Corte Costituzionale, ord., (23 marzo) 12 aprile 2022 n. 94


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente: Giuliano AMATO;

Giudici: Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI, Angelo BUSCEMA, Emanuela NAVARRETTA, Maria Rosaria SAN GIORGIO, Filippo PATRONI GRIFFI,

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto- legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011 n. 214, promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli nel giudizio tra M. M. e il Comune di Napoli, con ordinanza del 22 novembre 2021, iscritta al n. 3 del registro ordinanze 2022 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell’anno 2022.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 2022 il Giudice relatore Luca Antonini;

deliberato nella camera di consiglio del 23 marzo 2022.

Ritenuto che, con ordinanza del 22 novembre 2021, la Commissione tributaria provinciale di Napoli ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come successivamente modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», il quale, nel disciplinare l’esenzione dall’imposta municipale unica (IMU) per l’abitazione principale, dispone che, «[n]el caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile»;

che la disposizione è censurata nella parte in cui non prevede l’esenzione qualora «uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune»;

che ciò determinerebbe la violazione degli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53 della Costituzione;

che, in punto di rilevanza, la CTP rimettente premette di essere chiamata a decidere in ordine al ricorso proposto dal contribuente avverso avvisi di accertamento con i quali il Comune di Napoli gli ha contestato il mancato pagamento dell’IMU, per gli anni dal 2015 al 2018, in relazione alla sua abitazione principale in Napoli;

che, pertanto, nella specie sarebbe applicabile l’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, censurato in parte qua, nella formulazione – vigente ratione temporis, avuto riguardo agli anni d’imposta che vengono in considerazione nel processo principale – risultante dalle modifiche a esso apportate dalla legge n. 147 del 2013;

che, sempre secondo quanto riferito dal giudice a quo, il contribuente ha rivendicato il diritto all’esenzione sul presupposto che l’immobile costituisse residenza anagrafica e dimora abituale dell’intero nucleo familiare, mentre il Comune di Napoli ha negato tale diritto, perché il nucleo familiare non risiedeva «interamente» nel medesimo immobile, atteso che il coniuge risulterebbe aver trasferito la propria residenza nel Comune di Scanno;

che, tuttavia, ad avviso del rimettente, alla spettanza dell’agevolazione osterebbe «la presenza di un “diritto vivente” espresso dall’organo istituzionalmente titolare della funzione nomofilattica» (sono citate Corte di cassazione, sezione sesta civile, ordinanze 19 febbraio 2020, n. 4170 e n. 4166; sezione quinta civile, ordinanza 17 giugno 2021, n. 17408), che, con «un univoco indirizzo interpretativo», riterrebbe che osti al riconoscimento del beneficio «il solo fatto che un componente della famiglia risieda in altro Comune»; ciò, peraltro, nonostante la diversa interpretazione sostenuta dal Ministero dell’economia e delle finanze (circolare n. 3/DF del 18 maggio 2012) secondo cui, in caso di residenza di un componente il nucleo familiare in un Comune diverso, l’agevolazione non sarebbe di per sé esclusa, poiché «il limite quantitativo» sarebbe espressamente riferito ai soli immobili nel medesimo Comune;

che, dunque, stante il tenore letterale e la specialità della norma agevolativa censurata, nonché la presenza di un orientamento della giurisprudenza di legittimità qualificabile come diritto vivente, sarebbe impraticabile «una interpretazione alternativa costituzionalmente orientata»;

che, in definitiva, dall’accoglimento della prospettata questione di legittimità costituzionale dipenderebbe l’esito della controversia della quale la CTP rimettente è investita, considerato che – afferma il giudice a quo – il ricorrente nel processo principale, pur avendo «pienamente dimostrato la sussistenza di tutti i presupposti di legge (unicità dell’immobile, classificazione, tipologia accatastamento, residenza anagrafica e dimora abituale del nucleo familiare)», si è visto «irrazionalmente negare l’agevolazione esclusivamente per il fattore geografico (obiettivamente privo di rilevanza fiscale) della residenza del coniuge (o di un altro componente del suo nucleo familiare) in un Comune diverso dal proprio»;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che la preclusione della possibilità di godere dell’esenzione in discorso «nel caso in cui uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune» leda, innanzitutto, l’art. 3 Cost., in quanto determinerebbe un’irragionevole e contraddittoria disparità di trattamento, «fondata su un neutro dato geografico […] a parità di situazione sostanziale», tra il possessore componente di un nucleo familiare residente e dimorante in due diversi immobili dello stesso Comune e quello il cui nucleo familiare, invece, risieda e dimori in distinti immobili ubicati in Comuni diversi;

che la norma censurata si porrebbe altresì in contrasto con l’art. 53, primo comma, Cost. perché, differenziando irragionevolmente i soggetti esentati dal pagamento dell’IMU «in forza di un elemento esogeno e privo di rilevanza fiscale quale l’ubicazione territoriale dell’immobile e di un componente del nucleo familiare», violerebbe il principio di capacità contributiva, il quale invece postula l’uguaglianza dei destinatari delle prescrizioni tributarie;

che sarebbe altresì violato il principio di progressività del sistema tributario sancito dall’art. 53, secondo comma, Cost., poiché la norma denunciata, consentendo l’agevolazione nel caso di maggiore capacità contributiva (titolarità di più immobili nel Comune) e non in quello in cui questa sia minore (titolarità di un unico immobile nel Comune e residenza e dimora extra-comunale di uno dei membri del nucleo familiare, anche «a titolo di locazione, comodato, ovvero per altro titolo irrilevante ai fini dell’IMU)», produrrebbe effetti «palesemente, o anche potenzialmente, regressiv[i]»;

che, a conforto della dedotta irragionevolezza, il rimettente sostiene inoltre che la norma censurata recherebbe un vulnus: a) agli artt. 3, 29 e 31 Cost., perché escluderebbe, in ragione della residenza in Comuni diversi, il diritto all’esenzione per coloro che sono legati da vincolo coniugale, mentre lo riconoscerebbe ai «conviventi di fatto», cui spetterebbe addirittura «per entrambi i cespiti», determinando in tal modo «una irrazionale discriminazione» a scapito della famiglia fondata sul matrimonio e frapponendo «un illegittimo ostacolo di natura fiscale alla libera scelta delle modalità con le quali l’unità familiare può essere realizzata»; b) agli artt. 1, 3, 4 e 35 Cost., atteso che pregiudicherebbe irragionevolmente i lavoratori che si trovano lontano dalla famiglia, «così impedendo a sé ed agli altri componenti del nucleo familiare di godere [dell’esenzione] di cui, invece, avrebbero potuto godere se avessero avuto la fortuna di lavorare nel proprio comune»; c) all’art. 47, secondo comma, Cost., in quanto disincentiverebbe investimenti in immobili ubicati in Comuni diversi da quelli di residenza anagrafica del nucleo familiare;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque non fondata;

che, preliminarmente, la difesa statale, dà conto dell’evoluzione normativa intervenuta medio tempore e, in particolare, della sostanziale trasfusione del censurato art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011 nell’art. 1, comma 741, lettera b), della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022) e della successiva modifica introdotta dall’art. 5-decies del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215, che ha esteso la possibilità di fruire dell’agevolazione per l’abitazione principale, già prevista per un solo immobile qualora «i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale», anche al caso di immobili ubicati «in comuni diversi», rimettendo la scelta di quello da esentare ai componenti del nucleo familiare;

che, in ragione del mutato quadro normativo, l’Avvocatura generale dello Stato sollecita questa Corte a considerare la restituzione degli atti al giudice a quo affinché valuti l’incidenza di tale ius superveniens nel giudizio principale, «per l’ipotesi che fosse possibile attribuirvi una portata retroattiva»;

