Cass. civ., sez. V, ord., 25 ottobre 2023 n. 29568
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. DI PISA Fabio – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25296/2022 R.G. proposto da:
- Srl in liq., in persona del legale rapp.nte, rappresentato e difeso in giudizio dall’avv. G. D. A., come da procura in atti, domiciliato in Roma, P.za Cavour, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione; – parte ricorrente –
contro
Comune di Urgnano (BG), in persona del Sindaco e legale rapp.nte pro tempore; – parte intimata –
e contro
Area Riscossioni Srl , in persona del legale rapp.nte; – parte intimata –
Ricorso avverso sentenza Commissione Tributaria Regionale Lombardia n. 1021/22 del 17.3.2022;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 ottobre 2023 dal Consigliere Dott. Giacomo Maria Stalla;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
che:
- 1. I. Srl liq. ha proposto un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con la quale la commissione tributaria regionale – nella mancata costituzione in giudizio del Comune di Urgnano e di Area Riscossioni Srl – ha dichiarato inammissibile l’appello da essa proposto avverso la sentenza con la quale la Commissione Tributaria Provinciale aveva ritenuto legittimi vari avvisi di accertamento per Imu e Tasi (Omissis).
La commissione tributaria regionale, in particolare, ha osservato che:
– nel primo grado, Area Riscossione non si era costituita in giudizio nell’osservanza del termine di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 23 e 32 (udienza discussione 18.6.2018, costituzione del 15.6.2018);
– l’appello di I. era inammissibile, sia perchè comprovatamente notificato solo al Comune di Urgnano, non anche ad Area Riscossione Srl , sia perchè privo di attestazione di conformità tra atto depositato ed atto notificato, da ritenersi necessaria in caso di contumacia della parte appellata (evenienza, questa, che precludeva al giudice il riscontro di effettiva conformità).
Nessuna attività difensiva è stata in questa sede posta in essere dalle parti intimate.
- 2. Con l’unico motivo di ricorso I. lamenta la nullità della sentenza in base alla seguente testuale censura (ric. lett. e): “appare evidente come nella insussistente motivazione della sentenza della Commissione Tributaria della Lombardia, sezione 9, non si rilevi alcuna motivazione giuridica della violazione delle previsioni del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto la mancata costituzione del resistente, entro i termini di legge, comporta, similmente a quanto previsto nel processo civile dall’art. 167c.p.c., comma 2, la decadenza dalla possibilità di proporre eccezioni non rilevabili d’ufficio (Cass. 11943/2016, Cass. 6437/2015, Cass. 2925/2010, Cass. 18962/2005, Cass. 7329/2003) e (CTR Lazio 2155/2017, CTP Caltanissetta 424/2014). La conferma del suddetto indirizzo è offerta dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 23, comma 3 secondo cui “..nelle controdeduzioni la parte resistente espone le sue difese prendendo posizione sui motivi dedotti dal ricorrente e indica le prove di cui intende valersi, proponendo altresì le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio e instando, se del caso, per la chiamata di terzi in causa”.
- 3. Con provvedimento comunicato il 3.4.2023 il consigliere delegato ha formulato proposta di definizione accelerata del ricorso ex art. 380 bisc.p.c. (inammissibilità), osservando che la doglianza della ricorrente non attingeva la ratio decidendi, stante la rilevabilità d’ufficio, nel caso di contumacia della parte appellata (come nella specie) della difformità tra atto di appello depositato ed atto di appello notificato (Cass. nn. 4615/08, 1174/10, 6677/17, 11271/22).
- 4. Con istanza depositata il 12.5.2023, corredata di nuova procura speciale in pari data, la ricorrente ha chiesto la decisione del ricorso nel merito, anche a valere quale rinuncia alla proposta di definizione accelerata così formulata.
- 5. Il ricorso è inammissibile.
La doglianza di legittimità, come su riportata, non richiama una specifica ipotesi di censura ex art. 360 c.p.c., comma 1 e, comunque, nel suo contenuto sostanziale verte esclusivamente sull’affermata violazione, da parte della Commissione Tributaria Regionale, del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, artt. 23 e 32, avendo essa omesso di trarre le dovute conseguenze processuali (preclusione alla deduzione di eccezioni non rilevabili d’ufficio) dalla (pur rilevata) tardiva costituzione nel giudizio di primo grado di Area Riscossione.
Sennonchè, tale doglianza:
– non esplicita quali eccezioni non rilevabili d’ufficio la parte tardivamente costituitasi avrebbe dedotto e sarebbero poi state poste a fondamento della decisione appellata;
– non indica se e con quali modalità processuali l’errore asseritamente così commesso dai primi giudici venne dedotto in sede di gravame avanti alla Commissione Tributaria Regionale;
– non coglie il dato essenziale di causa per cui la pronuncia di inammissibilità dell’appello non è discesa dalla affermata violazione di siffatta preclusione (posto che la Commissione Tributaria Regionale riferisce in effetti della tardiva costituzione di Area Riscossione in primo grado, ma solo nello svolgimento del processo e senza trarne alcuna conseguenza decisoria sull’appello) bensì dalla, tutt’affatto diversa, ragione della mancata prova della notificazione dell’appello a quest’ultima controparte e della mancata attestazione di conformità D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 53, ritenuta necessaria in caso di contumacia della parte intimata;
– conseguentemente, essa non si sofferma in alcun modo (specificamente contestandola) su questa articolata ragione di inammissibilità dell’appello, ragione peraltro del tutto fondata, atteso che: “in tema di contenzioso tributario, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 22, comma 3, – richiamato, per il giudizio d’appello, dal successivo art. 53 – va interpretato nel senso che costituisce causa di inammissibilità del ricorso o dell’appello non la mancanza di attestazione, da parte del ricorrente, della conformità tra l’atto depositato e quello notificato ma solo la loro effettiva difformità, accertabile d’ufficio in caso di omissione dell’attestazione. Tuttavia, se la controparte è rimasta contumace, la mancata attestazione della conformità costituisce, di per sè, causa di inammissibilità, non essendo questa onerata dell’accesso presso la segreteria della commissione tributaria per verificare l’eventuale difformità tra l’atto a lei notificato e quello depositato, trattandosi di attività difensiva che presuppone, comunque, già sorto un interesse concreto a contraddire” (Cass. n. 11271/22 cit.).
- 6. Ne segue la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, conformemente alla proposta di definizione accelerata.
Stante la mancata partecipazione al giudizio delle parti intimate, non si fa luogo a pronuncia sulle spese, dovendosi invece provvedere, ex artt. 380 bis e 96 c.p.c., comma 4, alla condanna della parte ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma non inferiore ad Euro 500 e non superiore ad Euro 5.000, come liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso;
– v.ti gli artt. 380 bis e 96 c.p.c., comma 4;
– condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma di Euro 2500,00;
– v.to il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012;
– dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Tributaria, il 18 ottobre 2023.
Depositato in Cancelleria il 25 ottobre 2023
COMMENTO REDAZIONALE- Viene confermato il principio secondo cui, nel contenzioso tributario, costituisce causa di inammissibilità del ricorso o dell’appello non già la mancanza di attestazione, da parte del ricorrente, della conformità tra l’atto depositato e quello notificato, ma solo la loro effettiva difformità, accertabile d’ufficio in caso di omissione dell’attestazione.
Tuttavia, se la controparte è rimasta contumace, la mancata attestazione della conformità costituisce di per sé causa di inammissibilità del ricorso o dell’appello, non essendo quest’ultima onerata dell’accesso presso la segreteria della commissione (oggi: corte di giustizia) tributaria per verificare l’eventuale difformità tra l’atto a lei notificato e quello depositato, trattandosi di attività difensiva che presuppone, comunque, già sorto un interesse concreto a contraddire (si veda, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, sent., 07 aprile 2022 n. 11271).