Cass. civ., sez. V, ord., 11 gennaio 2025 n. 730
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE
Composta da:
Dott. STALLA Giacomo Maria – Presidente
Dott. SOCCI Angelo Matteo – Consigliere-Rel.
Dott. CANDIA Ugo – Consigliere
Dott. BILLI Stefania – Consigliere
Dott. PENTA Andrea – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21858/2019 R.G. proposto da:
MARINE DI ISCHIA Srl, rappresentata e difesa dall’avvocato C.P. (Omissis) – ricorrente –
Contro
COMUNE LACCO AMENO, rappresentato e difeso dall’avvocato D.M.G.(Omissis), PEC (Omissis) – controricorrente –
avverso SENTENZA di COMM.TRIB.REG. CAMPANIA n. 34/2019 depositata il 07/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19/09/2024 dal Consigliere ANGELO MATTEO SOCCI.
Svolgimento del processo
- La CTR in epigrafe indicata accoglieva l’appello proposto dal Comune di Lacco Ameno avverso la decisione di primo grado che aveva accolto il ricorso introduttivo di impugnazione dell’avviso di accertamento per omessa denuncia per la tassa di smaltimento rifiuti solidi urbani, e il mancato pagamento, per l’anno 2014, per mq 15.625, per un’area nel porto turistico del Comune di Lacco Ameno;
- propone ricorso per cassazione la contribuente società, affidato a 5 motivi (1 – violazione degli art. 24 e 111, Costituzione, 132, cod. proc. civ., 36, secondo comma, n. 4, D.Lgs. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma n. 3 e n. 4, cod. proc. civ.; 2 – violazione e falsa applicazione degli art. 2 e 3, D.Lgs. n. 182 del 2003, 59, D.P.R. n. 616 del 1997, 6, d. L. n. 400 del 1993, 8, d. L. n. 533 del 1966, 42, D.Lgs. n. 96 del 1999, 1, DPCM 21 dicembre 1995, DM del 17 gennaio 2003 e dell’art. 45 del codice della navigazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 7, L. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; 4 – violazione dell’art 1, commi 650, 651 e 652, D.Lgs. n. 147 del 2013 nonché dei criteri di cui al D.P.R. n. 158 del 1999, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; 5- violazione dell’art. 112, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, del cod. proc. civ.
- il Comune ha depositato controricorso nel quale chiede di dichiarare inammissibile il ricorso o di rigettarlo.
Motivi della decisione
- Il ricorso è infondato e deve respingersi con la condanna al pagamento delle spese di legittimità e raddoppio del contributo unificato.
- Il primo motivo di ricorso risulta inammissibile in quanto la sentenza è adeguatamente motivata e affronta il tema sollevato con l’appello. Il ricorso sul punto è generico e non si confronta con la sentenza impugnata.
Non sussiste, pertanto, il vizio della motivazione, denunciato, poiché in tema di motivazione meramente apparente della sentenza, questa Corte ha più volte affermato che il vizio ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, sesto comma), e cioè dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. (in materia di processo civile ordinario) e dell’art. 36, comma 2, n. 4, D.Lgs. n. 546 del 1992 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta: “In seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali” (Sez. 1 – , Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022, Rv. 664120 – 01); in tale grave forma di vizio non incorre, dunque, la sentenza impugnata laddove i giudici di appello, statuendo sui motivi di appello hanno affermato che occorre far riferimento al valore venale dei beni in quanto la mancata adozione del piano attuativo non incide sulla edificabilità del terreno.
La sentenza impugnata, come visto, motiva adeguatamente sulla questione.
- Il secondo motivo di ricorso risulta infondato, sia in quanto generico (non si confronta con la motivazione della decisione impugnata) sia perché la sentenza ha compiuto accertamenti di fatto con motivazione adeguata, insindacabile, quindi, in questa sede.
Si tratta di una evidente valutazione delle prove insindacabile in sede di legittimità, e il ricorso mira sostanzialmente ad una rivalutazione del fatto non consentita: “È inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito. (Principio affermato dalla S.C. con riferimento ad un motivo di ricorso che, pur prospettando una violazione degli artt. 1988 c.c. e 2697 c.c., in realtà tendeva ad una nuova interpretazione di questioni di mero fatto, quali l’avvenuta estinzione dei crediti azionati, già esclusa dal giudice d’appello alla luce dei rapporti commerciali di fornitura intercorsi tra le parti e dei pagamenti effettuati tramite cambiali ed altri titoli di crediti riferibili a precedenti fatture non oggetto di causa)” (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017, Rv. 643690 – 01).
La sentenza evidenzia come con la L. 82 del 2001 la gestione dei porti è passata dalle Capitanerie di porto alle Regioni, e con la delibera della Giunta regionale della Campania (n. 3744 del 14 luglio 2000) la gestione veniva trasferita al Comune di Lacco Ameno. Inoltre, veniva anche stabilito nella conferenza di servizi che “il Demanio marittimo del Comune di Lacco Ameno non sia da considerarsi area portuale”.
Il Comune e la società ricorrente sottoscrivevano un contratto di affidamento con il quale veniva concesso “il servizio di ormeggio, accoglienza ed assistenza a pagamento di unità di navigazione da diporto”, relativo all’area oggetto degli avvisi di accertamento impugnati. Per la sentenza impugnata, la valutazione delle prove comportava la certezza che l’esercizio del servizio affidato “non possa essere disgiunto dalla disponibilità dell’area sul quale esso deve essere effettuato e che tale disponibilità sia oggetto del contratto di affidamento quale presupposto per l’esercizio del servizio”. Con questi accertamenti di fatto la decisione impugnata ha ritenuto legittimato il Comune ad esigere il tributo dalla ricorrente che di fatto, in base al contratto di affidamento, aveva la disponibilità dell’area oggetto della tassazione.
Quanto alla (contestata) legittimità di questa conclusione, che appunto attribuisce al Comune la potestà impositiva in questione, soccorre il costante indirizzo di questa Corte (v. da ultimo Cass. n. 7665/24, con richiami a Cass. nn. 23583/09, 10104/12, 31058/18, 17030/21, 17092/21, 34251/21, 5667/23) per cui, in tanto il regime ordinario e generale di privativa comunale Tarsu può essere superato, in quanto risulti istituita nell’area di interesse un’autorità portuale (artt. 2 co. 2° e 6 legge 84/1994), come tale investita ex lege dalla competenza in materia di rifiuti; per contro, nessuna competenza di questo tipo e, pertanto, nessuna deroga dal suddetto regime di privativa, può affermarsi in presenza di sola autorità marittima (art.2 co. 3, 14 legge 84/1994 ed art. 16 cod. nav.); e nel caso di specie non risulta istituita un’Autorità portuale investita ex lege del servizio.
- Il terzo motivo è infondato; la sentenza ha adeguatamente motivato sulla sussistenza della motivazione dell’avviso di accertamento nei seguenti termini: “deve ritenersi che l’avviso di accertamento risulta motivato in relazione ai presupposti di fatto e alle ragioni giuridiche che lo hanno determinato così da consentire alla ricorrente di conoscere le ragioni della pretesa e valutare sia l’opportunità di esperire l’impugnazione giudiziale sia, in caso positivo, come ha fatto di contestare efficacemente l’atto impositivo”.
Infatti, “In tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento ha carattere di provocatio ad opponendum, sicché l’obbligo di sua motivazione è soddisfatto, ai sensi dell’art. 56 del D.P.R. n. 633 del 1972, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 9008 del 06/04/2017, Rv. 643644 – 01). Si rinvia inoltre a Cass. ord. n. 22470/19.
- Il quarto motivo risulta generico e richiede alla Corte di legittimità la rivalutazione del fatto, non consentita. La determinazione del tributo è stata effettuata dal Comune in relazione all’estensione dell’area concessa alla contribuente, come dal regolamento del Comune; la tariffa è stata indicata per assimilazione (in assenza di specifica previsione della categoria) a quella degli stabilimenti balneari e ai mq posseduti quale concessionario o gestore (come prevede il regolamento comunale art. 40); criterio, quindi, non irragionevole o arbitrario.
- L’ultimo motivo risulta inammissibile in quanto si prospetta una omessa pronuncia della sentenza sulla disapplicazione del regolamento IUC Sezione TARI 2014 e delle relative delibere tariffarie. Non si è in presenza di omessa pronuncia ma di decisione diretta e motivata, in quanto proprio sul punto la sentenza motiva in maniera incompatibile con la tesi della contribuente; infatti la decisione riforma la sentenza di primo grado (proprio in relazione alla ritenuta – in primo grado – illegittimità del regolamento).
Il motivo, inoltre, è anche manifestamente infondato. La disapplicazione del regolamento del Comune dovrebbe effettuarsi per omesse specificazioni dei criteri “di determinazione della quota fissa e della quota variabile delle tariffe TARI applicate alle utenze non domestiche”.
Questa Corte di legittimità ha avuto modo di specificare che la disapplicazione può effettuarsi solo in presenza di vizi di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge ed eccesso di potere) e non, anche, sulle scelte discrezionali delle tariffe e delle assimilazioni: “In materia di TARSU e TARI, il potere giudiziale di disapplicazione degli atti regolamentari, riconosciuto dall’art. 7, comma 5, del D.Lgs. n. 546 del 1992, non è esercitabile rispetto alla scelta tecnica amministrativa del Comune per la classificazione delle categorie con omogenea potenzialità di rifiuti, di cui all’art. 68, comma 2, del D.Lgs. n. 507 del 1993, essendo ammessa la disapplicazione solo in presenza di vizi di legittimità dell’atto, quali l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere” (Sez. 5 -, Sentenza n. 16287 del 12/06/2024, Rv. 671402 – 01; vedi anche Sez. 5 -, Sentenza n. 31461 del 03/12/2019, Rv. 656024 – 01).
Inoltre, la delibera in oggetto non necessita di motivazione: “In tema di TARSU, non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale di determinazione della tariffa di cui all’art. 65 del D.Lgs. n. 507 del 1993, poiché la stessa, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile “ex post”, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili” (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 16165 del 19/06/2018, Rv. 649267 – 01; vedi anche Sez. 5 -, Ordinanza n. 7437 del 15/03/2019, Rv. 653050 – 01).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.400,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, in data 19 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria l’11 gennaio 2025.
COMMENTO REDAZIONALE– La pronuncia in commento conferma il principio secondo cui, a norma dell’art. 7, comma 5, D.lgs. 546/1992, la disapplicazione dei regolamenti o degli atti generali rilevanti ai fini della decisione può essere effettuata dal giudice tributario solo in presenza di vizi di legittimità dell’atto (quali l’incompetenza, la violazione di legge o l’eccesso di potere), e non anche sulle scelte discrezionali delle tariffe e delle assimilazioni.
In particolare, in materia di TARSU e TARI, il potere giudiziale di disapplicazione degli atti regolamentari non è esercitabile rispetto alla scelta tecnica amministrativa del Comune per la classificazione delle categorie con omogenea potenzialità di rifiuti, di cui all’art. 68, comma 2, D.lgs. 15 novembre 1993 n. 507, essendo ammessa la disapplicazione solo in presenza di vizi di legittimità dell’atto, quali l’incompetenza, la violazione di legge e l’eccesso di potere (in senso conforme, si vedano Cass. civ., sez. V, sent., 03 dicembre 2019 n. 31461; Cass. civ., sez. V, sent., 12 giugno 2024 n. 16287; Cass. civ., sez. V, sent., 17 giugno 2024 n. 16701; Cass. civ., sez. V, sent., 20 giugno 2024 n. 17038, n. 17051 e n. 17058).