Corte Giustizia Tributaria di Secondo Grado Campania, sez. XIII, 18 ottobre 2022 n. 6855


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

All’esito di una verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza di Vieste per i periodi d’imposta dal 2013 al 2016, Agenzia delle Entrate di Napoli emetteva nei confronti della società R.D. SRL gli avvisi di accertamento IRAP e IVA.

Nel corso dell’attività di controllo la GdF accertavano che l’amministratore e socio unico della società, M. C. era in realtà un prestanome. Questi, infatti, questi riferiva di non disporre della documentazione contabile della società, in quanto interamente consegnata a tale R. F. nuovo amministratore della società dal maggio 2016, risultato irreperibile; che nel 2014 aveva acquistato le quote della società da tale C. M., conosciuta a Vieste, oltre che da altri soci di cui non ricordava il nome, divenendo così amministratore e socio unico della R.D. SRL; di non ricordare il prezzo pattuito per l’acquisto delle quote né riusciva a dimostrarne l’effettivo pagamento. Asseriva di aver risieduto a Sulmona per tutta la durata della carica di amministratore della prefata S.R.L., recandosi sporadicamente presso la sede della società, in Vieste, percependo un rimborso spese; nulla sapeva riferire sulla gestione dell’attività commerciale. Dalle dichiarazioni dei dipendenti emergeva che i reali amministratori della società R.D. SRL erano C. M., R. A. (genero della C.), S. M. (figlia della C.) e R. C. (fratello di R. Aldo). La società veniva dichiarata fallita nel 2017 e neppure il curatore fallimentare era in grado di fornire ai militari la documentazione contabile della società.

Gli avvisi di accertamento venivano notificati a R.A., S. M. e C. M. amministratori di fatto della società, che li impugnavano separatamente dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli.

Con proprio ricorso S. M. censurava l’illegittimità delle sanzioni irrogate, in quanto applicabili alla sola persona giuridica, ex art. 7 del D.L. 269/2003. La parte contestava la qualità di amministratrice di fatto della società e di aver costituito la società al solo scopo di commettere violazioni e illeciti. Denunciava, altresì, la violazione dell’obbligo di contraddittorio, nonché l’omessa allegazione del Processo Verbale di Constatazione all’atto impugnato.

Instava per la sospensione del giudizio tributario, in attesa dell’esito di quello penale.

L’Ufficio, costituitosi in giudizio, difendeva la legittimità del proprio operato.

La Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con sentenza n. 10412/08/2021, pronunciata in data 29.09.2021 e depositata in segreteria il 01.10.2021, riuniti i ricorsi proposti da R. A., S. M. e C. M., ne dichiarava l’inammissibilità, compensando le spese di lite.

Evidenziavano i giudici di prime cure che l’avviso, anche se notificato ai ricorrenti quali amministratori di fatto della società, non conteneva alcuna richiesta nei loro confronti, in proprio, neanche a titolo di sanzione.

Affermavano che l’avviso riguardava la società e recava il riferimento alle sole maggiori imposte accertate a carico della stessa; che la stessa Agenzia aveva evidenziato che gli amministratori di fatto non erano stati ritenuti coobbligati al pagamento delle sanzioni amministrative irrogate nei confronti della società, come poteva evincersi dalle iscrizioni a ruolo relative alle maggiori imposte e sanzioni irrogate nei confronti della società in relazione agli accertamenti TF503AM02740/2020 e TF503AM02746/2020 emessi nei confronti della RD s.r.l. per gli anni d’imposta 2015 e 2016. Gli amministratori di fatto non erano, dunque, legittimati ad impugnare l’avviso in proprio; pertanto, i ricorsi proposti venivano dichiarati inammissibili per difetto di interesse dei ricorrenti e le spese di giudizio compensate.

Propone gravame S. M., denunciando l’illegittimità della sentenza di primo grado nella parte in cui ha dichiarato inammissibile il ricorso, non avendo l’Ufficio sollevato tale eccezione e non ricorrendo valide ragioni per escludere la legittimazione ad agire avverso i predetti atti impositivi.

Ribadisce, dunque, le ragioni sottese all’impugnazione dell’atto impositivo.

Si è costituito in giudizio l’Ufficio, ribadendo la piena legittimità e fondatezza dell’atto impugnato, evidenziando che, nel merito, il ricorso in appello presentato dalla controparte è infondato.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il D.Lgs. 472/1997, contenente Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, all’art. 2, comma 2, stabilisce la regola generale secondo cui “la sanzione è riferibile alla persona fisica che ha commesso la violazione”.

L’art. 11 del medesimo decreto prevede la responsabilità solidale del soggetto (persona fisica o persona giuridica) nel cui interesse ha agito l’autore della violazione.

