Cons. Stato, Sez. VII, 22 gennaio 2024, n. 655


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Settima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 10743 del 2019, proposto dai sig.ri F.D. e I.G., rappresentati e difesi dall’avvocato …, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia

contro

il Comune di Giugliano in Campania, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato …, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato … in …, via … e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per la riforma

della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Campania (Sezione Seconda) n. 2518/2019, pubblicata in data 10 maggio 2019.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Giugliano in Campania;

Visto l’art. 87, comma 4-bis, c.p.a.;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore all’udienza straordinaria di smaltimento dell’arretrato del giorno 15 dicembre 2023 – tenuta da remoto attraverso videoconferenza, con l’utilizzo della piattaforma “Microsoft Teams” – il Cons. Brunella Bruno;

Nessuno è comparso per la parte appellante;

Viste, altresì, le conclusioni del Comune appellato come da verbale;

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

  1. Gli appellanti impugnano la sentenza indicata in epigrafe, con la quale il TAR per la Campania ha respinto il ricorso da loro proposto avverso il provvedimento del Comune di Giugliano in Campania di demolizione del fabbricato il loro proprietà, edificato in assenza di permesso di costruire, sito in via R., n. 38/B11, int. 2.
  2. Nel censurare la sentenza impugnata con riproposizione dei vizi formulati con il ricorso originario, gli appellanti sottolineano di aver acquistato la proprietà dell’immobile nel 2007, nello stato in cui si trovava e confidando nella piena regolarità dell’edificazione.
  3. Il Comune di Giugliano in Campania si è costituito in giudizio, depositando memoria, in data 9 novembre 2023 e insistendo per il rigetto del ricorso.
  4. Con atto depositato in data 6 dicembre 2023, inoltre, l’amministrazione appellata ha richiesto il passaggio in decisione della causa senza discussione orale in udienza.
  5. Il ricorso è stato trattenuto in decisione all’udienza straordinaria del 15 dicembre 2023.
  6. L’appello è infondato, per le ragioni di seguito esposte.
  7. A venire in rilievo è una vicenda che ha già costituito oggetto di disamina da parte di questo Consiglio (cfr., la sentenza di questa Sezione n. 9472 del 2023 e la sentenza della Sezione VI, n. 6503 del 2023) con pronunce le cui argomentazioni e conclusioni sono integralmente condivise dal Collegio.
  8. L’appello è affidato ad un unico motivo contenente diverse censure che devono essere esaminate singolarmente.
  9. Con la prima censura parte appellante deduce la nullità dell’ordine di demolizione in quanto relativo ad un immobile già sottoposto a sequestro preventivo ai sensi dell’art. 321 c.p.p. con verbale dell’8 aprile 2010.

9.1 La censura è inammissibile in quanto sollevata per la prima volta in grado di appello, in violazione del divieto di nova di cui all’art. 104 c.p.a.. Deve, inoltre, rilevarsi che la parte appellante non ha fornito alcuna prova della convalida del sequestro né della sua durata.

9.2. Esclusivamente per completezza, il Collegio rileva che la censura è, comunque, infondata. In base, infatti, all’orientamento più recente, condiviso dal Collegio – nella considerazione dell’esigenza di assicurare il giusto punto di equilibrio tra l’interesse pubblico alla tutela del territorio e quello privato alla difesa penale (cfr. Consiglio di Stato sez. VI, 6 giugno 2023 n. 5529; 23 marzo 2022, n. 2122; Consiglio di Stato sez. VI, 2 ottobre 2019, n.6592; Consiglio di Stato sez. VI, 20 luglio 2018 n. 4418) -, il sequestro dell’immobile non influenza la legittimità dell’ordinanza di demolizione; il che appare logico se si considera che, diversamente, la tutela del territorio verrebbe a dipendere da circostanze non nel dominio dell’amministrazione istituzionalmente preposta, che anzi potrebbe esserne all’oscuro. Il contemperamento con le esigenze della difesa si realizza, infatti, in altro modo, ovvero ritenendo che il termine assegnato dall’ordinanza per la demolizione o la rimessione in pristino non decorra sin quando l’immobile rimane sotto sequestro, restando all’autonoma iniziativa della difesa di parte ovvero della magistratura inquirente attivare gli strumenti che possono condurre al dissequestro. Deve, pertanto, ritenersi che in presenza di un sequestro penale di opera abusiva e nella vigenza dello stesso, il termine per l’ottemperanza all’ordine di demolizione non decorre fino a che tale misura cautelare non sia venuta meno e il bene ritornato nella disponibilità del privato, di talché, il formale accertamento dell’inottemperanza deve fare riferimento al mancato adempimento dell’ingiunzione demolitoria decorsi novanta giorni dal dissequestro dell’immobile.

Il che è quanto avvenuto nel caso in esame.

  1. Non si valutano suscettibili di favorevole apprezzamento neppure le deduzioni dirette a valorizzare l’estraneità agli abusi degli appellanti proprietari del bene.

10.1 Come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, l’art. 31, commi 2 e 3, del D.P.R. n. 380 del 2001 individua quali destinatari della sanzione demolitoria, in forma non alternativa ma congiunta, il proprietario e il responsabile dell’abuso; di conseguenza l’ordinanza di demolizione può legittimamente essere emanata nei confronti del proprietario dell’immobile anche se egli non è responsabile della realizzazione dell’opera abusiva, in quanto gli abusi edilizi integrano illeciti permanenti sanzionati in via ripristinatoria, a prescindere dall’accertamento del dolo o della colpa o dall’eventuale stato di buona fede del proprietario rispetto alla commissione dell’illecito.

10.2. Né soccorre, al fine di addivenire a differenti conclusioni, la circostanza che l’acquisto della proprietà dell’immobile sia avvenuto in buona fede, dovendosi escludere nella fattispecie l’applicazione dei principi di tutela dell’affidamento e di colpevolezza invocati dagli appellanti.

La sopra indicata disposizione del D.P.R. n. 380 del 2001 individua, infatti, chiaramente il proprietario come destinatario dell’ordine di demolizione a prescindere dalla sua responsabilità nella realizzazione dell’abuso, coerentemente con il carattere ripristinatorio e non sanzionatorio dell’ordine di demolizione, che non presuppone un previo accertamento di responsabilità, a differenza della successiva acquisizione gratuita al patrimonio comunale (cfr. Consiglio di Stato sez. VII, 09/01/2023, n.237: “La demolizione di un abuso edilizio va ingiunta all’attuale proprietario dell’immobile non a titolo di responsabilità effettiva, bensì per il suo rapporto materiale con il manufatto, essendo finalizzata a colpire una situazione di fatto obiettivamente antigiuridica, nonché a ripristinare l’ordine urbanistico violato. L’abusività, infatti, configura una caratteristica di natura reale, che segue l’immobile anche nei suoi successivi trasferimenti, con la conseguenza che la demolizione è, di regola, atto dovuto e prescinde dall’attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell’abuso edilizio”).

  1. Secondo la costante giurisprudenza di questo Consiglio, inoltre, l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è supportata da un’adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività (ex multis, Cons. St., Sez. VI, 7 giugno 2021, n.4319).

11.1. Ne consegue che non è necessario che l’amministrazione individui un interesse pubblico – diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata – idoneo a giustificare l’ordine di demolizione (Cons. St., Sez. VI, 17 ottobre 2022, n.8808: “L’ordine di demolizione di manufatti abusivi non richiede una specifica motivazione sulla ricorrenza del concreto interesse pubblico alla loro rimozione, essendo la relativa ponderazione tra l’interesse pubblico e quello privato già compiuta, a monte, dal legislatore.”; Cons. St., Sez. II, 11 gennaio 2023, n.360: “L’ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione”).

11.2. Tali principi valgono anche nel caso in cui l’ordine di demolizione venga adottato a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, atteso che a fronte della realizzazione di un immobile abusivo non è configurabile alcun affidamento del privato meritevole di tutela; l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio ha infatti chiarito che “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso neanche nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino” (A.P., 17 ottobre 2017, n.9).

11.3. I medesimi principi sono stati anche di recente ribaditi dal Consiglio di Stato, Sez. II, sentenza del 11 gennaio 2023, n.360, che ha affermato che: “l’ordine di demolizione è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; né vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l’interessato non può dolersi del fatto che l’amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi”.

  1. Per le ragioni sopra esposte l’appello deve essere respinto.
  2. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello (R.G. n. 10743 del 2019), come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante al pagamento, in favore del Comune di Giugliano in Campania, delle spese del presente grado giudizio, che si liquidano in €. 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Conclusione

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 dicembre 2023 con l’intervento dei magistrati:

Claudio Contessa, Presidente

Carmelina Addesso, Consigliere

Marco Morgantini, Consigliere

Rosaria Maria Castorina, Consigliere

Brunella Bruno, Consigliere, Estensore


MASSIMA: La demolizione di un abuso edilizio va ingiunta all’attuale proprietario dell’immobile non a titolo di responsabilità effettiva, bensì per il suo rapporto materiale con il manufatto, essendo finalizzata a colpire una situazione di fatto obiettivamente antigiuridica, nonché a ripristinare l’ordine urbanistico violato. L’abusività, infatti, configura una caratteristica di natura reale, che segue l’immobile anche nei suoi successivi trasferimenti, con la conseguenza che la demolizione è, di regola, atto dovuto e prescinde dall’attuale possesso del bene e dalla coincidenza del proprietario con il realizzatore dell’abuso edilizio.