Cass. civ., sez. VI-5, ord., 14 settembre 2022 n. 27088
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – rel. Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13116/2021 proposto da:
B.F., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati G.C., C. C.; – ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS); – intimata –
avverso la sentenza n. 139/02/2020 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE dell’UMBRIA, depositata il 16/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/07/2022 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO MONDINI.
Svolgimento del processo
che:
la CTR dell’Umbria, con la sentenza in epigrafe, ha respinto l’appello di B.F. contro la sentenza di primo grado con cui la CTP di Perugia aveva rigettato il ricorso originario avverso l’avviso di liquidazione e di irrogazione sanzioni emesso dall’Agenzia delle Entrate per il recupero a tassazione del credito di imposta portato dall’appellante in detrazione ai sensi della L. n. 448 del 1998, art. 7. L’avviso in questione era basato sul altro avviso emesso in revoca dell’agevolazione fiscale di cui all’art. 1, nota II bis della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, fruita da esso B. in relazione all’acquisto di un immobile dichiarato come prima casa, ritenendo non idonea a giustificare la richiesta di agevolazione la circostanza che il contribuente non potesse beneficiare come propria abitazione di altro immobile di sua proprietà, già adibito a casa coniugale ed assegnato alla moglie in sede di separazione, per il cui acquisto il contribuente aveva già beneficiato della relativa agevolazione.
Avverso detta pronuncia il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, in forza di quattro motivi;
l’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
Motivi della decisione
che:
con il primo motivo di ricorso il contribuente lamenta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1, nota II bis, della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986 e della L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 19, assumendo che il requisito della mancanza di titolarità, per quanto qui rileva, del diritto di proprietà di “casa di abitazione” debba intendersi come carenza di alloggio in grado di sopperire ai bisogni abitativi. Richiama a supporto le decisioni di questa Corte 22 ottobre 2014, 22490, 14 gennaio 2016, n. 2111 e 28 giugno 2016, n. 13340;
con il secondo motivo il contribuente ripropone lo stesso assunto lamentando omesso esame della “rappresentata inidoneità materiale-giuridica dell’immobile preposseduto in quanto assegnato in modo esclusivo all’ex coniuge come da omologa del verbale di separazione consensuale da parte del Tribunale di Perugia”;
con il terzo motivo di ricorso il contribuente lamenta “nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., in ragione delle omessa pronuncia sulla richiesta di disapplicazione delle sanzioni D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 6, comma 2″.
con il quarto motivo di ricorso il contribuente lamenta “violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., per aver la CTR condannato il ricorrente a rifondere alla amministrazione le spese processuali, liquidate in Euro 1000,00 oltre accessori, malgrado che l’amministrazione fosse stata in giudizio a mezzo di proprio funzionario;
il primo e il secondo motivo di ricorso possono essere esaminati assieme e vanno dichiarati infondati.
L’avviso di liquidazione è stato emesso ai sensi della dell’art. 1 nota II bis della Tariffa, parte I, allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, comma 4, in relazione al difetto della condizione di cui al comma 1, lett. c).
L’articolo stabilisce: “II-bis) 1. Ai fini dell’applicazione dell’aliquota del 2 per cento gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di case di abitazione non di lusso e agli atti traslativi o costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione relativi alle stesse, devono ricorrere le seguenti condizioni: a) che l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività ovvero, se trasferito all’estero per ragioni di lavoro, in quello in cui ha sede o esercita l’attività il soggetto da cui dipende ovvero, nel caso in cui l’acquirente sia cittadino italiano emigrato all’estero, che l’immobile sia acquistato come prima casa sul territorio italiano. La dichiarazione di voler stabilire la residenza nel comune ove è ubicato l’immobile acquistato deve essere resa, a pena di decadenza, dall’acquirente nell’atto di acquisto; b) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del comune in cui è situato l’immobile da acquistare; c) che nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà’ su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge con le agevolazioni di cui al presente articolo… 4. In caso di dichiarazione mendace o di trasferimento per atto a titolo oneroso o gratuito degli immobili acquistati con i benefici di cui al presente articolo prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del loro acquisto, sono dovute le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura ordinaria, nonché una sovrattassa pari al 30 per cento delle stesse imposte”.
Questa Corte, con la sentenza 14673/2016, resa su fattispecie per quanto rileva identica a quella che occupa, ha statuito: “In tema di agevolazioni “prima casa”, il requisito della mancanza di titolarità su tutto il territorio nazionale del diritto di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà di un’altra casa acquistata col medesimo beneficio, di cui all’art. 1, nota II bis, lett. c, della parte I della tariffa allegata al D.P.R. n. 131 del 1986, non può essere inteso, atteso il chiaro tenore letterale della disposizione, come mancanza di disponibilità effettiva di essa, sicché non sussiste ove l’immobile di proprietà del contribuente sia stato assegnato, in sede di separazione o divorzio, al coniuge separato o all’ex coniuge, in quanto affidatario di prole minorenne”.
Il Collegio non ha ragione di distaccarsi da tale precedente.
L’assunto su cui si incentrano i due motivi di ricorso “collide con la ripetuta affermazione da parte di questa Corte secondo cui la natura agevolata delle norme recanti la disciplina dei benefici “prima casa” porta a reputarle norme di stretta interpretazione (tra le molte pronunce cfr. Cass. sez. 5, 15 maggio 2013, n. 11614; Cass. sez. 5, 28 giugno 2012, n. 10807; Cass. sez. 5, 15 giugno 2010, n. 14389 ed altre), sicché, in relazione al chiaro tenore letterale della norma, non può condividersi il riferimento al requisito della titolarità del diritto di proprietà di casa di abitazione come alla disponibilità effettiva di essa” (Cass. 14673/2016 cit.).
Né in senso contrario è utile al ricorrente il richiamo all’ordinanza di questa Corte n. 22490/2014 secondo cui, in tema di benefici fiscali “prima casa” di cui all’art. 1, nota II bis, lett. b), della Tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, al verificarsi della separazione legale, la comunione tra coniugi di un diritto reale su un immobile, ancorché originariamente acquistato in regime di comunione legale, deve essere equiparata alla contitolarità indivisa dei diritti sui beni tra soggetti tra loro estranei, che è compatibile con le agevolazioni suddette, atteso che la facoltà di usare il bene comune, che non impedisca a ciascuno degli altri comunisti di “farne parimenti uso” ai sensi dell’art. 1102 c.c., non consente di destinare la casa comune ad abitazione di uno solo dei comproprietari, per cui la titolarità della quota è simile a quella di un immobile inidoneo a soddisfare le esigenze abitative.
Riprendendo anche sul punto Cass. 14673/2016, non pertinente alla fattispecie normativa qui applicata – art. 1, nota II bis, lett. c), della Tariffa allegata al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 – appare il riferimento alla idoneità “giuridico-materiale” del primo immobile acquistato con le agevolazioni in questione a soddisfare le esigenze abitative.
La lettera b) esclude dalla possibilità di fruire delle agevolazioni in parola chi già è titolare di altra casa nello stesso comune in cui è situato l’immobile da acquistare mentre la lettera c) esclude dalla possibilità di fruire delle agevolazioni medesime chi ne abbia già fruito. La prima guarda al soddisfacimento di concrete esigenze abitative. Come sottolineato dal riferimento allo stesso comune. La seconda guarda alla casa come bene economico non necessariamente funzionalizzato al soddisfacimento di tali esigenze, quanto piuttosto come forma di tutela del risparmio monetario. Come sottolineato dal riferimento all’intero ambito nazionale. Le disposizioni si correlano all’art. 47 Cost., comma 2, inteso come garanzia costituzionale rafforzata dell’abitazione e all’art. 42 Cost., comma 2, come norma tesa a garantire l’accessibilità a tutti della proprietà;
Inconferente è anche il richiamo alle sentenze n. 2111/2016 e n. 13340/2016 e così all’esenzione dall’imposta di registro, di cui alla L. n. 74 del 1987, art. 19. Il contribuente pretende di andare esente dalla decadenza da un’agevolazione fruita per un atto di acquisto posto in essere successivamente e del tutto al di fuori di atti o convenzioni adottate in sede di separazione – decadenza dovuta al fatto che detta agevolazione non può essere goduta per due volte – in forza di una norma che sancisce un’esenzione relativa “a tutti gli atti e convenzioni che i coniugi pongono in essere nell’intento di regolare sotto il controllo del giudice i loro rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del matrimonio o alla separazione personale, ivi compresi gli accordi che contengono il riconoscimento o il trasferimento della proprietà esclusiva di beni mobili ed immobili all’uno o all’altro coniuge”.
In ordine al terzo motivo di ricorso valgono le seguenti osservazioni.
La CTR ha effettivamente trascurato di pronunciarsi sulla richiesta disapplicazione delle sanzioni per dedotta situazione di incertezza obiettiva sulla portata e sull’ambito di applicazione delle previsioni dell’art. 1, lett. c) della tariffa, parte prima allegata al D.P.R. n. 131 del 1986.
L’omissione non comporta tuttavia la necessità di cassare la sentenza impugnata.
Alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111 Cost., comma 2, nonché di una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., la Corte può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata allorché, come nel caso di specie, il ritorno della causa al giudice di appello sia inutile.
Nel caso di specie, il ritorno sarebbe inutile perché l’eccezione su cui la CTR avrebbe dovuto pronunciare è manifestamente infondata in diritto. Questa Corte, con l’unico precedente specifico – la già ricordata ordinanza 14673/2016, si era già chiaramente pronunciata sulla portata della norma con la conseguenza che non vi erano affatto, al tempo della fruizione dell’agevolazione, “contrasti giurisprudenziali anche a livello di Suprema Cote di Cassazione” (ricorso pagina 17). L’oggettiva natura di mendacio della dichiarazione resa in atto dal contribuente quanto alla sussistenza dei requisiti richiesti per l’agevolazione in esame non poteva essere giustificata da alcun affidamento incolpevole su un senso della legge diverso da quello reso palese dalle relative parole.
Il terzo motivo di ricorso deve pertanto essere rigettato.
Il quarto motivo di ricorso è infondato.
Il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, prevede che al comma 2-sexies, che “Nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui al D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 53, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza”.
la liquidazione è dovuta come “rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella dei difensore abilitato” (Cass. 24675/2011).
il ricorrente cita giurisprudenza di questa Corte in tema di giudizi relativi a sanzioni amministrative che per l’ipotesi di amministrazioni costituitesi a mezzo di un proprio funzionario, come previsto dall’art. 23, comma 4 (ora abrogato dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 34), riconoscendo come rimborsabili, “ex art. 91 c.p.c., solo gli esborsi concretamente sostenute le spese cd. “generali” o “vive”, ove documentati e richiesti.
Questa Corte tuttavia con ordinanza n. 27634 de 111/10/2021 (“Nel processo tributario, alla parte pubblica (nella specie, un Comune) assistita in giudizio da propri funzionari o da propri dipendenti, in caso di vittoria della lite spetta la liquidazione delle spese, la quale deve essere effettuata mediante applicazione della tariffa ovvero dei parametri vigenti per gli avvocati, con la riduzione del venti per cento dei compensi ad essi spettanti, atteso che l’espresso riferimento ai compensi per l’attività difensiva svolta, contenuto nel D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 2 bis, conferma il diritto dell’ente alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, che sono legittimati a svolgere attività difensiva nel processo) ha già sottolineato l’inconferenza del richiamo stante la specificità della previsione normativa, chiara in tema di processo tributario: nelle varie versioni dell’art. 15, “che si sono succedute, pur mantenendo costante il parametro del compenso spettante agli avvocati, si sia stabilito che il compenso debba essere riconosciuto, è evidente che, in materia tributaria, il processo ha una sua autonomia, non solo per specifiche disposizioni normative, ma anche, evidentemente, per la gestione del processo stesso, che, al di là di quello che avviene nel contesto di altri procedimenti, richiede una particolare competenza nella trattazione, sia che ci si trovi in presenza di difesa tecnica, sia che questa difesa, sulla base delle stesse norme procedurali, sia svolta da un funzionario o dipendente all’uopo delegato”;
In ragione di quanto precede il ricorso va rigettato.
Non vi è luogo a pronuncia sulle spese atteso che l’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, svolta con modalità da remoto, il 6 luglio 2022.
Depositato in Cancelleria il 14 settembre 2022
COMMENTO REDAZIONALE- L’ordinanza in commento ribadisce il principio secondo cui la liquidazione delle spese giudiziali a favore dell’Ente impositore, dell’Agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’art. 53 D.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, che siano assistiti da propri funzionari o dipendenti, così come disciplinata dall’art. 15, comma 2-sexies, D.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, è dovuta come “rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella dei difensore abilitato” (Cass. civ., sez. V, 23 novembre 2011 n. 24675).
A differenza di quanto previsto sotto la vigenza dell’art. 23, comma 4, Legge 689/1981 (oggi abrogato dall’art. 34 D.lgs. 150/2011), che riconosceva come rimborsabili solo gli esborsi concretamente sostenuti dalla parte pubblica e le spese cd. “generali” o “vive”, ove documentati e richiesti, l’art. 15 D.lgs. 546/1992 (pur nelle varie versioni che si sono succedute nel tempo) ha sempre riconosciuto che, in materia tributaria, il processo ha una propria autonomia, non solo per specifiche disposizioni normative, ma anche per la gestione del processo stesso, che richiede una particolare competenza nella trattazione, sia che ci si trovi in presenza di difesa tecnica, sia che questa difesa, sulla base delle medesime norme procedurali, venga svolta da un funzionario o da un dipendente delegato.
Pertanto, in conclusione, nel processo tributario la parte pubblica (Ente impositore, Agente della riscossione o soggetto iscritto all’albo ex art. 53 D.lgs. 546/1992) ha diritto alla rifusione dei costi sostenuti e dei compensi per l’assistenza tecnica fornita dai propri dipendenti, che siano legittimati a svolgere attività difensiva nel processo (si vedano, in senso conforme, Cass. civ., sez. V, ord., 11 ottobre 2021 n. 27634).