Tale assetto ha trovato parziale deroga ad opera dell’articolo 7 del D.L. n. 269/2003, in forza del quale le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale riferibile a società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica. Ratio della previsione è di porre l’onere sanzionatorio a carico di un soggetto dotato di personalità giuridica, diverso rispetto a alla persona fisica che ha materialmente posto in essere l’azione illecita nell’interesse del primo.

Per tale motivo, l’avviso di accertamento relativo ad imposte, interessi e sanzioni dovute da una società di capitali va notificato all’amministratore e legale rappresentante della stessa.

L’amministratore di fatto, invece, è privo della legittimazione ad essere destinatario dell’avviso di accertamento rivolto alla società di capitali, il che è agevolmente evincibile dalla lettura congiunta degli artt. 145 c.p.c. e 60 d.P.R. n. 600 del 1973 che prevedono che la notifica alle persone giuridiche avvenga mediante consegna alla persona che rappresenta l’ente (ovvero ad altri soggetti legittimati indicati dalla norma).

Il meccanismo derogatorio di cui all’art. 7 D.L.n. 269/2003, tuttavia, non si applica quando l’autore della violazione tributaria abbia agito non nell’interesse ed a vantaggio della persona giuridica bensì nel suo esclusivo interesse.

In tal caso riprende vigore il principio di personalità della responsabilità da illecito tributario di cui all’art. 2 del D.Lgs. 472/1997, sicché il soggetto autore delle violazioni tributarie, che abbia tratto vantaggio personale dalla condotta illecita, può essere chiamato a rispondere delle sanzioni irrogate alla persona giuridica.

In tal caso l’amministratore al quale sia notificato, nella sua veste di responsabile solidale per interessi e sanzioni, un avviso di accertamento relativo ad imposte dovute dalla società, è legittimato ad impugnare il suddetto avviso oltre che per ragioni personali e soggettive (quali il difetto della carica di amministratore all’epoca dei fatti), anche per motivi inerenti il merito della pretesa tributaria, nella misura in cui tale doglianza è preordinata a sottrarsi al pagamento di interessi e sanzioni.

Nel caso di specie gli avvisi di accertamento sono stati notificati a S.M. quale amministratrice di fatto, ma quest’ultima non è stata oggetto di alcuna richiesta di pagamento, in qualità di coobbligata, per interessi e sanzioni irrogate alla società ai sensi dell’art. 7 del D.L. 269/2003, come si può agevolmente constatare dalle iscrizioni a ruolo (allegate in primo grado).

Correttamente, dunque, la CTP ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione, non essendo S.M. legittimata ad impugnare in proprio l’avviso di accertamento emesso nei confronti della società.

L’appello va, pertanto, rigettato.

In considerazione della tipologia del caso, della peculiarità delle questioni trattate, delle vicende processuali così come esposte in narrativa, il Collegio ritiene sussistano le ragioni per pervenire ad una integrale compensazione delle spese del giudizio, ai sensi dell’art. 15, comma 1 Decreto Legislativo n. 546/1992 e art. 92, comma 2, c.p.c..

Si demanda la segreteria per la comunicazione del dispositivo della presente sentenza secondo i dettami dell’art. 37, comma 2 del Decreto Legislativo n. 546/1992.

P.Q.M.

La Corte di Giustizia Tributaria di II Grado della Campania, Sezione Tredicesima, pronunciando sull’appello così provvede:

Dichiara il ricorso inammissibile. Compensa le spese.

Così deciso in Napoli, in data 11 ottobre 2022


COMMENTO REDAZIONALE  – La pronuncia in commento dichiara inammissibile per difetto di interesse ad agire il ricorso proposto in proprio dall’amministratore di fatto di una società di capitali avverso l’avviso di accertamento emesso nei confronti di quest’ultima.

Malgrado l’avviso di accertamento relativo ad imposte, interessi e sanzioni dovute da una società di capitali debba essere notificato all’amministratore e legale rappresentante della stessa, il predetto soggetto non è responsabile in solido con la società, e pertanto risulta privo della legittimazione ad impugnare in proprio l’avviso di accertamento ad essa relativo.

Nel caso di specie, gli avvisi di accertamento erano stati notificati all’amministratore di fatto, senza che a quest’ultimo fosse stata rivolta alcuna richiesta di pagamento, in qualità di coobbligato, per interessi e sanzioni irrogate alla società, ai sensi dell’art. 7 D.L. 269/2003 (norma secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale riferibile a società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica).

Manca, pertanto, qualsiasi legittimazione attiva dell’amministratore di fatto alla proposizione in proprio di un ricorso avverso l’avviso di accertamento rivolto alla società.