Commissione Tributaria Regionale del Lazio, Sezione Distaccata di Latina, 

sez. XVIII, 16.07.2020 n. 2217


Svolgimento del processo

La società T.L.F. s.r.l. aveva proposto ricorso avverso l’avviso di accertamento ICI, emesso dal Comune di Latina, con riferimento all’anno 2006, sulla base dei dati catastali.

La ricorrente aveva impugnato il suddetto atto, sottolineando che il fabbricato oggetto d’imposta era utilizzato come semplice “parcheggio”, atteso che il procedimento per il cambio di destinazione d’uso a “locali commerciali” non si era perfezionato.

Quindi, aveva chiarito che i dati catastali erano stati modificati in previsione della concessione in sanatoria, che in seguito non era stata ottenuta.

Pertanto, aveva chiesto l’annullamento dell’avviso di accertamento ICI e l’applicazione del parametro riferito ai “parcheggi”.

Il Comune di Latina si era costituito in giudizio, ribadendo la legittimità dell’avviso di accertamento ICI impugnato.

La CTP di Latina aveva accolto il ricorso, rilevando che “dalla documentazione in atti (…) e dalla sentenza n. 104-3-10, per gli anni 2004/2005, (…) trattasi di parcheggi, non avendo il Comune di Latina aderito alla richiesta di cambio di destinazione d’uso”.

Il Comune di Latina aveva proposto appello, per i seguenti motivi:

– violazione dell’art. 31 del D.Lgs. n. 546 del 1992, per la mancata comunicazione dell’avviso di trattazione dell’udienza di merito nel giudizio di primo grado, con conseguente nullità di tutti gli atti successivi, compresa la sentenza finale;

– illegittima ed erronea statuizione in ordine alla effettiva classificazione dei beni oggetto di accertamento, in contrasto con la normativa legislativa e regolamentare di riferimento e con le interpretazioni giurisprudenziali in materia che ancorano la determinazione dell’imposta alla rendita catastale.

All’esito del giudizio di secondo grado, la CTR del Lazio – Sez. staccata di Latina aveva respinto l’appello.

Avverso tale sentenza il Comune di Latina aveva proposto ricorso in Cassazione.

Con il primo motivo il Comune di Latina aveva contestato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e la conseguente nullità della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per violazione del diritto di difesa per la mancata comunicazione, nel corso del giudizio di primo grado, dell’avviso di trattazione dell’udienza di merito.

Con il secondo motivo aveva dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 del D.Lgs. n. 504 del 1992 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione con riguardo alla effettiva classificazione urbanistica dei beni.

In particolare, aveva evidenziato che il valore da tenere in considerazione ai fini della determinazione dell’ICI è quello catastale, essendo irrilevante che la società non avesse ancora ottenuto il titolo concessorio in sanatoria per destinare gli immobili oggetto di imposta ad attività commerciale.

La Suprema Corte aveva ritenuto infondato il primo motivo, perché il Comune si era costituito tardivamente in primo grado, mentre l’avviso di fissazione va comunicato solo alle parti costituite.

Invece, aveva ritenuto fondato il secondo motivo, rilevando preliminarmente che “la rendita catastale è riferita alla destinazione d’uso commerciale dei beni già in atto in data antecedente all’annualità – 2006 – oggetto di contestazione”.

Nel merito, aveva osservato che “in tema di imposta comunale sugli immobili, il provvedimento di attribuzione della rendita, una volta divenuto definitivo (per mancata impugnazione da parte del contribuente, unico legittimato a tanto, o per intervenuta definitività del relativo giudizio di impugnazione), vincola non solo il contribuente ma anche l’ente impositore tenuto per legge ad applicare l’imposta unicamente sulla base di quella rendita, la quale costituisce il presupposto di fatto necessario ed insostituibile per l’imposizione fiscale che la legge commisura a tale dato, con la conseguenza che il contribuente, in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso dal Comune relativo all’imposta comunale sugli immobili, non può proporre doglianze relative alla determinazione della rendita, che avrebbero dovuto essere proposte in diversa causa (pregiudiziale rispetto a quella relativa alla liquidazione dell’ICI) e con diverso legittimato passivo (Agenzia del Territorio) (Cass.16215/2010; Cass. 9894/2017)”

Pertanto, aveva cassato la sentenza di secondo grado, con rinvio alla CTR Lazio in diversa composizione.

Il Comune di Latina ha proposto ricorso in riassunzione, rappresentando come “le somme complessivamente richieste dall’Ente Locale per l’ICI 2006 siano perfettamente coerenti con la rendita catastale attribuita agli immobili per cui causa”.

Considerato che la sentenza emessa in primo grado sarebbe “frutto di errate ed incongrue valutazioni”, ha ribadito che “l’avviso di accertamento n. (…) prot. n. (…) del 4.04.2011 – ICI anno 2006 – risulta perfettamente legittimo ed immune da censure”.

Pertanto, ha chiesto la riforma della sentenza emessa dalla CTP di Latina, Sez. II, n. 215/02/2013 del 24 maggio 2013, pubblicata in data 10 giugno 2013.

La società T.L.F. s.r.l. non si è costituita.

Motivi della decisione

  1. La controversia all’esame del Collegio concerne la verifica della legittimità dell’avviso di accertamento in materia di ICI, emesso dal Comune di Latina sulla base dei dati catastali dell’immobile interessato.

Nel giudizio di prime cure, la Commissione tributaria provinciale aveva ritenuto di dover annullare il predetto avviso, sulla base della circostanza che la rendita catastale attribuita dall’Agenzia del territorio non trovava riscontro nell’uso effettivo cui il bene era stato destinato.

Anche la Commissione tributaria regionale aveva condiviso tale decisione, rigettando l’appello del Comune.

In seguito, è intervenuta la Suprema Corte che ha cassato la sentenza di secondo grado ed ha espresso il principio di diritto secondo il quale “il provvedimento di attribuzione della rendita, una volta divenuto definitivo (…) vincola non solo il contribuente ma anche l’ente impositore tenuto per legge ad applicare l’imposta unicamente sulla base di quella rendita.”

1.1. Sulla scorta della precedente disamina, l’appello del Comune deve essere accolto.

Infatti, l’art. 5, primo comma, del D.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 dispone che “Base imponibile dell’imposta è il valore degli immobili di cui al comma 2 dell’articolo 1”.

Il comma successivo prevede che “Per i fabbricati iscritti in catasto, il valore è costituito da quello che risulta applicando all’ammontare delle rendite risultanti in catasto, vigenti al 1 gennaio dell’anno di imposizione, i moltiplicatori determinati con i criteri e le modalità previsti dal primo periodo dell’ultimo comma dell’articolo 52 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131”.

La rilevanza della rendita catastale, ai fini della determinazione della misura dell’imposta, costituisce un dato ineludibile per la costante giurisprudenza di legittimità, secondo cui “In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), la base imponibile è individuata dall’art. 5, comma 2 del D.Lgs. n. 504 del 1992 mediante una stretta ed imprescindibile relazione tra iscrizione (o necessaria iscrivibilità) in catasto di una unità immobiliare e rendita vigente al primo gennaio dell’anno di imposizione, sicché i dati del singolo fabbricato, quali risultanti dal catasto, costituiscono un fatto oggettivo, ai fini dell’assoggettamento all’imposta e della determinazione del “quantum” dovuto, non contestabile, neppure in via incidentale, da nessuna delle parti (comune e contribuente) del rapporto obbligatorio concernente l’imposta, fatta salva la facoltà del contribuente di chiedere la modifica (eventualmente in via di autotutela), ovvero di impugnare (in sede giurisdizionale) l’atto di accatastamento e/o di attribuzione della rendita, con naturale ripercussione (ed effetto vincolante per le parti del rapporto ICI) sul provvedimento definitivo”. (Cass. civ., Sez. V Ord., 7 giugno 2017, n. 14114).

  1. All’esito della precedente esame della fattispecie, deve essere accolto il ricorso in riassunzione e, per l’effetto, l’appello del Comune.

Stante la diversa soluzione della controversia nei precedenti gradi di giudizio, si reputano sussistenti validi motivi per disporre la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Commissione accoglie il ricorso in riassunzione e, per l’effetto, l’appello del Comune.

Spese compensate.

Così deciso in Latina, il 30 gennaio 2020.


COMMENTO REDAZIONALE- La sentenza in commento viene emessa dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio – Sezione Distaccata di Latina, all’esito di un giudizio di rinvio ex art. 63 D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546.

Dopo un esito per sé sfavorevole della controversia sia in primo che in secondo grado, il Comune di Latina vedeva infatti accogliere il proprio ricorso per Cassazione, con affermazione del principio secondo cui, in tema di ICI, il provvedimento di attribuzione della rendita, una volta divenuto definitivo (per mancata impugnazione da parte del contribuente o per intervenuta definitività del relativo giudizio di impugnazione), vincola non solo il contribuente, ma anche l’ente impositore. 

Quest’ultimo è tenuto per legge ad applicare l’ICI unicamente sulla base di quella rendita, la quale costituisce il presupposto di fatto necessario ed insostituibile per l’imposizione fiscale che la legge commisura a tale dato.

Di conseguenza, in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento ICI emesso dal Comune, il contribuente non può proporre doglianze relative alla determinazione della rendita, che avrebbero dovuto essere proposte in una diversa causa (pregiudiziale rispetto a quella relativa alla liquidazione dell’ICI) e con un diverso legittimato passivo, ossia l’Agenzia del Territorio (in tal senso Cass. civ., sez. V, 09.07.2010 n. 16215; Cass. civ., sez. VI-5, ord., 19.04.2017 n. 9894; Cass. civ., sez. V, ord., 08.03.2019 n. 6855).

A seguito dell’annullamento con rinvio della sentenza di secondo grado, il Comune di Latina provvedeva alla riassunzione del processo dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale ex art. 63 D.lgs. 546/1992.

La società contribuente ometteva invece di costituirsi in tale fase del giudizio.

La Commissione Tributaria Regionale, uniformandosi al principio di diritto affermato in maniera per essa vincolante dalla Corte di Cassazione, statuisce quindi che le somme complessivamente richieste dal Comune di Latina a titolo di ICI risultano coerenti con la rendita catastale attribuita agli immobili di proprietà della società contribuente.

L’appello del Comune di Latina trova quindi accoglimento.

La pronuncia si pone in linea con l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in tema di ICI, la base imponibile è individuata dall’art. 5, comma 2, D.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504 mediante una stretta ed imprescindibile relazione tra l’iscrizione (o la necessaria iscrivibilità) in catasto di un’unità immobiliare e la rendita vigente al 1° gennaio dell’anno di imposizione. 

Di conseguenza, i dati del singolo fabbricato, quali risultanti dal catasto, costituiscono un fatto oggettivo, ai fini dell’assoggettamento all’imposta e della determinazione del “quantum” dovuto, non contestabile, neppure in via incidentale, da nessuna delle parti del rapporto obbligatorio concernente l’imposta (i.e.: ente impositore e contribuente), fatta salva la facoltà per quest’ultimo di chiedere la modifica (eventualmente in via di autotutela) ovvero di impugnare (in sede giurisdizionale) l’atto di accatastamento e/o di attribuzione della rendita, con naturale ripercussione ed effetto vincolante per le parti del rapporto ICI sul provvedimento definitivo (in tal senso Cass. civ., sez. V, ord., 07.06.2017 n. 14114)