Cass. pen. Sez. IV, sent., 13 febbraio 2023, n.5894


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIAMPI Francesco Maria – Presidente –

Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere –

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. NOCERA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

A.A., nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 10/12/2021 della CORTE APPELLO di MESSINA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE PAVICH;

lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale FRANCESCA CERONI che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo

  1. La Corte d’appello di Messina, in data 10 dicembre 2021, ha confermato la sentenza con la quale, il 16 febbraio 2021, il Tribunale zancleo aveva condannato A.A. alla pena ritenuta di giustizia e alle connesse statuizioni in relazione al reato di rifiuto di sottoporsi ad accertamenti tossicologici (art. 187, comma 8, Cod. strada), contestato come commesso il 18 gennaio 2019.

La Corte di merito ha disatteso le doglianze rassegnate con l’atto d’appello circa l’affermazione di responsabilità, la configurabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto e la commisurazione del trattamento sanzionatorio.

  1. Ricorre il A.A. avverso la prefata sentenza d’appello, articolando tre motivi.

2.1. Con il primo motivo si denunciano plurimi vizi (violazione di legge sostanziale e processuale, vizio di motivazione, mancata assunzione di prova decisiva) sostanzialmente riferiti al percorso argomentativo della sentenza impugnata circa la riferibilità soggettiva al A.A. dello stupefacente rinvenuto nell’autovettura da lui condotta, che era pervero intestata al sig. B.B. e non all’odierno ricorrente. Non vi è quindi, secondo il deducente, la prova del collegamento fra l’ipotizzata assunzione di stupefacenti da parte di quest’ultimo e le due dosi di crack rinvenute nel veicolo, cosicché non può essere mossa all’odierno imputato la censura per l’interposto rifiuto di sottoporsi ad esami tossicologici.

2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis c.p.: l’esclusione di tale istituto è stata giustificata senza esaminare le peculiarità del caso concreto, in distonia rispetto alle indicazioni delle Sezioni Unite.

2.3. Con il terzo motivo si denuncia vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena, giustificata in base a clausole di stile e senza adeguato percorso argomentativo.

Motivi della decisione

  1. Il primo motivo di doglianza è manifestamente infondato.

Per quanto attiene alla valutazione della Corte circa la riferibilità soggettiva dello stupefacente all’odierno ricorrente, la prospettazione è, da un lato, esorbitante rispetto ai limiti caratteristici del sindacato di legittimità nella valutazione del materiale probatorio, che è e resta demandata al giudice di merito;

dall’altro lato è viziata da un errore di prospettiva, atteso che la richiesta al A.A. di sottoporsi ad accertamenti tossicologici era in primo luogo del tutto giustificata, non solo dal rinvenimento di due dosi di sostanza stupefacente sull’autovettura da lui condotta, ma anche dallo stato di turbamento e di alterazione che gli operanti ravvisavano nell’immediatezza sulla persona dell’odierno imputato; e che, in secondo luogo, il reato in esame è costruito come un reato di disobbedienza a una prescrizione dell’autorità legittimamente data, rifiutando la quale il soggetto attivo si espone a sanzioni penali. Perciò, restando esclusa qualsiasi ipotesi di illegittimità dell’ordine, deve evidenziarsi la distinzione ontologica fra il reato contestato e quelli di guida in stato di alterazione, dalla quale discende il principio – ormai pacificamente accolto dalla giurisprudenza di legittimità – in base al quale l’obbligo di dare avviso al conducente della facoltà di farsi assistere da un difensore per gli accertamenti strumentali dello stato d’alterazione alla guida non sussiste in caso di rifiuto di sottoporsi all’accertamento, in quanto la presenza del difensore è funzionale a garantire che l’atto in questione, in quanto non ripetibile, sia condotto nel rispetto dei diritti della persona sottoposta alle indagini (fra le tante vds. Sez. 4, Sentenza n. 16816 del 14/01/2021, Pizio, Rv. 281072; Sez. 4, Sentenza n. 33594 del 10/02/2021, Brunelli, Rv. 281745).

  1. Deve invece ritenersi fondato il secondo motivo.

Come correttamente osservato dal ricorrente, le Sezioni Unite hanno stabilito che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis c.p., è compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcolimetrico, previsto dall’art. 186, comma 7, C.d.S. (Sez. U, n. 13682/2016 del 25/02/2016, Coccimiglio). L’assunto del consesso apicale si fonda sulla considerazione che, “essendo in considerazione la caratterizzazione del fatto storico nella sua interezza, non si dà tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalità della condotta; ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l’applicazione del nuovo istituto”; di tal che “l’illecito di cui all’art. 186, comma 7, C.d.S. sanziona il rifiuto di sottoporsi all’indagine alcolimetrica volta all’accertamento della guida in stato di ebbrezza sanzionata dal comma 2 dello stesso articolo. In conseguenza, la lettura della “ratio” e dello sfondo di tutela che presiedono alla contravvenzione in esame sarebbe fallace ed astratta se non si confrontasse con l’intimo intreccio tra i due reati, enfatizzato dal fatto che uno è punito con le sanzioni previste dall’altro. In breve, il comma 7 non punisce una mera, astratta disobbedienza ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose, il cui accertamento è disciplinato da procedure di cui il sanzionato rifiuto costituisce solitamente la deliberata elusione”.

