T.A.R. Lazio Roma, Sez. II quater, 08 luglio 2024, n. 13771


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Seconda Quater)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4591 del 2019, proposto da -OMISSIS–OMISSIS-, rappresentato e difeso dall’avvocato …, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Comune di Civita Castellana, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato …, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l’annullamento

dell’ordinanza n. -OMISSIS- -OMISSIS- adottata in data -OMISSIS-, successivamente notificata in data 01.03.2019, con la quale il dirigente del Comune di Civita Castellana – Ufficio Tecnico Settore Edilizia Privata – ha ordinato al ricorrente la demolizione dell’opera realizzata, consistente nella “apposizione dei settori finestrati quadrangolari e triangolari posti ai tre lati aperti della loggia del suo immobile, dentro i quali scorrevano verticalmente e si avvolgevano dei teli in pvc, nonché il motore dell’impianto di condizionamento dell’aria posto sul lato nord ovest dell’edificio ed al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di 90 giorni dalla data di notifica dell’atto, con avvertenza che in mancanza si sarebbe provveduto alla rimozione d’ufficio con addebito delle spese a carico del proprietario”.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Civita Castellana;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11 giugno 2024 la dott.ssa Virginia Giorgini e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo

  1. Con ricorso notificato il 12 aprile 2019 e depositato il 13 maggio 2019, il sig. -OMISSIS–OMISSIS- impugna l’ordinanza con cui il Comune di Civita Castellana gli ha ingiunto la demolizione di opere realizzate sul fabbricato destinato a civile abitazione di cui egli è proprietario, situato in area paesaggisticamente vincolata giusta Delib.G.R. n. -OMISSIS-dell’-OMISSIS-. Gli interventi contestati consistono, in particolare, nella “chiusura di una loggia al piano secondo” e nella “installazione di un motore esterno per il condizionamento”.

1.1. Il ricorrente precisa in fatto quanto segue: (i) in data -OMISSIS- egli ha presentato, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. -OMISSIS- (nella formulazione allora vigente), una CIL per il “montaggio di una tenda avvolgibile su guide per protezione da sole e pioggia, composta da struttura di alluminio color legno e telo avvolgibile sulla veranda posta al piano secondo dell’abitazione di proprietà”; (ii) con nota n. -OMISSIS-del -OMISSIS-, il Comune, in esito ad un sopralluogo della Polizia Municipale svolto sulla base di un esposto, ha contestato al ricorrente i suddetti abusi consistenti nella chiusura della loggia e nell’installazione del condizionatore, con contestuale comunicazione di avvio del procedimento volto all’emissione di un’ordinanza di demolizione; (iii) è seguito lo svolgimento di un contraddittorio endoprocedimentale, nell’ambito del quale le osservazioni formulate dal ricorrente prima ex art. 10 e poi ex art. 10-bis della L. 7 agosto 1990, n. -OMISSIS-, sono state ritenute dal Comune inidonee a superare le contestazioni formulate (vd. note comunali n.-OMISSIS- del -OMISSIS- e n. -OMISSIS-del -OMISSIS-).

1.2. Tanto esposto in fatto, il ricorrente affida il ricorso a due motivi di diritto così rubricati: “1 – Falsa applicazione del D.P.R. n. 31 del 13 febbraio 2017, lettera B3, tabella B, in violazione della lettera A.12 tabella A stesso decreto. Difetto dei presupposti – carenza assoluta di istruttoria”; “2 – Sulla installazione del motore del condizionatore. Violazione D.P.R. n. 31 del 2017, lettera A.5, tabella A. Difetto dei presupposti – carenza assoluta di istruttoria. Eccesso di potere per disparità di trattamento”.

  1. Il Comune di Civita Castellana si è costituito in giudizio il 20 maggio 2019 con atto di mero stile.
  1. In data 9 giugno 2022 il ricorrente ha depositato la sentenza del Tribunale di Viterbo n. 1430 del 2021 recante la sua assoluzione dai reati edilizi e paesaggistici di cui era imputato, pronunciata con formula “perché il fatto non costituisce reato”.
  1. Alla pubblica udienza dell’11 giugno 2024, in vista della quale il Comune ha depositato, ex art. 73, comma 1, c.p.a., alcuni documenti e una memoria difensiva, la causa è stata discussa e trattenuta in decisione.

Motivi della decisione

  1. Il ricorso è infondato per le ragioni di seguito illustrate.
  1. Occorre innanzitutto esaminare la doglianza – formulata sia nell’esposizione in fatto sia nell’ambito del primo motivo del ricorso – relativa alla pretesa illegittimità dell’azione del Comune di Civita Castellana sotto il profilo temporale: il ricorrente si duole, infatti, del mancato esercizio del potere di vigilanza e repressione degli abusi “nei termini di legge”, evidenziando che l’ordine di demolizione è stato adottato “a distanza di oltre un anno” dalla presentazione della CIL.

La doglianza non coglie nel segno.

Ed invero il regime proprio dell’attività edilizia subordinata alla presentazione della comunicazione di inizio lavori (CIL o CILA) non prevede, come invece in caso di SCIA, una fase di successivo controllo sistematico da svolgersi, secondo il paradigma di cui all’art. 19 della L. n. -OMISSIS- del 1990, entro un termine perentorio e destinata, in caso di esito negativo, a concludersi con un provvedimento di carattere inibitorio.

A fronte della comunicazione di inizio lavori, pertanto, i generali poteri di vigilanza e sanzionatori previsti dall’art. 27 del D.P.R. n. -OMISSIS- del 2001 possono e devono essere esercitati in ogni momento e senza limiti di tempo, ciò ogniqualvolta l’amministrazione rilevi, come nel caso di specie, che la comunicazione medesima sia stata utilizzata per eseguire opere che avrebbero richiesto il permesso di costruire o la SCIA (cfr. T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 20 settembre 2019, n. 11155).

  1. Venendo ora al cuore della controversia, il primo motivo di ricorso riguarda il contestato intervento di “chiusura di una loggia al piano secondo”, in merito al quale il provvedimento impugnato rileva che “la chiusura della loggia con … pannelli auto avvolgenti in PVC trasparente per analogia non differisce da chiusura con ante e vetri e, pertanto, costituisce un aumento non autorizzato di volumetria”.

3.1. Il sig. -OMISSIS- deduce innanzitutto che l’intervento de quo ricadrebbe nell’ambito dell’attività edilizia libera ai sensi dell’art. 6 del D.P.R. n. -OMISSIS- del 2001, trattandosi, a suo avviso, dell’installazione di una struttura accessoria con funzione di protezione dagli agenti atmosferici, riconducibile al concetto di pergotenda di cui al n. 50 del glossario approvato, in attuazione dell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. 25 novembre 2016, n. -OMISSIS-, con D.M. del -OMISSIS-.

Sul punto, il ricorrente evidenzia che l’opera, considerati anche i materiali utilizzati e la tipologia di chiusura, ha solo migliorato la fruibilità del loggiato, senza incidere sulle sue caratteristiche funzionali, il che condurrebbe ad escludere che vi sia stata la creazione di un vano autonomo e il conseguente aumento di volumetria contestato dal Comune. A supporto di quanto affermato, produce una relazione peritale in cui viene affermato che i teli autoavvolgenti in PVC con i quali è realizzata la chiusura del loggiato non assicurano la chiusura ermetica dell’ambiente, non avendo né caratteristiche termoisolanti né capacità di isolamento acustico.

Tali assunti non meritano condivisione.

Giova riportare la descrizione dell’opera contenuta nel rapporto di servizio della Polizia Locale prot. n. -OMISSIS-: “i tre lati aperti della loggia, al piano secondo, erano ripartiti in settori quadrangolari e triangolari, previa posa in opera di morali in legno”; “dentro queste riquadrature erano installate le sedi dentro le quali scorrevano verticalmente e si avvolgevano previo sistema elettrico, dei teli in materiale plastico trasparente (presumibilmente in PVC)”; “le superfici triangolari, sovrastanti le riquadrature, erano chiuse stabilmente con il medesimo materiale plastico e il tutto formava un vano chiuso con pareti trasparenti in materiale plastico” (doc. n. 2 del deposito del Comune).

Ora, date tali caratteristiche, e alla luce della documentazione fotografica in atti, ritiene il Collegio che, contrariamente a quanto evidenziato dal ricorrente, l’opera, in quanto consente la chiusura integrale del balcone, per l’intera altezza e su tutti i lati, facendogli così perdere la propria caratteristica fondamentale di apertura su almeno due lati, finisce per trasformare uno spazio aperto in uno spazio chiuso idoneo ad esprimere maggiore volumetria.

Deve essere rimarcato, al riguardo, che non rilevano nel senso di escludere che vi sia stata la creazione di un nuovo ambiente destinato a soddisfare esigenze non temporanee né la qualità dei teli utilizzati per la chiusura né la circostanza che essi siano amovibili. Ha chiarito, infatti, il Giudice di appello che “Ciò che contraddistingue la veranda e consente la sua sussumibilità sotto la categoria degli interventi di ristrutturazione edilizia – richiedenti il previo rilascio del permesso di costruire – è la realizzazione di un ambiente (anziché identico) assimilabile a quello interno all’abitazione, in ragione della trasformazione di un elemento accessorio aperto in uno spazio chiuso; ciò, prescindendo dall’eventuale diversità dei valori termici, energetici o di isolamento acustico, che, anche ove non coincidenti con quelli degli ambienti ab origine residenziali, non impedirebbero di configurare, comunque, un ambiente chiuso e, dunque, abitabile per la conformazione tecnica dell’opera e il risultato prodotto dalla sua installazione (chiusura del balcone), pure ove ciò sia stimato possa avvenire soltanto in corrispondenza di alcuni periodi dell’anno (in termini, Consiglio di Stato, sez. VI, n. 469 del 2022 cit.)” (Cons. St., Sez. VI, 9 agosto 2022, n. 7024).

Decisiva è, dunque, la circostanza per cui la struttura oggetto del gravato ordine di demolizione determina una chiusura integrale di quello che era uno spazio esterno meramente accessorio, facendo in tal modo acquisire allo stesso caratteristiche analoghe, per quanto non identiche, agli ambienti interni. Tanto emerge anche dalle fotografie di cui alle pagine 14 e 15 del rapporto di servizio dell’8 maggio 2018 (doc. n. 2, cit.), le quali, nonostante la scarsa qualità delle immagini, mostrano un ambiente chiuso su tutti e lati e completamente arredato come zona giorno.

Nel complesso, difetta allora proprio l’elemento individuato dalla giurisprudenza affinché possa parlarsi di pergotenda, vale a dire il carattere di mero elemento accessorio della struttura rispetto alla tenda, dovendo quest’ultima costituire l’opera principale quale elemento di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici (Cons. St., Sez. II, 6 giugno 2023, n. 5567). Nel caso di specie, al contrario, l’opera principale è rappresentata dalla struttura che, tramite le travi in legno e le sedi di scorrimento destinate ai pannelli in materiale plastico, permette di chiudere integralmente lo spazio dal solaio del balcone al tetto spiovente del fabbricato e da pilastro a pilastro, dando vita ad un’area autonomamente utilizzabile. Non può certamente essere trascurato, inoltre, quale elemento che contribuisce a delineare le caratteristiche dell’intervento realizzato, che i pannelli in PVC che chiudono i quattro spazi triangolari ricavati nella parte più alta della facciata sono addirittura fissi e non già scorrevoli.

In definitiva, deve ritenersi applicabile alla controversia in esame il consolidato principio giurisprudenziale secondo cui “la realizzazione di una veranda con chiusura di un balcone, comportando nuovi volumi e modifica della sagoma dell’edificio, è soggetta a permesso di costruire” (così Cons. St. Sez. VIII, 14 aprile 2023, n. 3822; negli stessi termini, Cons. St., 12 febbraio 2020, n. 1092, richiamata anche da Cons. St., n. 7024 del 2022).

3.2. Sotto il profilo paesaggistico, poi, parte ricorrente richiama il punto A.22 dell’Allegato A al D.P.R. 13 febbraio 2017, n. 31, che include tra gli interventi ed opere in aree vincolate esclusi dall’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 2 del medesimo decreto la “installazione di tende parasole su terrazze, prospetti o in spazi pertinenziali ad uso privato”.

Ebbene, date le caratteristiche della struttura realizzata dal sig. -OMISSIS-, per come sopra descritte, è evidente che la stessa non può essere considerata alla stregua di una tenda parasole e che sia invece riconducibile al punto B.3 dell’Allegato B al medesimo D.P.R. n. 31 del 2017, ricomprendente gli “interventi sui prospetti, diversi da quelli di cui alla voce B.2, comportanti alterazione dell’aspetto esteriore degli edifici mediante modifica delle caratteristiche architettoniche, morfo-tipologiche, dei materiali o delle finiture esistenti, quali: … realizzazione, modifica o chiusura di balconi o terrazze …”. Ne deriva la necessità di acquisire, ai sensi dell’art. 3 del decreto, l’autorizzazione paesaggistica semplificata quale atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire.

  1. Il secondo motivo di ricorso si incentra sulla parte dell’ordine di demolizione relativa al condizionatore, per la cui installazione, secondo quanto ritenuto dal Comune di Civita Castellana con il provvedimento impugnato, occorreva l’autorizzazione paesaggistica stante la visibilità del motore esterno dallo spazio pubblico.

4.1. Deduce sul punto il ricorrente che la facciata su cui è installato il condizionatore è “la più nascosta comunque non la principale” del fabbricato e che, data la distanza dalla pubblica via, pari a circa 230 metri, ciò che è visibile da quest’ultima sarebbe “solo un puntino bianco”, con conseguente esclusione dall’autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 3 del menzionato D.P.R. n. 31 del 2017 in combinato disposto con il punto A.5 dell’Allegato A.

Anche tale doglianza non può essere favorevolmente apprezzata.

Il punto A.5 dell’Allegato A, la cui applicazione è invocata dal ricorrente, si riferisce alle “installazioni di impianti tecnologici esterni a servizio di singoli edifici non soggette ad alcun titolo abilitativo edilizio, quali condizionatori e impianti di climatizzazione dotati di unità esterna, caldaie, parabole, antenne, purché effettuate su prospetti secondari, o in spazi pertinenziali interni, o in posizioni comunque non visibili dallo spazio pubblico …”.

Il punto B.7 dell’Allegato B contempla invece la “installazione di impianti tecnologici esterni a servizio di singoli edifici, quali condizionatori e impianti di climatizzazione dotati di unità esterna, caldaie, parabole, antenne, su prospetti prospicienti la pubblica via o in posizioni comunque visibili dallo spazio pubblico, o laddove si tratti di impianti non integrati nella configurazione esterna degli edifici oppure qualora tali installazioni riguardino beni vincolati ai sensi del Codice, art. 136, comma 1, lettere a), b) e c) limitatamente, per quest’ultima, agli immobili di interesse storico-architettonico o storico-testimoniale, ivi compresa l’edilizia rurale tradizionale, isolati o ricompresi nei centri o nuclei storici”.

Sulla base della lettura coordinata del punto A.5 e del punto B.7, deve ritenersi che l’elemento della visibilità dell’impianto dalla pubblica via sia di per sé decisivo nel senso di imporre l’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, non rilevando – ogni qualvolta tale visibilità sussista – la circostanza che l’installazione sia avvenuta su un prospetto diverso da quello principale.

Ora, nel caso di specie, al fine di verificare se gli interventi contestati all’odierno ricorrente fossero visibili da strade pubbliche, è stato svolto da parte di personale tecnico del Comune di Civita Castellana un apposito sopralluogo in data 15 maggio 2018, all’esito del quale è stato redatto un rapporto di servizio corredato da ampia documentazione fotografica (cfr. doc. n. 3 del deposito del Comune). È sulla base di tali risultanze che il provvedimento impugnato evidenzia che “il motore esterno per il condizionamento dell’aria è visibile da -OMISSIS- e da -OMISSIS-“, il che è sufficiente a far ritenere integrate le condizioni per la necessità dell’autorizzazione paesaggistica. Non vi è spazio invero, sulla base dei richiamati punti A.5 e B.7, per una valutazione in ordine al quantum della visibilità dell’impianto dalla pubblica via, come pretenderebbe il ricorrente laddove afferma che da -OMISSIS- si percepisce “solo un puntino bianco”.

4.2. Né incide sulla legittimità del provvedimento gravato l’eventuale esistenza di “altri documentati ben più gravi ed evidenti casi presenti sull’intero tessuto urbano del Comune di Civita Castellana” (pag. 19 del ricorso), costituendo principio generale quello per cui il vizio di eccesso di potere per disparità di trattamento non può essere invocato per ottenere il risultato di un’equiparazione ad una situazione illegittima o illegittimamente trattata (cfr. Cons. St., Sez. VII, 28 agosto 2023, n. 8003; T.A.R. Lazio, Sez. II quater, 14 giugno 2021, n. 7-OMISSIS-8; id. 8 gennaio 2024, n. 288).

  1. Quanto, infine, alla richiamata sentenza con cui il Tribunale di Viterbo ha assolto, in relazione ai medesimi interventi edilizi oggetto del provvedimento impugnato, il sig. -OMISSIS- dai reati di cui era imputato, deve essere rammentato che, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., “il giudicato penale è invocabile nei confronti della parte pubblica in sede amministrativa soltanto … in relazione ai fatti nella loro realtà fenomenica – condotta, evento e nesso di causalità, con esclusione di antigiuridicità, colpevolezza e di qualsiasi altra questione che, derivando dai fatti accertati, può assumere rilevanza ai fini della qualificazione giuridica dei rapporti controversi (Consiglio di Stato Sez. VI, 24 marzo 2020, n. 2060) – e, comunque, a condizione che l’Amministrazione abbia preso parte al giudizio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. II, 24 ottobre 2019, n. 7245)” (così Cons. St., Sez. VI, 30 giugno 2022, n. 5453).

Ebbene, nel caso di specie difettano invero entrambi i presupposti necessari affinché il giudicato penale possa avere efficacia nel giudizio amministrativo, tenuto conto, dal punto di vista soggettivo, che il Comune di Civita Castellana non è stato parte nel processo penale conclusosi con la sentenza di assoluzione e, sotto il profilo oggettivo, che la sentenza penale è fondata non già su un diverso accertamento del fatto storico ma su una diversa qualificazione giuridica dell’attività edilizia posta in essere dall’odierno ricorrente.

  1. In conclusione, il ricorso è infondato e deve essere respinto.
  1. Le spese di lite, in ossequio al canone della soccombenza, vanno poste a carico della parte ricorrente e sono liquidate in favore del Comune di Civita Castellana nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore del Comune di Civita Castellana delle spese di lite, che liquida in euro 2.000,00 (duemila/00), oltre accessori di legge se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all’art. 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e all’art. 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all’oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.

Conclusione

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 11 giugno 2024 con l’intervento dei magistrati:

Antonella Mangia, Presidente

Virginia Giorgini, Referendario, Estensore

Luigi Edoardo Fiorani, Referendario


MASSIMA: La chiusura di un balcone mediante strutture permanenti, come travi in legno e pannelli in PVC, richiede il permesso di costruire, configurando un intervento che modifica l’assetto strutturale dell’edificio. In assenza di tale permesso, l’intervento è considerato abuso edilizio e comporta l’obbligo di demolizione.