Si definisce “responsabilità patrimoniale” l’assoggettamento del patrimonio del debitore inadempiente al soddisfacimento delle ragioni del creditore.

La responsabilità si manifesta come conseguenza dell’inadempimento del debitore e concorre a realizzare la tutela giuridica del diritto di credito.

L’azione personale, che il creditore esercita contro il debitore, può essere diretta all’esecuzione in forma specifica, così da ottenere il soddisfacimento diretto del proprio interesse al conseguimento del bene dovuto, oppure, quando ciò non sia possibile o non rivesta più utilità per il creditore, al risarcimento del danno per equivalente.

La conversione della pretesa creditoria e del danno subìto dal creditore in una somma di denaro (cd. “liquidazione”) è oggetto di un procedimento di cognizione davanti al giudice.

E’ a questo punto che intervengono le norme di cui agli artt. 2740 e 2741 c.c.

L’art. 2740 c.c. stabilisce che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni  con tutti i suoi beni presenti e futuri, cioè con tutti i beni posseduti al momento dell’assunzione dell’obbligo e con tutti quelli successivamente pervenutigli (cd. garanzia patrimoniale generica).

Il patrimonio del debitore si trova quindi in una situazione di soggezione di fronte al diritto potestativo del creditore, di natura processuale, che si esprime nell’azione esecutiva.

Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse, se non nei casi stabiliti dalla legge (art. 2740, comma 2, c.c.).

Le fattispecie di responsabilità limitata sono dunque tipiche e tassative (es.: nel caso di accettazione di eredità con beneficio di inventario, ex art. 490 n. 2 c.c., l’erede è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati solo nei limiti di valore dei beni che gli sono pervenuti in successione).

L’art. 2741 c.c. stabilisce che i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore (cd. principio della par condicio creditorum), salve le cause legittime di prelazione.

Queste ultime sono costituite esclusivamente dai privilegi, dal pegno e dalle ipoteche.

Al di fuori delle cause legittime di prelazione, i creditori sono dunque posti su un piano di assoluta parità: nel caso in cui il patrimonio del debitore non sia sufficiente alla loro soddisfazione integrale, si procede ad una ripartizione proporzionale tra tutti coloro che hanno intrapreso l’azione esecutiva o sono intervenuti in essa.

Le cause di prelazione sono quindi tipiche, tassative e non suscettibili di ampliamento da parte della volontà privata.

Quest’ultima non può dunque “creare” delle cause di prelazione diverse ed ulteriori rispetto a quelle tipizzate dall’ordinamento.

Esse costituiscono uno jus singulare, per il quale non è ammessa estensione ad ipotesi similari.

Costituiscono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche.

Esse sono soggette ad alcuni principi comuni, quali, in particolare:

  • il diritto di seguito (jus sequelae): il diritto del creditore ipotecario, pignoratizio o assistito da un privilegio speciale “segue” il bene nell’ipotesi di suo trasferimento a terzi, sicché il creditore conserva il diritto di espropriare il bene anche nei confronti del terzo acquirente;
  • la surrogazione reale, in forza della quale il creditore può rivalersi sull’indennità corrisposta dall’assicuratore per il perimento o il deterioramento della cosa soggetta a privilegio, pegno o ipoteca (art. 2742 c.c.);
  • il principio di conservazione della garanzia: qualora la cosa data in pegno o sottoposta a ipoteca perisca o si deteriori, anche per caso fortuito, in modo da essere insufficiente alla sicurezza del creditore, questi può chiedere che gli sia prestata idonea garanzia su altri beni e, in mancanza, può chiedere l’immediato pagamento del suo credito (art. 2743 c.c.);
  • il divieto del patto commissorio (art. 2744 c.c.): è nullo il patto col quale si conviene che, in mancanza del pagamento del credito nel termine fissato, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passi al creditore. Il patto è nullo anche se posteriore alla costituzione dell’ipoteca o del pegno.

Ratio del divieto è sia quella di tutelare il debitore contro un’abusiva pressione psicologica da parte del creditore, sia quella di tutelare gli altri eventuali creditori estranei al patto contro un soddisfacimento preferenziale, al di fuori delle cause di prelazione previste dall’ordinamento.

La giurisprudenza ha peraltro dato vita ad un’interpretazione estensiva dell’art. 2744 c.c., affermando che il divieto del patto commissorio è operante anche al di fuori dei casi di ipoteca e di pegno, e si estende a qualunque negozio mediante il quale le parti intendano realizzare il fine concreto vietato dalla legge.

In tema di pignoramento, occorre infine ricordare la disposizione di cui all’art. 2911 c.c. Essa stabilisce che il creditore, il quale abbia un diritto di pegno su beni del debitore, non può pignorare altri beni del debitore medesimo, se non sottopone ad esecuzione anche i beni gravati dal pegno.

Analogamente, quando il creditore ha ipoteca, non può pignorare altri beni immobili, se non sottopone a pignoramento anche gli immobili gravati dall’ipoteca.

La medesima disposizione si applica se il creditore ha privilegio speciale su determinati beni.