, di “rifiuti domestici” (art.184, comma 2, lettera a), D.lgs. 152/2006), in quanto provenienti da locali e luoghi adibiti ad uso di civile abitazione, ed in particolare di “rifiuti domestici destinati al recupero”. La pronuncia in commento riconosce che l’attività di raccolta di tale tipologia di rifiuti sia stata liberalizzata. Tuttavia, la cessazione della privativa e la conseguente apertura del mercato per tale attività di pubblico interesse non escludono le competenze programmatorie e pianificatorie regionali, provinciali e comunali, previste dagli artt. 199 e ss. D.lgs. 152/2006, che riguardano la gestione dei rifiuti urbani nel suo complesso. In particolare, l’art. 205 del predetto Decreto prescrive che ogni Comune debba assicurare la raccolta differenziata nelle percentuali indicate: a tale scopo, è indispensabile che il Comune abbia il completo monitoraggio dell’attività di raccolta dei rifiuti svolta sul proprio territorio. Tale monitoraggio potrebbe subire menomazioni in presenza di attività private autonome e non convenzionate, ancorché svolte da soggetti iscritti all’Albo Nazionale dei gestori ambientali, in quanto l’attività di raccolta della plastica svolta da soggetti privati, al di fuori di convenzioni con i Comuni, sfuggirebbe al controllo della Pubblica Amministrazione, con pregiudizio per l’attività di gestione dei rifiuti. In conclusione, qualora manchi un preciso accordo giuridicamente vincolante che regolamenti i rapporti tra impresa privata e Comune, l’attività di raccolta di rifiuti di plastica tramite eco-conferitori svolta da una società privata deve considerarsi illegittima, in quanto posta in essere al di fuori del sistema integrato, previsto dal D.lgs. 152/2006, e dalla programmazione allo stesso relativa. L’attività del privato di intercettazione del rifiuto con gli eco-compattatori è quindi legittima solo se si inserisce all’interno del circuito complessivo di gestione delle attività di raccolta dei rifiuti, e se quindi è preventivamente regolamentata e fatta oggetto di convenzionamento con il Comune, nella logica del sistema integrato voluto dal D.Lgs. 152/2006.