Cass. civ., sez. V, ord., 24 giugno 2021 n. 18270


RILEVATO CHE

La società di costruzioni M., dichiarata fallita con sentenza del 27 luglio 2012, ha fatto ricorso in persona del curatore fallimentare avverso gli avvisi di accertamento con i quali il Comune di Scandicci ha contestato l’omesso versamento dell’IMU per gli anni 2012 e 2013. La ricorrente ha eccepito l’illegittimità degli avvisi in quanto emessi a carico della società successivamente alla sentenza dichiarativa del fallimento;- la non applicabilità di sanzioni interessi e la eccessività delle stime adottate dal Comune rispetto al reale valore di mercato dei beni. 

Costituendosi il Comune ha dedotto che la Corte d’appello di Firenze aveva revocato il fallimento.

In primo grado il ricorso è stato accolto, dando atto della pendenza del giudizio in cassazione sulla revocazione della sentenza dichiarativa del fallimento. Il Comune ha appellato la sentenza. La CTR della Toscana, con sentenza depositata in data 27 marzo 2017, ha respinto l’appello osservando che la sentenza di revoca della sentenza di fallimento produce i suoi effetti solo dal momento del passaggio in giudicato e non dalla data della sua pubblicazione; di conseguenza la società non poteva aver riacquistato, come erroneamente sostenuto dal Comune, la piena soggettività passiva IMU a seguito della revoca.

La CTR ha affermato inoltre che è rilevante non già la data del periodo d’imposta bensì il momento in cui si manifesta la pretesa tributaria in questo caso successivo all’apertura del fallimento.

Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Scandicci, affidandosi ad un motivo.

Ha resistito la società con controricorso, esponendo che effettivamente la Corte d’appello di Firenze con sentenza depositata il 27 febbraio 2013 ha revocato il fallimento della società, mentre la Corte di cassazione con sentenza 1264 depositata il 22 giugno 2016 ha cassato la predetta sentenza Corte d’appello. La causa è stata trattata all’udienza camerale non partecipata del 19 maggio.

Il Comune di Scandicci ha depositato memoria.

RITENUTO CHE

  1. Con il primo e unico motivo del ricorso, il Comune lamenta ai sensi dell’art. 360 n. 3) c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 9 del D.lgs. 23/2011, degli artt. 3 e 10 D.lgs. 504/1992 e degli artt. 1, 31 e 42 della legge fallimentare, dell’art. 1 della legge 296/2006 nonché dell’art. 53 della Costituzione.

Il Comune, ricordando che vi è stata revoca del fallimento, deduce che l’apertura del fallimento non incide sull’obbligazione tributaria afferente agli immobili acquisiti alla massa fallimentare perché l’IMU continua a maturare senza soluzione di continuità per tutta la durata del fallimento; l’imposta deve essere corrisposta dal curatore in un’unica soluzione entro tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili in questione; si tratta di un atto dovuto e il pagamento non modifica il rapporto obbligatorio il quale continua a restare in essere tra gli stessi soggetti, ovverossia il Comune dal lato attivo e il soggetto fallito titolare dei beni da quello passivo. La norma speciale rappresentata dall’articolo 10 non modifica il presupposto applicativo dell’imposta e i Comuni devono comunque esercitare il credito entro il termine di decadenza di cui all’articolo 1 della legge 296 del 2006 e quindi sono pienamente legittimi gli atti impositivi formati a carico del soggetto fallito.

  1. Il motivo è infondato. 

Deve premettersi che gli effetti della sentenza di fallimento- la cui provvisoria esecutività, disposta dall’art. 16, comma 2, l.fall., non è suscettibile di sospensione- vengono meno solo con il passaggio in giudicato della decisione che, accogliendo il reclamo ex art. 18 l.fall., la revoca (v. Cass. 13100/2013; Cass. 1073 del 2018). Pertanto, alla revoca della dichiarazione di fallimento non consegue la restituzione in bonis del fallito se non dal suo passaggio in giudicato, che però in questo caso non è avvenuto, atteso che la sentenza della Corte d’appello di Firenze, come riferisce la controricorrente, è stata cassata.

Deve inoltre precisarsi che per quanto attiene all’imposta maturata antecedentemente al fallimento (primi sei mesi del 2012), l’art. 44 l.f. prevede il divieto di esigere pagamenti dal fallimento dovendo il creditore insinuarsi al passivo. Per i debiti sorti successivamente, e cioè l’imposta del restante semestre 2012 e l’IMU 2013, si applica l’art. 10 del D.lgs. 505/1992, comma sesto il quale prevede che: “per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa il curatore o il commissario liquidatore, entro novanta giorni dalla data della loro nomina, devono presentare al comune di ubicazione degli immobili una dichiarazione attestante l’avvio della procedura. Detti soggetti sono, altresì, tenuti al versamento dell’imposta dovuta per il periodo di durata dell’intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili”.

Pertanto il Comune non poteva legittimamente contestare l’omesso versamento dell’imposta per le annualità 2012 (secondo semestre) e successivi al fallimento, poiché il versamento si esegue con il “prelievo” dopo la vendita dell’immobile.

La sentenza dichiarativa di fallimento non postula infatti il venir meno del possesso da parte del fallito, il quale perde la sola detenzione.

Ciò che si produce con la sentenza dichiarativa di fallimento è un effetto traslativo dell’onere d’imposta, procrastinando il momento impositivo che viene così differito al momento in cui il curatore, in funzione di mero amministratore dei beni, vende l’immobile. Il versamento dell’imposta presuppone, quindi, il completamento del periodo di assoggettamento del fallimento all’imposta, in relazione all’immobile, perché tale periodo si conclude solo con il decreto di trasferimento della proprietà del bene all’aggiudicatario; il “prelievo” dal ricavato del prezzo di vendita presuppone la “prelevabilità”, la quale non può darsi prima del decreto di trasferimento del bene in forza del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 108.

Solo in ipotesi di mancato trasferimento dell’immobile, e restituzione del bene al fallito, ricadrà su quest’ultimo l’onere di versamento dell’imposta una volta tornato in bonis, al fine di estinguere il debito maturato durante il periodo fallimentare (v. Cass. n. 20953/2019 e Cass. 5015/2013).

 P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 8.000,000 oltre euro 200,00 per spese non documentabili e rimborso spese forfetarie ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso nella  camera di consiglio della V sez. della Corte di cassazione, il 19 maggio 2021, tenuta da remoto.

IL PRESIDENTE

Milena Balsamo

Depositato in Cancelleria il 24 giugno 2021


COMMENTO– L’organo fallimentare di una società di costruzione, dichiarata fallita nell’anno 2012, impugna gli avvisi di accertamento IMU relativi alle annualità d’imposta 2012 e 2013, sollevando varie doglianze, tra le quali quella di illegittimità degli atti impugnati, in quanto emessi nei confronti della società successivamente alla sentenza dichiarativa del fallimento.

Sia in primo che in secondo grado tale doglianza trova accoglimento, senza che rilevi in contrario l’avvenuta revoca del fallimento con sentenza della Corte d’appello di Firenze.

In particolare, la Commissione Tributaria Regionale per la Toscana motiva il rigetto dell’appello proposto dal Comune di Scandicci sull’assunto che la sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento produce i propri effetti solo a seguito del passaggio in giudicato, e non già con la sua mera pubblicazione: di conseguenza, poiché nei confronti di tale sentenza risultava ancora pendente il giudizio di legittimità, la società non poteva avere riacquistato la soggettività passiva a fini IMU, secondo quanto preteso dal Comune di Scandicci.

Avverso la sentenza di secondo grado il Comune di Scandicci propone ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo, che tuttavia viene integralmente respinto dall’ordinanza in commento.

Preliminarmente, viene confermata la statuizione di secondo grado secondo cui gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento – la cui provvisoria esecutività (sancita dall’art. 16, comma 2, R.D. 267/1942) non è suscettibile di sospensione- possono venire meno solo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che, accogliendo il reclamo ex art. 18 R.D. 267/1942, la revochi.

Nel caso di specie, tale passaggio in giudicato non si era mai verificato, posto che la sentenza di revoca della dichiarazione di fallimento, emessa dalla Corte di Appello di Firenze, era stata riformata dalla Corte di Cassazione.

Di conseguenza, quindi, gli effetti della sentenza dichiarativa di fallimento non erano mai venuti meno.

Posta tale premessa, l’ordinanza in commento distingue il debito IMU relativo ai primi sei mesi dell’anno di imposta 2012 da quello relativo al secondo semestre del predetto anno e all’anno 2013.

Per i primi sei mesi del 2012, anteriori alla sentenza dichiarativa del fallimento, il Comune di Scandicci deve provvedere all’insinuazione del proprio credito al passivo fallimentare, stante l’inefficacia dei pagamenti non concorsuali eseguiti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento (art. 44 R.D. 267/1942).

Per il secondo semestre 2012 e per l’annualità di imposta 2013, gli avvisi di accertamento impugnati sono invece illegittimi, posto che l’art. 10, comma 6, D.lgs. 504/1992 (erroneamente indicato in sentenza come “D.lgs. 505/1992”) stabilisce che, per gli immobili compresi nel fallimento o nella liquidazione coatta amministrativa, il curatore o il commissario liquidatore sono tenuti al versamento dell’imposta dovuta per il periodo di durata dell’intera procedura concorsuale entro il termine di tre mesi dalla data del decreto di trasferimento degli immobili.

Tale norma impediva al Comune di Scandicci di contestare legittimamente l’omesso versamento dell’IMU per il secondo semestre 2012 e per il 2013, poiché il versamento dell’imposta dovuta per le annualità successive alla dichiarazione di fallimento doveva eseguirsi unicamente con il “prelievo” dopo la vendita dell’immobile.

La sentenza dichiarativa di fallimento priva il soggetto fallito della sola detenzione dell’immobile, ma non anche del suo possesso rilevante a fini IMU.

Relativamente a tale imposta, la sentenza dichiarativa di fallimento produce un effetto traslativo del relativo onere, che passa dal soggetto fallito al curatore fallimentare, e differisce l’imposizione al momento in cui il curatore stesso, in funzione di mero amministratore dei beni, vende l’immobile. 

Solo a seguito del decreto di trasferimento della proprietà del bene immobile all’aggiudicatario diviene infatti possibile il “prelievo” dal ricavato del prezzo di vendita.

Nessuna “prelevabilità” è invece possibile prima del decreto di trasferimento del bene, in forza dell’art. 108 R.D. 267/1942.

Solo in caso di mancato trasferimento dell’immobile e di conseguente restituzione del bene al fallito, ricade su quest’ultimo l’onere di versamento dell’imposta, una volta tornato in bonis, al fine di estinguere il debito maturato durante il periodo fallimentare (Cass. civ., sez. I, 28 febbraio 2013 n. 5015 e Cass. civ., sez. V, ord., 06 agosto 2019 n. 20953).

In conclusione, quindi, il ricorso per Cassazione del Comune di Scandicci viene interamente respinto, con integrale conferma della sentenza di secondo grado impugnata.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano- Roma