Cass. civ., sez. V, ord., 22 maggio 2023 n. 14101


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere –

Dott. PENTA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14323/2021 proposto da:

C. soc. agr. a r.l., (C.F. e P.IVA: (Omissis)), con sede in (Omissis), in persona del presidente del consiglio d’amministrazione e legale rappresentante A.A., codice fiscale (Omissis), nato a (Omissis), ed ivi residente in (Omissis), assistita, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente fra loro, giusta procura a margine del ricorso, dagli Avv.ti G. I., nato a (Omissis) (p.e.c..), e V. G., nato a (Omissis) (p.e.c.), entrambi del foro di Roma, ed elettivamente domiciliata presso quest’ultimo con studio in Roma, alla Via….;                      – ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, (C.F.: (Omissis)), in persona del direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, (C.F.: (Omissis)), presso i cui uffici in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12, è domiciliata;                                     – controricorrente –

avverso la sentenza n. 840/2020 emessa dalla CTR Toscana in data 20/11/2020 e non notificata;

udita la relazione della causa svolta dal Consigliere Dott. Andrea Penta.

Svolgimento del processo

  1. La T C. s.a.r.l. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Grosseto avverso un avviso di accertamento relativo all’IMU dovuta, per l’anno 2013, con riferimento ad alcuni impianti fotovoltaici realizzati nel 2011 che erano stati classificati dall’Ufficio in categoria D/1, assumendone la natura rurale.
  2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso.
  3. Sull’appello del Comune di Gavorrano, il quale deduceva che solo dal 2015 la parte contribuente aveva provveduto a chiedere la rettifica del classamento dei manufatti, la Commissione Tributaria Regionale Toscana accoglieva il gravame, sostenendo che, per poter chiedere l’esclusione dall’assoggettamento all’imposta, occorreva impugnare, ai fini di una eventuale revisione, il classamento presso l’Agenzia delle Entrate – Territorio, laddove nel caso di specie la rettifica del classamento da D/1 (sulla base di una Docfa presentata nel 2011) a D/10 era in vigore dal 2015 e non poteva avere applicazione retroattiva.
  4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per cassazione la T. C. s.a.r.l. sulla base di un unico motivo. Il Comune di Gavborrano ha resistito con controricorso.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.

Motivi della decisione

  1. Con l’unico articolato motivo la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del D.M. Finanze 19 aprile 1994, n. 701art. 1D.L. n. 70 del 2011art. 7, comma 2-bis, del D.M. 26 luglio 2012art. 2, del D.L. n. 557 del 1993art. 9, comma 3-bis, del D.L. n. 201 del 2011art. 13, comma 8, e D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546art. 62, in relazione all’art. 360c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la CTR erroneamente, a suo dire, escluso che l’istanza di variazione catastale da essa presentata potesse essere presentata al fine di correggere errori commessi dal contribuente e, in ogni caso, non potesse esplicare efficacia, nonchè che il requisito della ruralità potesse essere riconosciuto anche in assenza dell’iscrizione del bene de quo nella categoria catastale D/10.
  2. Preliminarmente, vanno analizzati i due motivi con i quali la contribuente ha impugnato il diniego oppostole dal Comune di avverso la domanda di definizione agevolata L. n. 130 del 2022, ex art. 5.

In particolare, l’odierna ricorrente ha dedotto l’illegittimità del diniego opposto dal Comune di Gavorrano avverso la domanda di definizione agevolata, notificata il 28 settembre 2022 e protocollata al numero 15922/22, per la definizione della controversia tributaria pendente dal momento che la sua notificazione sarebbe stata operata in violazione della L. 31 agosto 2022, n. 130art. 5, comma 11, e, comunque, per essere la sua motivazione illegittima (siccome fondata sull’erroneo presupposto che il Comune abbia la facoltà di decidere se aderire o meno alla definizione delle controversie tributarie prendenti in cassazione e su un giudizio pronostico circa l’esito del processo).

2.1. E’ infondato il la seconda censura, con conseguente assorbimento della prima.

In base del menzionato art. 5, comma 15, “Ciascun ente territoriale stabilisce, con le forme previste dalla legislazione vigente per l’adozione dei propri atti, l’applicazione delle disposizioni di cui al presente articolo alle controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte il medesimo ente o un suo ente strumentale”.

Per quanto la formulazione letterale sia equivoca, ritiene questo Collegio che i Comuni abbiano una mera facoltà, come tale discrezionale, di aderire alla definizione agevolata delle controversie nelle quali sono coinvolti.

Invero, a fronte dell’argomento letterale fragile (rappresentato dall’uso dell’indicativo “stabilisce”, in luogo di “può stabilire”), peraltro isolato, va privilegiata una interpretazione sistematica della disposizione, anche in coordinamento con le normative condonistiche che hanno immediatamente preceduto e seguito quella in esame, che induce a sostenere l’autonomia impositiva degli enti locali.

Del resto, il legislatore, se avesse voluto (criterio della intentio legis) favorire a tutti i costi la detta definizione, anche con il rischio di pregiudicare le entrate degli enti pubblici territoriali, lo avrebbe dovuto dire esplicitamente.

Vi è, dunque, in primo luogo, una discrezionalità sull’an, cioè sulla possibilità o meno di istituire, nell’ambito del proprio territorio di competenza, il condono, che assorbe la discrezionalità circa il quantum (cioè circa il valore delle riduzioni degli ammontari dei tributi, interessi e sanzioni) e circa il quomodo (cioè relativa alle modalità organizzative, con cui disciplinare la procedura di definizione dei tributi locali).

A fronte di questa discrezionalità, si potrebbe porre, semmai, il problema di una congrua motivazione del condono. In altri termini, non essendosi in presenza di un condono obbligatorio, cioè previsto e disciplinato dal legislatore nazionale, ma essendo tale facoltà conferita all’ente, si potrebbe porre il problema di individuare ed esternare le ragioni di pubblico interesse giustificanti la decisione. La necessarietà della motivazione deriverebbe non solo dai principi di trasparenza e di democraticità dell’azione amministrativa, i quali impongono la puntuale illustrazione delle ragioni fondanti le scelte amministrative da intraprendere, ma anche da un’altra questione. E’ evidente che la decisione di procedere al condono comporterebbe, in termini teorici e forse anche pratici, una conseguente riduzione del gettito fiscale, correlato ai tributi interessati. Tale riduzione potrebbe far configurare, in capo ai soggetti decisori pubblici, una responsabilità amministrativa, sindacabile da parte della Corte dei Conti, la quale potrebbe essere evitata solo attraverso una rigorosa esposizione delle ragioni di pubblico interesse, sottese alla decisione.

Le ragioni del condono potrebbero essere collegate alla necessità di “fare cassa”, cioè reperire immediate risorse finanziarie, specialmente in un esercizio giudicato forse avaro di trasferimenti erariali e, allo stesso tempo, potrebbe essere uno strumento per assicurarsi un aumento del gettito per gli anni futuri inscrivendo nella propria anagrafe tributaria contribuenti assolutamente nuovi. In secondo luogo, ai fini giustificativi, potrebbe farsi ricorso all’eventuale scarsa efficacia della lotta all’evasione ed all’elusione dei tributi locali, misurata e manifestata dal livello delle riscossioni effettive sugli atti di accertamento emessi. Inoltre, la presenza di un elevato contenzioso, cioè di un alto numero di controversie pendenti davanti alle Commissioni Tributarie, sia Provinciali che Regionali, o, caso meno frequente, in Cassazione, potrebbe costituire valido motivo per procedere alla definizione.

Argomentando a contrario, l’assenza di tale numero di controversie giustificherebbe appieno, come avvenuto nel caso di specie, la mancata adesione al condono.

2.2. Solo per mera completezza espositiva, va aggiunto, quanto al primo profilo (nullità della notifica del diniego), che, se da un lato il messaggio di posta elettronica inviato direttamente dal Comune, nonostante la L. 31 agosto 2022, n. 130art. 5, comma 11, richieda espressamente che il diniego di definizione agevolata opposto dal Comune venga notificato “con le modalità previste per la notificazione degli atti processuali”, non risulta, oltre che eseguito da un ufficiale giudiziario, corredato, dalla relazione di notificazione ex art. 148 c.p.c. (in violazione dell’art. 149-bis c.p.c., comma 4), dall’altro lato, deve reputarsi valida la nuova notifica operata in data 28 ottobre 2022, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53art. 3 bis, dal difensore che assiste il Comune nel presente giudizio per cassazione, oggetto della domanda di definizione agevolata.

Tale ultima conclusione non trova ostacolo nell’orientamento prevalente della giurisprudenza di questa Corte – che qui si condivide e si fa proprio – per il quale il diniego di condono ha natura di atto amministrativo e non di atto endo-processuale. Infatti, come tale, esso viene emesso dal Fisco e non può che essere diretto alla parte contribuente e non al difensore (per quanto domiciliatario), ma può senz’altro essere notificato dall’avvocato che assiste l’ente impositore nel giudizio per cassazione oggetto della domanda di definizione agevolata, in forza della procura speciale alle liti conferita per coltivare il giudizio di legittimità (ai sensi della L. n. 53 del 1994art. 3bis).

Pertanto, tenuto conto che la domanda di definizione agevolata della L. 31 agosto 2022, n. 130, ex art. 5, è stata notificata il 28 settembre 2022, il diniego risulterebbe, comunque. tempestivamente opposto nei successivi 30 giorni.

  1. Passando all’esame dell’unico motivo del ricorso, in via preliminare, fondata si rivela l’eccezione di difetto di legittimazione passiva formulata dal Comune, profilo rilevabile peraltro d’ufficio, dovendosi nella presente sede evidenziare che il provvedimento di attribuzione della rendita, una volta divenuto definitivo (per mancata impugnazione da parte del contribuente, unico legittimato a tanto, o per intervenuta definitività del relativo giudizio di impugnazione), vincola non solo il contribuente ma anche l’ente impositore tenuto per legge ad applicare l’imposta unicamente sulla base di quella rendita, la quale costituisce il presupposto di fatto necessario ed insostituibile per l’imposizione fiscale che la legge commisura a tale dato, con la conseguenza che il contribuente, in sede di impugnazione dell’avviso di accertamento emesso dal Comune relativo all’imposta comunale sugli immobili, non può proporre doglianze relative alla determinazione della rendita, che avrebbero dovuto essere proposte in diversa causa (pregiudiziale rispetto a quella relativa alla liquidazione dell’ICI) e con diverso legittimato passivo (Agenzia del Territorio).

In quest’ottica, risultando impugnato in cassazione il diniego di retroattività della richiesta di variazione nei confronti dell’Agenzia del Territorio (oggi Agenzia delle Entrate), erroneamente la contribuente ha impugnato il conseguente avviso di accertamento nei confronti del Comune.

3.1. E’, in ogni caso, incontestata la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione e incidenti sull’obbligazione tributaria, la quale è esercitabile anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria (Cass., sez. Trib., 12 dicembre 2014, n. 26187Cass., sez. VI, 18 febbraio 2014, n. 3754Cass., sez. Trib., 31 gennaio 2011, n. 2226Cass., sez. Trib., 13 ottobre 2006 n. 22021; cfr. altresì Cass., Sez. Trib., 12 dicembre 2011, n. 26512).

Così come è incontestato che “avendo la rendita catastale efficacia illimitata nel tempo, altrettanto illimitata deve essere la facoltà del contribuente di presentare istanze di variazione, di rettifica, di correzione” e che, “pertanto come l’ufficio, senza conseguenze caducatorie dei suoi poteri accertativi, può intervenire – anche trascorso l’anno di comporto – a rettificare la rendita proposta dal contribuente, non si vede perché quest’ultimo – avvedutosi dell’errore dichiarativo – debba rimaner impedito di correggere le proprie omissioni ripristinando l’esatto valore secondo il reddito effettivamente retraibile” (così Cass., sez. Trib., 15 luglio 2008, n. 19379).

Destituito di fondamento è, invece, l’assunto, propugnato dalla contribuente, secondo cui, essendo il fine dell’emenda della dichiarazione quello di ricondurre a legittimità ed equità il prelievo impositivo – anche in ossequio al supremo principio di capacità contributiva -, non potrebbe che assegnarsi effetto retroattivo a tale rettifica, perché, diversamente opinando, si giungerebbe a cristallizzare – contrariamente a tali principi – un erroneo ed indebito assoggettamento ad imposizione per i periodi d’imposta antecedenti alla presentazione della variazione.

Invero, ai fini dell’applicabilità dell’esenzione per i fabbricati rurali, prevista dal combinato disposto del D.L. 30 dicembre 2008, n. 207art. 23, comma 1-bis (conv., con modif., dalla L. 27 febbraio 2009, n. 14), e del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504art. 2, comma 1, lett. a), è rilevante l’oggettiva classificazione catastale, senza che assuma rilevanza la strumentalità dell’immobile all’attività agricola, come confermato sia dal D.L. 30 dicembre 1993, n. 557art. 9 (conv., con modif., dalla L. 26 febbraio 1994, n. 1334), sia dalla disciplina inerente le modalità di variazione-annotazione attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione, anche retroattiva, dei fabbricati come rurali, onde beneficiare dell’esenzione, di cui al D.L. n. 70 del 2011art. 7, comma 2-bis (conv., con modif., dalla L. n. 106 del 2011), del D.L. n. 201 del 2011art. 13, comma 14-bis (conv., con modif., dalla L. n. 214 del 2011), del D.L. n. 102 del 2013art. 2, comma 5-ter (conv., con modif., dalla L. n. 124 del 2013), nonché del D.M. Economia e delle Finanze 26 luglio 2012, artt. 1 e 2 (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 5769 del 09/03/2018).

In particolare, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale del cespite come rurale, con il conseguente onere di impugnazione del diverso classamento da parte di chi richieda il riconoscimento del requisito di ruralità; nè può ritenersi sufficiente a determinare la variazione catastale, nei limiti del quinquennio anteriore, la mera autocertificazione secondo le modalità di cui al D.L. n. 70 del 2011art. 7, comma 2-bis, conv., con modif., dalla L. n. 106 del 2011, e delle norme successive, se il relativo procedimento non si sia concluso con la relativa annotazione in atti, atteso che, come sottolineato dalla Corte costituzionale (ord. n. 115 del 2015), il quadro normativo, ivi comprese le disposizioni regolamentari di cui al D.M. 26 luglio 2012, porta ad escludere l’automaticità del riconoscimento della ruralità per effetto della mera autocertificazione (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26617 del 09/11/2017Cass., Sez. 5, Sentenza n. 3226 del 10/02/2021).

La regola generale ricavabile dal D.Lgs. n. 504 del 1992art. 5, comma 2, secondo cui le risultanze catastali divenute definitive per mancata impugnazione hanno efficacia a decorrere dall’anno d’imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali, patisce eccezione solo se le variazioni costituiscano correzioni di errori materiali nel classamento che sostituiscono, ovvero conseguano a modificazioni della consistenza o della destinazione dell’immobile denunciate dallo stesso contribuente; esse, difatti, trovano applicazione dalla data della denuncia, e ciò in quanto il fatto che la situazione risalga a data anteriore non ne giustifica un’applicazione retroattiva rispetto alla comunicazione effettuata all’Amministrazione (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 13018 del 24/07/2012Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 11844 del 12/05/2017Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 29683 del 28/12/2020).

Del resto, la contribuente, per sua stessa ammissione, non si è avvalsa della facoltà contemplata dal D.L. 13 maggio 2011, n. 70art. 7, comma 2 bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, che aveva sancito la retroattività delle variazioni annotate negli atti catastali a seguito di domanda presentata in forza della suddetta normativa, i cui effetti, in forza del D.L. 31 agosto 2013, n. 102art. 2, comma 5 ter, convertito con la L. 28 ottobre 2013, n. 124, erano stati fatti decorrere dal quinquennio antecedente alla presentazione della domanda stessa (cfr. Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 422 del 10/01/2014). La domanda di variazione catastale non presentata secondo le modalità previste dal D.L. n. 70 del 2011art. 7 (conv., con modif., dalla L. n. 106 del 2011) non può produrre effetti dal quinquennio antecedente come stabilito da detta norma, sicché, ai fini del trattamento esonerativo, assume rilevanza l’oggettiva classificazione catastale (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 12659 del 19/05/2017).

In definitiva, tenuto conto dello stato attuale della normativa, nessuna norma consente l’autocertificazione del requisito di ruralità con effetto retroattivo rispetto alla data di richiesta di variazione catastale, ogni richiesta di variazione avendo esclusivamente valore ex nunc. 4. Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso non merita accoglimento.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano coma da dispositivo.

P.Q.M.

rigetta l’impugnazione avverso il diniego di definizione agevolata;

rigetta il ricorso per cassazione;

condanna la ricorrente al rimborso delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 2.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese, oltre rimborso forfettario nella misura del 15%, Iva e Cap;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 maggio 2023.

Depositato in Cancelleria il 22 maggio 2023


COMMENTO – L’ordinanza in commento affronta in via preliminare la  problematica della natura obbligatoria o discrezionale della definizione agevolata dei giudizi tributari pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione in cui sia parte un Ente locale.

La Suprema Corte conclude per la natura discrezionale della previsione di cui all’art. 5, comma 15, Legge 31 agosto 2022 n. 130, che conferisce all’Ente locale una mera facoltà, e non già un obbligo, di stabilire l’applicazione delle disposizioni relative alla definizione agevolata dei giudizi tributari pendenti dinanzi alla Corte di Cassazione in cui è parte l’Ente locale stesso o un suo ente strumentale.

A fronte dell’unico argomento contrario di carattere letterale (rappresentato dall’uso dell’indicativo “stabilisce“, in luogo di “può stabilire“), viene privilegiata un’interpretazione sistematica della disposizione, anche in coordinamento con le normative condonistiche immediatamente precedenti e successive, che induce a sostenere l’autonomia impositiva degli Enti locali, i quali non possono essere obbligati a pregiudicare le proprie entrate, aderendo obbligatoriamente alla definizione agevolata delle controversie tributarie pendenti dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione che li riguardano.

Sussiste quindi in favore dell’Ente locale piena discrezionalità sulla possibilità o meno di istituire il condono (i.e.: definizione agevolata) nell’ambito del proprio territorio di competenza.

Tale discrezionalità sull’an assorbe la discrezionalità circa il quantum (ossia circa il valore delle riduzioni degli ammontari dei tributi, interessi e sanzioni) e circa il quomodo (ossia relativamente alle modalità organizzative con le quali disciplinare la procedura di definizione dei tributi locali).

A fronte di tale discrezionalità, si pone anzi il problema di una congrua motivazione del condono, che deve essere giustificato da ragioni di pubblico interesse, quali, ad esempio, la necessità di “fare cassa” (ossia di reperire immediate risorse finanziarie), l’eventuale scarsa efficacia della lotta all’evasione e all’elusione dei tributi locali o ancora la presenza di un elevato contenzioso di cui l’Ente locale sia parte.

Per contro, l’assenza di un elevato numero di controversie giustifica appieno, come avvenuto nel caso di specie, la mancata adesione dell’Ente locale alla definizione agevolata.

Il diniego di definizione agevolata, pur costituendo un atto amministrativo (e non endo-processuale), che deve essere notificato personalmente al contribuente (e non al suo difensore, ancorché domiciliatario), può tuttavia essere notificato dall’avvocato che assiste l’Ente impositore nel giudizio per Cassazione oggetto della domanda di definizione agevolata, in forza della procura speciale alle liti conferita per coltivare il giudizio di legittimità (ai sensi dell’art. 3-bis Legge 21 gennaio 1994 n. 53).

Nel merito, viene invece affermato il principio secondo cui nessuna norma consente l’autocertificazione del requisito di ruralità con effetto retroattivo rispetto alla data di richiesta di variazione catastale: pertanto, ogni richiesta di variazione ha valore esclusivamente ex nunc.

Pur essendo incontestabile la possibilità, per il contribuente, di emendare la dichiarazione- anche in sede contenziosa, per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria-, è invece destituito di fondamento l’assunto secondo cui l’emenda dovrebbe rivestire efficacia retroattiva,in quanto finalizzata a ricondurre a legittimità ed equità il prelievo impositivo, anche in ossequio al principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53 Costituzione).

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma