Corte di Giustizia Tributaria di Secondo Grado della Toscana, sez. I, 06 marzo 2024 n. 317


Svolgimento del processo

La società T. M. di A. & C. S.n.c., con sede in M., ricorreva, previa istanza di reclamo ex art.17-bis del D.Lgs. n. 546 del 1992, avverso gli avvisi di recupero n. (…) e n. (…) notificati dalla Direzione Provinciale di Massa Carrara dell’Agenzia delle Entrate, in data 17.2.2020, alla società ed ai suoi due soci, G. A. ed E. R., per il recupero, ai sensi dell’ art.8, comma 2, della L. n. 212 del 2000, delle imposte non versate per compensazione con crediti utilizzati in compensazione per gli anni 2017 e 2018, ai sensi dell’ art. 17 del D.Lgs. n. 241 del 1997, a seguito di operazioni di accollo convenute con le società S. S.r.l., P. S.r.l., S. S.r.l. e B. S.r.l., quali accollanti, sulla base di scritture private non registrate e risultati inesistenti, con applicazione di interessi e sanzioni di cui all’ art. 13, comma 5, del D.Lgs. n. 471 del 1997.

La società ricorrente sosteneva il difetto di legittimazione passiva, trattandosi di crediti d’imposta di cui erano titolari soggetti terzi, che assumevano la posizione di coobbligati, la carenza di prove della inesistenza dei crediti portati in compensazione, l’estinzione delle proprie obbligazioni tributarie, l’errata applicazione delle sanzioni di cui al comma 5 anziché al comma 1 dell’art. 13 nella misura del 30% delle imposte non versate, se non del tutto escluse ai sensi dell’ art. 6, comma 2, del D.Lgs. n. 472 del 1997, e chiedeva di dichiarare la nullità o l’annullamento degli atti di recupero opposti e l’infondatezza della pretesa tributaria.

L’Ufficio con proprie controdeduzioni sosteneva la legittimazione passiva della ricorrente ai sensi dell’art.8, c. 2, della L. n. 212 del 2000, essendo stata accertata l’inesistenza dei crediti in compensazione, il rispetto di quanto previsto dall’art. 7 della stessa legge, la mancata estinzione dell’obbligazione tributaria non avendo alcuna valenza liberatoria le ricevute di versamento del mod. F24, la correttezza delle sanzioni irrogate, e chiedeva il rigetto del ricorso con conferma della legittimità del proprio operato.

La Commissione Tributaria Provinciale di Massa Carrara, con sentenza n. 131/21 del 27.4.2021, respingeva il ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento di E. 2.644,00 di spese di lite, ritenendo corretto il recupero nei confronti della società contribuente dei crediti oggetto di accollo e risultati inesistenti, non avvenuta l’estinzione delle proprie obbligazioni per effetto delle quietanze di pagamento, adeguatamente motivati gli atti opposti, e la legittimità delle sanzioni irrogate avendo utilizzato crediti inesistenti senza effettuare le opportune verifiche.

La società ricorrente propone appello avverso tale sentenza riproponendo i motivi d’impugnazione contenuti nel ricorso introduttivo ritenuti non correttamente valutati dai giudici di prime cure e chiede la riforma della sentenza impugnata con dichiarazione di nullità o annullamento degli atti di recupero opposti e della illegittimità della pretesa impositiva, di sanzioni ed interessi.

L’Ufficio con proprie controdeduzioni sostiene l’infondatezza dell’appello e ne chiede il rigetto con conferma della sentenza appellata.

Motivi della decisione

Si osserva che la recente giurisprudenza di legittimità ha affrontato le principali questioni oggetto della presente controversia, e precisamente il difetto di legittimazione passiva e l’estinzione dell’obbligazione tributaria, affermando che “la compensazione è un mezzo di estinzione dell’obbligazione diverso dal pagamento che produce effetto solo alle condizioni previste dalla legge ed in particolare, per quanto attiene alla compensazione legale qui invocata, solo se i due debiti sono ugualmente liquidi ed esigibili, secondo quanto dispone l’art. 1243 c.c. Pertanto, il debitore, onerato della prova del pagamento del debito o della diversa estinzione della obbligazione (anche da parte di un coobbligato), non può limitarsi a provare solo che il coobbligato ha portato in compensazione un credito, ma deve provare che sussistono i presupposti per produrre l’effetto estintivo. Per aversi l’effetto estintivo proprio della compensazione è necessario qualcosa di più della dichiarazione del debitore di voler compensare con un determinato credito da lui vantato perché ciò di per sé non dimostra la sussistenza dei requisiti legali del controcredito; di contro la contestazione da parte del debitore esclude la liquidità del credito, laddove la legge richiede, affinché si verifichi la compensazione legale, la contestuale presenza dei requisiti della certezza, liquidità ed esigibilità del credito stesso (Cass. n. 18852/2019)”, e concludendo che “la dichiarazione del contribuente, di voler compensare un debito tributario con un controcredito, non dimostra di per sé che si è prodotto l’effetto estintivo della obbligazione tributaria per effetto della invocata compensazione legale, se il controcredito è contestato dall’Agenzia delle entrate, contestazione sufficiente a privare il vantato credito dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità” (Cass., ord. n. 30865/2021), tesi confermata anche dalla recente ordinanza n. 6207 del 01/03/2023.

Si ritiene pertanto che sussista la legittimazione passiva della società appellante essendo stata dimostrata dall’Ufficio, anche tramite le verifiche degli organi di controllo o le risultanze delle banche dati, l’inesistenza dei crediti portati in compensazione da parte delle società accollanti, ovvero l’inesistenza o l’inattività delle società stesse.

La chiara disposizione di cui all’ art. 8, comma 2, della L. n. 212 del 2000 stabilisce infatti che “è ammesso l’accollo del debito d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario”, per cui la società appellante non può ritenersi legittimamente liberata dall’obbligazione per effetto del semplice accollo dei propri debiti da parte delle società accollanti, laddove l’Ufficio abbia dettagliatamente dato conto, nella motivazione degli atti di recupero, delle oggettive condizioni di inesistenza delle stesse o dei rispettivi crediti tributari, e l’ art.1, comma 421, della L. n. 311 del 2004 ha autorizzato l’emissione di atti di recupero di crediti indebitamente utilizzati con applicazione di sanzioni ed interessi.

In ogni caso anche l’avvio di azioni di recupero nei confronti di tali società, ove possibile, che all’evidenza dei fatti sarebbe risultato comunque infruttuoso, non avrebbe mai comportato l’estinzione dell’obbligazione tributaria in capo alla società appellante, per effetto della citata norma, né può ritenersi che la “quietanza modello F24” rilasciata automaticamente dal sistema a titolo di ricevuta della presentazione di un mod. F24 costituisca titolo liberatorio dell’obbligazione, avendo chiarito la sopra citata ordinanza della Suprema Corte che “il mod. F24 depositato dal contribuente può essere idoneo a provare il fatto storico che la società ha portato in compensazione un determinato credito, ma non è di per sé idoneo a provare la sussistenza dei presupposti di legge per il verificarsi dell’effetto estintivo”.

Si ritiene pertanto che i crediti dichiarati in compensazione dalle società accollanti siano certamente qualificabili come “crediti inesistenti” e legittimamente recuperati i relativi debiti d’imposta.

Trattandosi tuttavia di crediti inesistenti dichiarati da soggetti terzi, le società accollanti, si pone la questione della responsabilità degli stessi, agli effetti sanzionatori, in capo al soggetto accollato, e precisamente se siano imputabili a quest’ultimo profili di colpevolezza, o di imperizia o negligenza indiscutibili, ovvero di dolo, per quanto previsto dall’ art. 5 del D.Lgs. n. 472 del 1997.

L’Ufficio fa discendere la responsabilità dell’appellante dagli esiti dei controlli effettuati nei confronti delle società accollanti, risultate coinvolte in un sistema fraudolento finalizzato alla illecita compensazione di crediti IVA inesistenti o irreperibili ed estinte.

Per quanto riguarda i crediti dichiarati in compensazione dalle società S. S.r.l., per l’importo di E. 2.750,98, e P. S.r.l., per l’importo di E. 2.322,63, risultati inesistenti solo a seguito di accurati controlli da parte degli organi competenti, non si ravvisano negli atti elementi presuntivi idonei a provare il dolo o la colpa grave della società appellante, e precisamente la consapevolezza o la conoscibilità di partecipare ad una frode fiscale, per cui si ritiene che, in parziale accoglimento delle tesi dell’appellante, la violazione imputabile all’appellante sia quella di cui al comma 1 dell’art. 13, per l’oggettiva omissione dei versamenti d’imposta conseguente ad un contratto di accollo, liberamente sottoscritto dal debitore d’imposta originario con assunzione della relativa responsabilità del buon fine, per il quale si è verificato l’inadempimento da parte dei soggetti accollanti, con irrogazione della sanzione pari al trenta per cento degli importi non versati.

Per quanto riguarda invece i crediti dichiarati in compensazione dalle società B. S.r.l., per l’importo di E. 2.495,14, e S. S.r.l., per l’importo di E. 3.642,34, risultate irreperibili o inesistenti, e peraltro risultate dalla stessa documentazione camerale prodotta dall’appellante la prima in fase di aggiornamento con ultimo bilancio presentato nel 2016 e la seconda inattiva, si ritiene corretta l’irrogazione della sanzione di cui al comma 5, nella misura del cento per cento, in considerazione della grave negligenza imputabile all’accollata che avrebbe dovuto e potuto agevolmente verificare tale evidenza.

Si ritiene pertanto di disporre, in parziale accoglimento dell’appello ed in riforma della sentenza appellata, l’irrogazione delle sanzioni nella misura del trenta per cento relativamente ai crediti dichiarati in compensazione dalle società S. S.r.l. e P. S.r.l., confermando nel resto l’impugnata sentenza.

Si ritiene di dover compensare le spese del grado in considerazione della reciproca soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie parzialmente l’appello limitatamente alle sanzioni relative ai crediti dichiarati dalle società S. S.r.l. e P. S.r.l. che si determinano nella misura del 30%. Rigetta nel resto. Spese del grado compensate.

Firenze il 6 marzo 2024.


COMMENTO REDAZIONALELa compensazione è un mezzo di estinzione dell’obbligazione diverso dal pagamento che produce il proprio effetto liberatorio solo alle condizioni previste dalla legge.

In particolare, per quanto attiene alla compensazione legale, essa opera solo se i due debiti sono ugualmente certi, liquidi ed esigibili, secondo quanto dispone l’art. 1243 c.c. 

Pertanto, il debitore, onerato della prova del pagamento del debito o della diversa estinzione dell’obbligazione (anche da parte di un coobbligato), non può limitarsi a provare soltanto che il coobbligato ha portato in compensazione un credito, ma deve provare che sussistono i presupposti per produrre l’effetto estintivo. 

Pertanto, la dichiarazione del contribuente, di voler compensare un debito tributario con un controcredito, non dimostra di per sé che si sia prodotto l’effetto estintivo dell’obbligazione tributaria per effetto della compensazione legale, se il controcredito è contestato dall’Agenzia delle entrate.

La contestazione da parte del creditore è infatti di per sé sufficiente a privare il vantato credito dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, necessari affinché possa operare la compensazione legale.