Il procedimento semplificato, in precedenza detto “procedimento sommario di cognizione” e disciplinato  dal Libro IV, Titolo I, Capo III-bis (artt. 702-bis, 702-ter e 702-quater c.p.c.), viene a seguito della riforma regolamentato all’interno del Libro II sul processo di cognizione (artt. 281-decies, 281-undecies, 281-duodecies e 281-terdecies c.p.c.). Conseguentemente, il predetto Capo III-bis del Libro IV, Titolo I (artt. 702-bis, 702-ter e 702-quater c.p.c.) viene interamente abrogato.

L’utilizzabilità di tale rito viene rispetto al passato ampliata.

E’ infatti sempre possibile ricorrere a tale procedimento in tutte le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica.  E’ inoltre possibile ricorrervi anche nelle cause riservate alla cognizione del tribunale collegiale quando:

  • i fatti di causa non sono controversi;
  • la domanda è fondata su prova documentale;
  • la domanda è di pronta soluzione;
  • la domanda richiede un’istruzione non complessa.

La domanda si propone mediante ricorso, sottoscritto a norma dell’art. 125 c.p.c., che deve contenere le indicazioni di cui all’art. 163, comma 3, numeri 1), 2), 3), 3-bis), 4), 5), 6), nonché l’avvertimento di cui al numero 7).

Il giudice, entro cinque giorni dalla designazione (termine ordinatorio), fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti assegnando un termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre dieci giorni prima dell’udienza (termine perentorio).

Il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto a cura dell’attore. Tra il giorno della notificazione del ricorso e quello dell’udienza di comparizione devono intercorrere termini “liberi” (i.e.: nei quali non devono essere computati né il dies a quo di notificazione del ricorso, né il dies ad quem di svolgimento dell’udienza) non minori di quaranta giorni, se il luogo di notificazione si trova in Italia, e di sessanta giorni, se si trova all’estero.

Il convenuto si costituisce mediante deposito della comparsa di risposta, nella quale deve:

  • proporre le sue difese;
  • prendere posizione in modo chiaro e specifico sui fatti posti dall’attore a fondamento della domanda;
  • indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione;
  • formulare le conclusioni;
  • a pena di decadenza, proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d’ufficio;
  • a pena di decadenza, se intende chiamare in causa un terzo, farne dichiarazione nella comparsa di costituzione e chiedere lo spostamento dell’udienza. In tal caso il giudice, con decreto comunicato dal cancelliere alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza, assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. La costituzione in giudizio di quest’ultimo avviene con le medesime forme previste per la costituzione del convenuto.

Alla prima udienza il giudice, se rileva che per la domanda principale o per quella riconvenzionale non ricorrono i presupposti necessari per l’applicazione del procedimento semplificato, dispone con ordinanza non impugnabile la prosecuzione del processo nelle forme del rito ordinario,  fissando l’udienza di cui all’art. 183 c.p.c., rispetto alla quale decorrono i termini per le memorie integrative di cui all’art. 171-ter c.p.c. Nello stesso modo procede quando, valutata la complessità della lite e dell’istruzione probatoria, ritiene che la causa debba essere trattata con il rito ordinario.

Sempre entro la prima udienza l’attore può chiedere di essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se tale esigenza è sorta dalla difesa del convenuto. Se lo autorizza, il giudice fissa la data della nuova udienza, assegnando un termine perentorio per la citazione del terzo. Anche nei casi di trasformazione del rito da semplificato a ordinario, il giudice provvede comunque all’autorizzazione alla chiamata del terzo, la cui costituzione in giudizio avviene, ancora una volta, secondo le medesime forme previste per la costituzione in giudizio del convenuto.

Ancora alla prima udienza le parti possono (i.e.: hanno l’onere di) proporre, a pena di decadenza, le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dalle altre parti.

Su richiesta delle parti, e se sussiste un giustificato motivo, il giudice può concedere alle parti un termine perentorio non superiore a venti giorni per 

  • precisare e modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni;
  • indicare i mezzi di prova;
  • produrre documenti,

e un ulteriore termine (anch’esso perentorio) non superiore a dieci giorni per

  • replicare e
  • dedurre prova contraria.

Se non autorizza la chiamata in causa di un terzo su richiesta dell’attore (art. 281-duodecies, comma 2, c.p.c.) e non concede i termini istruttori di cui sopra (art. 281-duodecies, comma 4, c.p.c.), ma non ritiene ancora la causa matura per la decisione, il giudice ammette i mezzi di prova rilevanti per la decisione e procede alla loro assunzione.

Quando rimette la causa in decisione, il giudice procede nelle forme della discussione orale, sia quando giudica in composizione monocratica (art. 281-sexies c.p.c.), sia quando giudica in composizione collegiale (art. 275-bis c.p.c.).

La sentenza è impugnabile nei modi ordinari. 

Quest’ultima previsione rappresenta probabilmente la più rilevante differenza tra il “nuovo” procedimento semplificato ed il “vecchio” procedimento sommario di cognizione, la cui decisione assumeva la forma di ordinanza provvisoriamente esecutiva e costituente titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale e per la trascrizione (art. 702-ter c.p.c., ad oggi abrogato), appellabile entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione (art. 702-quater c.p.c., ad oggi abrogato).

Pertanto, l’ordinanza conclusiva del “vecchio” procedimento sommario di cognizione era di regola appellabile nel termine “breve” di trenta giorni, decorrente non solo dalla notificazione della stessa ad opera della parte vittoriosa, ma anche dalla sua mera comunicazione da parte della Cancelleria. Il cd. “termine lungo” di appello, pari a sei mesi dalla pubblicazione dell’ordinanza mediante deposito in Cancelleria, risultava quindi applicabile solo nell’ipotesi- piuttosto “rara” ed “anomala”- in cui la Cancelleria avesse omesso la comunicazione della stessa. Come “contrappeso” a tale generalizzata abbreviazione del termine per l’appello, nell’ambito del giudizio di secondo grado venivano ammessi nuovi mezzi di prova e nuovi documenti non solo in caso di prova, ad opera della parte, di non aver potuto proporli o produrli nel corso del procedimento di primo grado per causa a sé non imputabile, ma anche nell’ipotesi in cui il collegio li avesse ritenuti “indispensabili ai fini della decisione”. Ancora, l’appello proposto a norma dell’(oggi abrogato) art. 702-quater c.p.c. era esentato dal preventivo “filtro” di cui all’art. 348-bis c.p.c. (i.e.: dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione che non avesse una ragionevole probabilità di essere accolta).

Nell’ottica di una maggiore semplificazione ed uniformazione delle norme applicabili alle impugnazioni, tali differenziazioni vengono invece ad oggi del tutto meno mediante la previsione secondo cui la decisione conclusiva del procedimento semplificato assume la forma di una sentenza (e non più di un’ordinanza) ed è impugnabile secondo le norme “ordinarie”.

Dott.ssa Cecilia Domenichini

Unicusano-Roma