che, ad avviso dell’Avvocatura generale, la questione sarebbe inammissibile per insufficiente descrizione della fattispecie concreta, non avendo peraltro il rimettente adeguatamente individuato le ragioni per le quali il coniuge del ricorrente risiederebbe nel Comune di Scanno e a quale titolo;

che, nel merito, la questione non sarebbe fondata, in primo luogo, perché il rimettente avrebbe mosso la censura sull’erroneo presupposto di una «asserita disparità di trattamento tra l’ipotesi di possesso di due immobili nello stesso comune rispetto alla stessa situazione in comuni però diversi»; in secondo luogo, perché la lamentata disparità di trattamento non sarebbe ravvisabile neppure tra i contribuenti uniti in matrimonio e quelli uniti civilmente, considerato che, ai sensi della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), anche per questi ultimi sarebbe in vigore «l’obbligo di coabitazione e, quindi, di residenza»;

che, l’associazione Camera degli avvocati tributaristi del Veneto ha depositato un’opinione, in qualità di amicus curiae, adesiva alla prospettazione del rimettente;

che, con decreto del Presidente di questa Corte del 17 febbraio 2022, l’opinione è stata ammessa nel giudizio.

Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Napoli ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come successivamente modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», che, nel disciplinare l’esenzione dall’imposta municipale unica (IMU) per l’abitazione principale, dispone che «[n]el caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile»;

che la disposizione è censurata nella parte in cui non prevede l’esenzione qualora «uno dei suoi componenti sia residente anagraficamente e dimori in un immobile ubicato in altro comune»;

che ciò determinerebbe la violazione degli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53 della Costituzione;

che, infatti, la norma censurata si porrebbe in contrasto con il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e lederebbe: la «parità dei diritti dei lavoratori costretti a lavorare fuori dalla sede familiare» (artt. 1, 3, 4 e 35 Cost.); il «diritto alla parità dei contribuenti coniugati rispetto a partner di fatto» (artt. 3, 29 e 31); i principi di capacità contributiva e progressività dell’imposizione (art. 53 Cost.); la famiglia quale società naturale (art. 29 Cost.); l’«aspettativa rispetto alla provvidenze per la formazione della famiglia e [l’]adempimento dei compiti relativi» (art. 31 Cost.); infine, la tutela del risparmio (art. 47 Cost.);

che, in via preliminare, va rilevato che l’art. 5-decies del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146 (Misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), convertito, con modificazioni, nella legge 17 dicembre 2021, n. 215 – per effetto del quale è stata riconosciuta la possibilità di fruire dell’agevolazione per l’abitazione principale per un solo immobile, «scelto dai componenti del nucleo familiare», qualora i suoi componenti abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili situati «in comuni diversi» – non ha natura interpretativa, né efficacia retroattiva, sicché la sua entrata in vigore non impone la restituzione degli atti al giudice a quo per una nuova valutazione circa la perdurante sussistenza della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni;

che non è fondata l’eccezione di inammissibilità sollevata dalla difesa dello Stato per insufficiente motivazione sulla rilevanza;

che, infatti, da un lato, è pacifico che il giudizio principale è sorto a seguito della notifica al contribuente di avvisi di rettifica per mancato pagamento dell’IMU dal 2015 al 2018 in relazione a un immobile adibito a sua abitazione principale, ciò che è di per sé sufficiente a rendere applicabile la norma censurata e, quindi, a ritenere superflua la specifica indicazione del titolo del possesso del bene da parte del contribuente;

che, dall’altro lato, è parimente irrilevante stabilire il titolo di possesso del coniuge relativamente all’immobile ubicato nel diverso Comune, perché il rimettente muove la sua censura dal presupposto interpretativo che agli effetti della disciplina IMU, così come interpretata dal diritto vivente, la residenza anagrafica di uno dei componenti il nucleo familiare in un distinto immobile sia sempre di per sé preclusiva del conseguimento del diritto all’agevolazione, ancorché tale residenza non sia stata fissata in un immobile posseduto in base a uno dei titoli che rientrano nel presupposto dell’IMU, ma, ad esempio, a titolo di locazione;

che il giudice a quo ha adeguatamente motivato in ordine alla impraticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata;

che, in particolare, «la soluzione prescelta dal rimettente – cioè di ritenere l’interpretazione fornita dalla Corte di cassazione “non altrimenti superabile” (tanto più, allo stato, in assenza di pronunce contrarie) – non pare implausibile e non lascia spazio in concreto alla sperimentazione di altre opzioni, dato che in ogni caso tutte verrebbero a confliggere con quella fatta propria dal giudice di ultimo grado» (ex multis sentenza n. 1 del 2021);

che il petitum del rimettente è circoscritto a ottenere, attraverso un intervento additivo di questa Corte sul quinto periodo dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come modificato dalla legge n. 147 del 2013, il riconoscimento, attualmente precluso dal diritto vivente, dell’esenzione dall’IMU dell’abitazione principale del nucleo familiare situata in un determinato Comune anche quando la residenza anagrafica di uno dei suoi componenti sia stata stabilita in un immobile ubicato in altro Comune;

che le questioni sollevate dal giudice a quo in relazione a tale specifica norma sono strettamente connesse alla più ampia e pregiudiziale questione derivante dalla regola generale stabilita dal quarto periodo del medesimo art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, che, ai fini del riconoscimento della suddetta agevolazione, definisce quale abitazione principale quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore ma anche del suo nucleo familiare;

che tale nesso con il nucleo familiare non era presente nella originaria disciplina dell’IMU (istituita dall’art. 8 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, recante «Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale») e nemmeno nella successiva formulazione, che ne ha costituito la prima applicazione, dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito, dove l’agevolazione – consistente in una riduzione dell’aliquota – era invece riconosciuta per l’immobile nel quale «il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente»;

che, in forza della previsione recata dal quarto periodo del comma 2 del suddetto art. 13, la possibilità di accesso all’agevolazione per ciascun possessore dell’immobile adibito ad abitazione principale viene meno al verificarsi della mera costituzione del nucleo familiare, nonostante effettive esigenze possano condurre i suoi componenti a stabilire residenze e dimore abituali differenti;

che la previsione del suddetto nesso ai fini della definizione di abitazione principale determina un trattamento diverso del nucleo familiare rispetto non solo alle persone singole ma anche alle coppie di mero fatto, poiché, sino a che il rapporto non si stabilizza nel matrimonio o nell’unione civile, la struttura della norma consente a ciascuno dei partner di accedere all’esenzione della loro, rispettiva, abitazione principale;

che, di conseguenza, anche laddove, intervenendo sulla disposizione eccezionale del successivo quinto periodo, fosse riconosciuto, come richiesto dal giudice rimettente, l’accesso a un’unica agevolazione IMU per l’abitazione principale del nucleo familiare situata in un determinato Comune, anche quando la residenza anagrafica di uno dei componenti di quest’ultimo fosse fissata in un immobile ubicato in altro Comune, rimarrebbe comunque confermata la descritta, preliminare, differenziazione del nucleo familiare;

che tutto ciò porta a dubitare della legittimità costituzionale della disciplina del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come modificato dalla legge n. 147 del 2013;

che «il modo in cui occasionalmente sono poste le questioni incidentali di legittimità costituzionale non può impedire al giudice delle leggi l’esame pieno del sistema nel quale le norme denunciate sono inserite» (ordinanze n. 18 del 2021; n. 183 del 1996; nello stesso senso, sentenza n. 179 del 1976 e ordinanze n. 230 del 1975 e n. 100 del 1970);

che, alla luce del rapporto di presupposizione tra la questione specifica dedotta dal giudice a quo e quella nascente dai dubbi di legittimità costituzionale ora indicati, la risoluzione della questione avente ad oggetto la regola generale stabilita dal quarto periodo del medesimo art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, nella parte in cui stabilisce il descritto nesso tra il riconoscimento della agevolazione IMU per l’abitazione principale e la residenza anagrafica e la dimora abituale del nucleo familiare, si configura come logicamente pregiudiziale e strumentale per definire le questioni sollevate dal giudice a quo (ex multis, ordinanza n. 18 del 2021);

che la non manifesta infondatezza della questione pregiudiziale sulla indicata regola generale si pone in relazione agli artt. 3, 31 e 53, primo comma, Cost.;

che, quanto al primo dei suddetti parametri, è pur vero che questa Corte ha affermato che, dato il carattere eccezionale e derogatorio delle agevolazioni tributarie, è ad essa precluso estenderne l’ambito di applicazione se non quando lo esiga la ratio dei benefici medesimi (ex plurimis, sentenza n. 218 del 2019);

che, nondimeno, nella fattispecie in esame può dubitarsi dell’esistenza di un ragionevole motivo di differenziazione tra la situazione dei possessori degli immobili in quanto tali e quella dei possessori degli stessi in riferimento al nucleo familiare, quando, come spesso accade nell’attuale contesto, effettive esigenze comportino la fissazione di differenti residenze anagrafiche e dimore abituali da parte dei relativi componenti del nucleo familiare;

che, in riferimento al principio di capacità contributiva di cui all’art. 53, primo comma, Cost., può parimenti dubitarsi della maggiore capacità contributiva, peraltro in relazione a un’imposta di tipo reale quale l’IMU, del nucleo familiare rispetto alle persone singole;

che questa Corte, del resto, nella sentenza n. 179 del 1976, dichiarando l’illegittimità costituzionale delle disposizioni dell’imposta complementare e dell’imposta sui redditi che prevedevano il cumulo dei redditi dei coniugi, ha già precisato che «non è dimostrato né dimostrabile, anche per la grande varietà delle possibili ipotesi e delle situazioni concrete (caratterizzate tra l’altro, dalla esistenza dei figli), che in ogni caso» per effetto del matrimonio «si abbia un aumento della capacità contributiva dei due soggetti insieme considerati»;

che, infine, in riferimento all’art. 31 Cost., potrebbe ritenersi che la disciplina in oggetto non agevoli «con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi», ma anzi comporti per i nuclei familiari un trattamento deteriore rispetto a quello delle persone singole e delle convivenze di mero fatto;

che, pertanto, questa Corte non può esimersi, ai fini della definizione del presente giudizio, dal risolvere pregiudizialmente le questioni di legittimità costituzionale del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, del d.l. n. 201 del 2011, come convertito e successivamente modificato dalla legge n. 147 del 2013, nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della relativa agevolazione, definisce quale abitazione principale quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore ma anche del suo nucleo familiare, in riferimento agli artt. 3, 31 e 53, primo comma, Cost.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) solleva, disponendone la trattazione innanzi a sé, questioni di legittimità costituzionale del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b), della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della relativa agevolazione, definisce quale abitazione principale quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore, ma anche del suo nucleo familiare, in riferimento agli artt. 3, 31 e 53, primo comma, della Costituzione;

2) sospende il presente giudizio fino alla definizione delle questioni di legittimità costituzionale di cui sopra;

3) ordina che la cancelleria provveda agli adempimenti di legge.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2022.

F.to:

Giuliano AMATO, Presidente

Luca ANTONINI, Redattore

Roberto MILANA, Direttore della Cancelleria

Depositata in Cancelleria il 12 aprile 2022.


COMMENTO – La vicenda trae origine dall’ordinanza di rimessione Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, sez. XXXII, 22 novembre 2021 n. 2985 (già commentata su questa Rivista).

Con la predetta ordinanza, era stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quinto periodo D.L. 06 dicembre 2011 n. 201, convertito con modificazioni in Legge 22 dicembre 2011 n. 214 (come modificato dall’art. 1, comma 707, lettera b) Legge 27 dicembre 2013 n. 147), norma secondo cui “Nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.

In particolare, la Commissione Tributaria Provinciale di Napoli dubitava della legittimità di tale norma, con riferimento agli artt. 1, 3, 4, 29, 31, 35, 47 e 53, comma 1, Costituzione, nella parte in cui non prevede l’esenzione IMU qualora uno dei componenti del nucleo familiare sia residente anagraficamente e dimori abitualmente in un immobile ubicato in altro Comune.

Pertanto, ciò che veniva richiesto alla Corte Costituzionale era un intervento additivo sul quinto periodo dell’art. 13, comma 2, D.L. 201/2011, che permettesse il riconoscimento dell’esenzione dall’IMU per l’abitazione principale del nucleo familiare situata in un determinato Comune, anche quando la residenza anagrafica di uno dei componenti il nucleo familiare medesimo fosse  stata stabilita in un immobile ubicato in un diverso Comune.

La Consulta ritiene che il giudice a quo abbia adeguatamente motivato in ordine alla impraticabilità di un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, alla luce dell’univoco orientamento della giurisprudenza di legittimità- tale da costituire vero e proprio “diritto vivente”- che reputa di ostacolo al riconoscimento del beneficio “il solo fatto che un componente della famiglia risieda in altro Comune” (si vedano in tal senso, ex multis, Cass. civ., sez. VI-5, ord., 19 febbraio 2020 n. 4166 e 4170 e Cass. civ., sez. V, ord., 17 giugno 2021 n. 17408).

Per tale motivo, la Corte Costituzionale respinge, in quanto infondata, l’eccezione – sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato – di inammissibilità dell’ordinanza di rimessione per asserita insufficiente descrizione della fattispecie concreta di riferimento, “non avendo peraltro il rimettente adeguatamente individuato le ragioni per le quali il coniuge del ricorrente risiederebbe nel Comune di Scanno e a quale titolo”.

Il titolo del possesso del coniuge, relativamente all’immobile ubicato in diverso Comune, viene ritenuto dalla Consulta completamente irrilevante, poiché agli effetti della disciplina IMU, così come interpretata dal “diritto vivente”, la residenza anagrafica di uno dei componenti il nucleo familiare in un distinto immobile è sempre di per sé preclusiva del conseguimento del diritto all’agevolazione, anche quando fissata in un immobile che sia posseduto in base ad un titolo non costituente presupposto per l’applicazione dell’IMU (ad esempio, a titolo di locazione).

Parimenti, viene respinta la richiesta preliminare dell’Avvocatura generale dello Stato di restituzione degli atti al giudice a quo per una valutazione dell’incidenza, sul caso concreto sottoposto al suo esame, dello jus superveniens di cui all’art. 5-decies D.L. 21 ottobre 2021 n. 146, convertito con modificazioni in Legge 17 dicembre 2021 n. 215.

La predetta disposizione ha modificato l’art. 1, comma 741, lettera b), Legge 27 dicembre 2019 n. 160- che, nel suo testo originario, conteneva una previsione del tutto identica a quella dell’art. 13, comma 2, quinto periodo, D.L. 201/2011-, riconoscendo la possibilità di fruire dell’agevolazione per l’abitazione principale per un solo immobile, a scelta dei componenti del nucleo familiare, qualora questi ultimi abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili situati in Comuni diversi.

Tale norma, diversamente da quanto sostenuto dall’Avvocatura generale dello Stato, non ha natura interpretativa, né efficacia retroattiva, sicché la sua entrata in vigore non impone in alcun modo la restituzione degli atti al Giudice a quo per una nuova valutazione circa la perdurante sussistenza dei requisiti  di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione sollevata.

Malgrado il rigetto di tutte le eccezioni preliminari proposte nei confronti dell’ordinanza di rimessione della Commissione Tributaria Provinciale della Campania, la Corte Costituzionale ritiene tuttavia che le questioni sollevate dal giudice a quo siano strettamente connesse alla più ampia e pregiudiziale questione derivante dalla regola generale di cui all’art. 13, comma 2, quarto periodo, D.L. 201/2011, che definisce quale “abitazione principale”, avente diritto all’esenzione IMU, quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore, ma anche del suo nucleo familiare.

Storicamente, il riferimento al “nucleo familiare” non era presente né nell’originaria disciplina dell’IMU (istituita dall’art. 8 D.lgs. 14 marzo 2011 n. 23), né nel testo originario dell’art. 13, comma 2, D.L. 201/2011, dove l’agevolazione – allora consistente in una riduzione dell’aliquota IMU – era riconosciuta per l’immobile nel quale “il possessore – e non anche il suo nucleo familiare –dimora abitualmente e risiede anagraficamente».

L’introduzione della rilevanza, per il riconoscimento dell’esenzione, della residenza anagrafica e della dimora abituale del nucleo familiare può determinare un trattamento diverso – e deteriore- di quest’ultimo rispetto non solo alle persone singole, ma anche alle coppie di mero fatto.  Infatti, fino a quando il rapporto non si stabilizza nel matrimonio o nell’unione civile, la struttura della norma consente a ciascuno dei partner di accedere all’esenzione della propria, rispettiva, abitazione principale.

Di conseguenza, anche in caso di accoglimento della questione di legittimità prospettata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli con riferimento al quinto periodo dell’art. 13, comma 2, D.L. 201/2011, rimarrebbe comunque confermata la differenziazione in peius del nucleo familiare, prevista in via preliminare e generale dal quarto periodo della predetta norma.

Per tale motivo la Consulta solleva, disponendone la trattazione innanzi a sé, la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 31 e 53, primo comma, della Costituzione, del quarto periodo dell’art. 13, comma 2, D.L. 6 dicembre 2011 n. 201, convertito con modificazioni nella Legge 22 dicembre 2011 n. 214, nella parte in cui, ai fini del riconoscimento della relativa agevolazione, definisce quale “abitazione principale” quella in cui si realizza la contestuale sussistenza del duplice requisito della residenza anagrafica e della dimora abituale non solo del possessore, ma anche del suo nucleo familiare. 

In riferimento al principio di eguaglianza (art. 3 Costituzione), pur ribadendo il carattere eccezionale e derogatorio delle norme che introducono agevolazioni o esenzioni tributarie, e la conseguente impossibilità di una loro estensione analogica (art. 14 “preleggi”), la Consulta dubita dell’esistenza di un ragionevole motivo di differenziazione tra la situazione dei possessori degli immobili, in quanto tali, e quella dei possessori degli stessi, in riferimento al nucleo familiare. Ciò soprattutto tenendo conto del fatto che, nell’attuale contesto storico, accade sempre più spesso che i componenti di un medesimo nucleo familiare siano “costretti” a fissare differenti residenze anagrafiche e dimore abituali non già per mera scelta, bensì per esigenze oggettive (ad esempio, di carattere lavorativo).

Anche in riferimento al principio di capacità contributiva (art. 53, comma 1, Costituzione), può parimenti dubitarsi della maggiore capacità contributiva del nucleo familiare rispetto alle persone singole, specie in relazione ad un’imposta di tipo reale, quale l’IMU.

Infine, in riferimento all’art. 31 Costituzione, può ritenersi che la norma di cui all’art. 13, comma 2, quarto periodo, D.L. 201/2011 non agevoli “con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi”, ma anzi comporti per i nuclei familiari un trattamento deteriore rispetto a quello delle persone singole e delle convivenze di mero fatto.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma