Corte di Giustizia Tributaria di Primo Grado di Bari, sez. VI, 15 luglio 2024 n. 1447
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DI GIUSTIZIA TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO DI BARI
SESTA SEZIONE
riunita in udienza il 10/07/2024 alle ore 10:00 con la seguente composizione collegiale:
EPICOCO ANNAMARIA, – Presidente
PELLEGRINO GIOVANNI, – Relatore
NAPOLIELLO ASSUNTA, – Giudice
in data 10/07/2024 ha pronunciato la seguente
SENTENZA
– sul ricorso n. 934/2024 depositato il 26/03/2024
proposto da
Arca Puglia Centrale – (…) Difeso da Avv. A. D. A. – (…) Rappresentato da P.A.D.N. – (…) Rappresentante difeso da ……….. ed elettivamente domiciliato presso …@pec.arcapugliacentrale.it
contro
Comune di Turi – Via Xx Settembre, 5 70010 Turi BA elettivamente domiciliato presso ……………@pec.rupar.puglia.it
Avente ad oggetto l’impugnazione di:
– AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (…) IMU 2018
a seguito di discussione in pubblica udienza e visto il dispositivo n. 249/2024 depositato il 10/07/2024
Richieste delle parti:
Ricorrente si riporta ed insiste affinché il ricorso venga accolto
Resistente si riporta e si oppone alle richieste di controparte.
Svolgimento del processo
Con ricorso tempestivamente notificato, L’A.R.C.A Puglia Centrale, ex I.A.C.P. – Istituto Autonomo Case Popolari Della Provincia Di Bari, in persona dell’Amministratore Unico, legale rappresentante pro-tempore, Avv. P.A.D.N., rappresentato e difeso dall’Avv. Anna Domenica Amatulli, che autorizza le comunicazioni a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo [email protected]), impugnava l’atto tributario analiticamente indicato nell’intestazione della presente decisione.
La ricorrente eccepisce: 1. Nullità dell’impugnato provvedimento fiscale per intervenuta decadenza dell’attività accertatrice dell’Ente impositore – Prescrizione del credito accertato. 2.Illegittimità dell’atto per violazione e falsa applicazione del II comma dell’art. 13 D.L. n. 201 del 2011, convertito dalla L. n. 214 del 2011, con le modifiche apportate dall’art. 707 L. n. 147 del 2013. 3. In ordine alle fonti di interpretazione della definizione di alloggio sociale contenuta nel D.M. n. 32438 del 2008 del 22.04.2008.
Conclude: Accertare e dichiarare la nullità dell’impugnato provvedimento fiscale per intervenuta decadenza della relativa attività accertatrice dell’Ente impositore e prescrizione del credito accertato, in via principale, dichiarare illegittimo l’avviso di accertamento de quo per essere stato emesso in palese violazione con II comma dell’art. 13 D.L. n. 201 del 2011, convertito dalla L. n. 214 del 2011, con le modifiche apportate dall’art.1, comma n. 707 L. n. 147 del 2013, per l’effetto annullarlo, con ogni conseguenza di legge; con vittoria di spese di lite.
Il Comune di Turi resiste con controdeduzioni.
All’odierna udienza la causa veniva decisa.
Motivi della decisione
Con il primo motivo, il ricorrente eccepisce, in via preliminare ed assorbente, che, al momento dell’emanazione e notifica dell’impugnato provvedimento, avvenuta il 17.01.2024, l’Ente impositore era decaduto dal potere accertativo dell’IMU 2018, e, quindi, contestualmente, il relativo credito vantato si era prescritto.
Il Collegio, preliminarmente deve evidenziarsi che, in relazione alle imposte locali, fonte normativa di riferimento è l’art.1 comma 161 della L. n. 296 del 27 dicembre 2006, a tenore del quale: “Gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all’accertamento d’ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Gli avvisi di accertamento in rettifica e d’ufficio devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati.”
Ciò chiarito – atteso che il ricorrente ha formulato specifiche eccezioni sul punto – deve precisarsi come debbano essere interpretati e conciliati i due distinti istituti della decadenza e della prescrizione.
La prescrizione è un istituto di carattere generale, applicabile in tuti i casi un soggetto sia chiamato ad onorare un diritto di credito.
La decadenza è, viceversa, un istituto di carattere eccezionale, in ipotesi normativamente previste, connesso ad una potestà di azione da esercitare per potere acquisire un successivo diritto; azione che deve essere indicata nella legge.
Non può, pertanto, discutersi di prescrizione, se non sia prima stata superata l’eventuale decadenza. L’art.2964, 1 comma, stabilisce che “Quando un diritto deve esercitarsi entro un dato termine sotto pena di decadenza, non si applicano le norme relative all’interruzione della prescrizione”.
In particolare, in materia di riscossione del tributo ICI, la Suprema Corte (sez. trib., 18/11/2009, n. 24301) ha avuto modo di precisare che i termini entro i quali, ai sensi dell’art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 504 del 1992 (normativa anteriore alle modifiche introdotte dall’art. 1, comma 173, lett. e, della L. n. 296 del 2006), il ruolo deve essere formato e reso esecutivo “hanno natura decadenziale e, come tali, agli stessi, ai sensi dell’art. 2964 cod. civ., non si applicano né le norme (artt. 2943 e ss. stesso codice) relative all’interruzione della prescrizione né, non essendo disposto altrimenti, quelle dell’art. 2941 cod. civ., e segg., che si riferiscono alla sospensione”; si tratta di un principio applicabile mutatis mutandis anche all’odierna fattispecie.
L’art. 2966, 1 comma, stabilisce che “La decadenza non è impedita se non dal compimento dell’atto previsto dalla legge o dal contratto”.
L’art. 2967 infine sancisce che “Nei casi in cui la decadenza è impedita, il diritto rimane soggetto alle disposizioni che regolano la prescrizione”.
Dal combinato disposto delle predette norme si evince chiaramente che, quando il legislatore prevede che l’esercizio di un diritto è soggetto ad un termine di decadenza, non può contemporaneamente decorrere anche il termine di prescrizione, posto che la decadenza è impedita solo dal compimento dell’atto tipico previsto dalla legge. Ove ciò accada e la decadenza sia così impedita, il diritto è ordinariamente soggetto alle disposizioni concernenti la prescrizione.
Ciò posto, la Commissione, sia pure in maniera estremamente sintetica, rileva come, anche sulla scorta della nota sentenza della Corte Costituzionale. n. 477/2002, il principio della cosiddetta “scissione degli effetti della notificazione”, ha concretamente registrato, tra l’altro, diverse posizioni normative, tra le quali:
– la L. n. 263 del 2005 (laddove si aggiunge un terzo comma all’art. 149 c.p.c. che testualmente si dispone “La notifica si perfeziona, per il soggetto notificante, al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario e, per il destinatario, dal momento in cui lo stesso ha la legale conoscenza dell’atto”;
– il quinto comma dell’art. 16 del D.Lgs. n. 546 del 1992 (e succ. modif.) per il processo tributario, laddove si dispone che “Qualunque comunicazione o notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione; i termini che hanno inizio dalla notificazione o dalla comunicazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto”;
– l’art.37, comma 27, lett. f, del D.L. n. 223 del 2006, laddove, anche in questo caso, si aggiunge all’art.60 del D.P.R. n. 600 del 1973, quel sesto comma, che, in maniera del tutto analoga, recita: “Qualunque notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data di spedizione: i termini che hanno inizio dalla notificazione decorrono dalla data in cui l’atto è ricevuto”.
Per quel che attiene al panorama “giurisprudenziale”, quale espressione concreta dell’orientamento come sopra normativamente espresso, si pone la sentenza n.8867/2016 (pubblicata 04/5/2016), con cui la S.C., Sezione Tributaria, nel decidere proprio sul principio di postalizzazione, in tema di prescrizione della tassa di possesso autoveicoli, ha affermato che è corretto considerare termine interruttivo della prescrizione la data di consegna di atti di accertamento all’agente postale per la notificazione, indipendentemente dalla loro consegna al destinatario in data successiva.
Sempre i giudici di legittimità, con riferimento questa volta alla decadenza, hanno argomentato che “in tema di avviso di accertamento notificato a mezzo posta, ai fini della verifica del rispetto del termine di decadenza che grava sull’Amministrazione finanziaria, occorre avere riguardo alla data di spedizione dell’atto e non a quella di ricezione dello stesso da parte del contribuente, atteso che il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il notificato si applica in tutti i casi in cui debba valutarsi l’osservanza di un termine da parte del notificante e, quindi, anche con riferimento agli atti d’imposizione tributaria”. (Cassazione ord. nr. 18643/2015; Cassazione ord. n. 22320/2014).
E, in maniera non meno specifica, nel decidere sul decorso del termine quinquennale per l’esazione del tributo, in relazione ad un atto, indubbiamente recettizio, consegnato entro i termini al Servizio Postale e poi da questo notificato successivamente al destinatario, la Suprema Corte (Cass. sez. VI, ordinanza 10/01/2017, n. 385) ha testualmente rilevato che “la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio di diritto più volte espresso dalla giurisprudenza di questa Corte in materia, secondo il quale, in tema di avviso di accertamento notificato a mezzo posta, ai fini della verifica del rispetto del termine di decadenza che grava sull’Amministratone finanziaria, occorre avere riguardo alla data di spedizione dell’atto e non a quella di ricezione dello stesso da parte del contribuente, atteso che il principio della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il notificato si applica in tutti i casi in cui debba valutarsi l’osservanza di un termine da parte del notificante e, quindi, anche con riferimento agli atti d’imposizione tributaria” (cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 22 settembre 2015, n. 18643; Cass. sez. 6-5, ord. 21 ottobre 2014, n. 22320; Cass. sez. 5, 10 giugno 2008, n. 15298; Cass. sez. 5, 29 gennaio 2004, n. 1647)”.
Sempre per quanto attiene al tema, secondo cui “la prescrizione è interrotta dall’atto di esercizio del diritto, ovvero dalla consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario per la notifica”, vedasi anche la più recente Cass. sez. I, 14/02/2019, (ud. 05/12/2018, dep. 14/02/2019), n.4519, oltre che Cass., Sez. U., 9/12/2015 n. 24822 può, infine richiamarsi, Cassazione civile sez. trib., 17/07/2019 n.19203 (ud. 07/05/2019, dep. 17/07/2019), laddove, anche in questo caso, si argomenta che “secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale (cfr. Cass. 1647/2004,15298/2008,351/2014, 385/2017) il principio in base al quale gli effetti della notificazione eseguita a mezzo del servizio postale si producono per il notificante al momento della consegna del plico all’ufficiale giudiziario (ovvero al personale del servizio postale) e per il destinatario al momento della ricezione, ha carattere generale e trova applicazione non solo con riferimento agli atti processuali, ma anche relativamente agli atti di imposizione tributaria. A maggior chiarimento della posizione assunta dalla Suprema Corte sul punto, va citata la sentenza n. 14580/2018 che ha affermato il seguente principio ‘In tema di notifica a mezzo posta di atti tributari recettizi (nella specie avviso di accertamento), il principio della scissione soggettiva, come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 477 del 2002, trova applicazione nella ipotesi in cui l’Amministrazione finanziaria si avvalga per la notifica dell’operato di terzi (ufficiale giudiziario o servizio postale) che compiono attività che esulano dalla disponibilità del notificante, poiché nella diversa ipotesi di notifica di atti eseguita direttamente al contribuente (ad es. a mezzo dei messi dell’ufficio finanziario), eventuali ritardi o omissioni rientrano nella diretta responsabilità dell’Ufficio stesso’. L’orientamento giurisprudenziale sopra passato in rassegna, divenuto diritto vivente, è stato recepito dal legislatore con la modifica del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 60, che alla lettera f) sesto capoverso stabilisce che qualunque notificazione a mezzo del servizio postale si considera fatta nella data della spedizione”.
Tale disciplina ordinaria, nel corso del periodo di emergenza Covid 19, ha subito modificazioni, dapprima con il D.L. n. 18 del 2020 e successivamente con il D.L. n. 34 del 2020.
Pertanto, sono intervenuti i commi nrr. 01-04 dell’art. 67 del precitato D.L. n. 18 del 2020, disponenti che:” 1. Sono sospesi dall’8 marzo al 31 maggio 2020 i termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici degli enti impositori…….4. Con riferimento ai termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività degli uffici degli enti impositori si applica, anche in deroga alle disposizioni dell’articolo 3, comma 3, della L. 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 12, commi 1 e 3, del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159 (5).”
Dall’analisi del combinato disposto dei commi nrr. 01-04 dell’art. 67 del precitato D.L. n. 18 del 2020 con il comma n. 01 dell’art. 12 D.Lgs. n. 159 del 2015 (non riguardando il comma n. 03 dell’art. 12 D.Lgs. n. 159 del 2015 la fattispecie in esame) si deduce la volontà del legislatore di far coincidere, in occasione di eventi eccezionali, la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività di accertamento, di liquidazione, ecc., delle entrate tributarie con il periodo di sospensione dei termini di versamento dei tributi, dei contributi previdenziali, ecc, bilanciando, così, gli interessi contrapposti dell’Ente impositore e del contribuente.
Orbene, il Collegio osserva che: “la disposizione di riferimento (l’unica) resta il comma 1 del citato articolo 12 del D.Lgs. n. 159 del 2015 che testualmente recita: “Le disposizioni in materia di sospensione dei termini di versamento dei tributi, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali, a favore dei soggetti interessati da eventi eccezionali, comportano altresì, per un corrispondente periodo di tempo, relativamente alle stesse entrate, la sospensione dei termini previsti per gli adempimenti anche processuali, nonché’ la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza in materia di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori, degli enti previdenziali e assistenziali e degli agenti della riscossione”.
L’intenzione del legislatore era quella di consentire agli uffici finanziari di espletare le proprie funzioni, non risentendo di quel lasso di tempo (85 giorni) in cui l’esercizio di tali funzioni era stato inibito dalla normativa emergenziale. Ciò in contrapposizione al fatto che, per lo stesso periodo di tempo, i contribuenti avevano potuto godere della sospensione dei termini di versamento e di adempimento delle proprie obbligazioni tributarie.
Un bilanciamento tra i due interessi contrapposti. A ben vedere, dunque, è stato proprio il legislatore ad individuare un equilibrio nel bilanciamento di interessi contrapposti tra amministrazione e contribuente, laddove con il comma 4 dell’art. 67, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, (c.d. Decreto Cura Italia), convertito in legge, con modifiche, dalla L. 24 aprile 2020, n. 27, in riferimento ai termini di prescrizione e decadenza relativi all’attività degli uffici degli enti impositori, ha disposto l’applicabilità dell’art. 12 del D.Lgs. n. 159 del 2015 nei soli commi 1 e 3, secondo cui “Le disposizioni in materia di sospensione dei termini di versamento dei tributi, (…) a favore dei soggetti interessati da eventi eccezionali, comportano altresì, per un corrispondente periodo di tempo, relativamente alle stesse entrate, (…) la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza in materia di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori, degli enti previdenziali e assistenziali e degli agenti della riscossione, in deroga alle disposizioni dell’articolo 3, comma 3, della L. 27 luglio 2000, n. 212 (…)”.
Per individuare la disciplina dei termini di prescrizione e decadenza applicabili al periodo emergenziale, dunque, va fatto riferimento alle disposizioni recate dall’articolo 12, comma 1, del D.Lgs. n. 159 del 2015. Come visto in precedenza, l’art. 12 del D.Lgs. n. 159 del 2015, al comma 1 (quello richiamato dall’articolo 67 D.L. n. 18 del 2020), interviene sulla disciplina delle sospensioni disposte in occasione di eventi eccezionali, prevedendo che, in caso di sospensione dei termini relativi ai versamenti, siano parallelamente sospesi, per il medesimo periodo, tutti i termini relativi agli adempimenti anche processuali, in favore dei contribuenti, nonché i termini relativi alle attività di liquidazione, controllo, accertamento, riscossione e contenzioso, in favore dei diversi enti coinvolti.
Ma ciò vale, ed è abbastanza chiaro, in relazione all’anno in cui si è verificato l’evento eccezionale, dovendosi escludere ogni effetto “a cascata” sulle annualità successive. In definitiva, i termini di sospensione di decadenza e prescrizione valgono, in riferimento all’anno colpito dall’evento eccezionale, per un corrispondente periodo di tempo rispetto a quello riconosciuto in favore dei contribuenti. Non si comprende perché, dunque, tale principio non dovrebbe parimenti essere applicato anche agli uffici finanziari, in relazione alla sospensione disposta nel periodo emergenziale Covid 19.
Resta ben inteso, infatti, che l’agevolazione a favore dei contribuenti, per porre in essere i propri adempimenti tributari o i versamenti, non si estende alle annualità successive a quelle in cui si è verificato l’evento emergenziale: in altri termini, non è consentito al contribuente usufruire di 85 giorni in più per l’espletamento dei propri adempimenti tributari, men che meno quelli nel cui “decorso” è contenuto l’intervallo temporale 8 marzo – 31 maggio 2020. Non appare plausibile, dunque, ritenere che all’articolo 12 citato, al comma 1 D.Lgs. n. 159 del 2015: – che testualmente stabilisce “la sospensione dei termini di prescrizione e decadenza in materia di liquidazione, controllo, accertamento, contenzioso e riscossione a favore degli enti impositori, degli enti previdenziali e assistenziali e degli agenti della riscossione” – debba essere associato un effetto “a cascata” sulle annualità successive a quella colpita dall’evento eccezionale.
Ciò non soltanto al caso specifico dell’emergenza Covid 19, bensì in relazione ad ogni evento “eccezionale” che dovesse disporre la sospensione dei termini di versamento, allorché la disciplina va uniformata a tale fattispecie, essendo il riferimento normativo da applicare il medesimo (articolo 12, comma 1 D.Lgs. n. 159 del 2015, cit.).
La lettura combinata delle norme suggerisce, dunque, di far esclusivo riferimento ai termini di prescrizione e decadenza che scadono entro il 31 dicembre dell’anno in cui è disposta la sospensione degli adempimenti e dei versamenti tributari per eventi eccezionali e cioè il 2020: ovvero, al periodo d’imposta 2015, in caso di presentazione di dichiarazione mediante Modello Unico 2016, ed anche al 2014, in caso di omessa presentazione della dichiarazione (termine altresì scadente nell’anno 2020).
Diversamente, sposando l’interpretazione fornita dall’amministrazione finanziaria, una proroga generalizzata e ad ampio raggio dei termini d’accertamento, risulterebbe ingiustificata e immotivata, determinando un evidente sconfinamento dell’ambito di applicazione delle previsioni emergenziali proprie della normativa Covid 19, in ragione della ratio che ha ispirato le stesse, ovvero, da un lato, non gravare sui contribuenti nel periodo colpito dall’evento eccezionale e, dall’altro, non intralciare l’attività degli uffici finanziari, parimenti limitati nello stesso periodo.
Viepiù che anche l’analisi della normativa da applicare, ovvero l’articolo 12, comma, del D.Lgs. n. 159 del 2015 più volte citato, a prescindere dall’applicazione della stessa al periodo emergenziale Covid 19 o ad altri eventi eccezionali, non giungerebbe a conclusioni differenti.
Da ultimo, per completezza, va anche considerato il fatto che il legislatore, dopo questo primo intervento disposto con l’articolo 67 del D.L. n. 18 del 2020, ha disciplinato nello specifico la “sorte” degli avvisi di accertamento scadenti nell’anno dell’emergenza, con l’articolo 157 del D.L. n. 34 del 2020, disponendo che gli stessi “sono emessi entro il 31 dicembre 2020 e sono notificati nel periodo compreso tra il 1 marzo 2021 e il 28 febbraio 2022”. Questa disposizione, oltre a completare il quadro normativo, sottolinea ancor di più l’iniquità dell’interpretazione secondo cui la proroga di 85 giorni si estenderebbe “a cascata” su tutte le annualità successive all’emergenza. Infatti, se per gli avvisi di accertamento che scadono al 31/12/2020, ovvero quelli più “colpiti” dall’emergenza, gli uffici devono comunque formare ed emettere gli atti entro il termine stabilito (31/12/2020), per poi “notificarli” l’anno successivo, non si comprende come possa essere ragionevole il fatto che, per gli accertamenti che scadono negli anni successivi, ovvero quelli meno “colpiti” dall’emergenza, si possa riconoscere agli uffici un termine più ampio di quello previsto nell’anno dell’emergenza.
In sostanza, adottando questa teoria, si avrebbe questo assurdo scenario: per l’anno 2020, quello colpito dall’emergenza, l’anno in cui c’è stata la sospensione delle attività e dei versamenti, l’Ufficio finanziario avrebbe dovuto comunque espletare tutti i propri compiti nei termini, emettendo gli avvisi entro il 31 dicembre dell’anno 2020 (da notare, la parte dispendiosa dell’attività dell’Ufficio concerne la formazione, ovvero l’emissione dell’atto, mentre la notifica è una formalità di poco conto, se rapportata al resto); per gli anni successivi, anni in cui l’emergenza è andata ritirandosi, con conseguente normale operatività degli Uffici finanziari, gli stessi avrebbero potuto beneficiare di un più ampio termine rispetto a quello previsto per il 2020 (anno dell’emergenza), potendo espletare i propri gravosi compiti (formazione ed emissione degli atti) godendo di 85 giorni in più.”.
Nel merito del tributo, iI comma dell’art. 13 D.L. n. 201 del 2011, convertito dalla L. n. 214 del 2011, con le modifiche apportate dall’art. 707 L. n. 147 del 2013, vigente nell’anno di imposta 2014, recita testualmente che “l’Imposta Municipale Propria non si applica, altresì:…b) ai fabbricati di civile abitazione destinati ad alloggi sociali come definiti dal D.M. delle Infrastrutture del 22 aprile 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 146 del 24 giugno 2008;…”; ed, ai sensi dell’art. 1, commi nrr 2-3-4-5 del summenzionato D.M. n. 32438 del 22 aprile 2008:
- è definito “alloggio sociale” l’unità immobiliare adibita ad uso residenziale in locazione permanente che svolge la funzione di interesse generale, nella salvaguardia della coesione sociale, di ridurre il disagio abitativo di individui e nuclei familiari svantaggiati, che non sono in grado di accedere alla locazione di alloggi nel libero mercato. L’alloggio sociale si configura come elemento essenziale del sistema di edilizia residenziale sociale costituito dall’insieme dei servizi abitativi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze primarie.
- Rientrano nella definizione di cui al comma 2 gli alloggi realizzati o recuperati da operatori pubblici e privati, con il ricorso a contributi o agevolazioni pubbliche – quali esenzioni fiscali, assegnazione di aree od immobili, fondi di garanzia, agevolazioni di tipo urbanistico – destinati alla locazione temporanea per almeno otto anni ed anche alla proprietà.
- Il servizio di edilizia residenziale sociale viene erogato da operatori pubblici e privati prioritariamente tramite l’offerta di alloggi in locazione alla quale va destinata la prevalenza delle risorse disponibili, nonché’ il sostegno all’accesso alla proprietà della casa, perseguendo l’integrazione di diverse fasce sociali e concorrendo al miglioramento delle condizioni di vita dei destinatari. L’alloggio sociale, in quanto servizio di interesse economico generale, costituisce standard urbanistico aggiuntivo da assicurare mediante cessione gratuità di aree o di alloggi, sulla base e con le modalità stabilite dalle normative regionali.
Il successivo art. 2 del summenzionato D.M. n. 32438 del 2008, che definisce le “Caratteristiche ed i requisiti” dell’alloggio sociale, prevede testualmente che “1. Le regioni, in concertazione con le Anci regionali, definiscono i requisiti per l’accesso e la permanenza nell’alloggio sociale.2. Il canone di locazione dell’alloggio sociale di cui all’art. 1, comma 2, è definito dalle regioni, in concertazione con le Anci regionali, in relazione alle diverse capacità economiche degli aventi diritto, alla composizione del nucleo familiare e alle caratteristiche dell’alloggio. L’ammontare dei canoni di affitto percepiti dagli operatori deve comunque coprire i costi fiscali, di gestione e di manutenzione ordinaria del patrimonio tenuto conto, altresì, della funzione sociale dell’alloggio come definito dal presente decreto.3. Il canone di locazione dell’alloggio sociale di cui all’art. 1, comma 3, non può superare quello derivante dai valori risultanti dagli accordi locali sottoscritti ai sensi dell’art. 2, comma 3, della L. 9 dicembre 1998, n. 431, e successive modificazioni ed integrazioni ovvero, qualora non aggiornati, il valore determinato ai sensi dell’art. 3, comma 114, della L. 24 dicembre 2003, n. 350, e può essere articolato in relazione alla diversa capacità economica degli aventi diritto, alla composizione del nucleo familiare e alle caratteristiche dell’alloggio. 4. Agli operatori pubblici individuati come soggetti erogatori del servizio di edilizia sociale in locazione permanente sulla base delle vigenti normative ed agli operatori pubblici e privati selezionati mediante procedimento di evidenza pubblica per la realizzazione degli alloggi di cui all’art. 1, comma 3, spetta una compensazione costituita dal canone di locazione e dalle eventuali diverse misure stabilite dallo Stato, dalle regioni e province autonome e dagli enti locali. Tale compensazione non può eccedere quanto necessario per coprire i costi derivanti dagli adempimenti degli obblighi del servizio nonché’ un eventuale ragionevole utile. 5. Le regioni, in concertazione con le Anci regionali, fissano i requisiti per beneficiare delle agevolazioni per l’accesso alla proprietà e stabiliscono modalità, criteri per la determinazione del prezzo di vendita, stabilito nella convenzione con il comune, per il trasferimento dei benefici agli acquirenti, anche successivi al primo, tenuto conto dei diversi sussidi accordati per l’acqui-sto, la costruzione o il recupero. 6. Salvo diversa disciplina regionale, in relazione a particolari programmi d’intervento, gli enti locali possono stabilire specifici canoni, criteri di accesso e permanenza, assumendo a proprio totale carico i costi delle compensazioni spettanti agli operatori, da coprire anche attraverso valorizzazioni premiali di tipo urbanistico. 7. L’alloggio sociale deve essere adeguato, salubre, sicuro e costruito o recuperato nel rispetto delle caratteristiche tecnico-costruttive indicate agli articoli 16 e 43 della L. 5 agosto 1978, n. 457. Nel caso di servizio di edilizia sociale in locazione si considera adeguato un alloggio con un numero di vani abitabili tendenzialmente non inferiore ai componenti del nucleo familiare – e comunque non superiore a cinque – oltre ai vani accessori quali bagno e cucina. L’alloggio sociale deve essere costruito secondo principi di sostenibilità ambientale e di risparmio energetico, utilizzando, ove possibile, fonti energetiche alternative.8. Le disposizioni del presente decreto sono applicabili nelle regioni a statuto speciale e nelle province autonome di Trento e Bolzano compatibilmente con gli statuti speciali e con le relative norme di attuazione”.
Si richiama, all’uopo quanto osservato da Cass. con ordinanze n. 6380 dell’8 marzo 2024, secondo cui: “occorre, inoltre, evidenziare che, per giurisprudenza costante di questa Corte, in virtù del principio di collaborazione e buona fede che, ai sensi dell’art.10, comma 1 della L. n. 212 del 2000, deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente, a quest’ultimo non possono essere richiesti, anche ove l’onere probatorio sia a carico dello stesso, documenti ed informazione già in possesso dell’Ufficio ( cfr. Cass. 22/04/2021, nr.10724, Cass. 31.05.2018, nr.13822)”; ne consegue che gli immobili in questione devono ritenersi esenti dall’IMU in virtù della loro destinazione ad “Alloggio Sociale”, non avendo l’ente locale (o, per suo tramite, la concessionaria), fornito alcuna indicazione circa la concreta mancata conformità degli stessi alle caratteristiche dianzi illustrate di cui al D.M. 22 aprile 2008 cit.), affermazione che si attaglia appieno al decisum qui impugnato.
Rimandando alla lettura della decisione preme in questa sede riportare soltanto il principio di diritto dettato dalle Sezioni Unite che ha affermato, dopo aver ricostruito dogmaticamente la questione giuridica, affermato che “In materia di notificazione degli atti di imposizione tributaria e agli effetti di questa sull’osservanza dei termini, previsti dalle singole leggi di imposta, di decadenza dal potere impositivo, il principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, sancito per gli atti processuali dalla giurisprudenza costituzionale, e per gli atti tributari dall’art.60 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, trova sempre applicazione, a ciò non ostando né la peculiare natura recettizia di tali atti né la qualità del soggetto deputato alla loro notificazione. Ne consegue che, per il rispetto del termine di decadenza cui è assoggettato il potere impositivo, assume rilevanza la data nella quale l’ente ha posto in essere gli adempimenti necessari ai fini della notifica dell’atto e non quello, eventualmente successivo, di conoscenza dello stesso da parte del contribuente”.
Le eccezioni di decadenza e prescrizione sono, pertanto, fondate.
La complessa normativa statale e regionale giustifica la compensazione delle spese.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e, per l’effetto, annulla l’atto impugnato. Spese compensate.
Bari il 10 luglio 2024.
COMMENTO- La vicenda in esame trae origine dall’impugnazione di un avviso di accertamento relativo ad IMU 2018, notificato in data 17 gennaio 2024.
La società ricorrente eccepiva, tra l’altro, l’asserita decadenza del Comune impositore dal potere di accertamento, per essere stato l’avviso notificato oltre il termine di decadenza del 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione o il versamento sono stati o avrebbero dovuto essere effettuati (art. 1, comma 161, Legge 27 dicembre 2006 n. 296).
La pronuncia evidenzia le intrinseche differenze tra la prescrizione, istituto a carattere generale soggetto alle particolari cause di sospensione e di interruzione prescritte dalla legge, e la decadenza, istituto di carattere eccezionale che può essere impedito unicamente dal compimento dell’atto tipico prescritto dalla legge o dal contratto.
Viene inoltre ribadito il principio, ormai pacifico in giurisprudenza, secondo cui l’Amministrazione finanziaria evita di incorrere nella decadenza con la mera spedizione a mezzo posta dell’atto di accertamento entro il termine di decadenza.
Resta invece irrilevante, in forza del principio di scissione soggettiva degli effetti della notificazione (sancito per la prima volta da Corte Costituzionale 26 novembre 2002 n. 477 e successivamente recepito anche a livello normativo dagli artt. 149 c.p.c., 16 D.lgs. 546/1992 e 60 D.P.R. 600/1973), la circostanza che la ricezione dell’atto da parte del destinatario sia eventualmente avvenuta oltre tale termine.
Nel caso di specie, tuttavia, anche la spedizione dell’atto di accertamento a mezzo posta risultava avvenuta oltre il termine di decadenza di cui all’art. 1, comma 161, Legge 296/2006.
L’Amministrazione comunale invocava a proprio favore la proroga di 85 giorni disposta, dall’08 marzo al 31 maggio 2020, a causa della pandemia da Covid-19 (art. 67 D.L. 17 marzo 2020 n. 18, convertito con modificazioni in Legge 24 aprile 2020 n. 27).
Tale tesi non trova tuttavia accoglimento da parte dei giudici tributari, in quanto la predetta proroga opera unicamente per i termini di decadenza che vengano a scadere nell’annualità colpita dall’evento eccezionale, ossia nell’anno 2020, mentre non può in alcun caso produrre effetti “a cascata” sulle annualità successive.
In caso contrario, si determinerebbe una situazione di squilibrio tra i contribuenti, che potrebbero beneficiare della proroga solo con riferimento agli adempimenti tributari scadenti nell’annualità colpita dall’evento eccezionale, e l’Amministrazione finanziaria, che potrebbe beneficiarne anche per gli accertamenti da compiersi a pena di decadenza in annualità estranee alla pandemia o, comunque, all’evento eccezionale.
Ciò determinerebbe una violazione dell’art. 12 D.lgs. 24 settembre 2015 n. 159, secondo cui, in caso di eventi eccezionali, deve sussistere corrispondenza tra la proroga dei termini per i pagamenti o gli altri adempimenti tributari, stabilita in favore dei contribuenti, e quella dei termini di decadenza e prescrizione, stabilita in favore dell’Amministrazione finanziaria.
Ulteriore conferma di tale conclusione viene infine tratta, da parte della pronuncia in commento, dall’art. 157 D.L. 19 maggio 2020 n. 34, convertito con modificazioni in Legge 17 luglio 2020 n. 77.
Sebbene l’applicazione di tale disposizione sia espressamente esclusa per le entrate degli Enti territoriali (comma 7-bis), la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Bari ritiene comunque significativo il disposto del comma 1, secondo cui gli avvisi di accertamento scadenti nel 2020 (anno dell’emergenza) “sono emessi entro il 31 dicembre 2020 e sono notificati nel periodo compreso tra il 1° marzo 2021 e il 28 febbraio 2022“.
Tale disposizione, secondo la pronuncia in commento, metterebbe in luce in maniera ancor più evidente l’insostenibilità della tesi dell’Amministrazione comunale, in base alla quale la proroga di 85 giorni si estenderebbe “a cascata” su tutte le annualità successive all’emergenza.
Infatti, se per gli avvisi di accertamento che scadono al 31 dicembre 2020, ovvero quelli più “colpiti” dall’emergenza, gli Uffici devono comunque formare ed emettere gli atti entro il termine stabilito (31 dicembre 2020), per poi “notificarli” l’anno successivo, non si comprende come possa essere ragionevole il fatto che, per gli accertamenti che scadono negli anni successivi, meno “colpiti” dall’emergenza, si possa riconoscere agli Uffici medesimi un termine più ampio rispetto a quello previsto nell’anno dell’emergenza.
Per tali motivi, non essendo applicabile la proroga del termine di decadenza per 85 giorni invocata dall’Amministrazione finanziaria, quest’ultima risulta decaduta dal potere di accertamento relativo all’annualità 2018, con conseguente annullamento dell’avviso spedito per posta in data 17 gennaio 2024.
Dott.ssa Cecilia Domenichini
Unicusano- Roma