Perciò, ai fini dell’apprezzamento circa l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., occorre accertare che il fatto illecito non abbia generato un contesto concretamente e significativamente pericoloso con riguardo ai beni indicati: di tal che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa in relazione alle modalità della condotta e all’esiguità del danno o del pericolo e richiede una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità del caso concreto. La causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p., applicabile ad ogni fattispecie criminosa, è stata perciò ritenuta dalle Sezioni Unite della Corte compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcolimetrico, previsto dall’art. 186, comma 7, Cod. Strada, sul rilievo che, accertata la situazione pericolosa e dunque l’offesa, resta pur sempre uno Spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato, ed al solo fine della valutazione della gravità dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale in cui la condotta si inscrive e quale sia, in conseguenza, il possibile impatto pregiudizievole per il bene tutelato (vds. la già citata Sez. U, Sentenza n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, Rv. 266595).

Alla luce di tali principi, va osservato che, nella specie, non vi sono elementi per affermare la sussistenza di elementi ostativi ai fini della configurabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p.. Le circostanze in cui il A.A. veniva fermato sono state di fatto trascurate nella sentenza impugnata e risultano solo sommariamente indicate nella sentenza di primo grado, ove si fa unicamente cenno al fatto che l’odierno imputato veniva visto dalla pattuglia in transito mentre parcheggiava improvvisamente sul ciglio di (Omissis). La Corte messinese si limita a escludere l’applicabilità della causa di non punibilità formulando una valutazione affatto ipotetica e generica sul pericolo che l’imputato avrebbe potuto rappresentare ove sì fosse posto alla guida di un mezzo di locomozione sotto l’effetto di sostanze stupefacenti: in tal modo, però, lungi dall’elaborare la necessaria caratterizzazione del fatto concreto – nei termini richiesti dalla giurisprudenza apicale di legittimità – la Corte zanclea non fa altro che riprodurre il paradigma astratto della fattispecie criminosa contestata, che però – come detto – non è in generale esclusa dall’applicazione della particolare tenuità del fatto, se non laddove sia esplicitato ed argomentato un particolare pregiudizio al bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice. In definitiva, manca radicalmente nella motivazione del diniego la valutazione complessiva e contestuale del fatto che, nella richiamata giurisprudenza apicale di legittimità, è indispensabile nello scrutinio della qualificabilità o meno del fatto medesimo come particolarmente tenue, ai fini della configurabilità della causa di non punibilità in discorso.

  1. All’evidenza la fondatezza del predetto motivo assorbe le questioni riguardanti il trattamento sanzionatorio trattate nel terzo motivo di doglianza.
  2. La sentenza impugnata va perciò annullata, limitatamente al punto concernente l’applicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Messina, che dovrà valutare anche l’eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio, nel caso di nuovo diniego dell’istituto di cui all’art. 131-bis c.p. Nel resto il ricorso va dichiarato inammissibile.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’applicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello di Messina anche per l’eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2023


COMMENTO: Con la sentenza in esame, la Cassazione ribadisce il principio sancito dalle Sezioni Unite, secondo cui la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, di cui all’art. 131-bis c.p., è compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcolimetrico, previsto dall’art. 186, comma 7, C.d.S. (Sez. U, n. 13682/2016 del 25/02/2016, Coccimiglio). L’assunto del consesso apicale si fonda sulla considerazione che, “essendo in considerazione la caratterizzazione del fatto storico nella sua interezza, non si dà tipologia di reato per la quale non sia possibile la considerazione della modalità della condotta; ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l’applicazione del nuovo istituto”; di tal che “l’illecito di cui all’art. 186, comma 7, C.d.S. sanziona il rifiuto di sottoporsi all’indagine alcolimetrica volta all’accertamento della guida in stato di ebbrezza sanzionata dal comma 2 dello stesso articolo. In conseguenza, la lettura della “ratio” e dello sfondo di tutela che presiedono alla contravvenzione in esame sarebbe fallace ed astratta se non si confrontasse con l’intimo intreccio tra i due reati, enfatizzato dal fatto che uno è punito con le sanzioni previste dall’altro. In breve, il comma 7 non punisce una mera, astratta disobbedienza ma un rifiuto connesso a condotte di guida indiziate di essere gravemente irregolari e tipicamente pericolose, il cui accertamento è disciplinato da procedure di cui il sanzionato rifiuto costituisce solitamente la deliberata elusione”. 

Perciò, ai fini dell’apprezzamento circa l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p., occorre accertare che il fatto illecito non abbia generato un contesto concretamente e significativamente pericoloso con riguardo ai beni indicati: di tal che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa in relazione alle modalità della condotta e all’esiguità del danno o del pericolo e richiede una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità del caso concreto. La causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p., applicabile ad ogni fattispecie criminosa, è stata perciò ritenuta dalle Sezioni Unite della Corte compatibile con il reato di rifiuto di sottoporsi all’accertamento alcolimetrico, previsto dall’art. 186, comma 7, Cod. Strada, sul rilievo che, accertata la situazione pericolosa e dunque l’offesa, resta pur sempre uno Spazio per apprezzare in concreto, alla stregua della manifestazione del reato, ed al solo fine della valutazione della gravità dell’illecito, quale sia lo sfondo fattuale in cui la condotta si inscrive e quale sia, in conseguenza, il possibile impatto pregiudizievole per il bene tutelato (vds. la già citata Sez. U, Sentenza n. 13682 del 25/02/2016, Coccimiglio, Rv. 266595).