Commissione Tributaria Regionale per la Liguria, sez. I, 20.02.2019 n. 230


Svolgimento del processo

La vertenza concerne l’impugnazione proposta dalla società R. P. S.p.a. avverso il silenzio rifiuto opposto dal Comune di Genova all’istanza di rimborso dei canoni CIMP versati a decorrere dal 12/8/2012 per pubblicità trasmessa nelle sale cinematografiche e ritenuti non dovuti in seguito all’entrata in vigore della L. n. 134 del 2012 che, convertendo il D.L. n. 83 del 2012, ha introdotto l’art. 17 comma 1 lett. i bis) del D.Lgs. n. 507 del 1993 che prevede che non sia più imponibile la pubblicità effettuata nelle sale cinematografiche.

Secondo la ricorrente, posto che imposta e canone hanno la medesima natura tributaria e operano in presenza dei medesimi presupposti, il venir meno dell’obbligo di corresponsione dell’imposta per la pubblicità avrebbe come conseguenza anche il venir meno dell’obbligo di corrispondere, per la medesima fattispecie, il canone.

La Commissione Provinciale ha invece ritenuto che la scelta del legislatore di disporre la succitata esenzione solo per l’imposta comunale di pubblicità non consenta, tenuto conto del principio di tassatività di cui all’art. 23 Costituzione, di applicare analogicamente tale esenzione anche al CIMP.

Di tale decisione si duole la contribuente per i seguenti motivi:

1) violazione dell’art. 32 comma 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992 essendosi il Comune di Genova costituito in giudizio il giorno prima dell’udienza depositando memoria difensiva che è stata ritenuta ammissibile dalla Commissione Provinciale;

2) errata applicazione del principio della riserva di legge di cui all’art. 23 Costituzione avendo ignorato che il Comune, non modificando il proprio regolamento per l’applicazione del CIMP in seguito all’entrata in vigore dell’esenzione introdotta dall’art. 17 comma 1 lett. i bis) del D.Lgs. n. 507 del 1993, continuerebbe illegittimamente a colpire con il canone una fattispecie non più imponibile. Ciò in quanto non rientrerebbe nella competenza dei Comuni l’individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi (art. 52 D.Lgs. n. 446 del 1997).

3) Omessa pronuncia sulla denunciata violazione dei principi di capacità contributiva e di uguaglianza (artt. 53 e 3 Cost.) in quanto, se l’operato del Comune di Genova venisse confermato, si verrebbe a determinare una situazione in cui lo stesso identico messaggio pubblicitario sarebbe esente da tributo in un Comune che adotta l’imposta mentre sarebbe tassato in un Comune che adotta il CIMP.

Si è costituito in giudizio il Comune di Genova sostenendo che la norma invocata dalla contribuente riguarderebbe esclusivamente le esenzioni dall’imposta sulla pubblicità e non dal CIMP adottato in luogo dell’imposta e che in ambito tributario sarebbe vietata ogni interpretazione analogica ed estensiva in materia di esenzioni.

CONCLUSIONI DELLE PARTI

Per l’appellante R. P. S.p.a.

“Chiede che l’Onorevole Commissione tributaria regionale di Genova voglia accogliere il presente appello e per l’effetto annullare e/o riformare la sentenza impugnata n. 603/6/17 pronunciata dalla Commissione tributaria provinciale di Genova sezione VI all’esito del giudizio n. RG 1622/2016 e, conseguentemente,

previa eventuale disapplicazione del citato regolamento comunale del Comune di Genova in virtù dei poteri riconosciuti dall’articolo 7 comma quinto del D.lgs. n. 546 del 1992 ed accertata, per l’effetto, la non debenza da parte della R.P. Spa dei canoni per l’installazione di mezzi pubblicitari (CIMP) versati al Comune di Genova a decorrere dal 12 agosto 2012, voglia dichiarare l’illegittimità e/o l’infondatezza dell’impugnato diniego tacito di rimborso dei suddetti canoni e richiesto con istanza del 9 gennaio 2015, disponendo, per l’effetto, la condanna del predetto comune al rimborso in favore della medesima dell’importo di Euro 85.739,75 al suddetto titolo indebitamente versato, oltre interessi maturati e maturandi a decorrere dei singoli versamenti fino all’integrale soddisfo.

In ogni caso con integrale rifusione delle spese, onorari e competenze del doppio grado del presente giudizio’.

Per il Comune di Genova, appellato:

“Chiede che codesta Commissione tributaria voglia respingere all’appello di controparte in quanto infondato in fatto ed in diritto”.

Motivi della decisione

Preliminarmente rileva il Collegio, con riguardo all’eccezione proposta dalla parte in relazione alla tardiva costituzione del Comune nel giudizio di primo grado, che è principio ormai consolidato quello secondo cui l’ente resistente in un giudizio tributario può costituirsi oltre il termine, previsto all’art. 23 comma 1 D.Lgs. n. 546 del 1992, di 60 giorni dalla notifica del ricorso, purché sia rispettato il termine di cui all’art. 32 c.1 D.Lgs. n. 546 del 1992, di 20 giorni prima della trattazione previsto per il deposito documentale.

Tale ricostruzione si basa sul tenore letterale dell’art. 23 c. 1 che non prevede, a differenza del precedente art. 22 c. 1, relativo alla costituzione del ricorrente, la sanzione dell’inammissibilità in caso del mancato rispetto del termine indicato nonché sull’esigenza di salvaguardare il diritto alla difesa di cui all’art. 24 Cost.

Nel caso di specie, peraltro, il Comune non ha rispettato neppure il termine di cui all’art. 32 c.1 D.Lgs. n. 546 del 1992, costituendosi e depositando memoria il giorno prima dell’udienza.

Parte appellante si duole che la Commissione Provinciale abbia ritenuto ammissibili tali difese, con ciò violando il principio della parità delle armi e del giusto processo.

Il Collegio, ribadito che la sanzione processuale dell’inammissibilità non è prevista dalla norma e la sua applicazione impedirebbe alla parte, in violazione dell’articolo 24 della Costituzione, di partecipare alla discussione orale della causa all’udienza e di esercitare il diritto fondamentale alla difesa, confutando le ragioni della controparte e la ricorrenza delle norme da questa invocate (si veda Cassazione, sentenza n. 2925/10), ritiene che i Primi Giudici abbiano formalmente errato nel non dichiarare inammissibili le memorie depositate dal Comune il 22/3/2017, ma che correttamente abbiano consentito all’Amministrazione Comunale di svolgere quelle che ha la sentenza impugnata definisce come “mere difese”.

D’altro canto non risulta che la Commissione Provinciale abbia deciso la causa accogliendo particolari eccezioni proposte dalla parte resistente, avendo anzi respinto quella volta a limitarne il potere disapplicativo configurato dall’art. 2 comma 3 del D.Lgs. n. 546 del 1992; semplicemente i Primi Giudici hanno rigettato il ricorso non condividendo la tesi giuridica proposta dalla contribuente con cui veniva richiesta l’applicazione estensiva al CIMP dell’esenzione disposta dall’art. 17 comma 1 lett. i bis) del D.Lgs. n. 507 del 1993.

Il vizio di non aver dichiarato inammissibile la memoria depositata dal Comune si risolve pertanto in una semplice imperfezione formale, irrilevante ai fini della validità della sentenza appellata.

Tale irrilevanza risulta viepiù confermata dal carattere devolutivo pieno dell’appello, inteso quale mezzo di impugnazione non limitato al controllo di vizi specifici della sentenza di primo grado, ma rivolto ad ottenere il riesame della causa nel merito ed in rapporto ai motivi di impugnazione iniziale dell’atto.

E proprio in relazione al merito, ritiene il Collegio che l’appello sia fondato.

La particolare forma di pubblicità di cui trattasi, in seguito alla novella del 2012, non risulta infatti assoggettabile non solo all’imposta di pubblicità, ma neppure al canone per l’installazione di mezzi pubblicitari.

L’art. 52 del D.Lgs. n. 446 del 1997 stabilisce infatti che: “Le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti. Per quanto non regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti”.

Conseguentemente il regolamento di cui all’art. 62, comma 1, del medesimo decreto, che rimette ai Comuni l’ambito applicativo del canone, non può comunque prevedere fattispecie imponibili ulteriori rispetto a quelle stabilite ed imposte dalla legge ordinaria.

Diversamente opinando si attribuirebbe ai Comuni il potere di introdurre tributi con propri regolamenti, in violazione dell’articolo 23 della Costituzione (di cui i Giudici della Commissione Provinciale hanno fatto cattivo uso) secondo il quale “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”.

E che il CIMP costituisca una entrata tributaria, in quanto “mera variante dell’imposta comunale sulla pubblicità” conservando “la qualifica di tributo, propria di quest’ultima” lo ha stabilito la Corte Costituzionale con la nota sentenza n. 141 del 2009.

D’altronde lo stesso art. 119 Cost. prevede che i Comuni stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Cardine del suddetto sistema tributario è che la competenza legislativa statale rimane ferma per quanto riguarda gli elementi fondamentali della fattispecie tributaria, lasciando al potere regolamentare dei Comuni tutto ciò che esula dalla riserva di legge.

Alla luce di quanto sopra la Commissione ritiene di poter affermare che non siano ipotizzabili attività pubblicitarie assoggettabili al CIMP che non costituiscano anche presupposto imponibile dell’Imposta Comunale sulla Pubblicità individuate dalla legge.

Ma vi è di più.

Per accogliere la tesi dell’appellante non risulta neppure necessario disapplicare il regolamento comunale per l’applicazione del CIMP del Comune di Genova, in quanto lo stesso non risulta in alcun modo assoggettare al canone la fattispecie (pubblicità effettuata nelle sale cinematografiche) di cui trattasi.

Il comma 4 dell’art. 3 del suddetto regolamento stabilisce infatti che: “Non è oggetto di autorizzazione la pubblicità effettuata all’interno di locali, pubblici o privati, ancorché aperti al pubblico, purché non visibile all’esterno”.

Con ciò sostanzialmente coincidendo con l’esenzione stabilita dall’art. 17 comma 1 lett. i) bis la quale dispone che “la pubblicità effettuata mediante proiezioni all’interno delle sale cinematografiche in quanto e laddove percepibile esclusivamente dai possessori dei titoli d’ingresso”.

L’appello deve pertanto essere accolto e la sentenza impugnata riformata nella parte in cui non riconosce il diritto di R.P. ad ottenere il rimborso dei versamenti indebitamente effettuati al Comune di Genova a titolo di CIMP a far data dal 12/8/2012.

La novità e particolarità delle questioni giustifica l’integrale compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.

P.Q.M.

Accoglie l’appello.

Compensa integralmente le spese del doppio grado di giudizio.

Così deciso in Genova, il 21 gennaio 2019.


 

COMMENTO

L’art. 17, comma 1, lettera i-bis), D.lgs. 15.11.1993 n. 507 (lettera aggiunta dall’art. 51-bis, comma 3, D.L. 22.06.2012 n. 83, convertito con modificazioni in Legge 07.08.2012 n. 134) prevede che è esente dall’imposta comunale sulla pubblicità “la pubblicità effettuata mediante proiezioni all’interno delle sale cinematografiche in quanto e laddove percepibile esclusivamente dai possessori dei titoli d’ingresso”.

Il Comune di Genova ritiene che tale norma sia applicabile unicamente all’imposta sulla pubblicità disciplinata dal predetto D.lgs. 507/1993, e non anche al canone sulla pubblicità, previsto dal regolamento comunale in luogo della prima in forza dell’art. 62, comma 1, D.lgs. 15.12.1997 n. 446, e comprensivo anche del canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari (CIMP). Conseguentemente, nega alla società ricorrente il richiesto rimborso.

Avverso tale atto di diniego ricorre la società che tuttavia, in primo grado, vede respinto il proprio ricorso.

La Commissione Tributaria Regionale per la Liguria accoglie l’appello della società contribuente e, in totale riforma della sentenza di prime cure, stabilisce il principio per cui l’esenzione, prevista dall’art. 17, comma 1, lettera i-bis), D.lgs. 507/1993 in favore delle sale cinematografiche, concerne sia l’imposta comunale sulla pubblicità, sia il canone comunale sulla pubblicità, comprensivo del canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari.

Anche quest’ultimo, infatti, partecipa della medesima natura tributaria, che è propria dell’imposta, secondo quanto ribadito anche da Corte Costituzionale 08.05.2009 n. 141. Tale pronuncia ha ritenuto infondata la questione di legittimità, sollevata con riferimento al divieto di istituzione di giudici speciali (art. 102, comma 2, Costituzione), dell’art. 2, secondo comma, secondo periodo, D.lgs. 31.12.1992 n. 546, nella parte in cui prevede che appartengano alla giurisdizione tributaria le controversie attinenti al canone comunale sulla pubblicità, comprensivo anche del canone sull’installazione dei mezzi pubblicitari previsto dall’art. 62 D.lgs. 15.12.1997 n. 446: infatti la natura di detto “canone”, prescindendo dal nomen juris attribuitogli, “appare del tutto omologa negli elementi essenziali all’imposta comunale sulla pubblicità prevista dal D.lgs. 15 novembre 1993, n. 507, ed è quindi tributaria”.

Dalla natura tributaria del canone discende l’applicazione ad esso degli artt. 23 e 119 Cost., di cui il primo prevede una riserva relativa di legge in materia tributaria, mentre il secondo abilita i Comuni a stabilire ed applicare tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Costituisce principio cardine di quest’ultimo che la determinazione degli elementi fondamentali della fattispecie tributaria sia riservata alla competenza legislativa statale, mentre al potere regolamentare dei Comuni sia demandato tutto ciò che esula dalla riserva di legge.

Di conseguenza, non sono ipotizzabili attività pubblicitarie assoggettabili al CIMP (canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari), che non costituiscano anche presupposto imponibile dell’imposta comunale sulla pubblicità.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma