Corte Costituzionale, (26 maggio 2020) 08 luglio 2020 n. 142


Svolgimento del processo

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 4, del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento nel procedimento vertente tra G. L. in proprio e quale ex socio unico, ex amministratore ed ex liquidatore della T.E. srl e l’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Benevento, con ordinanza del 13 marzo 2019, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito il Giudice relatore Franco Modugno nella camera di consiglio del 26 maggio 2020, svolta ai sensi del decreto della Presidente della Corte del 20 aprile 2020, punto 1), lettera a);

deliberato nella camera di consiglio del 26 maggio 2020.

1.- Con ordinanza depositata il 13 marzo 2019 (r. o. n. 142 del 2019), la Commissione tributaria provinciale (CTP) di Benevento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 28 del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata), in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione.

Il rimettente dubita della legittimità costituzionale dell’art. 28 del citato D.Lgs. n. 175 del 2014, il quale, nel disporre che “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”, differirebbe l’efficacia dell’estinzione della società con riguardo ai soli rapporti con l’amministrazione finanziaria e farebbe rivivere per un lungo lasso di tempo un soggetto estinto.

Così operando, la norma, per un verso, determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra l’amministrazione finanziaria e gli altri creditori sociali e, per l’altro, sarebbe affetta da eccesso di delega, trattandosi di intervento che eccede dal perimetro delle misure finalizzate all’eliminazione degli adempimenti superflui o di scarsa utilità, previste dalla delega conferita dalle Camere con l’art. 7 della L. 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita).

1.1.- La CTP di Benevento premette che la vicenda trae origine dal contenzioso tributario tra l’Agenzia delle Entrate e la società T.E. srl, la quale, a seguito della chiusura della procedura di liquidazione volontaria, chiedeva la cancellazione dal registro delle imprese in data 5 agosto 2017, cancellazione successivamente eseguita in data 22 agosto 2017.

L’Agenzia delle entrate – Direzione provinciale di Benevento notificava alla suindicata società in data 7 dicembre 2017, successivamente quindi all’avvenuta cancellazione della stessa dal registro delle imprese, alcuni avvisi con cui venivano accertati per i periodi di imposta 2013 e 2014 maggiori tributi a titolo di imposta sui redditi delle società (I.), imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e imposta sul valore aggiunto (IVA), oltre a sanzioni e interessi.

1.2.- In fatto, il giudice a quo riporta che, con ricorso depositato in data 14 febbraio 2018, G. L., sia in proprio sia in quanto ex socio, ex amministratore ed ex liquidatore della società T.E. srl, faceva valere la nullità degli avvisi, in quanto emessi in epoca successiva alla cancellazione della società dal registro delle imprese e, quindi, nei confronti di un soggetto giuridico inesistente.

1.3.- In punto di rilevanza, la Commissione tributaria provinciale di Benevento deduce che, in caso di accoglimento della questione, e in linea con la giurisprudenza di legittimità formatasi precedentemente all’introduzione della norma censurata, dovrebbe considerarsi nullo l’avviso di accertamento, in quanto notificato alla società successivamente alla cancellazione della stessa dal registro delle imprese.

1.4.- Sulla non manifesta infondatezza delle questioni, il giudice a quo rileva che differire l’efficacia dell’estinzione della società con riguardo ai soli rapporti con l’amministrazione finanziaria, facendo rivivere per un lungo lasso di tempo un soggetto estinto, determina una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri creditori sociali. Riguardo a questi ultimi, infatti, l’estinzione della società coincide con la sua cancellazione dal registro delle imprese e risulta irrilevante l’esistenza di eventuali debiti societari, rapporti non definiti o procedimenti ancora pendenti.

1.5.- Sotto altro profilo, il legislatore delegato sarebbe incorso anche in un eccesso di delega, in quanto la scelta di rendere inefficace nei confronti dell’amministrazione finanziaria l’intervenuta estinzione di un soggetto giuridico non potrebbe farsi rientrare tra le misure finalizzate all’eliminazione degli adempimenti superflui o di scarsa utilità, ai quali, invece, faceva riferimento la delega contenuta nell’art. 7 della L. n. 23 del 2014, richiamato dallo stesso D.Lgs. n. 175 del 2014.

1.6.- Il giudice a quo rileva che dubbi analoghi sarebbero stati espressi anche dalla Corte di cassazione, sezione quinta, sentenza 24 aprile 2015, n. 6743, che tuttavia avrebbe omesso, a parere del rimettente, di sollevare questione di legittimità costituzionale in ragione della ritenuta inapplicabilità, ratione temporis, alla fattispecie di causa dell’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014.

1.7.- Ritiene da ultimo il rimettente che “la norma in questione non appare prestarsi, per il chiaro tenore letterale, ad interpretazioni costituzionalmente orientate”.

2.- Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate.

2.1.- Con riferimento al profilo di incostituzionalità per violazione del principio di uguaglianza, il Presidente del Consiglio dei ministri rileva che la “”sopravvivenza fiscale” della società” consente al fisco di “provvedere al recupero del proprio credito, in maniera uniforme a quanto previsto per le società che non abbiano richiesto la propria cancellazione”.

Secondo la difesa statale, infatti, in assenza della norma censurata, i termini previsti dalla normativa civilistica sarebbero così stringenti da impedire, di fatto, o, comunque sia, da rendere eccessivamente gravosa, l’attività di controllo prevista dalla normativa fiscale.

Del resto, la discrasia tra la normativa civilistica e quella tributaria sarebbe da imputare alle diverse finalità che la prima si prefigge rispetto alla seconda, “come sembra confermare la stessa relazione illustrativa al decreto semplificazioni”.

In altri termini, la norma sottoposta a scrutinio di costituzionalità sarebbe per l’amministrazione finanziaria necessaria per svolgere, “nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento di cui all’articolo 97 della Costituzione, le ordinarie attività a cui la stessa è demandata”.

Al riguardo la difesa statale rileva come, prima che venisse adottato l’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, l’amministrazione finanziaria si trovava spesso nella situazione di dover concentrare le proprie attività di controllo in un tempo assai ridotto, rispetto a quello ordinariamente previsto per le imprese in attività, tanto che tale “situazione determinava di fatto una differenza ingiustificata di trattamento di situazioni simili”.

A supporto di tale affermazione, l’Avvocatura generale dello Stato ricorda come il termine previsto per la presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette, pari all’ultimo giorno del nono mese successivo alla chiusura della liquidazione stessa o, nel caso sia prescritto in via telematica, al deposito del bilancio finale di liquidazione, va di là dal termine previsto dalla normativa civilistica per la cancellazione dal registro delle imprese. In assenza della norma censurata, pertanto, l’amministrazione finanziaria avrebbe un lasso di tempo ridotto per effettuare nei tempi prescritti i necessari controlli, e tali attività ricadrebbero, comunque sia, “in un momento successivo alla presentazione della dichiarazione, e quindi a società presumibilmente ormai estinta”.

La norma censurata ha, pertanto, uniformemente disciplinato situazioni simili, poiché ha equiparato l’attività amministrativa di controllo dell’operato delle imprese in stato di liquidazione a quella riguardante le altre società, così rimovendo – come, del resto, risulterebbe anche dalla relazione illustrativa al decreto semplificazioni – la disparità di trattamento che era invece determinata dall’applicazione della disciplina civilistica.

In aggiunta, l’Avvocatura generale dello Stato deduce che la concentrazione dei controlli e delle eventuali azioni di recupero, determinata dai termini previsti dalla disciplina civilistica, avrebbe comportato un dispendio di risorse non sempre giustificato, con “evidenti effetti anche sull’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa”. A tal fine, pertanto, la normativa censurata impedirebbe, in punto di fatto, che la pretesa creditoria dell’amministrazione finanziaria sia convogliata solo verso una parte dei contribuenti, in violazione del principio di cui all’art. 53 Cost. 

2.2.- Riguardo alla violazione dell’art. 76 Cost., l’Avvocatura generale dello Stato, rileva come, dal combinato disposto degli artt. 1, comma 1, lettera c) e 7, comma 1, lett. b), della L. N. 23 del 2014, il Governo sia “stato delegato a provvedere alla “revisione degli adempimenti che risultino di scarsa utilità””, anche mediante “la “definizione di una disciplina unitaria degli atti dell’amministrazione finanziaria””.

A questi fini sarebbe stato introdotto l’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, il quale si riferisce ad un istituto civilistico, ossia l’estinzione automatica dopo la cancellazione della società dal registro delle imprese, la cui efficacia sarebbe di ostacolo all’attività di controllo e accertamento dell’amministrazione tributaria e, pertanto, “ben peggiore che una mera scarsa utilità”.

Rileva, infatti, la difesa dello Stato che gli obiettivi posti dalla delega riguarderebbero non soltanto la riduzione e l’eliminazione degli adempimenti superflui a carico dei contribuenti, ma in generale “il raggiungimento di un sistema fiscale più equo, trasparente ed orientato alla crescita attraverso il perseguimento di una maggiore coerenza ed uniformità dell’esercizio dei poteri tributari”.

In questa prospettiva, l’art. 28 del D.Lgs. n. 175 del 2014 rispetterebbe tutti gli obiettivi fissati dalla legge di delega, poiché detterebbe una serie di previsioni finalizzate, sia alla semplificazione di alcuni oneri amministrativi a carico delle imprese, in linea con quanto previsto dall’art. 1, comma,1 lettera b) e dall’art. 7, comma 1, lettere a) e b) della L. n. 23 del 2014, sia alla razionalizzazione di alcuni strumenti di contrasto ai fenomeni di frode ed evasione fiscale, in linea con quanto previsto dall’art. 1, comma 1, lettere a) e c) della medesima legge. Su questa linea si collocano le previsioni, di cui ai commi 4 e 5 della disposizione censurata, con le quali si prevede un rafforzamento, rispetto alla previgente disciplina, dei poteri a disposizione dell’amministrazione finanziaria nei confronti delle imprese che hanno formalmente concluso la procedura di liquidazione.

Con specifico riguardo all’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, si rileva come esso persegua una duplice finalità: per un verso, consente la pianificazione e il potenziamento delle attività di recupero e controllo delle società in liquidazione, seguendo le stesse modalità e tempistiche previste per le altre imprese; per l’altro, salvaguarda le stesse società cancellate dal registro delle imprese, le quali non vengono così gravate dalle attività di controllo e recupero che subirebbero nella fase di chiusura della liquidazione.

2.3.- Aggiunge l’Avvocatura generale dello Stato che la norma censurata, permettendo, peraltro, all’amministrazione di rivolgersi direttamente alla società cancellata e non al liquidatore, a titolo risarcitorio, e ai soci, nei limiti del ricevuto, solleva gli uffici finanziari dall’onere della prova sul nesso tra il mancato pagamento del tributo e il pagamento di crediti non tributari di grado inferiore da parte del liquidatore o l’assegnazione di bene ai soci in dispetto dall’obbligo tributario. In tal modo, dunque, la norma ripristinerebbe una situazione di parità tra l’amministrazione e il contribuente, “la cui decisione di cancellarsi determinerebbe altrimenti l’insorgere di oneri particolarmente gravosi in funzione del recupero del credito”.

2.4.- In conclusione, la difesa statale pone in evidenza come la prospettata interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata sarebbe non irragionevole, poiché attraverso essa risulterebbe che, così interpretato, l’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, non solo garantirebbe il rafforzamento delle attività di controllo e recupero fiscale, ma, ribadisce l’Avvocatura, avrebbe altresì una duplice finalità.

Per un verso, equiparerebbe il trattamento fiscale delle società in liquidazione a quello previsto dalla legge per le altre società, in quanto la disciplina disposta dall’art. 2495, secondo comma, cod.civ., funzionale a garantire in tempi brevi e certi la realizzazione degli effetti della cancellazione dal registro delle imprese, renderebbe di difficile realizzazione i controlli e le azioni di recupero fiscale, regolati dalle disposizioni che ne prevedono lo sviluppo e, a volte, l’avvio in tempi successivi a quelli previsti dalla disciplina civilistica dell’estinzione delle società. Per l’altro, razionalizzerebbe il trattamento fiscale delle società in stato di liquidazione in linea con i principi e i criteri direttivi stabiliti dalla L. n. 23 del 2014, così evitando particolari turbative ai contribuenti, conseguenti alla necessaria concentrazione dei controlli nel periodo ordinario di scioglimento e liquidazione della società, con “evidenti effetti benevoli anche in termini di semplificazione, efficacia ed economicità dell’azione amministrativa”.

Motivi della decisione

1.- La Commissione tributaria provinciale di Benevento (ordinanza r. o. n. 142 del 2019) censura l’art. 28 del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata), sebbene i dubbi di legittimità costituzionale riguardino, invero, il solo comma 4 del citato art. 28, il quale prevede che, “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese”, e per la sola parte in cui tale disposizione fa riferimento ai tributi, alle sanzioni e agli interessi e non anche ai contributi. È esclusivamente all’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 174 del 2015, nella parte relativa ai tributi (e relativi accessori) che, per ciò, le questioni vanno delimitate.

Secondo il giudice a quo, la disposizione censurata, differendo l’efficacia dell’estinzione delle società cancellate dal registro delle imprese con riguardo ai soli rapporti con l’amministrazione finanziaria e facendo, così, rivivere per un lungo lasso di tempo un soggetto estinto, violerebbe innanzitutto l’art. 3 della Costituzione, poiché determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra l’amministrazione finanziaria e gli altri creditori sociali. Sarebbe del pari violato l’art. 76 Cost., trattandosi di intervento che eccede dal perimetro delle misure finalizzate all’eliminazione degli adempimenti superflui o di scarsa utilità, indicate dalla delega conferita dalle Camere con l’art. 7 della L. 11 marzo 2014, n. 23 (Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita)

2.- Le questioni non sono fondate.

3.- Quanto alla censura di violazione dell’art. 76 Cost. – logicamente prioritaria, poiché incidente sul piano delle fonti – la giurisprudenza di questa Corte è costante nel ritenere che la delega legislativa non esclude ogni discrezionalità del legislatore delegato, la quale può essere più o meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega: pertanto, per valutare se il legislatore abbia ecceduto da tali margini di discrezionalità, occorre individuare la ratio della delega, per verificare se la norma delegata sia con questa coerente (ex plurimis, sentenze n. 96 del 2020 e n. 10 del 2018).

In particolare, l’art. 76 Cost. non impedisce l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo e, se del caso, anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante, dovendosi escludere che la funzione del legislatore delegato sia limitata ad una mera scansione linguistica delle previsioni stabilite dal primo. Di conseguenza, neppure l’assenza di un’espressa previsione del legislatore delegante può impedire, a certe condizioni, l’adozione di norme da parte del delegato, trattandosi in tal caso di verificare che le scelte di quest’ultimo non siano in contrasto con gli indirizzi generali della legge delega (sentenze n. 79 del 2019, n. 212 del 2018 e n. 278 del 2016).

La verifica della conformità della norma delegata alla norma delegante postula, in definitiva, un confronto tra gli esiti di due processi ermeneutici paralleli, l’uno relativo alla norma che determina l’oggetto, i principi e i criteri direttivi della delega; l’altro relativo alla norma delegata, da interpretare nel significato compatibile con questi ultimi (sentenze n. 96 del 2020, n. 170 del 2019 e n. 198 del 2018).

3.1.- Per quanto attiene più specificamente all’odierno thema decidendum, coglie nel segno il rimettente quando rileva che l’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014 non può essere considerato come attuazione delle previsioni di cui al comma 1 dell’art. 7 dellaL. N. 23 del 2014, in quanto la disciplina introdotta dalla norma censurata non può ritenersi volta alla revisione dei regimi fiscali (lettera a) o all’eliminazione degli adempimenti superflui (lettera b), né, tantomeno, alla revisione delle funzioni dei sostituti di imposta, dei centri di assistenza fiscale e degli intermediari fiscali (lettera c), sui quali verte la citata disposizione della legge di delega.

3.2.- Se, alla luce del richiamato orientamento di questa Corte, la verifica di conformità deve essere condotta in riferimento agli indirizzi generali della delega, la circostanza che la norma censurata non trovi copertura in una singola disposizione della legge di delega non è motivo, di per sé sufficiente, per ritenere integrata la violazione dell’art. 76 Cost. La valutazione di conformità deve essere condotta, infatti, mediante uno scrutinio che tenga conto della delega nella sua globalità e che, pertanto, non deve neppure considerarsi limitato alle sole disposizioni della legge di delega richiamate espressamente nel decreto delegato.

3.3.- Ciò posto, ai fini del presente scrutinio, vengono in rilievo i principi e i criteri direttivi di cui agli artt. 1, comma 1, lettere a) e c), e 3, comma 1, lettera a), della L. n. 23 del 2014, dai quali risulta che il legislatore ha delegato il Governo ad adottare misure volte a uniformare, tendenzialmente, la disciplina delle obbligazioni tributarie (art. 1, comma 1, lettera a), a razionalizzare i poteri dell’amministrazione finanziaria anche con riguardo alla disciplina della efficacia e validità degli atti di accertamento (art. 1, comma 1, lettera c) e a razionalizzare e sistematizzare la disciplina dell’attuazione e dell’accertamento relativa alla generalità dei tributi (art. 3, comma 1, lettera a), al fine di apportare “uniformità e chiarezza nella definizione delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive dei contribuenti e delle funzioni e dei procedimenti amministrativi” (art. 3, comma 1).

Alla luce delle citate disposizioni, fra i contenuti della delega si delinea un obiettivo di generale razionalizzazione dell’azione amministrativa, in materia di attuazione e accertamento dei tributi, al fine di agevolare la definizione delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive dei contribuenti.

3.4.- Così individuati i contenuti della delega, per valutare la conformità ad essi dell’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, occorre muovere dalla considerazione che tale disposizione – nello stabilire che “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese” – si inserisce, derogandola, nella disciplina civilistica della cancellazione delle società dal registro delle imprese.

3.5.- Riguardo a quest’ultima, è necessario brevemente rammentare che, ponendo fine ad un annoso dibattito, l’art. 4 del D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366) ha riscritto l’art. 2495 cod. civ., il quale, per ciò che qui rileva, al secondo comma prevede che, “ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società”.

3.6.- Sulla citata disposizione sono intervenute le sezioni unite della Corte di cassazione, le quali, per un verso, hanno chiarito che la cancellazione dal registro delle imprese determina in ogni caso l’estinzione delle società di capitali, ritenendo, peraltro, la norma estensibile anche alle società di persone (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 22 febbraio 2010, n. 4060, n. 4061 e n. 4062); per l’altro, che l’estinzione della società si produce anche qualora rimangano debiti insoddisfatti, poiché, in tale evenienza, i creditori potranno far valere, comunque sia, le loro ragioni nei confronti dei soci, considerati successori universali seppur sui generis, e, se in colpa, nei confronti dei liquidatori (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenze 12 marzo 2013, n. 6070, n. 6071 e n. 6072). Si è inoltre affermato, con le medesime pronunce, che, dopo l’estinzione, la società non può agire in giudizio o essere legittimamente convenuta e che, qualora l’estinzione intervenga in pendenza di giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, con possibile successiva o eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.

3.7.- Come si legge nella relazione governativa al decreto delegato, la disciplina civilistica, sinteticamente richiamata, se, per un verso, risulta “funzionale a garantire tempi brevi e certi della cancellazione e della realizzazione dei conseguenti effetti”, per l’altro, “rende di difficile realizzazione i controlli e le azioni di recupero fiscale, regolati da disposizioni che ne prevedono lo sviluppo e, a volte, l’avvio in tempi successivi a quelli previsti dall’art. 2495 del codice civile per l'”estinzione” della società”.

Sul punto l’Avvocatura generale dello Stato ha messo correttamente in evidenza che la disciplina della cancellazione delle società dal registro delle imprese e la conseguente perdita di capacità e soggettività dell’ente è di ostacolo alle attività svolte dall’amministrazione finanziaria nei confronti di quest’ultimo.

3.8.- Proprio per sopperire alle divergenze tra la disciplina civilistica e la struttura e le finalità specifiche del controllo tributario, è stato introdotto l’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014.

Tale disposizione, anche a fronte dell’estinzione della società di capitali (e di persone, come ha avuto modo di chiarire la Corte di cassazione, sezione quinta civile, sentenza 24 aprile 2015, n. 6743), consente la stabilizzazione degli atti dell’amministrazione finanziaria, potendo, infatti, quest’ultima effettuare le attività di controllo e di accertamento negli ordinari termini previsti dalla disciplina tributaria, nonché notificare i relativi atti direttamente all’originario debitore.

Tale interpretazione trova conferma nella formulazione dello stesso art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, nel quale il termine quinquennale è stato individuato – si legge ancora nella citata relazione governativa – “avuto riguardo ai termini di cui agli articoli 43, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972 che disciplinano, rispettivamente, i termini per l’accertamento in ipotesi di omessa dichiarazione II.DD. o IVA”.

Così chiarita la ratio della norma censurata, la scelta del Governo non è estranea agli obiettivi di razionalizzazione dell’azione amministrativa in materia di attuazione e accertamento dei tributi perseguiti dalla delega e, anzi, si pone in linea di continuità e complementarità rispetto a tali obiettivi. Tale scelta, infatti, consentendo all’amministrazione finanziaria di compiere le ordinarie attività di accertamento nonostante l’estinzione della società, agevola la definizione delle situazioni giuridiche soggettive passive e attive del contribuente.

3.9.- Occorre considerare, poi, che la possibilità di notificare validamente gli atti intestati ad un soggetto non più esistente si presenta coerente con il sistema tributario complessivamente considerato, in quanto l’art. 65, quarto comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi), permette, con riguardo alle persone fisiche, che “la notifica degli atti intestati al dante causa possa essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al secondo comma”.

4.- Non sussiste neppure la denunciata violazione dell’art. 3 Cost. 

4.1.- La disciplina di cui all’art. 28, comma 4, del D.Lgs. n. 175 del 2014, nel favorire l’adempimento dell’obbligazione tributaria verso le società cancellate dal registro delle imprese, non determina l’ingiustificata disparità di trattamento denunciata dal rimettente.

Come ha avuto già modo di affermare questa Corte, non è configurabile una piena equiparazione fra le obbligazioni pecuniarie di diritto comune e quelle tributarie, per la particolarità dei fini e dei presupposti di queste ultime (sentenza n. 291 del 1997), che si giustificano con la “garanzia del regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato” (sentenza n. 281 del 2011), cui è volto il credito tributario.

In definitiva, l’interesse fiscale perseguito dalle obbligazioni tributarie giustifica lo scostamento dalla disciplina ordinaria.

4.2.- Del resto, questa Corte ha già avuto modo di prendere in considerazione le modifiche introdotte dall’art. 28, comma 4, del citato D.Lgs. n. 175 del 2014, rilevando come quest’ultimo si annoveri tra quelle disposizioni “orientate a preservare la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni tributarie” e che “segnano lo scostamento dalla disciplina ordinaria quale condizione di maggior favore per l’amministrazione finanziaria” (sentenza n. 90 del 2018).

5.- Le questioni vanno, pertanto, dichiarate non fondate in riferimento a entrambi i parametri evocati.

P.Q.M.

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 4, del D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 2020.

Depositata in Cancelleria il 8 luglio 2020.


COMMENTO – Con la sentenza in commento, la Corte Costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 4, D.lgs. 21 novembre 2014 n. 175 sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Benevento, in riferimento agli artt. 3 e 76 Costituzione.

La norma oggetto di esame dispone che “ai soli fini della validità e dell’efficacia degli atti di liquidazione, accertamento, contenzioso e riscossione dei tributi e contributi, sanzioni e interessi, l’estinzione della società di cui all’articolo 2495 del codice civile ha effetto trascorsi cinque anni dalla richiesta di cancellazione del Registro delle imprese“; tuttavia, a seguito dell’ordinanza di rimessione sollevata da un Giudice tributario, la disamina di legittimità costituzionale viene limitata alla parte della norma che fa riferimento ai tributi, alle sanzioni e agli interessi, con esclusione invece di ogni riferimento ai contributi, i quali esulano dalla giurisdizione del giudice a quo.

L’art. 28, comma 4, D.lgs. 175/2014 differisce l’efficacia dell’estinzione delle società cancellate dal registro delle imprese con riguardo ai soli rapporti con l’Amministrazione finanziaria, creando così una lunga parentesi temporale (di ben cinque anni) nell’ambito della quale la società è estinta per tutti i terzi creditori, eccetto che per l’Amministrazione finanziaria.

Tale situazione- secondo il giudice a quo– determinerebbe una lesione del principio di eguaglianza (’art. 3 Costituzione), causando un’ingiustificata disparità di trattamento tra l’Amministrazione finanziaria e gli altri creditori sociali. Determinerebbe inoltre una lesione dell’art. 76 Costituzione, trattandosi di intervento eccedente dal perimetro delle misure finalizzate all’eliminazione degli adempimenti superflui o di scarsa utilità, indicate dalla delega conferita con l’art. 7 Legge 11 marzo 2014 n. 23 (“Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”).

La Corte Costituzionale ha tuttavia ritenuto infondate le questioni di legittimità prospettate, in riferimento ad entrambi i parametri costituzionali invocati.

In merito alla censura di violazione dell’art. 76 Cost. – esaminata per prima, in quanto incidente sul piano delle fonti del diritto, e quindi ritenuta logicamente prioritaria- la Corte Costituzionale ha ribadito il principio secondo cui la delega legislativa non esclude a priori ogni discrezionalità del legislatore delegato. Tale discrezionalità può essere più o meno ampia, in relazione al grado di specificità dei criteri fissati nella legge delega, tenuto conto della ratio di quest’ultima.

L’art. 76 Costituzione non impedisce l’emanazione di norme che rappresentino un coerente sviluppo ed eventualmente anche un completamento delle scelte espresse dal legislatore delegante: di conseguenza, neppure l’assenza di un’espressa previsione del legislatore delegante può impedire, a determinate condizioni, l’adozione di norme da parte del delegato, trattandosi in tal caso di verificare che le scelte di quest’ultimo non siano in contrasto con gli indirizzi generali della legge delega.

Nel caso di specie, la Corte Costituzionale concorda con la conclusione del giudice a quo, secondo cui l’art. 28, comma 4, D.lgs. 175/2014 non può essere considerato come una mera attuazione delle previsioni di cui all’art. 7, comma 1, Legge 23/2014, non essendo diretto né alla revisione dei regimi fiscali, né all’eliminazione degli adempimenti superflui, né tantomeno alla revisione delle funzioni dei sostituti di imposta, dei centri di assistenza fiscale e degli intermediari fiscali (temi sui quali verte la predetta disposizione della legge di delega).

La circostanza che la norma censurata non trovi copertura in una singola disposizione della legge di delega non è tuttavia motivo, di per sé sufficiente, per ritenere integrata la violazione dell’art. 76 Costituzione, dovendo la valutazione di conformità essere condotta mediante uno scrutinio che tenga conto della delega nella sua globalità.

A tal fine, la Corte Costituzionale attribuisce rilievo ai principi e ai criteri direttivi di cui agli artt. 1, comma 1, lettere a) e c), e 3, comma 1, lettera a), Legge 23/2014, dai quali risulta che il legislatore abbia delegato il Governo ad adottare misure volte a uniformare, tendenzialmente, la disciplina delle obbligazioni tributarie (art. 1, comma 1, lettera a), a razionalizzare i poteri dell’Amministrazione finanziaria anche con riguardo alla disciplina dell’efficacia e della validità degli atti di accertamento (art. 1, comma 1, lettera c) e a razionalizzare e sistematizzare la disciplina dell’attuazione e dell’accertamento relativa alla generalità dei tributi (art. 3, comma 1, lettera a), al fine di apportare “uniformità e chiarezza nella definizione delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive dei contribuenti e delle funzioni e dei procedimenti amministrativi” (art. 3, comma 1).

Alla luce di tali disposizioni, tra i contenuti della delega si delinea un obiettivo di generale razionalizzazione dell’azione amministrativa, in materia di attuazione e accertamento dei tributi, al fine di agevolare la definizione delle situazioni giuridiche soggettive attive e passive dei contribuenti.

Rispetto a tale obiettivo di carattere generale, la norma di cui all’art. 28, comma 4, D.lgs. 175/2014 viene ritenuta conforme.

Con la riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative (art. 4 D.lgs. 17 gennaio 2003 n. 6), è stato interamente riscritto il testo dell’art. 2495 c.c., il cui secondo comma prevede ad oggi che “ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società“.

Come chiarito dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione, la cancellazione dal registro delle imprese determina in ogni caso l’estinzione delle società di capitali. Inoltre, a garanzia della parità di trattamento dei creditori sociali di tutte le tipologie di società, la norma è stata ritenuta estensibile anche alle società di persone (Cass. civ., Sezioni Unite, 22 febbraio 2010 n. 4060, n. 4061 e n. 4062).

Con altre successive pronunce, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno inoltre affermato il principio per cui l’estinzione della società si produce anche qualora rimangano debiti insoddisfatti, poiché, in tale evenienza, i creditori potranno in ogni caso far valere le proprie ragioni creditorie nei confronti dei soci, considerati quali successori universali della società (seppur sui generis), e, se in colpa, nei confronti dei liquidatori (Cass. civ., Sezioni Unite, 12 marzo 2013 n. 6070, n. 6071 e n. 6072). Per tali motivi, dopo l’estinzione la società non può più né agire, né essere legittimamente convenuta in giudizio; qualora l’estinzione intervenga in pendenza di giudizio, del quale la società sia parte, si determina un evento interruttivo del processo, con possibile successiva o eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci.

La suddetta disciplina civilistica risulta – secondo la Relazione governativa- “funzionale a garantire tempi brevi e certi della cancellazione e della realizzazione dei conseguenti effetti“; tuttavia, per contro, essa “rende di difficile realizzazione i controlli e le azioni di recupero fiscale, regolati da disposizioni che ne prevedono lo sviluppo e, a volte, l’avvio in tempi successivi a quelli previsti dall’art. 2495 del codice civile per l'”estinzione” della società“.

Proprio per sopperire alle divergenze tra la disciplina civilistica e la struttura e le finalità specifiche del controllo tributario, è stato introdotto l’art. 28, comma 4, D.lgs. 175/2014.

Tale disposizione, anche a fronte dell’estinzione della società (sia di persone, che di capitali), consente la stabilizzazione degli atti dell’Amministrazione finanziaria, autorizzando quest’ultima ad effettuare le attività di controllo e di accertamento negli ordinari termini previsti dalla disciplina tributaria, nonché a notificare i relativi atti direttamente all’originario debitore.

Infatti, il termine quinquennale di cui all’art. 28, comma 4, D.lgs. 175/2014 è stato individuato – secondo quanto esplicitato nella Relazione governativa – “avuto riguardo ai termini di cui agli articoli 43, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 e 57, comma 2, del D.P.R. n. 633 del 1972 che disciplinano, rispettivamente, i termini per l’accertamento in ipotesi di omessa dichiarazione II.DD. o IVA”.

Così chiarita la ratio dell’art. 28, comma 4, D.lgs. 175/2014, la scelta del Governo non è estranea agli obiettivi di razionalizzazione dell’azione amministrativa in materia di attuazione e accertamento dei tributi perseguiti dalla delega e, anzi, si pone in linea di continuità e complementarità rispetto a tali obiettivi, agevolando la definizione delle situazioni giuridiche soggettive passive e attive del contribuente.

La Corte Costituzionale conclude infine l’argomentazione sul punto, rilevando come l’art. 28, comma 4, D.lgs. 175/2014 non sia la sola disposizione dell’ordinamento che consente di notificare validamente gli atti intestati ad un soggetto non più esistente. Previsione analoga si rinviene infatti nell’art. 65, comma 4, D.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 che, con riguardo alle persone fisiche, stabilisce che “la notifica degli atti intestati al dante causa può essere effettuata agli eredi impersonalmente e collettivamente nell’ultimo domicilio dello stesso ed è efficace nei confronti degli eredi che, almeno trenta giorni prima, non abbiano effettuato la comunicazione di cui al secondo comma“.

Neppure viene ritenuta sussistente la denunciata violazione dell’art. 3 Costituzione. 

Non è infatti configurabile una piena equiparazione tra le obbligazioni pecuniarie di diritto comune, da un lato, e quelle tributarie, dall’altro, tenuto conto della particolarità dei fini e dei presupposti di queste ultime, finalizzate a garantire il regolare svolgimento della vita finanziaria dello Stato.

In definitiva, secondo la Consulta, l’interesse fiscale perseguito dalle obbligazioni tributarie giustifica lo scostamento dalla disciplina ordinaria ed il regime di favor verso l’Amministrazione finanziaria.

In conclusione, quindi, entrambe le prospettate questioni di legittimità costituzionale dell’art. 28, comma 4, D.lgs. 175/2014 vengono dichiarate non fondate.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma