Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado dell’Umbria, sez. II, 25 ottobre 2023 n. 316


………. omissis……….

1.- xxxxx ha impugnato atti di recupero di varie imposte notificati dall’Agenzia delle Entrate di Perugia per gli anni di imposta 2018, 2019 e 2020 per vari importi (nel complesso per oltre 700.000,00 euro) motivati dall’indebita compensazione con asseriti crediti di soggetti terzi ritenuti inesistenti ed in violazione della disciplina in tema di accollo dei debiti tributari. La società ha dedotto vari motivi tra cui in sintesi la violazione del contraddittorio, il difetto di motivazione degli atti impositivi, la violazione del principio della doppia imposizione. La C.T.P. di Perugia, previa riunione, con sentenza n. 435/2021 ha respinto i ricorsi con spese a carico (8.000,00 euro) in sintesi affermando la non obbligatorietà del contraddittorio e nel merito della pretesa la violazione della disciplina in tema di accollo e compensazione dei debiti tributari, quest’ultima possibile solamente tra debiti e crediti dello stesso soggetto e non di terzi come poi stabilito, seppur successivamente, con la legge 157 del 2019. Ha altresì affermato l’inesistenza dei crediti e rilevato la mancata produzione in giudizio dell’accordo di accollo. Ha altresì confermato la legittimità della sanzione applicata dall’Ufficio in considerazione della non buona fede. La società xxxxx ha proposto appello nei confronti della suindicata sentenza ritenendola affetta da vari vizi, deducendo motivi così riassumibili: quanto alla violazione del contraddittorio ha citato la sentenza CGUE C-189/2018 in tema di diritto di accesso preventivo da parte del contribuente al fascicolo; diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice la ricorrente avrebbe utilizzato crediti di imposta propri ai sensi dell’art. 3 D.L. 145/13 per attività di ricerca e sviluppo, quali sostituto di imposta come rinvenibile nei mod 730. riservandosi di produrre idonea documentazione. Secondo l’art. 8 St contribuente, l’accollo fiscale non libera l’accollato ma con riferimento alle sanzioni non vi sono elementi per affermare la responsabilità, essendo l’accollato ovvero la ricorrente inconsapevole. Diversamente opinando vi sarebbe violazione del principio del divieto di doppia imposizione avendo già l’Ufficio provveduto a recuperare in capo all’accollante il credito da questa esposto in dichiarazione. L’Ufficio non avrebbe provato che la ricorrente, quale accollato, sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla compensazione si iscriveva in un’evasione potenzialmente commessa dall’accollante. Contesta inoltre la sentenza di primo grado anche in punto di statuizione sulle spese di lite non essendo dovute dall’Agenzia le spese di lite in caso, come quello di specie, di difesa mediante proprio funzionario e dunque senza patrocinio di difensore. Si è costituita in giudizio l’Agenzia delle Entrate depositando le proprie controdeduzioni. In sintesi secondo l’Ufficio la compensazione non è altro che un rimborso anticipato, gravando sul contribuente la prova dell’esistenza del credito. Quanto al contraddittorio si tratterebbe di garanzia non generalizzata ed affermando la stessa giurisprudenza comunitaria la necessità della prova in chiave prognostica di un risultato del procedimento diverso ove il contraddittorio fosse stato garantito. Quanto alla natura dei crediti in questione l’Ufficio ha sollevato eccezione di inammissibilità perché parte appellante avrebbe per la prima volta in appello affermato la titolarità dei crediti quale sostituto di imposta. Nel merito ha ripercorso la speciale normativa tributaria in tema di accollo e compensazione e la relativa pacifica giurisprudenza. Per le sanzioni il contribuente non avrebbe come suo onere fornito elementi per comprovare l’assenza di colpa. Non vi sarebbe violazione del divieto di doppia imposizione perché in caso di utilizzo in compensazione di debiti altrui il pagamento del debito risulta “tamquam non esset”. Per tutti gli accollanti non è stata data la prova dell’accordo di accollo. Infondato infine sarebbe anche il motivo di appello sulle spese di lite, citando all’uopo giurisprudenza di legittimità. All’udienza pubblica del 20 ottobre 2023, tenutasi da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione uditi i difensori delle parti. 

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Oggetto della presente controversia è la legittimità degli atti di recupero di varie imposte effettuata dall’Agenzia delle Entrate di Perugia per gli anni 2018, 2019 e 2020 nei confronti della xxxxx per asserita violazione della speciale disciplina fiscale in materia di accollo e compensazione dei debiti tributari, violazione accertata dal giudice di prime cure. 

2.- Con l’atto di appello parte appellante ha in buona sostanza riproposto i motivi dedotti in primo grado, fatta eccezione per la titolarità dei crediti di imposta in questione qualificati in questo giudizio (per la prima volta) come propri e non appartenenti a terzi. 

3.- L’appello è in parte inammissibile ed in parte infondato. 

4.- Giova anzitutto rimarcare la specialità della disciplina fiscale in tema di accollo e compensazione dei debiti tributari rispetto a quella civilistica. Come infatti ben argomentato dalla difesa dell’Ufficio, l’istituto dell’accollo del debito è previsto dall’art. 1273 del Codice civile e rappresenta un accordo bilaterale tra un debitore (accollato) e un terzo soggetto (accollante), efficace a prescindere dall’adesione del creditore, in virtù del quale l’accollante assume il debito che l’accollato ha verso un soggetto terzo. Si parla di accollo “liberatorio” nel caso in cui il debitore originario sia “liberato” da qualsiasi impegno nei confronti del creditore; si parla invece di accollo “cumulativo” nel caso in cui debitore accollante e debitore accollato siano entrambi responsabili in solido nei confronti del creditore. Nell’ordinamento tributario il legislatore ha caratterizzato l’istituto dell’accollo in maniera specifica. Tale istituto è previsto all’art. 8 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto del contribuente) secondo cui, per quanto d’interesse, “1. L’obbligazione tributaria può essere estinta anche per compensazione. 2. È ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario 6. Con Decreto del Ministero delle Finanze, adottato ai sensi dell’art. 17, comma 3, della Legge 23 agosto 1988, n. 400, relativo ai poteri regolamentari dei Ministri nelle materie di loro competenza, sono emanate le disposizioni di attuazione del presente articolo”. L’art. 8 dello Statuto del contribuente, quindi, riconosce espressamente la legittimità dell’accollo in ambito tributario, pur escludendo in modo esplicito l’ipotesi della liberazione del contribuente (debitore) originario. In altri termini, a seguito dell’accollo, il debitore accollato continuerà a rispondere in solido con il soggetto accollante del debito d’imposta nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, non potendosi verificare in nessun caso la liberazione convenzionale del debitore originario. Peraltro, come chiarito anche dalla giurisprudenza espressasi in argomento, assumere volontariamente l’impegno di pagare le imposte dovute dall’iniziale debitore non significa «assumere la posizione di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, ma la qualità di obbligato (o coobbligato) in forza di titolo negoziale», tanto che l’Amministrazione finanziaria non può esercitare nei confronti degli accollanti « i propri poteri di accertamento e di esazione, che possono essere esercitati solo nei confronti di chi sia tenuto per legge a soddisfare il credito fiscale» ( Cassazione S.U. n. 28162 del 2008). L’art. 17 del Dlgs 241/1997 a sua volta recita infatti “i contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto”. In sostanza, i contribuenti possono sì avvalersi dell’istituto della compensazione, ma solo qualora i debiti ed i crediti oggetto di compensazione facciano capo allo stesso soggetto, non essendo la consentita la compensazione con debiti altrui. Infine l’art. 1 del decreto legge 124/2019 convertito con legge 157/2019 in piena continuità con il quadro previgente ha espressamente escluso l’utilizzo in compensazione di crediti dell’accollante. Tali chiari disposti normativi sono stati recepiti dalla giurisprudenza laddove si afferma che in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso ed ogni deduzione sono regolate da specifiche e inderogabili norme di legge. Tale principio non può considerarsi superato per effetto della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 8, comma 1, (cd. Statuto dei diritti del contribuente), il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno di imposta 2002″ (Cassazione sez. trib, sent. n. 11423/15; Id. n. 17001/13; Id. 12262/07, Id. n. 15123/06). 

5.- Tanto premesso la pretesa di parte appellante, come delineata nel ricorso introduttivo del giudizio è del tutto infondata, pretendendo di utilizzare in compensazione crediti di soggetti terzi in aperta violazione della suindicata normativa di riferimento. 

6.- Sul punto non può esaminarsi l’assunto di parte appellante secondo cui i crediti in esame sarebbero in realtà crediti propri quale sostituto di imposta e quali derivanti da attività di ricerca e sviluppo ai sensi dell’art. 3 del D.L. 145/2013. Trattasi infatti di argomentazioni dedotte per la prima volta solamente nel giudizio di appello in seguito al deposito della decisione della sentenza di primo grado, avendo parte ricorrente in tal grado di giudizio qualificato i crediti in questione sempre e solo quali crediti di soggetti terzi accollanti utilizzati in compensazione dal ricorrente accollato, si che risulta inevitabilmente ampliato in senso sostanziale il “thema decidendum”. 

7.- E’ pertanto fondata l’eccezione di violazione del divieto di “nova” in appello valevole per giurisprudenza pacifica anche nel giudizio tributario. Il divieto di “nova” in appello, ai sensi dell’art.57 del D.Lgs. n.546 del 1992, si applica, oltre che alle domande, alle eccezioni in senso proprio, intese come lo strumento processuale con cui il contribuente, in qualità di convenuto in senso sostanziale nel giudizio di impugnazione di cartella esattoriale, fa valere un fatto giuridico avente efficacia impeditiva, modificativa o estintiva della pretesa fiscale, da cui derivano il mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo della pretesa ed il conseguente ampliamento del tema della decisione, implicando la deduzione di fatti che richiedono una specifica indagine, non effettuabile per la prima volta in appello (ex multis Cass. n. 27562 del 2018; Comm. trib. reg. Lombardia sez. II, 26 marzo 2019, n.1376. L’eccezione è dunque fondata e l’appello in parte qua inammissibile. 

8.- Parimenti prive di pregio sono i rimanenti motivi di appello. 

9.- Pur avendo la Consulta di recente invitato il legislatore ad estendere il contraddittorio procedimentale in ambito tributario (Corte Costituzionale, 21 marzo 2023, n.47) oltre le ipotesi normativamente previste (redditometro, studi di settore, controlli automatizzati e formali, accertamenti antielusivi, invito a comparire ecc.) allo stato della normativa attuale non sussiste l’obbligo generalizzato né ravvisa il Collegio motivi per affermarne la cogenza nel caso di specie. In secondo luogo va evidenziato – come correttamente argomentato dall’Ufficio – che la stessa giurisprudenza comunitaria pur valorizzando il contraddittorio procedimentale in applicazione dell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali di Nizza e dello stesso art. 6 CEDU non ha mancato di collegare la capacità invalidante di tale violazione alla prova in chiave prognostica dell’identità o meno del risultato finale (C.G.U.E. c-129/2013 Kamino Int. e Datema Hellmann,) secondo un principio sostanzialistico di c.d. strumentalità delle forme da tempo accolto anche nel nostro ordinamento mediante la previsione di cui all’art. 21-octies co. secondo L.241/90, applicabile anche in materia tributaria (Cassazione sez. trib. 5 luglio 2018, n. 17637). 

10.- Anche la sanzione applicata non merita annullamento, non avendo parte appellata dato elementi a fondamento della propria mancanza di colpevolezza, per altro richiamandosi pervicacemente all’istituto dell’accollo senza mai allegare l’esistenza degli stessi accordi di accollo, come rilevato dal primo giudice. 

11.- Non merita infine adesione nemmeno il motivo inerente la violazione da parte del primo giudice delle norme in tema di ripartizione delle spese di lite. Secondo la più recente giurisprudenza – da cui il Collegio non ravvisa ragioni per discostarsi – nel processo tributario, alla parte pubblica assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, contenuto nell’art. 15, comma 2 bis, del d.lgs. n. 546 del 1992, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, che sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo (ex multis Cassazione civile sez. trib., 11 ottobre 2021, n.27634). 

  1. – Per i suesposti motivi l’appello deve essere in parte respinto ed in parte dichiarato inammissibile. Le spese di lite seguono la soccombenza, secondo dispositivo. 

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell’Umbria Seconda Sezione, per quanto in parte motiva, in parte respinge ed in parte dichiara inammissibile l’appello. Condanna l’appellante alla refusione delle spese in misura di 5.000,00 (cinquemila/00) euro, oltre accessori di legge Così deciso in Perugia in data xxxxx.


COMMENTO – In ambito tributario, l’istituto dell’accollo riceve una regolamentazione autonoma ad opera dell’art. 8 Legge 27 luglio 2000 n. 212 (cd. “Statuto del contribuente”), prevalente per specialità sulla normativa generale di matrice civilistica (art. 1273 c.c.).

Nell’ambito di quest’ultima, l’accollo è un accordo bilaterale tra il debitore (accollato) ed un terzo (accollante), in forza del quale il secondo assume un debito del primo.

Tale accordo riveste efficacia a prescindere dall’adesione del creditore, che tuttavia può aderirvi, rendendo in tal modo irrevocabile la stipulazione in proprio favore, secondo lo schema del contratto a favore di terzi (art. 1411 c.c.).

La normativa civilistica ammette sia l’accollo cumulativo, sia quello liberatorio. 

Nell’ambito dell’accollo cumulativo l’originario debitore (accollato) rimane obbligato nei confronti del creditore e risponde quindi dell’obbligazione in via solidale con l’accollante: pertanto, rispetto a tale figura di accollo, l’adesione del creditore non costituisce un requisito indispensabile, dal momento che il creditore non è privato della garanzia del patrimonio del proprio originario debitore, e riceve semmai unicamente un vantaggio dall’esistenza di un ulteriore soggetto (accollante) che si obbliga in via solidale nei suoi confronti.

Nell’ambito dell’accollo liberatorio, invece, l’originario debitore accollato viene liberato dalla propria obbligazione e, di conseguenza, l’accollante rimane l’unico soggetto obbligato nei confronti del creditore. Tale tipologia di accollo richiede necessariamente il consenso del creditore, il quale potrebbe avere interesse a non liberare un debitore originario che gli offra maggiori garanzie patrimoniali rispetto all’accollante. Per tale motivo, l’art. 1273 c. prevede che l’adesione del creditore all’accollo importa liberazione del debitore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione oppure se il creditore dichiara espressamente di liberarlo.

In ambito tributario, l’art. 8 Statuto del contribuente preclude radicalmente l’accollo liberatorio, ammettendo l’accollo del debito d’imposta altrui unicamente senza la liberazione del contribuente originario (comma 2)

In base alla predetta disposizione, il debitore originario non può quindi in alcun caso essere liberato dalla propria obbligazione nei confronti dell’Amministrazione finanziaria, ma continua a rispondere nei confronti di quest’ultima in solido con il terzo accollante.

Quest’ultimo soggetto diviene quindi un obbligato solidale in forza di titolo convenzionale e non assume in alcun caso la qualifica di “contribuente” o di “soggetto passivo del rapporto tributario”. Nei suoi confronti l’Amministrazione finanziaria non è legittimata ad esercitare alcun potere di accertamento o di esazione, che le spetta unicamente nei confronti del soggetto tenuto per legge a soddisfare il credito fiscale, ossia nei confronti dell’originario debitore accollato.

Conseguentemente, al debito tributario non può essere opposto in compensazione un credito dell’accollante verso l’Amministrazione finanziaria, non potendosi utilizzare in compensazione crediti di soggetti terzi.

Nella specie, il credito opposto in compensazione non può in alcun caso essere considerato un credito proprio del debitore accollato, neppure nella sua qualità di sostituto di imposta. Tale qualificazione era stata infatti proposta unicamente mediante l’atto di appello, in violazione del divieto di proporre per la prima volta nel secondo grado di giudizio eccezioni processuali o di merito non rilevabili d’ufficio (art. 57, comma 2, D.lgs. 546/1992).

Per tale motivo, l’appello della società contribuente viene in parte dichiarato inammissibile ed in parte respinto, con conseguente conferma degli atti di recupero delle imposte emessi e notificati dall’Agenzia delle Entrate.

Non trova infine accoglimento neppure il motivo di gravame, formulato in via subordinata, relativo all’illegittimità dell’applicazione delle sanzioni amministrative e fondato sull’assunto che la società contribuente, nella propria qualità di accollato, fosse inconsapevole del fatto che l’operazione invocata a fondamento del diritto alla compensazione si iscrivesse in un’evasione potenzialmente commessa dall’accollante.

A giudizio della Corte di giustizia tributaria di secondo grado umbra, la parte appellata non aveva fornito alcun elemento a fondamento della propria asserita mancanza di colpevolezza, specie alla luce del fatto che, pur richiamando costantemente  l’istituto dell’accollo, aveva omesso perfino di produrre in giudizio i relativi accordi, nonostante la richiesta in tal senso dal primo giudice. Conseguentemente, gli atti di recupero impugnati vengono confermati anche sotto il profilo delle sanzioni amministrative irrogate.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma