Cass. civ., sez. V, sent., 27 settembre 2022 n. 28064


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. LA ROCCA Giovanni – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7791/2015 proposto da:

M.D. ((OMISSIS)), in proprio e quale ex socio della E. (E.) LTD rappresentata e difesa dall’avv. F. T. in forza di procura speciale in calce alla memoria di costituzione 28.10.2020 e dall’avv. Luca Battistella in forza di procura speciale in calce all’atto di nomina 1.2.2022, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma corso Trieste n. 27;                                                                                                       – ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (c.f. (OMISSIS)), rappresentata e difesa per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;  CONTRORICORRENTE

avverso la sentenza della Commissione Tributaria di secondo grado di Trento n. 63/01/14 depositata il 25 agosto 2014;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 5 maggio 2022 dal Consigliere Giovanni La Rocca;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. VITIELLO Mauro, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso limitatamente al quarto, quinto e sesto motivo.

Svolgimento del processo

M.D. ha proposto ricorsi contro gli avvisi di accertamento emessi per IRES, IRPEF e IVA per gli anni dal 2004 al 2007 nei confronti della E. LTD, con sede in Inghilterra, cancellata dal registro delle imprese in data 10.3.2009, avvisi che le erano stati notificati quale ex socio unico ai sensi dell’art. 2462 comma 2 c.c. Gli accertamenti si fondavano su pvc della Guardia di Finanza di Trento che aveva accertato una fattispecie di esterovestizione societaria ritenendo che la E. LTD fosse una società satellite della E. snc e fosse stata costituita al fine di occultare al fisco parte dei ricavi provenienti dall’attività di trasporto internazionale di merci su strada, i cui redditi si sarebbero dovuti dichiarare in Italia ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986art. 73 comma 3.

Secondo gli accertamenti della Guardia di Finanza, l’effettiva residenza fiscale della società non era in Inghilterra ma in Italia presso la sede della E. snc in Arco; il padre della ricorrente, M.T., esercitava la direzione effettiva della società inglese, il cui capitale sociale pari ad Euro 1 era detenuto dalla ricorrente; la società estera, infine, non aveva alcuna autonomia giuridica, economica e funzionale rispetto a E. snc e costituiva sede secondaria di quest’ultima.

Avvisi di accertamento per la società E. LTD erano stati notificati ad Arco presso M.T., quale legale rappresentante, e al curatore del fallimento personale di M.T.; né l’uno né l’altro avevano impugnato gli avvisi.

La CT di primo grado di Trento ha accolto i ricorsi riuniti della M., stabilendo che l’esistenza di un domicilio fiscale in Italia doveva essere accertato nel rispetto del contraddittorio, ciò che non era avvenuto nel caso di specie in cui l’Amministrazione aveva assegnato d’ufficio alla società non solo una diversa sede dal domicilio fiscale ma anche un diverso rappresentante legale notificando a questo gli atti, in violazione del D.P.R. n. 600 del 1973 artt.58 e 59.

Avverso questo pronuncia ha proposto appello l’Agenzia delle Entrate che, tra l’altro, ha dedotto l’erroneità della decisione del primo Giudice, sulla ritenuta necessità di notifica presso la sede estera, in quanto la società era stata cancellata dal registro delle imprese nel 2009, prima della redazione dei pvc a carico delle società, e la E. LTD era risultata a tutti gli effetti italiana con legale rappresentante M.T., cosicché la fattispecie doveva essere regolata dal D.P.R. n. 917 del 1986art. 73 comma 3.

Ha proposto appello incidentale la M. che ha eccepito l’inesistenza giuridica della notifica dell’avviso di accertamento e la tardività dell’accertamento, non ricorrendo i presupposti per il raddoppio dei termini e non essendo stata allegata la denuncia penale. Nel merito, ha dedotto che l’Ufficio non aveva fornito prova dell’esterovestizione.

La CT di secondo grado ha respinto tutte le questioni preliminari e ha accolto l’appello dell’Agenzia, escludendo la necessità del contraddittorio e ritenendo la ricorrenza del presupposti di cui al D.P.R. n. 917 del 1986art. 73 comma 3 una volta accertato che la direzione effettiva era presso il soggetto italiano E. snc di M.T., il quale aveva ammesso di esercitare il controllo diretto sulle società estere.

Ha quindi respinto l’appello incidentale della M..

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sei motivi, M.D..

Ha resistito l’Agenzia delle Entrate con controricorso.

Motivi della decisione

  1. Con il primo motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli L. n. 212 del 2000 artt. 610 12, in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c. in quanto l’Ufficio avrebbe dovuto instaurare il contraddittorio preventivo ex art. 6 cit. con la E. LTD al fine di chiarire le circostanze relative all’identità societaria.

Il motivo è infondato.

La norma di cui si sostiene la violazione (art. 6, comma 5, dello Statuto dei diritti del contribuente) riguarda il caso di iscrizione a ruolo di un credito dell’Amministrazione finanziaria in conseguenza della liquidazione di tributi risultanti da dichiarazione, fattispecie affatto diversa da quella per cui è causa, che riguarda l’accertamento di un maggior imponibile oggetto di occultamento attraverso l’esterovestizione di un società in realtà operante in Italia.

  1. Con il secondo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di legge ovvero omessa motivazione su un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., con riguardo agli art. 54 Trattato 25 marzo e successive modificazioni, art. 145 c.p.c., D.P.R. n. 600 del 1973 art.58 comma 3, D.P.R. n. 917 del 1986art. 73 comma 3, laddove si è attribuito alla E. LTD, con sede in (OMISSIS), una diversa sede in Italia e un diverso legale rappresentante.

Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli art. 145 c.p.c., D.P.R. n. 600 del 1973 artt.60 e 62, laddove si è provveduto a notificare gli avvisi di accertamento a M.T. quale amministratore di fatto e legale rappresentante della società.

2.1. Questi motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili in quanto, da un lato, non riguardano direttamente la presente controversia, che muove dalla notifica dell’atto impositivo alla contribuente nella sua qualità di socio unico illimitatamente responsabile ex art. 2462, comma 2, c.c., e, dall’altro, propongono questioni relative ad una società già estinta al momento della notifica degli avvisi di accertamento, ragion per cui la legittimazione resta in capo ai soci, in questo caso la M. socio unico.

Nel processo tributario, infatti, la cancellazione della società dal registro delle imprese e la sua conseguente estinzione priva la società stessa della capacità di stare in giudizio e comporta la conseguente legittimazione dei soci, quali successori della stessa; legittimazione che ha ambito più esteso di quello afferente alla loro responsabilità, disciplinato dall’art. dell’art. 2495, comma 2, c.c. (“dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”); pertanto, affermare la legittimazione di questi ultimi ad essere convenuti in quanto successori della società estinta non equivale anche a riconoscerne la responsabilità in relazione alle obbligazioni sociali (Cass. 31933/2019). La legittimazione dei soci e la responsabilità dei medesimi coprono ambiti concettuali del tutto differenti che non sono sovrapponibili, poiché il campo della responsabilità che fa capo ai soci a mente dell’art. 2495, comma 2, c.c., sebbene postuli per il meccanismo successorio che segue all’estinzione della società la legittimazione dei soci, è intuitivamente meno esteso di quello in cui si manifesta la legittimazione che compete più generalmente a costoro in vista della loro qualità di successori della società estinta; affermare la legittimazione di questi ultimi ad essere convenuti in quanto successori della società estinta non equivale anche a riconoscerne la responsabilità in relazione ai crediti sociali rimasti insoddisfatti.

Quindi, a seguito di cancellazione della società di capitali dal registro tributario delle imprese e della definitiva estinzione dell’ente, si verifica la successione degli ex soci nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, e ciò indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione; ne consegue l’interesse dell’Agenzia delle entrate a procurarsi un titolo nei confronti di quest’ultimi, potendovi essere la possibilità di sopravvenienze attive o di beni e diritti non contemplati nel bilancio (Cass. n. 2 del 2022Cass. n. 22014 del 2020).

  1. Con il quarto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973 art.43 comma 3, D.P.R. n. 633 del 1972 art. 57 comma 3 e difetto assoluto di motivazione su un fatto decisivo, non essendo applicabile il raddoppio del termine con riguardo all’IRAP, eccezione formulata sin dall’atto introduttivo e riproposta in appello su cui la sentenza della CTR, oltretutto, non aveva motivato.

La questione è fondata in quanto il cd. “raddoppio dei termini”, previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973 art.43, non può trovare applicazione anche per l’IRAP, poiché le violazioni delle relative disposizioni non sono presidiate da sanzioni penali (Cass. n. 26037 del 2016n. 9322 del 2017n. 10483 del 2018n. 4742 del 2020).

  1. Con il quinto motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 comma 1 nn. 3 e 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973 art.4 2comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972 art. 56 comma 5, L. n. 212 del 2000 artt. 7 e art. 111 comma 6 n. 1 Cost. per difetto di motivazione in ordine a fatti, relativi alla E. snc, a cui la ricorrente è rimasta estranea e contenuti in pvc non allegati agli avvisi di accertamento impugnati nè trasfusi in essi.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

Sebbene il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) – quale corollario del requisito di specificità dei motivi – non debba essere interpretato, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021, in modo eccessivamente formalistico, così da incidere sulla sostanza stessa del diritto in contesa, e non possa pertanto tradursi in un ineluttabile onere di integrale trascrizione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso (Cass. sez. U, n. 8950 del 18/03/2022), il ricorso deve comunque indicare il contenuto degli atti richiamati all’interno delle censure e deve specificamente segnalare la loro presenza negli atti del giudizio di merito, perchè l’esposizione dei motivi deve mettere comunque il giudice nelle condizioni di comprendere l’oggetto della controversia ed il contenuto delle censure senza dover scrutinare autonomamente gli atti di causa (Cass. n. 8117 del 2022).

Nel caso di specie, non viene trascritto nè puntualmente riportato il contenuto degli avvisi di accertamento e non vi è modo di verificare la doglianza; oltretutto, mancano precise indicazioni sul momento processuale in cui la relativa eccezione sarebbe stata sollevata che non risulta dalla sentenza impugnata, ove si parla genericamente del rilievo di “carenza di motivazione”.

A questo proposito, è noto che il contenzioso tributario ha un oggetto rigidamente delimitato dalle contestazioni comprese nei motivi di impugnazione avverso l’atto impositivo dedotti col ricorso introduttivo (D.Lgs. n.546 del 31 dicembre 1992artt. 18 e 24), i quali costituiscono la “causa petendi” rispetto all’invocato annullamento dell’atto medesimo, con conseguente duplice inammissibilità di un mutamento delle deduzioni avanti al giudice di secondo grado, ovvero dell’inserimento di nuovi temi di indagine (Cass.n. 13934 del 2011); a questa stregua, si è ritenuta inammissibile la formulazione in sede di gravame dell’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per omessa allegazione di documenti in esso richiamati per relationem qualora con il ricorso introduttivo sia stata eccepita la nullità per carenza di motivazione per l’inadeguata rappresentazione dei fatti e delle ragioni fondanti la pretesa (Cass. n. 20934 del 2014).

  1. Con il sesto motivo si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 12921306, 2462 comma 2 c.c. e art. 24Cost. in relazione all’art. 360 comma 1 nn. 3, 4 e 5 c.p.c., in quanto la M., quale coobbligata, non subisce gli effetti propri del giudicato formatosi nei confronti della società, cosicché i Giudici di secondo grado avrebbe dovuto esaminare nel merito le questioni sollevate e non ritenerle assorbite nel suo decisum.

Il motivo è fondato.

Valgono nel caso di specie principi analoghi a quelli in materia di responsabilità solidale dei soci per i debiti della società di persone: anche se l’accertamento effettuato nei confronti della società ha effetto nei confronti del socio illimitatamente responsabile e l’Amministrazione finanziaria non ha l’obbligo di notificare a quest’ultimo l’avviso di accertamento o di rettifica dell’imposta dovuta, deve assicurarsi al socio il pieno diritto di difesa e la possibilità di contestare, in sede di impugnativa del primo atto a lui indirizzato, l’esistenza e l’ammontare del debito d’imposta, compresa la possibilità di “far valere la intempestività del procedimento di accertamento e imposizione messo in atto dall’amministrazione finanziaria nei confronti della società” (Cass. n. 8796 del 2010Cass. n. 13113 del 2018).

La mancata impugnazione dell’avviso di accertamento da parte della società, dell’amministratore di fatto e del curatore fallimentare non costituisce, quindi, giudicato esterno nei confronti del responsabile solidale ai sensi dell’art. 2462, comma 2 c.c. né giustifica il mancato esame da parte della CTR di tutti i profili inerenti al merito della pretesa impositiva, dovendo assicurarsi al contribuente il pieno esercizio di difesa che non può avere per oggetto esclusivamente la sussistenza del vincolo della solidarietà con la società E. LTD ma si estende necessariamente a tutti gli aspetti riguardanti le violazioni contestate e la pretesa tributaria.

  1. Conclusivamente la sentenza deve essere cassata con riferimento ai motivi quattro e sei e deve disporsi il rinvio alla CT di secondo grado di Trento in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il quarto e sesto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in riferimento ai motivi accolti e rinvia alla CT di secondo grado di Trento in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 5 maggio 2022.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2022


COMMENTO – La sentenza in commento afferma il principio secondo cui, una volta che la società di capitali sia stata cancellata dal registro delle imprese, e risulti quindi estinta, la legittimazione processuale nei giudizi tributari che la riguardano compete in ogni caso ai soci, quali successori della stessa, a prescindere dalla circostanza che questi ultimi siano oppure no responsabili per l’adempimento delle obbligazioni sociali rimaste insoddisfatte.

La legittimazione processuale dei soci di una società estinta ha quindi un ambito di applicazione diverso e più ampio rispetto a quello della loro responsabilità.

Quest’ultima è regolata dall’art. 2495, comma 2, c.c., secondo il quale “dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione“.

Diversamente, la legittimazione processuale compete più generalmente a tutti i soci, in vista della loro qualità di successori della società estinta.

Affermare la legittimazione dei soci ad essere convenuti in giudizio, in quanto successori della società estinta, non equivale quindi a riconoscerne la responsabilità in relazione alle obbligazioni sociali rimaste insoddisfatte.

Pertanto, in conclusione, a seguito di cancellazione della società di capitali dal registro tributario delle imprese e della definitiva estinzione dell’ente, si verifica la successione degli ex soci nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all’esito della liquidazione, e ciò indipendentemente dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione. 

Da ciò consegue l’interesse dell’Agenzia delle entrate a procurarsi un titolo nei confronti di quest’ultimi, potendovi essere la possibilità di sopravvenienze attive o di beni e diritti non contemplati nel bilancio (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, 13 ottobre 2020 n. 22014 e Cass. civ., sez. V, 04 gennaio 2022 n. 2).

Resta fermo il diritto del socio convenuto di contestare l’accertamento svolto nei confronti della società estinta anche nel merito.

In materia valgono infatti principi analoghi a quelli che regolano la responsabilità solidale dei soci per i debiti della società di persone.

In particolare, anche se l’accertamento effettuato nei confronti della società ha effetto nei confronti del socio illimitatamente responsabile e l’Amministrazione finanziaria non ha di conseguenza l’obbligo di notificare a quest’ultimo l’avviso di accertamento o di rettifica dell’imposta dovuta, deve essere assicurato al socio il pieno diritto di difesa e la possibilità di contestare, mediante l’impugnazione del primo atto a lui notificato, l’esistenza e l’ammontare del debito d’imposta.

La mancata impugnazione dell’avviso di accertamento da parte della società, dell’amministratore di fatto e del curatore fallimentare non costituisce infatti giudicato esterno nei confronti del responsabile solidale, né giustifica il mancato esame da parte del giudice di tutti i profili inerenti al merito della pretesa impositiva, dovendo assicurarsi al contribuente il pieno esercizio di difesa non solo relativamente alla sussistenza del vincolo di solidarietà, ma anche relativamente al merito della pretesa tributaria.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma